Palmiro Togliatti

Lezioni sul fascismo

Tra il gennaio e l'aprile 1935 Togliatti, in qualità di dirigente dell'Internazionale Comunista, tenne un corso di quindici lezioni alla Scuola leninista di Mosca sul tema "Gli avversari". I testi dattiloscritti furono ritrovati dallo storico italiano Ernesto Ragionieri. Qui ne riproduciamo una piccola parte, quella iniziale. (Ed. Riuniti, 1972)
Si tenga conto del periodo in cui è stata pronunciata questa lezione e della necessità di superare gli errori di valutazione e di formulare analisi puntuali, articolate.

 

I caratteri fondamentali della dittatura fascista

Prima di iniziare il nostro corso voglio dire qualche parola sul termine « avversari » per evitare una falsa interpretazione, da parte di qualcuno di voi, di questo termine, falsa interpretazione la quale potrebbe portare a degli errori politici.

Quando noi parliamo di «avversari» non abbiamo in vista le masse che sono iscritte alle organizzazioni fasciste, socialdemocratiche, cattoliche. Avversari nostri sono le organizzazioni fasciste, socialdemocratiche, cattoliche, ma le masse che vi aderiscono non sono nostri avversari, sono delle masse di lavoratori che noi dobbiamo far tutti gli sforzi per conquistare.

Passiamo al nostro tema: Il fascismo. Che cos’è il fascismo? Qual è la definizione piu completa che è stata data di esso?

La definizione più completa sul fascismo è stata data dal XIII Plenum dell’IC ed è la seguente: « Il fascismo è una dittatura terrorista aperta degli elementi più reazionari, piuù sciovinisti, più imperialisti del capitale finanziario ».

Non sempre del fascismo si è data la medesima definizione. In diverse tappe, in diversi momenti, si son date del fascismo delle definizioni diverse, molte volte errate. Sarebbe interessante (ed è un lavoro che vi consiglio di fare) lo studio delle diverse definizioni che sul fascismo furono date nelle varie tappe da noi.

Al IV Congresso per esempio Clara Zetkin fece un discorso sul fascismo il quale fu quasi tutto dedicato a rilevare il carattere piccolo-borghese del fascismo. Bordiga invece insistette sul non vedere alcuna differenza tra la democrazia borghese e la dittatura fascista facendole apparire quasi come la stessa cosa, dicendo che vi era, fra queste due forme di governo borghese, una specie di rotazione, di avvicendamento.

In questi discorsi manca lo sforzo per unire, per collegare, due elementi: la dittatura della borghesia e il movimento delle masse piccolo-borghesi.

Dal punto di vista teorico comprendere bene il legame tra questi due elementi è ciò che è difficile. Eppure bisogna comprenderlo, questo legame. Se ci si ferma al primo elemento non si vede, si perde di vista, la grande linea dello sviluppo storico del fascismo e il contenuto di classe. Se ci si ferma al secondo elemento, si perdono di vista le prospettive.

Questo errore è quello che è stato commesso dalla socialdemocrazia la quale, fino a poco tempo fa, negava tutto ciò che noi dicevamo sul fascismo e lo considerava come un ritorno a delle forme medievali, come una degenerazione della società borghese. In queste sue definizioni la socialdemocrazia partiva esclusivamente dal carattere piccolo-borghese di massa che effettivamente il fascismo aveva assunto.

Ma il movimento delle masse non è uguale in tutti i paesi. Nemmeno la dittatura è uguale in tutti i paesi.

Per questo io devo premunirvi contro un errore facile ad essere commesso. Non bisogna credere che ciò che è vero per l’Italia debba essere vero, debba andar bene anche per tutti gli altri paesi. Il fascismo in vari paesi può avere delle forme diverse. Anche le masse di vari paesi hanno, delle diverse forme di organizzazione. E quello che anche dobbiamo tener presente è il periodo di cui si parla. In tempi diversi, nello stesso paese, il fascismo assume degli aspetti differenti. Quindi noi dobbiamo tener presenti due elementi. Abbiamo visto la definizione del fascismo, la più completa: «Il fascismo è una dittatura terrorista aperta degli elementi più reazionari, più sciovinisti e più imperialisti del capitale finanziario».

Che cosa significa? E perché proprio in questo momento, in questa tappa dello sviluppo storico, ci troviamo di fronte a questa forma, cioè, alla dittatura aperta, non mascherata degli strati più reazionari e più sciovinisti della borghesia?

È necessario parlare di ciò perché non tutti hanno chiaro questo problema. Ho trovato un compagno il quale aveva tanto in testa questa definizione che si meravigliò che in uh articolo di Gramsci si dicesse che ogni Stato è una dittatura.

