Daniele Santarelli

I dilemmi e i silenzi di Pio XII

Giovanni Miccoli, I dilemmi e i silenzi di Pio XII. Vaticano, Seconda guerra mondiale e Shoah, Rizzoli, 2000

Questo libro affronta la spinosa questione della condotta tenuta dal pontefice Pio XII Pacelli e dal Vaticano nei confronti del nazismo e dello sterminio degli ebrei nel corso della seconda guerra mondiale. Si tratta di un tema molto attuale, dato il processo di beatificazione in corso di papa Pacelli, e che ha scatenato vivaci dibattiti ed aspre polemiche tra gli storici e i giornalisti che si sono occupati dell’argomento.

1. Il primo capitolo ripercorre l’atteggiamento tenuto dalla diplomazia della Santa Sede nel corso della seconda guerrra mondiale.
Di fronte ai venti di guerra che scuotevano l’Europa, il Vaticano non prese posizione a favore di nessuno tra i contendenti: eventi come l’invasione della Polonia, la caduta della Francia e l’entrata in guerra dell’Italia al fianco dell’alleato nazista non smossero la diplomazia vaticana da una posizione di sostanziale neutralità. Delle pressioni vennero attuate su Mussolini perché moderasse l’impeto di Hitler, ma anche sulla Polonia perché accettasse le richieste tedesche, evitando così la guerra. Si sperava in una “nuova Monaco”. All’indomani della caduta della Francia Pio XII sondò le possibilità di una pace, che tuttavia avrebbe sancito un’egemonia di fatto della Germania sull’Europa. Il pericolo principale, per la stabilità dell’Europa, per Pio XII, non era comunque la Germania nazista, ma la Russia sovietica: i negoziati che si svolsero tra Pio XII e l’opposizione tedesca tra settembre ’39 e marzo ’40 avevano come fine ultimo, infatti, la costituzione di una coalizione antisovietica.
Di fronte alla “guerra totale” e ai crimini di guerra compiuti dai nazisti sin dall’inizio del conflitto, il papa, e con lui la stampa vaticana, non andarono oltre generiche condanne e atteggiamenti crittografici, mentre fu condannata con molto vigore l’invasione sovietica della Finlandia. Una solidarietà generica venne espressa al sovrano del Belgio e nessuna condanna venne espressa nei confronti del bombardamento tedesco di Coventry. Sembrava che il Vaticano percepisse la tragedia della guerra come ineluttabile e non riuscisse ad esprimere niente di più che generici sentimenti di compassione per chi soffriva a causa della guerra. Al contempo il Vaticano si candidava a svolgere un ruolo di mediazione tra le parti in conflitto, cosa che gli impediva di schierarsi a favore di una delle parti in conflitto.
All’avvento in Croazia del regime filonazista di Ante Pavelic il Vaticano sembrò guardare con simpatia, assecondando le posizioni della maggioranza del clero locale e dell’arcivescovo di Zagabria, nonostante le dure persecuzioni operate dal regime contro serbi ed ebrei.
Di fronte all’incipiente persecuzione su larga scala degli ebrei e all’estensione delle leggi razziali, il Vaticano non ebbe la forza di assumere una posizione netta di condanna, neppure in seguito ad esplicite richieste angloamericane di una condanna della condotta dei nazisti a partire dalla fine del’42 . Nel messaggio del Natale 1942 Pio XII pronunciò una frase che alludeva in modo molto crittografico allo sterminio degli ebrei, ma non si andò oltre. Una presa di posizione forte, d’altronde, avrebbe potuto significare uno sbilanciamento della Santa Sede nei confronti di una delle parti in conflitto, cosa che si voleva evitare, tenendo conto anche del fatto che i nazisti, pur perseguitando gli ebrei, stavano combattendo una spietata guerra contro il nemico sovietico. Il clero tedesco, dal canto suo, non mancava di esortare il popolo a resistere contro la barbarie bolscevica, ma, salvo rari casi individuali di prelati coraggiosi, non accennò mai ad una condanna esplicita dei crimini nazisti.

