A dire il vero neanche nel 1964 ci fu grande eco quando Togliatti pubblicò (Rinascita del 30 maggio, con una nota aggiuntiva il 18 giugno) la lettera che Gramsci aveva mandato a nome del Partito comunista d'Italia al comitato centrale del Partito comunista russo per criticare senza mezzi termini la rottura che in esso si stava consumando, e la sua risposta personale a Gramsci, che ne chiedeva aspramente il ritiro. Eppure fino ad allora era come se la lettera di Gramsci non fosse mai esistita, e i rapporti fra il fondatore del partito e il segretario che gli successe fossero stati sempre senza una nube. Quando Silone aveva pubblicato la lettera di Gramsci nel 1956, il PCI ne aveva addirittura negato l'autenticità. Quanto alla dura risposta di Togliatti, non era nota. Nel 1964, la riapertura di questa pagina fra oscura e dolente, non impressionò i più giovani, presi dai problemi che gli si aprivano in quel decisivo decennio, e i pochi vecchi sopravvissuti preferirono tacere. Il tasto era delicato, riguardava non solo i rapporti tra due grandi dirigenti ma fra comunisti italiani e comunisti russi. Riandare alla memoria, che pure lo investiva di una luce niente affatto apologetica, pareva necessario soltanto a Togliatti. Nessun altro dirigente intervenne. Perché Togliatti pubblicava allora questi materiali? Aveva già fatto uscire su Rinascita un testo di Bucharin e tracciato un profilo - abbastanza esile - di storia dell'Internazionale comunista, mentre dava via libera alla pubblicazione dei protocolli del Pc(b) e di alcuni saggi di Trotckj e Zinoviev. Come non vedere una connessione con il rifiuto di partecipare alla conferenza internazionale dei partiti comunisti che Mosca chiedeva per condannare la Cina, e poi col famoso memorandum preparato per Krusciov? Era nel maturare di una critica al blocco comunista, e al modo con il quale l'Urss lo governava, che Togliatti teneva a rifare la storia di quel tormentato cammino. Tre mesi dopo sarebbe morto improvvisamente a Yalta. E si interruppe il lavoro di ripubblicazione su Rinascita di documenti del partito dell'Internazionale fino ad allora vietati. Chi gli successe non continuò. Non Longo. Non Berlinguer. La pubblicazione del Carteggio del 1926 non solleva questo interrogativo. Chiara Daniele presenta le 56 lettere che in quell'anno intercorrono fra Togliatti, rappresentante italiano nell'Internazionale e l'Ufficio politico del Partito comunista d'Italia, dando contemporaneamente notizia che gli altri materiali di quell'anno sono ormai in Italia presso l'archivio dell'Istituto Gramsci. E dal 1994 c'è anche il regesto Gramsci, che raccoglie 279 documenti che "dovrebbero costituire tutta la documentazione di e su Gramsci presente nei fondi del Komintern". Quanto all'ampio saggio di Giuseppe Vacca, esso mira oggi a cogliere lo spessore del dissenso esploso fra Gramsci e Togliatti nell'ottobre, appunto sulla base della documentazione acquisita dal 1989, che completa i documenti pubblicati da Franco Ferri nel 1970. Brevemente di che si tratta? Come è noto - anche se è arduo sapere che cosa lo sia nell'oblioso clima attuale - tra fine settembre e ottobre del 1926 la maggioranza di Stalin e Bucharin nel Partito comunista russo andava alla resa dei conti con il "blocco delle opposizioni" di Trotckj e Kamenev-Zinoviev; lo scontro si stava chiudendo con la spaccatura anche formale del gruppo dirigente leninista e la condanna e poi persecuzione delle minoranze. In quella estate Togliatti aveva già fatto sapere al PCd'I che i partiti non russi avrebbero dovuto schierarsi, differentemente che in passato, sulla situazione interna del partito russo. Ma gli italiani avevano preso tempo: dobbiamo prima conoscere meglio le cose. Togliatti in ottobre spedisce molta documentazione, ma il PCd'I esita. La situazione precaria, che sarebbe precipitata ai primi di novembre con le leggi eccezionali, lo rende sempre più indipendente dalla I.C., ma è ancora alle prese con Bordiga che combatte ma non vuole escludere e