È chiaro che non si può contrapporre la democrazia borghese alla dittatura. Ogni democrazia è una dittatura.

Vediamo la posizione che avevano i socialdemocratici tedeschi nella definizione del fascismo. Essi dicevano che il fascismo prende il potere alla grande borghesia e lo passa alla piccola borghesia la quale poi lo usa anche contro la prima. Questa posizione potete trovarla anche in tutti gli scrittori socialdemocratici italiani: Turati, Treves, ecc. Da questa posizione essi ricavano la loro strategia secondo la quale la lotta contro il fascismo sarà fatta da tutti gli strati sociali, ecc. In questo modo eludevano la funzione che nella lotta contro il fascismo spetta al proletariato.

Ma vediamo anche più vicino a noi. Nel 1932, in Germania, anche in margine al partito comunista, alcune correnti di opposizione affermavano che il fascismo instaurava la dittatura della piccola borghesia sopra la grande borghesia. Era questa un’affermazione sbagliata da cui derivava inevitabilmente un orientamento politico sbagliato. Questa affermazione si può trovare in tutti gli scritti dei «destri». A questo proposito voglio mettervi in guardia anche contro un’altra definizione: state molto attenti quando sentite parlare del fascismo come «bonapartismo». Questa affermazione, che è il cavallo di battaglia del trotskismo, è ricavata da alcune affermazioni di Marx, nel 18 Brumaio, ecc., e di Engels. Ma le analisi di Marx ed Engels se erano buone per allora, per quell’epoca dello sviluppo del capitalismo, diventano sbagliate se vengono applicate meccanicamente oggi, nel periodo dell’imperialismo.

Che cosa discende da questa definizione del fascismo come « bonapartismo »? Discende la conseguenza che chi comanda, non è la borghesia, ma è Mussolini, ma sono i generali, i quali strapparono il potere anche alla borghesia.

Ricordate la definizione che da Trotskij fu data del governo di Brüning: «governo bonapartista». Questa è una concezione che i trotskisti hanno sempre avuto del fascismo. Qual è la sua radice? La sua radice è il disconoscimento della definizione del fascismo come dittatura della borghesia.

Perché il fascismo, perché la dittatura aperta della borghesia si instaura oggi, proprio in questo periodo? La risposta voi dovete trovarla in Lenin stesso, dovete cercarla nei suoi lavori sull’imperialismo. Non si può sapere ciò che è il fascismo se non si conosce l’imperialismo.

Voi conoscete le caratteristiche economiche dell’imperialismo. Conoscete la definizione che ne dà Lenin.
L’imperialismo è caratterizzato da: 1) la concentrazione della produzione e del capitale, la formazione dei monopoli con funzione decisiva nella vita economica; 2) la fusione del capitale bancario col capitale industriale e il formarsi, sulla base del capitale finanziario, di una oligarchia finanziaria; 3) grande importanza acquistata dall’esportazione di capitali; 4) il sorgere di associazioni monopolistiche internazionali di capitalisti; e, ultimo, la ripartizione della terra tra le grandi potenze capitalistiche, che può considerarsi come finita.

Queste, le caratteristiche dell’imperialismo. Sulla loro base, vi è una tendenza ad una trasformazione reazionaria di tutti gli istituti politici della borghesia. Anche questo voi trovate in Lenin. Vi è una tendenza a rendere questi istituti reazionari e questa tendenza si manifesta nelle forme più conseguenti, col fascismo.

Perché? Perché, dati i rapporti tra le classi e data la necessità da parte dei capitalisti di garantire i propri profitti, la borghesia deve trovare delle forme onde fare una forte pressione sui lavoratori. D’altra parte i monopoli, cioè le forze dirigenti della borghesia, si concentrano al massimo grado e le vecchie forme di reggimento diventano degli impedimenti per il loro sviluppo. La borghesia deve rivoltarsi contro quello che essa stessa ha creato, perché ciò che altra volta era stato per lei elemento di sviluppo, è diventato oggi un impedimento alla conservazione della società capitalistica.

Ecco perché la borghesia deve diventare reazionaria e ricorrere al fascismo.

A questo punto devo mettervi in guardia contro un altro errore: lo schematismo. Bisogna stare attenti a non commettere l’errore di considerare come fatale, inevitabile, il passaggio dalla democrazia borghese al fascismo. Perché? Perché l’imperialismo non deve necessariamente dar luogo al regime di dittatura fascista. Vediamo con esempi pratici; ad esempio, l’Inghilterra che pure è un grande Stato imperialista e nel quale vi è un regime democratico parlamentare (seppure anche qui non si può dire che non vi siano dei caratteri reazionari). Vediamo la Francia, gli Stati Uniti, ecc. In questi paesi voi trovate le tendenze alla forma fascista di società ma esistono ancora le forme parlamentari. Questa tendenza alla forma fascista di governo vi è dappertutto. Ma questo non vuole ancora dire che dappertutto si debba arrivare obbligatoriamente al fascismo.

