da P. Secchia, Il Partito Comunista Italiano e la guerra di Liberazione, Feltrinelli, 1975 Lo stesso Badoglio non era rimasto inattivo, tra lui ed i partiti non vi era il muro del silenzio, ma si può dire un dialogo continuo teso a superare l'ostacolo che impediva all'Italia di avere un governo autorevole, efficiente, in grado di governare e di condurre la guerra contro i tedeschi. I colloqui tra Badoglio ed i suoi fiduciari da una parte, ed i dirigenti del movimento antifascista, da Croce ad Arangio Ruiz dall'altra, si erano susseguiti, arrestandosi di fronte allo scoglio della monarchia, un cadavere che gli uni volevano tenere in piedi e gli altri seppellire. Anche i comunisti si erano incontrati con Badoglio che li aveva invitati il 20 gennaio nella villa Taiani a Vietri sul Mare. Qui il maresciallo propose a Velio Spano (allora si faceva chiamare Paolo Tedeschi) e ad Eugenio Reale di entrare a far parte del suo ministero sostenendo che la partecipazione dei comunisti, socialisti e democristiani era indispensabile per dare autorità. Alla risposta che la cosa era realizzabile solo a condizione che il re abdicasse, Badoglio replicò che ciò era impossibile e le trattative furono interrotte. I dirigenti comunisti, nell'Italia liberata, oltre a tenere conto delle posizioni di tutti gli altri partiti antifascisti, dello stato di debolezza in cui si trovava il Partito comunista nel meridione, del primitivismo alimentato dai gruppi estremisti, partivano da un'analisi della situazione italiana e internazionale sotto alcuni aspetti "ottimistica" e pertanto errata. A tale analisi erano stati indotti, del resto, da taluni apprezzamenti espressi dai rappresentanti delle Nazioni Unite in Italia, secondo i quali le decisioni della Conferenza di Mosca sarebbero state rapidamente applicate. Un lungo colloquio che Spano e Reale avevano avuto il 9 gennaio 1944 con i componenti il Consiglio consultivo alleato in Italia li aveva rafforzati nel loro giudizio. In particolare Macmillan e Visinskij avevano lasciato credere con le loro parole che una forte pressione delle masse popolari sarebbe stata sufficiente ad eliminare dalla scena politica Vittorio Emanuele III e il luogotenente, per dare vita ad un governo autorevole, atto a rafforzare lo sforzo di guerra dell'Italia, a sviluppare la democrazia e a creare le condizioni favorevoli alla soluzione della questione istituzionale, con la Costituente, dopo la fine della guerra. I dirigenti comunisti di Napoli commettevano senza dubbio un errore di prospettiva nel valutare la situazione, ma si deve riconoscere che in quel momento la loro partecipazione al governo, senza che la questione fosse stata decisa da un regolare consesso del partito, senza l'autorevole presenza di Palmiro Togliatti, con l'opposizione dichiarata del Partito socialista e del Partito d'azione e con alcune organizzazioni comuniste fortemente orientate in senso estremista, avrebbe potuto provocare una scissione sia all'interno del partito, sia nel fronte unitario dei CLN. I dirigenti comunisti rifiutavano l'offerta di Badoglio per evitare un oscuro compromesso nel quale il paese avrebbe perduto l'ultima sua ragione di speranza: l'autorità dei partiti antifascisti che si richiamavano alle masse popolari (1) ; ma erano tuttavia ben consapevoli della necessità di dare al paese un governo efficiente. Come arrivarvi? Non c'era che la strada della lotta; ma in realtà non era facile abbattere il re e rovesciare il governo Badoglio con la presenza degli alleati che li sostenevano. Tutti sono più o meno consci, in Italia e all'estero, che a questa situazione c'è oggi un solo rimedio, non sovrano ma sicuramente efficace: la costituzione di un governo che governi. Bisogna quindi assolutamente, in un modo o nell'altro, sbarazzare il terreno dagli ostacoli che si frappongono alla costituzione di un governo che non sia una burletta. Bisogna, quindi, appoggiandosi ad un'azione di massa, pacifica ma chiara e larghissima, preparare subito la costituzione rapidissima di un contro-governo antifascista che le masse riconoscerebbero subito come il loro governo e che gli alleati non potrebbero non riconoscere quasi subito