Luca Cangianti

L’estetica western di Bandiera rossa. Intervista a David Broder

 

Il soffitto del Cinema Garbatella si apre lentamente. Il fumo dalle sigarette sale verso il cielo buio del 6 dicembre 1943. Di tratto lo sguardo del pubblico vociante si rivolge verso l’alto. Decine di manifestini firmati dal Movimento Comunista d’Italia (MCdI) atterrano sulla platea. Un gruppo di fascisti presenti in sala si precipita fuori per arrestare gli autori dell’azione. Ma i partigiani che dal tetto dell’edifico neoclassico avevano lanciato i volantini sono già lontani, tra i lotti della borgata romana. E se la ridono.

Quell’edificio costruito nel 1927 oggi si chiama Teatro Palladium e appartiene all’Università Roma Tre. Proprio lì davanti, nel quartiere della Garbatella, ho appuntamento con David Broder, un giovane storico inglese della London School of Economics che conduce una ricerca sul Movimento, al tempo meglio conosciuto con il nome del suo giornale, Bandiera rossa. “Azioni del genere - mi dice subito - si erano già svolte in città e quel giorno del dicembre 1943 lo stesso gesto fu ripetuto in contemporanea in circa 120 cinema e teatri romani, coinvolgendo un migliaio di partigiani armati. Nella Capitale, in quel periodo, i combattenti del MCdI erano circa 2.000 a fronte dei 1.800 del PCI. Bandiera rossa era il giornale antifascista più diffuso e un terzo di tutti i morti della Resistenza romana appartengono al MCdI, comprese 52 vittime delle Fosse Ardeatine. Eppure il Movimento non è mai citato nelle commemorazioni. Siamo di fronte a una rimozione enorme, perché enorme fu l’importanza di questa organizzazione. L’azione del 6 dicembre 1943, che ebbe al tempo un impatto comunicativo fortissimo, è un indice molto chiaro del radicamento sociale e della forza del MCdI.”


Cosa c’era scritto nei volantini lanciati dal tetto del Cinema Garbatella?


Si riportava la notizia di un’azione ancora più sensazionale svoltasi cinque giorni prima. Vincenzo Guarniera, nome di battaglia Tommaso Moro, a capo di un gruppo di partigiani del MCdI blocca un gruppo di poliziotti fascisti diretti a Forte Bravetta per eseguire delle fucilazioni, e li obbliga a consegnare le uniformi. Tommaso Moro e i suoi compagni, travestiti da militi fascisti, riescono a entrare nel forte, si dispongono davanti ai condannati a morte, ma al momento di sparare fanno fuoco sui nazifascisti e portano in salvo i partigiani prigionieri.

Sembra quasi un film d’azione hollywoodiano!

In effetti molte operazioni di Bandiera rossa sono concepite con modalità simboliche e comunicative di grande efficacia. A passarle in rassegna rimango spesso colpito dalla loro estetica romantica venata di spirito spavaldo e burlone. C’è un episodio, ad esempio, in cui Elio Paccara e un altro militante del MCdI, sempre travestiti da fascisti, vedono un camion tedesco parcheggiato e decidono di rubarlo. Avendo però difficoltà a metterlo in moto, ingiungono a un gruppo di “veri” fascisti di aiutarli a spingere il veicolo – cosa che questi fanno senza alcun sospetto. Un’altra volta, dopo aver fatto deragliare un’autocisterna piena di carburante, vengono chiamati i pompieri. Ma questi altri non sono che altri militanti di Bandiera rossa che invece di estinguere il fuoco continuano a alimentarlo. Un’azione di grande portata scenografica dev’essere stata anche quella del 20 aprile 1944: in quell’occasione si dice che cinquanta partigiani del MCdI abbiano rubato, fuori Roma, una mandria di cento mucche e le abbiano portate a Centocelle per sfamare la popolazione della borgata. Sembra proprio una scena da film western e infatti quest’azione fu chiamata “La grande cavalcata”. Infine, ancora una storia indicativa dello stile di quest’organizzazione partigiana: gli Alleati, dopo essere arrivati a Roma all’inizio del giugno 1944, proibiscono de facto il giornale del MCdI, ordinano la consegna delle armi e bloccano l’arruolamento per l’Armata rossa, la nuova formazione con la quale il Movimento si proponeva di continuare la lotta antifascista al Nord. Ebbene, qual è la reazione di Bandiera rossa? Organizza una competizione pugilistica tra soldati alleati e partigiani comunisti: un tipico strumento di confronto macho, volto a creare affratellamento e solidarietà internazionalista. Ovviamente i soldati alleati che parteciparono furono tutti puniti dai loro superiori. Ora, è sicuramente possibile che alcuni elementi siano stati sovradimensionati nel racconto a posteriori, tuttavia siamo di fronte a comportamenti e caratteristiche molto peculiari.