Facendo questa affermazione si commetterebbe un errore schematico perché si affermerebbe una cosa che non è nella realtà, e si commetterebbe nello stesso tempo un grosso errore politico in quanto non si vedrebbe che le probabilità d’instaurazione di una dittatura fascista sono legate al grado di combattività della classe operaia ed alla sua capacità di difendere le istituzioni democratiche. Quando il proletariato non vuole, è difficile abbattere queste istituzioni. Questa lotta per la difesa delle istituzioni democratiche si amplia e diventa la lotta per il potere.

Questo è un primo elemento da mettere in luce nel definire il fascismo.

Il secondo elemento consiste nel carattere delle organizzazioni del fascismo, a base di massa. Molte volte il termine fascismo viene adoperato in modo impreciso, come sinonimo di reazione, terrore, ecc. Ciò non è giusto. Il fascismo non significa soltanto la lotta contro la democrazia borghese, noi non possiamo adoperare questa espressione soltanto quando siamo in presenza di questa lotta. Dobbiamo adoperarla soltanto allorquando la lotta contro la classe operaia si sviluppa su una nuova base di massa con carattere piccolo-borghese come vediamo in Germania, in Italia, in Francia, in Inghilterra, ovunque esiste un fascismo tipico.

La dittatura fascista, quindi, si sforza di avere un movimento di massa organizzando la borghesia e la piccola borghesia.

È molto difficile legare questi due momenti. È molto difficile non sottolineare l’uno a scapito dell’altro. Per esempio, nel periodo di sviluppo del fascismo italiano, prima della marcia su Roma, il partito ha ignorato questo importante problema: intralciare la conquista delle masse piccolo-borghesi malcontente da parte della grande borghesia. Questa massa era allora rappresentata dagli ex combattenti, da alcuni strati di contadini poveri in via di arricchimento, da tutta una massa di spostati creati dalla guerra.

Noi non abbiamo compreso che al fondo di tutto ciò c’era un fenomeno sociale italiano, non abbiamo visto le profonde cause sociali che lo determinavano. Non abbiamo compreso che gli ex combattenti, gli spostati non erano degli individui isolati, ma una massa, e rappresentavano un fenomeno che aveva degli aspetti di classe. Non abbiamo compreso che non si poteva mandarli semplicemente al diavolo. Così per esempio gli spostati, che in guerra avevano avuto una funzione di comando, tornati a casa volevano continuare a comandare, criticavano il potere esistente e ponevano tutta una serie di problemi che da noi dovevano essere presi in considerazione.

Compito nostro era quello di conquistare una parte di questa massa, di neutralizzare l’altra parte onde impedire che diventasse una massa di manovra della borghesia. Questi compiti sono stati da noi ignorati.

Questo è uno dei nostri errori. Errore che si è ripetuto anche altrove: ignorare lo spostamento degli strati intermedi nel senso del crearsi nella piccola borghesia di correnti che possono essere sfruttate dalla borghesia contro la classe operaia.

Altro nostro errore è stato quello di non aver messo sempre nel giusto rilievo il carattere di classe della dittatura fascista. Noi abbiamo messo in rilievo il fatto che la dittatura del fascismo era dovuta alla debolezza del capitalismo. In un discorso di Bordiga si sottolinea molto fortemente la funzione che nella creazione del fascismo hanno avuto i più deboli elementi del capitalismo: gli agrari. Da questa premessa si deduceva che il fascismo è un regime proprio dei paesi a economia capitalista debole. Questo nostro errore si spiega in parte con il fatto che noi ci trovavamo per primi ad avere a che fare con il fascismo. Poi abbiamo visto come il fascismo si fosse sviluppato anche in Germania, ecc.

Ma commettevamo contemporaneamente anche un altro errore. Nel definire il carattere dell’economia italiana ci limitavamo a vedere quanto si produceva nella campagna e quanto nella città.

Non tenevamo conto che l’Italia è uno dei paesi in cui l’industria e la finanza sono più concentrate, non tenevamo conto che non bastava considerare qual era la parte che aveva l’agricoltura, ma dovevamo vedere l’avanzatissima struttura organica del capitalismo italiano. Bastava vedere le concentrazioni, i monopoli, ecc., per trarre la conclusione che il capitalismo italiano non era poi un capitalismo debole.