come il vero governo italiano. L'organizzazione di un plebiscito nazionale a cura dei Comitati di liberazione, e di una giornata di manifestazioni popolari, potrebbe essere l'espressione unanime della volontà popolare e quindi l'elemento risolutivo della situazione. Se non ci fosse stata la guerra e la necessità di vincerla per schiacciare il nazismo, noi avremmo potuto e saputo risolvere rapidamente la situazione con un'azione rivoluzionaria delle masse. Ma appunto perché c'è la guerra, che è malgrado tutto la nostra guerra, dobbiamo tutti evitare che le masse, giustamente esasperate da una situazione che non è più tollerabile, tentino di risolvere spontaneamente la situazione in forme che potrebbero essere una limitazione dello sforzo di guerra. Una sola soluzione esiste dunque oggi, che esige l'unità degli antifascisti e la comprensione degli alleati: evitare che il popolo italiano continui ad essere senza governo, fare un governo o un contro-governo che diventi rapidamente il governo del paese. Bisogna farlo! Bisogna dunque prepararlo subito! (2) Malgrado la pregiudiziale antimonarchica, la forza con cui era sottolineata la necessità della formazione rapidissima di un governo che governasse costituiva una premessa ad un mutamento di linea politica, premessa che maturò soprattutto dopo il Congresso di Bari dei CLN (28-29 gennaio) quando divenne sempre più evidente l'incapacità della giunta esecutiva dei CLN (essa avrebbe dovuto rappresentare l'anti-governo) di uscire e fare uscire le forze antifasciste dal vicolo cieco in cui si trovavano. Il famoso discorso, detto della "caffettiera" (3) con il quale, il 22 febbraio, Churchill, parlando dell'Italia in termini umilianti, mostrò aperta simpatia per la monarchia e malcelato disprezzo per i CLN, spinse nell'Italia liberata i comunisti ad organizzare insieme agli azionisti ed ai socialisti uno sciopero di protesta. Le autorità alleate, allarmate, si misero in moto per impedire lo sciopero in preparazione: squadre di Military Police e di polizia italiana sequestrarono nelle tipografie il materiale di agitazione, invasero i cortili delle fabbriche e vi stazionarono, procedettero all'arresto di un certo numero di operai più attivi: il generale Mac Farlane minacciò di arrestare i dirigenti dei tre partiti antifascisti. Questi si incontrarono la sera del 3 marzo con i rappresentanti della Commissione alleata di controllo i quali si impegnarono a rilasciare gli operai arrestati ed a sospendere i provvedimenti restrittivi delle libertà di stampa e di organizzazione, purché si arrivasse ad un accordo. Lo sciopero fu cosi sospeso e sostituito da una grandiosa manifestazione di piazza nella quale parlarono Velio Spano (PCI), Oreste Lizzadri (PSI) e Alberto Cianca (Pd'A). Si trattò di una forte risposta. Anche nel Nord i partiti antifascisti e il CLNAI avevano energicamente reagito con ordini del giorno, proteste e diffusione di manifestini nelle fabbriche all'oltraggiosa arroganza di Churchill. Il 14 marzo il governo sovietico stabiliva i rapporti diplomatici con il governo Badoglio, all'infuori di quelli contemplati dai protocolli dell'armistizio e della Conferenza di Mosca. L'annuncio veniva dato da un comunicato della presidenza del Consiglio: In seguito al desiderio a suo tempo ufficialmente espresso da parte italiana, il governo dell'Unione delle repubbliche socialiste sovietiche ed il regio governo italiano hanno convenuto di stabilire relazioni dirette fra i due paesi. In conformità a tale decisione sarà proceduto tra i due governi senza indugio allo scambio di rappresentanti muniti dello statuto diplomatico d'uso (4). Nello stesso giorno, il governo Badoglio faceva seguire al comunicato un commento ufficioso in cui l'esultanza era pienamente manifesta: Aderendo al desiderio manifestato dal regio governo alle Nazioni Unite, la Russia sovietica ci tende la mano, nonostante gli errori del passato regime. Ed è questo indubbiamente un gesto che non sarà dimenticato facilmente dal popolo italiano, compiuto com'è in una delle ore più tragiche della storia (5). Tale riconoscimento di fatto del governo Badoglio da parte dell'Unione Sovietica aveva un'enorme