non gli manca che di doversi schierare sulla divisione dei comunisti russi, che considera una iattura. Quando apprende che nel Pcr si sta venendo alla stretta, Gramsci, a nome dell'Ufficio politico del PCd'I scrive non alla I.C., ma, inabitualmente, al comitato centrale del Partito comunista russo, esprimendo preoccupazione e rimprovero: mettendo in causa l'unità del gruppo leninista, il cui valore è decisivo per il movimento rivoluzionario, "state distruggendo l'opera vostra". Le opposizioni hanno torto nel merito, ma l'essenziale è che il dissenso si componga governandolo senza lacerazioni. È il 14 ottobre 1926. Gramsci manda la lettera a Togliatti perché la faccia tradurre e la passi al Comitato centrale del Pcr, autorizzandolo a "qualche mutazione di dettaglio e di forma", se lui e "i più responsabili" della maggioranza ne sentono l'utilità. "I termini essenziali devono però essere mantenuti integri". Togliatti si consulta dunque con alcuni membri del Pcr e della I.C. che come lui trovano la lettera errata oltre che inopportuna, e telegrafa e poi scrive all'Ufficio politico del PCd'I: ma come, qui l'opposizione è fuori gioco, battuta dalla base, e voi le ridate fiato con un "appello generico all'unità e alla responsabilità dei capi". Propongo di non inoltrare la lettera. A discuterne con voi verrà in Italia per la I.C. Jules Humbert Droz (18 ottobre 1926). Nello stesso giorno scrive personalmente a Gramsci: la vostra lettera è sbagliata fin nell'impostazione, non sottolinea abbastanza il vostro accordo di merito con la maggioranza di Stalin e Bucharin, mette di fatto sullo stesso piano maggioranza e opposizione. Se si condivide la linea della maggioranza non c'è che da appoggiarla "senza porre alcuna limitazione". Inoltre Gramsci sarebbe "troppo ottimista sul grado di bolscevizzazione", in sostanza di coesione e di tenuta, raggiunto dai partiti fuori dell'Urss e "troppo pessimista" nel temere le conseguenze che su di esse avrebbe "la discussione russa". Anche Manuilski scrive personalmente e rispettosamente a Gramsci: "Forse non vi abbiamo bene informato, e perciò vedete la situazione "a tinte fosche". Ma no. Mai la dittatura del proletariato è stata così forte, mai l'opposizione così isolata alla base, non ci sarà alcuna lacerazione. Lo vedrete al prossimo esecutivo dell'I.C." (21 ottobre 1926). Il 26 ottobre Camilla Ravera dà ricevuta del "contenuto" del telegramma a nome dell'Ufficio politico. "Sta bene per la non avvenuta trasmissione della lettera". Ma non entra nel merito: ne discuterà l'Ufficio politico e poi la delegazione italiana porterà la sua posizione all'esecutivo allargato dell'Internazionale prevista per metà novembre. Lo stesso giorno Gramsci replica a Togliatti "a titolo personale anche se persuaso di esprimere l'opinione degli altri compagni". Di quel che Togliatti gli scrive non accetta nulla. Lo definisce "astratto e schematico". "Il tuo comportamento mi fa un'impressione penosissima. Tu credi che si tratta di una faccenda da risolvere fra dirigenti, mentre non esistono solo i partiti [...] ma le grandi masse lavoratrici, politicamente stratificate in modo contraddittorio, ma nel complesso tendenti all'unità", e "uno degli elementi più energici di questo processo unitario è l'esistenza dell'Urss" e "la persuasione diffusa che nell'Urss si cammina verso il socialismo". Ma questa fiducia non è "un dato acquisito in forma stabile. Tutt'altro, è sempre instabile". "Tu mi scrivi: hanno fatto la rivoluzione. Ma sono passati ormai nove anni, "non è più il fatto della presa del potere da parte dei bolscevichi che può rivoluzionare le masse occidentali, bensì la persuasione (se esiste) che il proletariato, una volta preso il potere, può costruire il socialismo". Questa fiducia può essere assicurata solo dal procedere unito del "nucleo leninista" anche se "in forme nuove". La linea leninista infatti consiste nel lottare per l'unità del partito, e non solo quella esteriore ma quella "più intima che impedisce che si