Non soltanto noi abbiamo commesso questo errore. Questo è un errore che si può dire forse generale.

Per esempio, in Germania si commise un simile errore nel giudicare lo sviluppo del movimento fascista nel 1931. Alcuni compagni affermavano che il fascismo era battuto, che nel paese non esisteva il pericolo d’una dittatura fascista perché questo pericolo non esisteva per un paese tanto sviluppato come la Germania, nel quale erano tanto sviluppate le forze operaie. Noi abbiamo, dicevano, tagliato la strada al fascismo. Qualche allusione a questo si trova anche in qualche discorso all’XI Plenum. Questo è lo stesso nostro errore: la sottovalutazione della possibilità dello sviluppo del movimento fascista di massa. Nel 1932, gli stessi compagni intendevano che la dittatura fascista, sotto il governo di Brüning, era già instaurata. E che quindi non c’era più da lottare contro il fascismo.

Anche questo era un errore. Essi vedevano come fascismo la sola trasformazione reazionaria delle istituzioni borghesi. Ma il governo di Brüning non era ancora ima dittatura fascista. Mancava ad esso uno degli elementi: una base di massa reazionaria che permettesse di combattere con successo, a fondo, contro il proletariato e spianare cosi il terreno alla dittatura fascista aperta.

Vedete: quando si sbaglia nell’analisi si sbaglia anche nell’orientamento politico.

In legame a ciò sorge anche un altro problema: l'instaurazione della dittatura fascista è un rafforzamento o un indebolimento della borghesia?

Molto si discusse su ciò. Specialmente in Germania. Alcuni compagni commisero lo sbaglio di affermare che la dittatura fascista era solo un segno di indebolimento della borghesia. Essi dicevano: la borghesia ricorre al fascismo perché non può governare con i vecchi sistemi. Questo è un segno di debolezza.

Questo è vero. Il fascismo si sviluppa perché le contraddizioni interne sono giunte ad un punto tale che la borghesia è costretta a liquidare le forme di democrazia. Da questo punto di vista significa che noi ci troviamo di fronte a una profonda crisi, che si prepara una crisi rivoluzionaria alla quale la borghesia vuol far fronte. Ma il vedere solo questo lato ci porta a commettere l’errore di trarre queste conclusioni: più si sviluppa il movimento fascista, più acuta si fa la crisi rivoluzionaria.

I compagni che facevano questo ragionamento non vedevano il secondo elemento, non vedevano la mobilitazione della piccola borghesia. E non vedevano che questa mobilitazione, che questo elemento, conteneva degli elementi di rafforzamento della borghesia in quanto le permetteva di governare con metodi diversi da quelli democratici.

Altro errore era quello di cadere nel fatalismo. Radek espresse questa concezione dicendo che, secondo questi compagni, l’affermazione fatta da Marx che tra il capitalismo e il socialismo c’è un periodo di transizione, rappresentato dalla dittatura del proletariato, si dovrebbe sostituire con l’affermazione che fra il capitalismo ed il socialismo ci debba stare il periodo della dittatura fascista.

La conclusione a cui si arriva è quella di perdere la prospettiva politica e di credere che quando il fascismo è al potere è finita. Vedete invece dò che è accaduto in Francia. Alla raccolta delle forze della borghesia è corrisposta una concentrazione delle forze del proletariato. Il partito comunista ha saputo in modo molto abile porre una barriera all’avverarsi del fascismo. Oggi, in Francia, il problema del fascismo non si pone più come il sei febbraio, i rapporti di forze sono mutati. Il pericolo del fascismo non è finito, ma si è lottato contro il fascismo e con ciò stesso si è aggravata la crisi della borghesia. Il fascismo si prepara al contrattacco, ad una nuova offensiva. Noi dobbiamo organizzare le nostre forze per respingerla. E non possiamo comprendere il problema se non lo poniamo cosi, come lotta di classe, come lotta fra la borghesia e il proletariato, nella quale la posta è per la borghesia l’instaurazione della propria dittatura, nella sua forma più aperta, e per il proletariato l’instaurazione della propria dittatura cui arriva lottando per la difesa di tutte le sue libertà democratiche.