importanza sia sul piano internazionale (il disappunto manifestato dagli anglo-americani ne è la più evidente testimonianza) sia sul piano interno. Tutti i partiti antifascisti salutarono l'avvenimento positivamente e l'Unità e l'Avanti in termini entusiastici. Togliatti sbarcò a Napoli nel pomeriggio del 27 marzo e dopo esser stato accompagnato da un comando alleato si recò immediatamente alla sede della federazione comunista di Napoli dove si incontrò con i compagni Velio Spano, Eugenio Reale, Salvatore Cacciapuoti, Clemente Maglietta, Marcello Marroni e Maurizio Valenzi. S'incontrò poi all'indomani con alcune personalità degli altri partiti antifascisti e si preparò al consiglio nazionale del partito che era già stato, prima ancora del suo arrivo, convocato a Napoli per il 29 marzo. Il 30 marzo l'Isvestia pubblicava un lungo ed acuto articolo sulla situazione italiana: La guerra, in seguito alle vittoriose offensive dell'Armata rossa, è entrata per la Germania in una fase critica; i tedeschi tentano disperatamente con tutti i mezzi di cui possono disporre di ritardare la rovina che si sta abbattendo su di loro. Poiché si avvicina il momento in cui si inizieranno le operazioni concordate fra le potenze alleate per dare il colpo decisivo alla Germania hitleriana, secondo quanto venne stabilito alla Conferenza di Teheran, e poiché tali operazioni verranno intraprese non soltanto dall'Est, ma anche dall'Ovest e dal Sud, acquista particolare importanza politica la questione italiana.
È facile comprendere che i partiti democratici in Italia, i quali si sono più volte pronunciati per l'abdicazione di re Vittorio Emanuele e per la sostituzione del governo Badoglio, naturalmente non saranno stati soddisfatti di quella politica che ha trovato la sua espressione nelle dichiarazioni su ricordate dei rappresentanti dell'lnghilterra e degli Stati Uniti. Questa circostanza danneggia non solo l'unità italiana, ma soprattutto gli interessi fondamentali della lotta contro il comune nemico, interessi che esigono l'eliminazione di tutte le cause tendenti a prolungare la guerra. Da ciò risulta che per gli alleati è necessario di trovare il modo di unire tutte le forze antifasciste italiane per la lotta contro la Germania. Non si può prescindere dal fatto che, col suo attuale carattere il governo Badoglio non è in grado di unire intorno a sé gli elementi antifascisti e democratici in Italia per la lotta contro Hitler, ma d'altra parte lo stesso governo Badoglio, nella persona dei suoi rappresentanti più in vista ha dichiarato più volte di essere pronto ad includere nel suo seno nuovi elementi capaci di esercitare un'azione più efficace nei riguardi dell'unità di tutti gli Italiani. Non si vede allora perché una tale decisione tendente a modificare il governo Badoglio debba trovare dinanzi a sé ostacoli insormontabili visto che è anche desiderio delle tre potenze alleate di vedere il governo Badoglio allargare le sue basi in senso democratico; tale decisione farà probabilmente cessare i motivi che determinano l'attuale atteggiamento negativo della giunta esecutiva verso il governo Badoglio e permetterà a numerosi elementi antifascisti e democratici italiani di partecipare più attivamente alla lotta comune contro l'invasore tedesco. "Il Consiglio nazionale del Partito Comunista Italiano riunito (il 30-31 marzo 1944) nel momento in cui lo sviluppo della situazione internazionale ed interna indica più fortemente a tutti gli italiani la necessità e il dovere di rafforzare ed estendere l'unità nazionale nella lotta per la liberazione del paese dall'occupazione hitleriana e dai traditori fascisti; saluta nel compagno Ercoli (Togliatti, n.d.r.), che riprende in Italia, alla testa della delegazione del Comitato centrale, il suo posto di militante e di capo, la guida sicura del partito e del proletariato italiano; riconferma la politica costantemente seguita dal partito, di unità della classe operaia e quindi di fraterna e costante collaborazione con il Partito socialista, di unità delle forze democratiche e liberali antifasciste nel movimento dei Comitati di liberazione nazionale e di unità di tutta la nazione italiana