Ascoltando i tuoi racconti, m’immagino questi partigiani come dei tipici “coatti” romani, anche se il termine “coatto” è spesso usato con una connotazione negativa che non si addice a questa circostanza…

Il profilo sociologico dei militanti di Bandiera rossa era sicuramente di estrazione proletaria, con tutto quello che questa parola può significare nel contesto della periferia romana degli anni quaranta. Il gruppo dirigente era formato prevalentemente da falegnami, elettricisti, fiorai, orologiai, sarti e tranvieri trenta-quarantenni, che in molti casi avevano alle spalle importanti esperienze pregresse di militanza rivoluzionaria.
Di contro il PCI a Roma era stato ricostruito da Giorgio Amendola alla fine degli anni trenta, prescindendo dalla vecchia rete di militanti e basandosi su giovani di estrazione borghese che facevano entrismo nelle organizzazioni fasciste. Gappisti famosi come Rosario Bentivegna e Carla Capponi nel 1943 avevano rispettivamente 21 e 25 anni, appartenevano alla borghesia colta urbana, vivevano in centro città e non avevano avuto nessuna esperienza politica precedente al regime fascista. La stalinizzazione dei partiti comunisti avvenuta negli anni trenta, la loro riduzione a strumenti della ragion di stato sovietica, la nuova politica di collaborazione di classe inaugurata da Palmiro Togliatti, non avrebbero consentito l’utilizzo della vecchia base comunista, impregnata dallo spirito rivoluzionario e intransigente degli anni venti.


Come racconti in un tuo intervento, in un rapporto dell’Allied Control Commission si afferma che il MCdI “durante il periodo clandestino ha reclutato molti militanti tra le classi criminali di Roma… La maggior parte dei membri del gruppo vengono dai quartieri più poveri di Roma, ad esempio Primavalle, Tor Marancia e Quarticciolo. Hanno utilizzato un’organizzazione politica come una maschera per la loro attività criminale”. Come si spiegano asserzioni di questo tipo?

Bandiera rossa eseguiva espropri e altre azioni alla Robin Hood per sfamare la popolazione delle borgate e creare consenso. Mediante la partecipazione a una formazione armata era più semplice procurarsi cibo nelle terribili condizioni di vita dell’occupazione. Era una reazione istintiva per parte del proletariato e del sottoproletariato romano. Il fatto che Bandiera rossa organizzasse politicamente queste attività di sostentamento le forniva un forte appoggio popolare ma, dall’altra, spingeva gli Alleati a catalogarla quale pura e semplice organizzazione criminale. Del resto, come insegna anche la storia del Gobbo del Quarticciolo, laddove alcuni vedono una semplice violazione della legalità può esserci anche l’espressione dei bisogni antagonisti delle classi più oppresse e marginalizzate. Questo tipo di “banditismo sociale”, del quale ha parlato Eric Hobsbawm, può anche includere fenomeni di opportunismo e di “resa di conti”, tuttavia non si devono mai oscurare i versanti politici di tali comportamenti.

I partigiani di Bandiera rossa erano comunisti, ma dissidenti rispetto alla linea politica del PCI. Su quali punti in particolare?