formino due linee del tutto divergenti". Ogni partito comunista responsabile deve dire questo ai comunisti russi. E che tale richiamo possa giovare alle opposizioni "mi preoccupa fino a un certo punto": la nostra intenzione è infatti che si ricomponga una unità. È il 26 ottobre. Dal primo al 3 novembre deve esserci l'incontro in una località della Valpolcevera con l'inviato dell'Internazionale. Ma il 31 ottobre un attentato a Mussolini a Bologna scatena la reazione fascista, immediata e violenta. Non tutti riescono ad arrivare, non Gramsci avvertito di non muoversi. Il 5 novembre saranno varate le leggi eccezionali e l'8 novembre verrà arrestato. Non andrà più a nessun incontro, non avrà mai più occasione di incontrare Togliatti. Al suo posto va Ruggero Grieco. La riunione si conclude sostanzialmente con una resa, formalmente in modo interlocutorio: il PCd'I non firma un documento d'appoggio alla maggioranza, perché non lo ha ancora preparato, la lettera di Gramsci all'esecutivo dell'Internazionale comunista non è né inoltrata né ritirata. Resta per dir così congelata. Il PCd'I è sotto la tempesta della stretta di polizia, molti suoi uomini sono arrestati, ogni sua struttura passa all'illegalità, molti dei suoi cercano riparo all'estero. Non se ne riparlerà più fino al 1964. Da allora la questione è passata agli studiosi, anche se con qualche segno di insofferenza del partito (Amendola, secondo Spriano). Il tema è bruciante. Fin dove arrivò la rottura fra i due? Non influì sulla sorte di Gramsci, non determinò il suo isolamento dal partito, non si riferisce a questo quando parla di una condanna che gli viene da un altro tribunale che non quello fascista? Il PCI lo assisterà sempre materialmente, ma oltre? Scomparso Sraffa, il solo che può averne parlato con lui senza censure quando era ormai mortalmente malato, e che dopo la guerra avrebbe potuto parlarne con Togliatti, quel che se ne potrà sapere sembra ben poco. Alla luce dei documenti più recentemente acquisiti, Vacca rimette in discussione le interpretazioni date finora. Anzitutto liquida l'accusa a Togliatti di aver sequestrato la lettera di Gramsci perché non arrivasse al Pcr e alla I.C.. Non è andata così. Togliatti non ha sottratto nulla. Ma ha premuto energicamente perché il PCd'I si esprimesse in favore della maggioranza di Stalin e Bucharin contro il blocco delle opposizioni, e in quello scorcio di giorni di ottobre ottiene una mezza sospensione all'inoltro della lettera. Ma che cosa ha suggerito a Gramsci di scriverla e mantenerla, come risponde a Togliatti il 26 ottobre? Una sensibilità "profetica" - scriverà Leonardo Paggi - grazie alla quale già vedeva come l'espulsione delle opposizioni avrebbe comportato conseguenze terribili per la natura del partito e dello stato sovietico, mentre il più miope immediatismo di Togliatti lo sottovalutava. Una diversa sensibilità di ordine morale fra i due uomini, il primo deciso a non permettere che la maggioranza estromettesse una parte del nucleo leninista, assediandolo e mettendolo con le spalle al muro e quindi inducendolo ulteriormente a irrigidirsi, e il secondo invece deciso a puntare su Stalin vincente e sui suoi sistemi di governo del partito e della I.C.. Su questa linea si muovono Giuseppe Berti e Paolo Spriano. E più tardi Aldo Natoli accentuerà la differenza indissolubilmente umana e politica fra i due uomini, che avrebbe indotto il secondo a sacrificare il primo davanti alla I.C., anche sulla base della testimonianza di Tatiana Schucht e della sua ultima acerba contesa con Piero Sraffa, che non vuol saperne di discutere a Mosca del trattamento di cui Gramsci sarebbe stato oggetto. Giuseppe Vacca si chiede se sia la lettura "profetica" sia quella, diciamo così, "morale" - Gramsci sorretto da un bisogno di verità e Togliatti tattico spregiudicato - siano sufficienti. Ambedue si fondano sulla tesi che i due uomini erano d'accordo sul merito ma non sul metodo. Ma come dividere merito da metodo in un crinale come quello della