nella lotta per la sua libertà, per la sua indipendenza e resurrezione.Al Consiglio nazionale di Napoli avevano partecipato al completo il Comitato provinciale di Napoli e le delegazioni: della Sicilia con alla testa Umberto Fiore, della Calabria diretta da Fausto Gullo, delle Puglie con Luigi Allegato, Antonio Di Donato, Giuseppe La Torre e Raffaele Pastore, della Lucania con Michele Mancino. L'assemblea nominò una nuova direzione del PCI della quale entrarono a fare parte con Palmiro Togliatti, segretario generale, Velio Spano, Eugenio Reale, Umberto Fiore, Fausto Gullo, Antonio Di Donato e Marcello Marroni. Dal Consiglio nazionale del PCI alla "svolta" di Salerno il cammino fu rapido. L'iniziativa di Togliatti scoppiò come una bomba suscitando negli altri partiti della giunta e del CLN vivaci discussioni, ma i più non poterono disconoscerne il realismo; ne accettarono l'impostazione e comunque ne subirono l'influenza. L'iniziativa e la linea politica di Togliatti furono naturalmente discusse, e sarebbe strano se così non fosse stato, dai due gruppi di direzione del PCI dell'Italia occupata, quello residente a Roma e quello di Milano. A questa discussione, conclusasi peraltro unitariamente, si è accennato in recenti pubblicazioni sulla storia del PCI: pertanto, senza sopravvalutarne l'importanza, riteniamo che ai fini di un giudizio obiettivo sia utile dare i riassunti completi di tutti gli interventi quali risultano dai verbali della direzione del PCI. Ognuno potrà ancora una volta constatare come, specie nei momenti cruciali, non siano mancati negli organismi dirigenti del PCI né i dibattiti, né la dialettica interna. […] Vineis [Secchia]. La prima questione che voglio porre è quella di vedere che cosa noi dobbiamo fare per realizzare la nostra politica. Dobbiamo innanzitutto cercare di comprendere il valore e l'importanza della via indicata al nostro partito e al popolo italiano dal compagno Ercoli e fare di tutto perché su questa strada si marci. Noi siamo favorevoli a tutto ciò che rafforza la guerra contro la Germania e contrari a tutto ciò che la indebolisce: è necessario porre attenzione non solo alla prima parte, ma anche alla seconda di questa asserzione. Il che significa che se dobbiamo fare di tutto per realizzare l'unità di tutte le forze sane della nazione per l'annientamento del nazifascismo, dobbiamo continuare la lotta contro le forze antinazionali, contro i collaborazionisti con i tedeschi, contro i capitolardi ed i traditori. Anche in passato quando reclamavamo un governo del CLN e lottavamo per la eliminazione della direzione Badoglio, lo facevamo in vista di rafforzare la guerra contro la Germania. Noi non facevamo una questione "morale", ma ritenevamo che Badoglio non fosse in grado di mobilitare tutte le forze sane del paese e di dirigere la guerra contro i tedeschi. Ricordiamoci che nel settembre scorso Badoglio non godeva alcun prestigio perché, oltre alla complicità col regime fascista, era direttamente responsabile di avere aperto le porte del nostro paese all'invasore tedesco. Oggi noi dobbiamo realizzare l'unità di tutte le forze nazionali, sarebbe però un errore ritenere che in Italia non vi siano altre forze antinazionali all'infuori di coloro che apertamente si proclamano fascisti repubblicani. Ercoli parla di unire tutte le forze "sane" del paese, tutte le forze veramente nazionali, il che significa che vi sono nel paese delle forze antinazionali che dobbiamo combattere perché esse costituiscono un ostacolo, un indebolimento della lotta contro la Germania. Sono ad esempio antinazionali gli industriali collaborazionisti con i tedeschi, gli alti ufficiali, sedicenti badogliani, che apertamente collaborano con i fascisti nella caccia ai patrioti ed ai partigiani combattenti. L'unità di tutte le forze nazionali non la si realizza allargando solo verso destra, ci sono ancora notevoli forze di massa che non sono rappresentate nei CLN, di qui la necessità della creazione dei CLN di massa. La seconda questione è quella di vedere se la politica seguita dal partito è stata giusta o sbagliata, e sino a qual punto è stata giusta o sbagliata. Sono anch'io del parere che