Bandiera rossa nasce dalla confluenza di comunisti rimasti isolati dal centro parigino del partito ufficiale, gruppi anarchici ed ex Arditi del popolo. Il principale punto di attrito con il PCI riguarda la collaborazione con le forze borghesi e monarchiche all’interno del Comitato di liberazione nazionale. Il PCI era a favore, il MCdI contrario. Bandiera rossa vedeva la Resistenza come primo passo verso la rivoluzione, l’introduzione di un sistema consiliare e il cambio di modo di produzione. Il PCI, invece, concepiva la Resistenza come mera lotta di liberazione nazionale volta alla cacciata dell’invasore e alla restaurazione della democrazia parlamentare. Sulle pagine del giornale del Movimento, inoltre, ricorrono i temi della democrazia proletaria, del diritto alla revoca dei rappresentanti, la critica della tecnocrazia burocratica e del “sostituzionismo” dei partiti operai rispetto ai propri referenti sociali. Si trattava di argomenti inaccettabili per un PCI ormai interamente stalinizzato.

Sono temi che ricordano la critica trotskista e del comunismo di sinistra.

In parte sì, ma nonostante il PCI tendesse a far passare il MCdI per trotskista, le cose stanno in maniera diversa. La posizione di Bandiera rossa sull’URSS era decisamente confusa e improntata per lo più al “giustificazionismo”. Si sosteneva cioè che il sistema realizzato in URSS fosse un’esperienza particolare sorta in condizioni non generazzabili. Esso non costituiva insomma un modello da imitare negli altri paesi. Per il resto, anche se oggi può sembrare assurdo, Bandiera rossa si schierava a fianco di Stalin, contro Togliatti.

Ma non erano arrivate notizie sui processi di Mosca? Non vedevano, questi partigiani, che tutto ciò che criticavano nel PCI ufficiale aveva avuto origine con il processo di stalinizzazione dell’URSS?

Dobbiamo ricordarci che durante il Ventennio le notizie arrivavano solo attraverso la stampa fascista che descriveva l’URSS come l’esatto opposto del fascismo. Di conseguenza nel momento in cui i disastri della guerra spingevano la popolazione a odiare il regime, automaticamente si sviluppava un processo d’idealizzazione nei confronti di Stalin che andava ben oltre chi si definiva comunista. Inoltre a Roma non erano presenti veri e propri gruppi trotskisti e anarchici indipendenti che potessero far udire un’altra campana. Nessuno aveva avuto la possibilità di leggere gli scritti più recenti di Trotsky e Bucharin, di conseguenza si poteva anche pensare che effettivamente la versione staliniana sui processi di Mosca fosse veritiera. Magari proprio perché opposta a quella fascista.
Il mito di Stalin si è diffuso anche in assenza del PCI e Bandiera rossa ne è stata anch’essa paradossalmente vittima, immaginandosi uno Stalin fantastico da opporre allo stalinismo reale del PCI. Si è trattato quasi di un’inversione tra soggetto e predicato quale quella esposta da Ludwig Feuerbach nel descrivere l’alienazione religiosa.

L’esperienza di Bandiera rossa morì con la fine della Resistenza, oppure è possibile rintracciarne lo spirito anche in seguito?

Dopo lo scioglimento del MCdI nel 1949 e la confluenza individuale della maggior parte dei suoi militanti nei partiti della sinistra ufficiale non è rintracciabile un filo di continuità teorico-politica. E ciò è sorprendente, specialmente perché alcuni ex membri del MCdI entrarono in contatto con la sinistra extraparlamentare degli anni settanta: penso per esempio a Felice Chilanti che aderì ad Avanguardia operaia, a Orfeo Mucci e a Franco Bartolini che collaborarono con l’Autonomia operaia. Tuttavia, sul versante sociologico delle modalità di conflitto, negli anni settanta tornarono a diffondersi forme di lotta (sabotaggi, espropri, esercizio del contropotere territoriale) che furono tipiche di Bandiera rossa e, prima del Ventennio, degli Arditi del popolo.
Infine, anche se non esplicitamente teorizzata, possiamo notare negli scritti di Bandiera rossa una sorta di critica operaista ante litteram. Il PCI immaginava la classe operaia come forza di ricostruzione nazionale. Nei primi anni dopo la liberazione, infatti, sedendo al governo, arrivò perfino a contrastare gli scioperi. Il MCdI invece rifiutava la nuova disciplina economica comandata dal PCI, a favore di una vera e propria liberazione dal lavoro. Insomma, se non ci fu una continuità esplicita tra Bandiera rossa e nuovi movimenti del dopoguerra, è tuttavia riscontrabile un filo rosso fatto di comportamenti sociali antagonisti.