2. Il secondo capitolo affronta la questione del rapporto tra cattolicesimo tedesco e Terzo Reich. La Chiesa tedesca salutò con favore l’avvento del regime nazista in Germania, regime che si opponeva sia al liberalismo che al marxismo, e la Santa Sede rimase influenzata da questo atteggiamento della Chiesa cattolica locale, tant’è che il pontefice Pio XI, predecessore di papa Pacelli, non mancò, in un primo tempo, di apprezzare la figura di Hitler, e di stipulare un Concordato con il regime appena instauratosi. Di fronte alle prime violazioni naziste delle norme del Concordato i vescovi tedeschi avanzarono solo delle timide proteste. Neppure le persecuzioni condotte dai nazisti contro il “cattolicesimo politico” sin dai primi anni del regime provocarono nette e ferme condanne; nel clero tedesco oltretutto pareva essersi diffusa una fiducia nella buona volontà di Hitler, considerato molto distante dal deplorevole neopaganesimo di alcuni dei suoi collaboratori. Si attendeva una “svolta” del regime sul modello del fascismo italiano; in una svolta “moderata” del nazismo pareva credere il cardinal Bertram, leader dei vescovi tedeschi; la partecipazione nazista alla guerra di Spagna a favore dei franchisti non fece che rinsaldare la speranza e la fiducia nel regime nutrite dalla grande maggioranza dell’episcopato germanico.
Le misure ostili alla fede messe in pratica dai nazisti suscitarono tuttavia una crescente tensione tra la Germania e il Vaticano e lo sdegno di Pio XI, nonostante il segretario di stato Eugenio Pacelli (il futuro Pio XII) tentasse di moderare le posizioni del papa, che parevano evolversi verso un accostamento di nazismo e comunismo. Nell’enciclica Mit brennender Sorge (1938) Pio XI criticò esplicitamente gli attentanti compiuti dal nazismo contrò la libertà della Chiesa, ma non la persecuzione degli ebrei. Pio XI prese posizione anche contro l’alleanza tra Italia e Germania. La morte gli impedì quindi di prendere posizione contro l’antisemitismo: aveva già infatti commissionato un’enciclica su questo tema.
L’avvento al soglio pontificale di Pio XII portò il Vaticano su posizioni ben più distensive e compromissorie nei confronti del regime nazista, come suggerito dai cardinali Bertram e Faulhaber, esponenti di spicco del clero tedesco, all’interno del quale tuttavia si veniva delineando una linea decisamente antinazista, seppur minoritaria, facente capo a monsignor von Preysing, vescovo di Berlino, e a monsignor von Galen, vescovo di Munster. La linea maggioritaria fu comunque quella del lealismo nei confronti di un regime fortemente schierato nella lotta anticomunista. Si cercava, infatti, in nome di una forma di “solidarietà nazionale”, di distinguere tra patria, Stato e Partito, cercando peraltro di evitare l’accusa di “pugnalata alle spalle”, che poteva essere scagliata contro i cattolici da parte dei nazisti.


3. Il terzo capitolo affronta la questione dell’anticomunismo vaticano e del suo influsso sul giudizio della Santa Sede sul regime nazista.
Dagli inizi degli anni ’30 (mentre in URSS Stalin attuava la “collettivizzazione forzata”) la condanna del Vaticano nei confronti del comunismo si fece sempre fu dura. Un vero choc fu rappresentato dalla violenza popolare antireligiosa scatenatasi in Spagna colla guerra civile. L’enciclica Divini Redemptoris di Pio XI, coeva della Mit brennender Sorge, rappresenta un duro attacco contro il comunismo ateo e le sue implicazioni. Il nazismo, va ricordato, rappresentava, dal canto suo, un baluardo contro il bolscevismo. L’attacco nazista, scagliato a partire dal giugno ’41, contro l’URSS, non venne appoggiato esplicitamente dalla Santa Sede, che comunque guardò con preoccupazione alla saldatura creatasi tra l’URSS e le potenze occidentali. D’altronde c’era chi, come monsignor Tardini, sperava che l’URSS e la Germania nazista si annientassero a vicenda: si trattava di una posizione che rifletteva la volontà della Santa Sede di rimanere comunque imparziale e non pronunciarsi a favore di nessuna delle nazioni belligeranti.

4. Il quarto capitolo prende in esame la condotta della Santa Sede durante l’occupazione tedesca di Roma a partire dal settembre 1943. Tale evento non fece altro che rendere ancora più prudenti le posizioni del Vaticano, che non protestò pubblicamente né a seguito dei rastrellamenti del ghetto ebraico di Roma del 15 e 16 ottobre 1943, né a seguito della strage delle Fosse Ardeatine del 24 marzo 1944.