oggi sia troppo presto per poter fare un completo ed approfondito esame autocritico, perché molti elementi della situazione ancora ci mancano per poter dare un giudizio definitivo. Tuttavia qualcosa si può già dire. Ritengo che l'iniziativa presa dal compagno Ercoli non significhi affatto condanna della linea politica seguita dal partito. La linea politica seguita dal partito è stata fondamentalmente giusta. Affermare questo non significa rifiutarsi di fare l'autocritica, perché l'autocritica si può fare anche se una politica è stata fondamentalmente giusta. Errori ed insufficienze nella nostra politica ci sono certamente stati, ma ritengo che noi dovevamo porre il problema della direzione dei CLN. Dovevamo fare di tutto per eliminare dal governo le forze conservatrici-reazionarie che erano un elemento di debolezza per la condotta della guerra contro la Germania. Non potevamo sin dall'inizio rinunciare alla direzione. I rapporti di forza ci sembravano favorevoli. Non solo in Italia tutte le forze democratiche popolari erano antibadogliane, ma anche le forze democratiche internazionali agivano nel senso di riuscire a realizzare in Italia un governo democratico (accenna alle decisioni della Conferenza di Mosca). Il nostro atteggiamento è valso d'altronde a provocare spostamenti e concessioni da parte delle forze badogliane-monarchiche. La nostra politica ha ottenuto dei risultati. Il nostro errore è stato quello di fossilizzarci, di rimanere sulle nostre posizioni anche allorquando la situazione dimostrò che era impossibile riuscire a realizzare un governo esclusivamente del CLN. Specialmente dopo Bari avremmo dovuto accorgerci che si era creato un vicolo cieco dal quale bisognava uscire al più presto. Noi avremmo dovuto mutare prima. In questo senso dobbiamo farci l'autocritica e non in quello indicato da Gino (Negarville, n.d.r.) e dagli altri due compagni di Roma. Altro errore fu l'insufficiente attività per realizzare l'unità d'azione con le forze estranee al CLN. È vero che noi dicevamo che nel fronte della lotta contro la Germania c'era posto per tutti, anche per i monarchici ed i badogliani, ma praticamente abbiamo fatto molto poco in questa direzione, né abbiamo visto il problema del come legare organicamente queste forze. La terza questione alla quale voglio accennare è questa: in che cosa è consistita la nostra politica? Non condivido il giudizio di Gino secondo il quale si tratta di salvare il nostro partito dal vicolo cieco. Questo non è vero per l'Italia occupata dove il partito in questi mesi è riuscito a scatenare una notevole lotta di massa contro i tedeschi ed i fascisti. La politica del nostro partito non si è esaurita nella polemica contro Badoglio, com'è avvenuto nell'Italia liberata. A Roma si è parlato di errore di tutta la nostra politica passata. Questo giudizio non è giusto. Ma in che cosa consiste per i compagni di Roma la politica del partito? Sono parte fondamentale di questa politica gli scioperi che abbiamo condotto, culminati nello sciopero generale di marzo, le azioni dei Gap, l'organizzazione delle brigate Garibaldi e la condotta della guerra partigiana. Nell'Italia occupata, l'attività preminente del nostro partito è stata quella della condotta della guerra contro la Germania e contro il fascismo. Ecco perché il nostro bilancio è positivo. […] Nascita di una nuova democrazia (da La Nostra Lotta, n. 11 del 10 luglio 1944) «Nel fuoco della lotta nazionale contro l'oppressore, nella partecipazione delle larghe masse popolari alla guerra di liberazione, nasce bagnata dal sangue dei caduti e consacrata dall'eroismo dei combattenti: la nuova democrazia italiana.L'articolo elencava le grandi lotte combattute, dagli scioperi del marzo 1943 alle azioni partigiane, allo sciopero generale in tutta l'Italia occupata, lotte che avevano mobilitato e risvegliato alla vita politica larghe masse di giovani, di donne, di operai, contadini e lavoratori, che avevano portato alla creazione di nuovi organismi rappresentativi: comitati di agitazione, comitati di difesa dei contadini, Gruppi di difesa della donna, Fronte della gioventù, ecc., per concludere sulla necessità di sviluppare