Per questo Bordiga sbagliava quando domandava con disprezzo: perché dobbiamo lottare per le libertà democratiche? Se, dopo tutto, sono queste delle cose che nel periodo attuale devono tutte andare al diavolo... Nel 1919 Lenin, polemizzando con Bucharin e Pjatakov a proposito del programma del partito, gli dava già una risposta. Sostenevano Bucharin e Pjatakov che essendo giunti alla fase dell’imperialismo non era più necessario nel programma tener presenti le tappe precedenti. Ma Lenin rispondeva: No, noi abbiamo passato queste tappe, ma non significa che le conquiste che la classe operaia ha fatto nel corso di queste tappe siano prive di valore. Il proletariato deve lottare per la difesa di queste sue conquiste. In questa lotta si salda il fronte di lotta per la vittoria del proletariato.

Vediamo ora un altro problema: la questione della ideologia fascista. Che cosa rappresenta essa in questa lotta?

Analizzando questa ideologia che cosa vi troviamo? Di tutto. È un’ideologia eclettica. Elemento di tutti i movimenti fascisti è intanto, ovunque, l’ideologia nazionalista esasperata. Per l’Italia non è necessario parlare a lungo. In Germania questo elemento è ancora più forte, perché la Germania è una nazione che fu sconfitta nella guerra e l’elemento nazionalista si prestava di più a raccogliere le grandi masse.

Accanto a questo elemento vi sono numerosi frammenti che derivano da altrove. Per esempio dalla socialdemocrazia. L’ideologia corporativa, ad esempio, alla base della quale sta il principio della collaborazione di classe, non è un’invenzione del fascismo ma della social-democrazia. Ma vi sono altri elementi ancora che non vengono neanche dalla socialdemocrazia. Per esempio, la concezione del capitalismo (non comune a tutti i fascismi ma che trovate in quello italiano, tedesco, francese), che consiste nel considerare l’imperialismo come una degenerazione che deve essere eliminata, mentre la vera economia capitalistica è quella del periodo originario e bisogna quindi ritornare alle origini. Questa concezione la trovate in alcune correnti democratiche, per esempio in Giustizia e Libertà. Questa non è una ideologia socialdemocratica, ma piuttosto romantica; con la quale si manifesta lo sforzo della piccola borghesia per far tornare indietro il mondo che va verso il socialismo.

In Italia e in Germania nell’ideologia fascista si affacciano dei concetti nuovi. In Italia si parla di superare il capitalismo dandogli gli elementi d’organizzazione. Ritorna qui l’elemento socialdemocratico. Ma si ruba anche al comunismo: i piani, ecc.

L’ideologia fascista contiene una serie di elementi eterogenei. Dobbiamo tener presente questo perché questa caratteristica ci permette di capire a che cosa questa ideologia serve. Essa serve a saldare assieme varie correnti nella lotta per la dittatura sulle masse lavoratrici e per creare a questo scopo un vasto movimento di massa. L’ideologia fascista è uno strumento creato per tener legati questi elementi.

Una parte della ideologia, la parte nazionalista serve direttamente alla borghesia, l’altra serve come legame.

Io vi metto in guardia contro la tendenza a considerare l’ideologia fascista come qualche cosa di saldamente costituito, finito, omogeneo. Nulla più dell’ideologia fascista assomiglia ad un camaleonte. Non guardate all’ideologia fascista senza vedere l’obiettivo che il fascismo si proponeva di raggiungere in quel determinato momento con quella determinata ideologia.

Come linea fondamentale rimane: nazionalismo esasperato e analogia con la socialdemocrazia. Perché questa analogia? Perché anche la ideologia socialdemocratica è un’ideologia piccolo-borghese. Cioè nelle due ideologie il contenuto piccolo-borghese è analogo. Ma questa analogia si esprime in forme diverse nei diversi tempi e paesi.

Rapidamente gettiamo le basi per la prossima lezione. Come, in Italia, a un determinato momento si pose il problema della organizzazione della dittatura fascista e come si riuscì ad organizzare il movimento reazionario? Questo è il tema.

Andiamo alle origini. Da un lato vi è la crisi rivoluzionaria, la borghesia è impossibilitata a governare con i vecchi sistemi, c’è un malcontento generale, offensiva della classe operaia, scioperi politici, generali, ecc. Siamo, in una parola, nel dopoguerra: la crisi rivoluzionaria profonda.

In essa si rimarca specialmente un elemento: la impossibilità per la classe dirigente italiana di applicare la vecchia politica, la politica applicata fino al 1912, la politica giolittiana, «riformista». Non già riformista perché fossero andati al potere i riformisti, ma perché essa era una politica di concessioni a determinati gruppi, intesa a mantenere in piedi la forma della dittatura borghese nella sua veste parlamentare.

Nel dopoguerra questa politica non regge più perché la massa operaia e contadina vi si ribella.