5. Il quinto capitolo, il più denso del libro, affronta la questione della reazione della Santa Sede e dell’opinione pubblica cattolica di fronte all’antisemitismo e alle leggi razziali.
Miccoli si pone il problema se la Shoah fu o meno preparata da un atmosfera generale e diffusa di ostilità nei confronti degli ebrei, favorita da buona parte dell’opinione pubblica cattolica, il cui atteggiamento era senz’altro diverso rispetto al fanatismo nazista ma non opposto ad esso. Affievolitosi all’inizio del’900 (dopo l’escalation legata all’affaire Dreyfus), un certo antisemitismo tornò a riaffiorare prepotentemente nella stampa cattolica italiana alla fine della seconda decade del secolo a seguito della creazione di un focolare ebraico in Palestina e alla nascita dell’URSS. Nel 1928 un significativo decreto del Sant’Uffizio soppresse la società cattolica “Gli amici d’Israele”. Un’enunciazione dell’antisemitismo cattolico del tempo si poteva trovare, d’altronde, nel Lexicon fur Thelogie und Kirche del teologo Gustav Gundlach, nel quale si distinguono due opposti antisemitismi: uno, anti-cristiano, fondato su basi razziali, ed uno, accettabile dal cristiano e lecito, fondato sulla necessità di contenere il pernicioso influsso esercitato dall’ebraismo sul popolo.
Durante il Terzo Reich, la Chiesa cattolica e l’opinione pubblica cattolica tedesca rimasero sostanzialmente passive di fronte alla persecuzione antiebraica e i vescovi intervennero solo in difesa degli ebrei cattolici. Nei confronti delle leggi razziali l’opinione pubblica cattolica internazionale non assunse una posizione netta di condanna; in Italia, per esempio, le leggi razziali non vennero contestate, eccetto che per il divieto dei matrimoni misti, che costituiva un vulnus al Concordato. In questo contesto si colloca la vicenda di un'enciclica di condanna delle persecuzioni antisemite, commissionata da Pio XI, il cui progetto venne però lasciato cadere in seguito alla morte di questi (1939), soprattutto per le forti perplessità al riguardo di esponenti di spicco della Curia, tra i quali il segretario di stato cardinal Pacelli, il quale, succeduto a Pio XI col nome di Pio XII, fece abortire il progetto, da lui considerato troppo avventato.
Nel corso della guerra, d’altronde, Pio XII non si pronunciò mai espressamente sulla questione. Nella Germania nazista, nella Francia di Vichy, in Slovacchia, in Ungheria e nella Croazia di Ante Paveliç gli episcopati locali appoggiarono politicamente, in modo più o meno forte e più o meno palese, regimi che perseguivano gli ebrei e favorivano la loro deportazione. In Italia, caduto il regime fascista, nell’agosto 1943 il Vaticano parve reagire non troppo positivamente all’eventualità di una revoca della legislazione razziale da questo promulgata; ne dà una prova eloquente una lettera di monsignor Tacchi Venturi, plenipotenziario di Pio XII presso il governo italiano, al segretario di stato vaticano cardinal Maglione, nella quale Tacchi Venturi afferma di essersi guardato bene, in un suo incontro col nuovo ministro degli interni italiano Umberto Ricci, di accennare minimamente all’eventualità di una totale abrogazione della legislazione antisemita introdotta dal fascismo, definita dal Tacchi Venturi “una legge la quale secondo i principii e la tradizione della Chiesa cattolica, ha bensì disposizioni che vanno abrogate, ma ne contiene pure altre meritevoli di conferma”.
Il tradizionale antisemitismo cattolico non va certo confuso con l’antisemitismo su base razziale e sterminatore dei nazisti; tuttavia esso parve creare un clima che fece in modo che l’opinione pubblica cattolica non prendesse una posizione netta a difesa delle masse dei perseguitati. A ciò occorre aggiungere il timore di ritorsioni contro i cattolici che potevano seguire all’esplicitazione da parte del Vaticano, dei vescovi e della stampa cattolica di una condanna dura della legislazione antisemita e dello sterminio in corso degli ebrei.
Su questo tipo di scelta Miccoli formula, nella conclusione, il suo giudizio storico: l’atteggiamento tenuto da Pio XII e dalla Chiesa cattolica nei confronti del nazismo, della guerra e della Shoah, una posizione di neutralità e silenzio frutto peraltro di una lunga tradizione ideologico-diplomatica, si rivelò sostanzialmente inadeguato di fronte ad un evento di portata così grave, che richiedeva tutt’altra presa di posizione a favore delle vittime di una così immensa ed “unica” tragedia.

da filosofia.it