ancora di più questa opera di riorganizzazione delle larghe masse, ed opporsi a qualsiasi tentativo di soffocarla e deviarla. «Né questo movimento di massa che deve affondare le sue radici assai profondamente può essere imbrigliato e contenuto nei limiti ristretti dei partiti politici. [...] I partiti non possono che inquadrare una parte delle energie che vengono espresse dalle masse popolari in questo loro ingresso nella vita politica. Il Partito comunista, che ha l'orgoglio di essere stato alla testa di questo movimento popolare, e che ha visto i suoi effettivi moltiplicati per l'afflusso di nuovi militanti, non pretende affatto di contenere entro i suoi ranghi tutto questo afflusso di nuove forze politiche espresse dal popolo. Accanto ai militanti comunisti od ai militanti di altri partiti antifascisti, ci sono migliaia e migliaia di operai, contadini, intellettuali che sono dei nuovi quadri del movimento popolare, degli attivisti delle formazioni partigiane, dei comitati di agitazione, dei comitati di contadini, dei Gruppi di difesa della donna, del Fronte della gioventù, che non sono iscritti a nessun partito. Ma ciò non vuol dire che essi non possano, ed anzi non debbano esercitare una seria influenza e contare sulla direzione del movimento popolare, e questo per necessità stessa della lotta, oltre che per un'esigenza strettamente democratica.Non ci limitammo ad accettare supinamente la "svolta" di Salerno, ma, nel momento stesso in cui si formava insieme a Badoglio un governo di unità nazionale, noi ponemmo con più forza e con maggiore chiarezza di prima la necessità di creare dei CLN che non fossero soltanto coalizioni di partiti, ma rappresentassero le larghe masse lavoratrici, ponemmo il problema di creare dei CLN periferici, quali organi di potere della nuova democrazia, della "democrazia progressiva aperta a tutte le conquiste". Sulla portata della "svolta di Salerno" sono stati versati dalla Liberazione in poi fiumi di inchiostro, da una parte per accusare il PCI di essere il responsabile di "una rivoluzione mancata", di avere quanto meno salvato la monarchia, di avere impedito la costituzione di un governo veramente democratico e progressivo (magari con Benedetto Croce alla testa!), dall'altra per esaltare iperbolicamente la "svolta", quasi che Togliatti, come ha scritto R. Battaglia, fosse stato colto da "una specie di illuminazione improvvisa sulla via di Salerno" (15) e da essa e solo da essa fosse dipesa la salvezza e la liberazione del paese. Sarebbe difficile sottovalutare l'importanza di quella iniziativa politica di Togliatti - "corrispondente in pari tempo all'interesse dell'Italia e a quello delle grandi nazioni democratiche alleate" (16) - e l'influenza che essa ebbe sugli sviluppi della politica italiana. La costituzione a Salerno del governo di unione nazionale dette una spinta vigorosa a tutto il processo unitario ed al potenziamento della guerra di liberazione: soprattutto a Roma e nei territori liberati dove la situazione era "bloccata" per l'acuto contrasto tra i partiti antifascisti sulla questione istituzionale che aveva determinato un'impasse certamente dannosa alla causa italiana. Ma nel Nord la situazione non era "bloccata"; il PCI e gli altri partiti di sinistra del CLNAI erano impegnati in grandi lotte di massa e militari, le formazioni partigiane avevano una notevole consistenza e non occupavano il loro tempo in astratte discussioni sull'assetto del domani, sui poteri da riconoscere o da negare alla monarchia. Nell'Italia occupata dai tedeschi non si poneva il problema di dare vita ad un governo unitario, poiché di fatto questo governo esisteva ed era rappresentato dal CLNAI e dai CLN periferici. Formazioni partigiane cossiddette "autonome" e per lo più di orientamento liberale-monarchico già esistevano e, anche se rivendicavano la loro autonomia, collaboravano nella lotta con quelle garibaldine e di "Giustizia e libertà", con le Matteotti ed una parte di esse erano collegate col CLNAI e col Comando generale del CVL. I rapporti con gli alleati, senza essere immuni da screzi e da reciproche diffidenze, erano di collaborazione; del tutto cordiali, quasi