Due grandi avvenimenti si notano nel dopoguerra: il grande sviluppo del Partito socialista italiano che conta centinaia di migliaia di aderenti e milioni di elettori. Dall’altra parte il risveglio delle classi contadine, con molti partiti poiché i contadini sono spezzati. II partito popolare è un partito contadino. Contemporaneamente vediamo dei movimenti di contadini, delle occupazioni di terre nel Mezzogiorno, ecc.

Gli operai e contadini muovono all’attacco e ha inizio il loro blocco. Questa confluenza dell’attacco operaio e contadino si trova nel dopoguerra italiano nelle forme più sviluppate. Essa segna la fine delle forme parlamentari.

La borghesia deve liquidare il parlamentarismo. Il malcontento non si estende solo agli operai ma abbraccia anche la piccola borghesia. Sorgono movimenti piccolo-borghesi, ex combattenti, ecc. La borghesia, la piccola borghesia non sopporta più il regime esistente, vuol cambiare.

Questo è il terreno su cui sorge il fascismo.

Quando questo movimento nella piccola borghesia si trasforma in movimento unico? Non al principio, ma alla fine del 1920. Esso si trasforma quando interviene un elemento nuovo, quando come elemento organizzatore intervengono le forze più reazionarie della borghesia. Prima il fascismo si sviluppava ma non era ancora l’elemento fondamentale.

Il movimento fascista sorge durante la guerra. Dopo, continua nei fasci di combattimento. Ma vi sono degli elementi che non lo seguiranno fino in fondo. Per esempio, polemizzando con Nenni lo chiamiamo fascista. Ma a un certo momento egli si è staccato. All’origine il fascismo era composto da vari gruppi, non omogenei, che non avrebbero marciato assieme fino in fondo. Vedi le sezioni fasciste della città. Nel 1919-1920, vi trovate degli elementi della piccola borghesia, appartenenti a vari partiti, che discutevano i problemi politici generali, ponevano una serie di questioni, avanzavano delle rivendicazioni. Su questo terreno si ha il primo programma del fascismo (piazza San Sepolcro), prevalentemente piccolo-borghese, che rispecchia l’orientamento dei fasci urbani. Prendete invece il fascismo di campagna: Emilia, ecc. Non è cosi. Sorge più tardi: 1920. Esso si presenta sotto l’aspetto di squadre armate per la lotta contro il proletariato. Sorge come squadrismo. Vi aderiscono spostati, piccoli borghesi, strati sociali intermedi. Ma è immediatamente organo di combattimento contro la classe operaia. Nelle sue sedi non si discute. Perché questa differenza? Perché qui è intervenuto immediatamente, come elemento di organizzazione, l’agrario.

A partire dalla metà del 1921 anche in città si creano delle squadre. Prima a Trieste dove il problema nazionale è più acuto, poi nelle altre città dove più tese sono le forze. Le squadre si forgiano sul tipo della campagna. A Torino dopo l’occupazione delle fabbriche; in Emilia invece il fascismo aveva già a quest’epoca delle forti organizzazioni.

Verso la fine del 1920, interviene anche nella città la borghesia come elemento d’organizzazione e si hanno le squadre fasciste. Si apre in questo momento una serie di crisi, la crisi dei primi due anni.

Che cosa si discute: siamo noi un partito? Questo il problema del congresso di Roma, del congresso all'Augusteo: dobbiamo diventare un partito. Mussolini: rimaniamo ancora un movimento. Mussolini si sforzava di tener legate più masse possibili ed è per questo che egli ha sempre goduto maggior favore. La lotta era fra elementi che volevano abbattere apertamente le organizzazioni della classe operaia e coloro nei quali ancora forti erano i residui delle vecchie ideologie.

Mussolini tradisce il movimento dannunziano che poteva essere pericoloso. Nel 1920, prende un atteggiamento di simpatia verso l’occupazione delle fabbriche, ma poi cambia completamente. Ci sono allora i primi contatti aperti fra movimento fascista e l’organizzazione degli industriali. Si inizia l’offensiva che durerà due anni, fino alla marcia su Roma.

Era intervenuto l’elemento d’organizzazione: gli agrari avevano dato la forma d’organizzazione squadrista e gli industriali l’avevano poi applicata nella città.

Da questa analisi si può dedurre la giustezza di quanto sostenevamo sui due elementi, sulle forze della piccola borghesia e sull’elemento di organizzazione costituito dalla grande borghesia.

Vedremo come i due elementi hanno influito l’uno sull’altro.

...

