Pensammo una torre. Scavammo nella polvere Intorno a Pietro Ingrao sembra aleggiare la coscienza più segreta della sinistra italiana. Direttore in anni cruciali del quotidiano l'Unità (dal 1947 al 1957), presidente della Camera dal 1976 al 1979, la sua lunga parabola politica come uno dei padri storici del PCI coincide con i destini stessi del comunismo e attraversa tutti i grandi avvenimenti che hanno segnato il Novecento. Cosa resta oggi di quelle battaglie? Forse i ricordi e le passioni di una generazione, che dietro a quell'ideale ha speso il suo intero impegno politico finché non si è trovata a fare i conti con la storia. Gli stessi conti che si ritrova a fare il "compagno disarmato" Pietro Ingrao nella biografia sotto forma di colloquio Pietro Ingrao, il compagno disarmato (Sperling&Kupfer) del giornalista Antonio Galdo. Il libro è un manifesto al diritto di sbagliare, al detto "dagli errori si può imparare". E gli errori che Ingrao è disposto ad ammettere non sono pochi. Il primo è quello di essersi schierato con l'Urss, quando la potenza militare sovietica invase l’Ungheria nel 1956. Il secondo è di non aver riconosciuto e denunciato la matrice comunista del terrorismo degli anni '70. Il terzo errore è l'aver votato a favore della radiazione dei fondatori del Manifesto dal Pci, nel 1969. Un'autocritica che permette a Ingrao di sopravvivere politicamente ai suoi errori, facendo del diritto di sbagliare la sua bandiera alla coerenza. Il merito di Antonio Galdo è quello di svelare, accanto e oltre all'uomo politico, l'Ingrao più segreto: il marito innamorato, il padre premuroso, il rivoluzionario che ha pensato di farsi monaco, il poeta. E il militante politico che non rinuncia a un ultimo appello alle nuove generazioni. Appello che è la vera "notizia" contenuta nel libro: la conversione totale e convinta a un pacifismo integrale. Un disarmo totale, una dimensione gandhiana della lotta politica, che è la nuova stella polare dell’universo ingraiano.
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