sempre, quelli tra le "missioni" alleate e la maggior parte delle formazioni partigiane tra le quali erano state paracadutate. Le stesse discussioni in seno al CLNAI avvenivano su temi diversi che non nel Sud ed a Roma; le divergenze sorgevano sui problemi del presente, sul modo come condurre la guerra di liberazione, sul lavoro di organizzazione e di mobilitazione del popolo, sulla struttura che dovevano avere i CLN periferici e centrali (se dovevano essere concepiti quali organi di governo, struttura basilare del nuovo stato di domani, oppure no), i comandi partigiani e così via. La situazione nel Nord era tale che gli stessi socialisti ed azionisti non poterono assumere e non assunsero l'atteggiamento preso dai loro compagni a Roma e difatti il CLNAI diede la sua adesione alla "svolta" politica del Sud (17). Né dopo la "svolta" ci fu un maggior intervento da parte degli alleati o del governo italiano in aiuto al movimento partigiano del Nord ed a potenziamento della guerra di liberazione. Gli alleati non permisero di "organizzare (ad eccezione di poche unità al seguito delle loro armate) un vero e grande sforzo di guerra di tutto il paese e in primo luogo di creare un esercito italiano che si batta sul serio contro i tedeschi," come Togliatti aveva sperato. Al governo italiano non fu lasciata possibilità alcuna di aiutare concretamente la resistenza con l'invio o ottenendo si inviassero maggiori lanci nel Nord e tanto meno lanciando paracadutisti, reparti aviotrasportati, mezzi pesanti da guerra, ecc.. Tutte le "zone libere" furono liberate dai partigiani del Nord quando già c'era un governo di unità nazionale, nel corso dell'estate e dell'autunno, e nessuna di esse poté ricevere (malgrado avessero per prima cosa preparato dei campi di atterraggio per aerei) un aiuto concreto per poter rafforzarsi e resistere. Ancora nel novembre 1944, quando la missione del CLNAI si recò a Roma e fu ricevuta dal presidente e poi dal Consiglio dei ministri, il governo italiano si limitò a dichiarare la propria incompetenza ad affrontare le situazioni dei territori invasi, soggetti esclusivamente, in quanto zona di operazioni, all'autorità militare alleata; la missione avrebbe quindi dovuto trattare da sola con gli anglo-americani (18). Lo stesso Togliatti scrisse nel dopoguerra: «Non fu soltanto la svolta di Napoli, cioè non fu soltanto la posizione presa dal partito nella zona già liberata dopo il ritorno a Napoli di Togliatti, che cambiò il corso delle cose. Fu tutta l'attività dei comunisti tra il popolo e nei contatti con gli altri raggruppamenti politici. [...] I compiti più gravi si posero nelle regioni occupate dai tedeschi per l'organizzazione della resistenza di tutta la popolazione e la lotta armata contro i fascisti e gli invasori stranieri. Per risolvere questi compiti non furono necessari soltanto enormi capacità di organizzazione, coraggio, spirito di sacrificio, eroismo. Le avanguardie operaie e popolari prodigarono in questi campi veri tesori. Fu anche necessario, però, sin dal primo momento, lavorare e combattere a passo a passo, nel contatto e in unione con altre forze politiche, per fare accettare da tutti le necessità e le responsabilità, per smascherare l'attesa inerte, il doppio giuoco e il tradimento, la viltà, e per trascinare gli altri con l'esempio, là dove non si riusciva col ragionamento. La vittoria insurrezionale del 25 aprile 1945 fu il risultato di due lunghi anni di questo lavoro, che non fu soltanto propaganda e organizzazione indispensabile alla preparazione dei combattimenti contro lo straniero, ma azione politica che preparava un rinnovamento d'Italia attraverso la stretta unione di tutti i cittadini di spirito democratico e patriottico.» (19) Dal maggio in poi - è verissimo - noi nel Nord sottolineammo con maggiore forza l'importanza dell'unità come presupposto per una giusta direzione del movimento, ma non trascurammo mai (anche dopo la "svolta" di Napoli) di aggiungere che insieme all'unità era necessario operare per assicurare una giusta direzione alla lotta. Ancora nell'agosto 1944 scrivevamo: Note: 1) Unità, ed. dell'Italia meridionale, gennaio 1944 2) Unità, ed. dell'Italia