Piero Di Siena

Le lezioni sul fascismo

dall’introduzione alle “Lezioni sul fascismo” di Palmiro Togliatti, Editori Riuniti, 2019

Siamo nel 1970. Ernesto Ragionieri, nel corso delle sue ricerche per l’edizione delle Opere complete di Togliatti di cui è il curatore, rintraccia negli archivi di Mosca il testo delle lezioni tenute nel 1935 alla vigilia del VII Congresso dell’Internazionale comunista, dedicate all’analisi degli “avversari” (fascisti, socialdemocratici, massimalisti e repubblicani, anarchici) e trascritte da uno degli allievi della scuola per i quadri italiani emigrati in Unione Sovietica, allora diretta da Giuseppe Berti.
Ragionieri vede immediatamente come le lezioni dedicate al fascismo costituiscono un contributo rilevante nell’analisi di quel regime con elementi di grande novità rispetto al dibattito che fino al 1935 aveva caratterizzato la discussione nell’Internazionale nel tormentato passaggio dalla politica di “classe contro classe” e del “socialfascismo” a quella dell’unità d’azione con i socialisti e dei fronti popolari. Alcune delle lezioni di Mosca relative al fascismo sono pubblicate prima su Critica marxista e poi nella loro interezza nella veste qui riproposta (…).

Strumenti per l’oggi

Perché, dunque, dopo un così ampio e accurato lavoro storiografico che copre i decenni riproporre ora, dopo cinquanta anni, la prima edizione delle Lezioni sul fascismo e la Prefazione di Ernesto Ragionieri? Per la funzione che questa pubblicazione ebbe all’epoca in cui vide la luce, e per la lezione che si può trarre per l’oggi.

Quella edizione, infatti, si colloca nel pieno di un passaggio d’epoca nella storia del nostro Paese e in quella mondiale, simile per portata e profondità a quella che da un decennio, dopo la crisi del 2007, stiamo attraversando.
Tra il 1968 e il 1970, infatti, per reazione all’onda dei movimenti che sconvolgono dalle fondamenta gli equilibri emersi nel secondo dopoguerra, si gettano le basi di quella rivoluzione neoconservatrice che segnerà i tratti del quarantennio successivo. Entrano in crisi sia i rapporti tra politica e società, tra lo Stato e le masse, che caratterizzano l’assetto delle democrazie occidentali, sia quelli che segnano le società nate dall’estensione del modello sovietico su scala mondiale dopo gli accordi di Yalta e la vittoria della rivoluzione guidata dal Partito comunista in Cina nel 1948.

Il rapporto tra Stato e masse organizzate

In Italia in particolare l’analisi del fascismo e del regime che si costruì attorno alla sua presa del potere diventa la ricerca delle origini di quel rapporto tra Stato e masse organizzate che, sul terreno democratico, caratterizzerà poi i trenta anni successivi alla seconda guerra mondiale, in quella che Scoppola chiamerà la «Repubblica dei partiti»

Alla vigilia degli anni Settanta del secolo scorso tale rapporto tra politica e masse che, in una certa misura, la repubblica aveva ereditato dal fascismo costituiva il terreno su cui si pensava si potesse operare un ulteriore avanzamento democratico della vita politica del Paese. Era questo l’intento della ricerca parallela e a tratti convergente di Berlinguer e Moro, tesa a un’evoluzione del sistema politico che desse piena cittadinanza al protagonismo di masse che si erano prepotentemente imposte sulla scena politica e sociale alla fine degli anni Sessanta. La ricostruzione di Togliatti dei caratteri del fascismo costituiva in quel contesto una potente lezione di metodo nella sua capacità di scavare nel rapporto tra masse e politica(…).

L’evoluzione del sistema democratico

Il fatto che, per usare la formula di Enrico Berlinguer, si pensò che ci si trovasse nel pieno di «una nuova tappa della rivoluzione democratica e antifascista» capace di produrre un ulteriore avanzamento democratico del rapporto tra Stato e masse organizzate indusse a privilegiare nell’analisi delle lezioni togliattiane l’elemento di ricostruzione organica dei caratteri del regime fascista, in altri termini della sua coerenza interna.
È questa attenzione al rapporto organico tra masse e Stato, figlia dei problemi relativi all’evoluzione del sistema politico democratico, che d’altra parte si sarebbe rivelata drammatica e tormentata con la strategia della tensione e il delitto Moro, che può costituire la spiegazione di un fatto singolare che caratterizza l’intera riflessione storiografica sull’analisi del fascismo avanzata da Togliatti nelle lezioni di Mosca. Nella sua introduzione Ernesto Ragionieri per indicare la novità dell’analisi togliattiana del fascismo afferma che essa contribuisce a ricostruire l’originalità di tale movimento politico in quanto artefice di un inedito «regime reazionario di massa», categoria che egli affianca a quella di «analisi differenziata», che costituisce in verità il tratto caratteristico dell’analisi dei processi politici e sociali da parte di Togliatti in tutto l’arco della sua attività intellettuale e politica (…).