Cosa ti prefiggi di aggiungere agli studi storici già svolti?

Sto cercando di enfatizzare l’aspetto culturale dell’esperienza di Bandiera rossa, rimanendo fedele al vocabolario politico del tempo. Sono molto interessato agli aspetti underground, all’immaginario, alle rappresentazioni simboliche e psicosociali. Se non affrontiamo questi versanti non riusciremo mai a spiegarci il culto di Stalin da parte di un movimento che espresse istanze diametralmente opposte allo stalinismo. Poi, anche da un punto di vista archivistico, ci sono molte fonti da esplorare: nel saggio più conosciuto sul MCdI, Bandiera rossa nella Resistenza romana, Silverio Corvisieri non sembra aver controllato gli archivi del PCI (che spiavano il Movimento anche con infiltrati), del Psiup, dell’Allied Control Commission e della polizia fascista. Mi sembra inoltre che siano state trascurate le testimonianze di militanti meno conosciuti e i documenti originali di Scintilla (uno dei gruppi che fondarono il MCdI).

All’inizio della nostra conversazione hai parlato di “rimozione enorme” in riferimento alla storia di Bandiera rossa. Quali sono le cause di questo fenomeno?

La memoria della Resistenza è stata colonizzata dai partiti del Comitato di liberazione nazionale. Per la sinistra istituzionale il mito della Resistenza è servito a immaginare la possibilità di un ritorno alle origini della repubblica nata da una lotta nazionale unitaria, giusta e vittoriosa. È un modo per riconoscere simbolicamente la lotta che fu senza assumerne le conseguenze. Ma i “borgatari” di Bandiera rossa non appartengono a questa narrazione. Furono contro l’unità nazionale, accolsero tra le loro fila, in nome dell’internazionalismo, giovani disertori tedeschi, rifiutando perfino i riferimenti risorgimentali e garibaldini in voga nel PCI: Giovanni Pepe si faceva chiamare Danton, Francesco Cretara si firmava Rosso dei Ciompi, Vincenzo Guarniera, come abbiamo visto, era Tommaso Moro, e per un certo periodo i partiti di sinistra esterni al CLN (MCdI, comunisti libertari, i socialisti dissidenti di Carlo Andreoni e il Movimento cristiano-sociale di Gerardo Bruni), costituirono un organismo denominato Comitato di salute pubblica.
Bandiera rossa concepì la Resistenza come una prima tappa del processo rivoluzionario, non entrò a far parte del gioco democratico-parlamentare e i suoi militanti non si trasformarono in professionisti della politica. Le teorie del MCdI furono a volte confuse e contraddittorie, ma la sua pratica sociale fu improntata sempre a una limpida autonomia di classe. I partigiani di Bandiera rossa combattevano per il comunismo. Non c’è posto per loro tra le fanfare e i discorsi ampollosi delle celebrazioni ufficiali.

grazie a: http://www.carmillaonline.com, 5 dicembre 2015

  • S. Corvisieri, Bandiera Rossa nella Resistenza romana, Savelli, 1968; Odradek, 2005
  • Roberto Gremmo, I partigiani di "Bandiera rossa" : il "movimento comunista d'Italia" nella resistenza romana, Elf, 1996
  • Roberto Gremmo, I comunisti di "Bandiera rossa" : l'opposizione rivoluzionaria del MCdI, Elf, 1996