meridionale, gennaio 1944 3) "Quando occorre tenere in mano una caffettiera bollente, è meglio non rompere il manico finché non si è sicuri di averne un altro egualmente comodo e pratico e comunque finché non si abbia a portata di mano uno strofinaccio. I rappresentanti dei vari partiti italiani che si sono riuniti 15 giorni fa a Bari sono naturalmente bramosi di diventare il governo d'Italia. Certamente essi non hanno alcuna autorità elettiva e certamente non avranno alcuna autorità costituzionale sino a che l'attuale re abdichi, o egli stesso o il suo successore non li invitino ad assumere questo ufficio. Non è affatto sicuro che essi avrebbero qualche effettiva autorità sulle forze armate italiane attualmente combattenti assieme a noi. L'Italia giace prostrata sotto le sue miserie e le sue sventure" (dal discorso di Churchill ai Comuni, 22 febbraio 1944). 4) Dai giornali dell'epoca. 5) Dai giornali dell'epoca; v. anche Agostino Degli Espinosa, Il Regno del Sud, Firenze, Parenti, 1955, p. 374 6) Per la libertà e l'indipendenza d'Italia. Relazione della direzione del PCI al V Congresso, Roma, edizioni Unità, 1945. 15) R. Battaglia, Storia della Resistenza italiana, cit., p. 221. 16) Palmiro Togliatti, Discorso al Modernissimo di Napoli, 11 aprile 1944, riportato in La via italiana al socialismo, Roma, Editori Riuniti, 1964, p. 50. 17) "[...] Ciò che nell'Italia del Sud era stato considerato un 'colpo di scena', che a Roma aveva dato luogo ad una violenta polemica sfociando infine nel rinsaldamento, almeno formale, del fronte antifascista, ebbe nel Nord un effetto diverso, come diversa era la situazione sul campo di battaglia dove già i monarchici ed i repubblicani combattevano fianco a fianco." R. Battaglia, Storia della Resistenza italiana, cit., p. 280. La diversità di situazione viene colta e riassunta chiaramente anche da Leo Valiani quando scrive: "Il Comitato centrale di liberazione, nella situazione di Roma assediata, era ridotto ad un'attività simbolica. Ma essa non corrispondeva alla situazione del Nord. Da parecchi mesi tutto il nostro sforzo era volto a fare del CLN dell'Alta Italia un effettivo potere popolare governativo, un governo segreto riconosciuto dalla popolazione. Avevamo dietro a noi un esercito partigiano effettivo, delle masse popolari effettivamente in moto, perfino degli organi esecutivi di amministrazione rivoluzionaria. Con gli alleati eravamo in effettivi quotidiani rapporti di cobelligeranza che potevano tradursi da un momento all'altro in cooperazione strategica della massima importanza. Sconfessare pubblicamente e lacerare gli impegni regolarmente assunti dal Partito d'Azione nel Sud, per gli amici di Roma significava solo una protesta diplomatica e morale, ma per il Nord avrebbe significato una scissione effettiva nel seno delle forze belliche effettive. I diplomatici possono sottilizzare sul valore di una firma, come quella data a Napoli, ma non può farlo chi ha la responsabilità di un esercito, sia pure quello partigiano." L. Valiani, Tutte le strade conducono a Roma, cit., p. 238. 18) Franco Catalano, La missione del CLNAI nel Sud, in Il movimento di liberazione in Italia, maggio 1955, n. 36. Charles F. Delzell, I nemici di Mussolini, Torino, Einaudi, 1962, p. 442. 19) Trent'anni di vita e di lotte del PCI, "Quaderno di Rinascita," 1951, testo non firmato, ma sicuramente di P. Togliatti, p. 153. 20) L’Unità garanzia della vittoria, La Nostra Lotta, a. II, 25 agosto 1944, n. 14. 21) “Le nostre organizzazioni devono prendere in seria considerazione la situazione delle masse popolari, i loro bisogni immediati, le loro rivendicazioni urgenti. Le concessioni strappate sinora sono irrisorie. L’agitazione economica per le rivendicazioni immediate degli operai, dei contadini, dei lavoratori, deve continuare, allargarsi, trasformarsi in possente movimento di massa, in scioperi, manifestazioni di strada. La difesa dei bisogni immediati delle masse si indentifica perciò nella lotta per la cacciata dei tedeschi e dei fascisti.” Luigi Longo, rapporto presentato alla Conferenza dei Triumvirati insurrezionali, in La Nostra Lotta, a. II, 25 novembre 1944, n. 19-20. |