L’analisi differenziata

Ora, se si mette tra parentesi la lettura delle lezioni attraverso la categoria del «regime reazionario di massa», che tanta fortuna ha avuto nel dibattito storiografico di decenni, e invece le si esamina prevalentemente alla luce dell’altra categoria suggerita da Ragionieri nella sua prefazione, quella cioè dell’«analisi differenziata», vediamo più agevolmente che l’assillo politico che attraversa le Lezioni sul fascismo non è tanto quello di aggiornarne l’analisi in termini sistemici, ma quanto quello di coglierne l’evoluzione diseguale e soprattutto di analizzare le contraddizioni interne che si aprono nelle formazioni create dal regime per organizzare in forma subalterna agli interessi delle classi dominanti le masse che a partire dal dopoguerra avevano fatto irruzione sulla scena politica.
Dai sindacati al dopolavoro, di cui si sottolinea la novità e l’originalità quale istituto di organizzazione del tempo libero, la ricostruzione togliattiana del carattere di massa del fascismo si sofferma soprattutto nell’indagine dei suoi tratti contraddittori e conflittuali, nell’individuazione dei varchi che si aprono per l’azione da compiere all’interno delle organizzazioni di massa del regime ai fini di una loro scomposizione (…).

Lezione di metodo


Ora rileggere le lezioni togliattiane sul fascismo nell’ottica della categoria dell’«analisi differenziata» può costituire una potente lezione di metodo rispetto ai problemi che oggi si presentano di fronte a una sinistra ridotta ai minimi termini, come del resto lo era quella travolta dai movimenti reazionari di massa tra le due guerre mondiali. Adesso come allora siamo di fronte a tendenze inedite che indicano un prevalere a livello di opinioni pubbliche di orientamenti reazionari, catalogati con una certa approssimazione come “populismi” o “sovranismi” in ascesa.
Essi sono il frutto del fatto che, soprattutto a partire dalla crisi del 2007-2008, il processo di globalizzazione dell’economia è apparso nella sua vera natura, non tanto di unificazione dell’economia mondiale, ma di feroce competizione fra Stati a dimensione continentale per il primato nella nuova divisione internazionale del lavoro, dove a partire dalla Cina sono emersi nuovi soggetti che hanno segnato la fine irreversibile del primato dell’Occidente negli equilibri e negli assetti del mondo.
Siamo, per paesi come l’Italia, nel pieno di una crisi organica che, per le interdipendenze sempre più strette con il sistema mondo, non può avere una soluzione solo sul piano nazionale e che sottopone i diversi sistemi politici a passaggi traumatici e ad esiti inediti. Per una sinistra, sia pure messa ai margini e ridotta al lumicino, come del resto lo erano i comunisti italiani nel pieno del regime fascista, il metodo dell’«analisi differenziata» capace di cogliere e di intervenire nelle contraddizioni dell’avversario nel suo rapporto con vasti strati del popolo è una lezione valida soprattutto per l’oggi.

La visione alternativa

Certamente un tale approccio analitico e le modalità dell’agire politico che ne derivavano non si trasformavano in Togliatti in una riduzione della politica rivoluzionaria a tattica senza prospettive, a scelte di manovra politica prive di un progetto, perché alle spalle vi era il ruolo dell’Urss e l’indicazione di marcia che la vittoria del socialismo, sia pure in un solo paese, indicava all’intero movimento. In genere si considera il “legame di ferro” che Togliatti ha permanentemente avuto con l’esperienza sovietica in tutte le sue fasi come una pura scelta dettata da una sorta di realismo politico, da una presa d’atto dei rapporti di forza da cui non si sarebbe potuto prescindere, del tutto estraneo al fatto che egli fosse con Mao, benché in tutt’altra direzione, il più grande innovatore del comunismo del Novecento.
Ma, a mio parere, non è così. Quel legame stava a dimostrare l’attualità di un processo di transizione in atto verso un diverso assetto economico e sociale che costituiva la prospettiva irrinunciabile per l’agire politico di una forza di sinistra.
È l’assenza di punti di riferimento strategici e di una funzione di portata storica, di una visione alternativa dell’assetto del mondo, che espone ciò che resta della sinistra oggi al rischio dell’irrilevanza. Ma ciò può rendere anche più stringente la ricerca di quella nuova e inedita prospettiva rivoluzionaria (nel senso di un rovesciamento radicale del rapporto tra “governanti” e “governati”) che lo stato delle cose richiede.