rottura del gruppo dirigente leninista? Vacca ne deriva che il dissenso doveva avere uno spessore più grande, e ne vede le origini nel confronto di posizioni nei mesi precedenti di quel drammatico anno. Insomma la collisione del 26 ottobre andrebbe letta come il culmine di una differenziazione di Gramsci, e di gran parte del PCd'I, dalla maggioranza di Stalin e Bucharin sui temi che si erano venuti riannodando in quell'anno: il Fronte unico, il caso Bordiga, e soprattutto l'analisi di fase - cioè la tesi della stabilizzazione relativa che aveva sostituito quella di crisi generale capitalistica, che aveva sorretto all'inizio la rivoluzione d'ottobre, unita alla scelta staliniana del "socialismo in un paese solo". Sul Fronte unico, il PCd'I era stato infatti accusato di mirare più alla costruzione di un nucleo comunista nel sindacato che all'unità fra comunisti e massimalisti. Sul caso Bordiga, il partito italiano e l'Internazionale si rimpallavano lo scomodo personaggio (prendetelo a Mosca, tenetelo in Italia), con il quale nessuno dei due voleva assumersi la responsabilità di una rottura formale. Sarà il suo arresto il 20 novembre a eliminare la questione. Ma soprattutto gli italiani, sotto l'influenza di Gramsci, non accettano la messa in mora della tesi sulla "crisi generale del capitalismo", specie nella conseguenza per cui una "stabilizzazione relativa" sposterebbe il fronte di tutti i partiti sulla difesa dell'Urss come primo e infine solo obiettivo della fase. Gramsci non è d'accordo con Trotckj e Bordiga sul permanentismo e tantomeno sul tipo di critiche che rivolgono alla Nep, ma non ne deriva che gli altri partiti comunisti non possano che stare sulla difensiva.Egli mantiene la tesi di una, per così dire, "instabilità politica" delle classi dominanti che restano in travaglio, per cui sono possibili dei rivoluzionamenti, anche se non sempre guidati dall'alleanza operaia e contadina; i partiti comunisti devono restare su un piano di movimento, che non si svolgerà come nella Russia del 1917, e sul quale quindi i comunisti russi non possono decidere. Ne viene anche in lui una critica all'attuale direzione della Internazionale, che incrocia quella di Bordiga in senso opposto: Bordiga pretende che tutti i partiti della I.C. decidano la linea del Pc russo, Gramsci ritiene che l'I.C. ha un solo strumento vero di direzione, il nocciolo del leninismo, e quello deve garantire, mentre ogni partito comunista deve essere responsabilizzato del che fare nella situazione nazionale in cui viene a trovarsi. Se l'ipotesi di Vacca è esatta, si intende come si scontrasse frontalmente con la maggioranza di Stalin e Bucharin, allora appoggiata da Togliatti, che puntava tutto sulla costruzione del socialismo in un solo paese e sull'atteggiarsi in conseguenza della I.C. e degli altri partiti comunisti. E come poteva, la maggioranza di Stalin e Bucharin, nel momento in cui destituiva Zinoviev dalla presidenza della I.C. e i leaders delle opposizioni dall'ufficio politico, che Gramsci li definisse parte del "nucleo leninista", definizione che non aveva evidentemente una connotazione storica - che lo fossero stati nessuno negava - ma politica, nucleo come grumo originario le cui interne articolazioni dovevano tendere a una unità "intima", agire per correggersi invece che separarsi? Su questo, nel 1926, Togliatti e Gramsci proprio non si capirono, o si capirono fin troppo. Si può chiedersi che cosa sarebbe successo alla riunione della Valpolcevera se Gramsci ci fosse potuto andare. "Non avrebbe mollato, questo è certo. Non avrebbe fatto come Grieco". Sono parole di Togliatti. E allora? L'avrebbero seguito Scoccimarro, Ravera, gli altri? E come sarebbe arrivata la delegazione italiana all'esecutivo allargato dell'Internazionale? La domanda è in punto di storia oziosa: l'attentato Zamboni, le leggi eccezionali, gli arresti tolsero di mezzo il problema. Ma è difficile non consentire con Vacca quando osserva che una lettura dei Quaderni non ne resta indenne. |