L'11 giugno 1984 moriva Enrico Berlinguer. Riflettere oggi su ciò che il leader del PCI ha rappresentato nella storia recente d'Italia significa affrontare alcuni nodi politici che restano, ancora, irrisolti. Il più importante è quello della riforma della politica. Dopo la morte di Aldo Moro, di fronte alla controffensiva conservatrice che puntava a liquidare l’esperienza riformatrice che la strategia del compromesso storico aveva reso possibile, Berlinguer avvertì che il sistema politico italiano era minato da una debolezza strutturale. Ecco come ricostruisce quel passaggio Giovanni Berlinguer, il fratello di Enrico, in una intervista che uscirà su un libro allegato all’Unità in edicola l’11 giugno: “Enrico sentiva che i partiti di governo non erano più animati da alcuno slancio ideale. Stavano perdendo il rapporto tra la politica e le cose che contano, cioè l’interesse dei cittadini, le aspirazioni della gente, le esigenze di solidarietà. Sono gli anni in cui lui si rende conto che il mondo è entrato in una fase nuova. Propone così da un lato la questione morale, dall’altro la linea dell’alternativa. La questione morale non è certo una questione giudiziaria. Enrico non si pone l’obiettivo di mandare qualcuno in prigione, ha un obiettivo molto più ambizioso: quello di rinnovare i partiti, il costume, i rapporti coi cittadini. In sostanza si pone il problema della riforma della democrazia e del potere. É questa la questione morale. E l’alternativa è un insieme di progetti e di temi che allora furono scarsamente capiti dal suo stesso partito, e soprattutto dal gruppo dirigente del suo partito, ma che erano temi incredibilmente moderni, erano proiettati nel futuro”. Uno di questi temi, ricorda Giovanni Berlinguer, era quello dell’austerità: “Che era un tema gigantesco, tutto costruito su un’idea nuova di domani. Sollevava le seguenti esigenze: revisione dei rapporti tra Nord e Sud del mondo; valorizzazione di nuove risorse, lotta contro gli sprechi dell’occidente, redistribuzione della ricchezza, salvaguardia dell’ambiente. Non sono le questioni che oggi abbiamo davanti e che ancora non ci decidiamo a prendere di petto? Mi ricordo di quando preparava la relazione al XVI congresso. Un giorno mi disse: ‘Al prossimo congresso lancerò un'altra idea. Quella del governo mondiale’. Eravamo nei primi anni Ottanta, nel reaganismo e nel breznevismo, Gorbaciov non era ancora alle viste, il muro sembrava eterno, la corsa agli armamenti galoppava. E lui lanciava l’idea di un governo mondiale? Rimasi molto sorpreso. Pensai che non lo avrebbe fatto. Invece lo fece, e spiegò cosa intendeva per governo mondiale e perché era necessario ed era l’unica via d’uscita. Mi convinse. Capii che era effettivamente la direzione giusta. Non so quanto realistica, ma giusta. E lui mi suggerì di rileggere gli scritti politici di Kant, dove questa idea era specificata. Era delineato un nuovo rapporto tra popoli e governi non come soluzione parziale per impedire questa o quella guerra, bensì come modo per stabilire relazioni diverse tra popoli e potere e per assicurare la convivenza nel mondo”. Guardando all’odierno panorama della politica, nazionale e internazionale, si vede quanti e quanto forti siano i motivi di attualità della strategia sulla quale Enrico Berlinguer puntava più di vent’anni fa. La questione morale come questione politica che metteva al centro di ogni azione di rinnovamento la riforma del sistema politico e dei partiti, resta aperta. È infatti ancora forte la tendenza a vedere nella politica un gioco autoreferenziale, in cui conta soltanto la gestione pura e semplice del potere. Un gioco riservato a ristrette oligarchie di professionisti, nel quale spariscono i contenuti, le cose da fare, gli obiettivi da realizzare, i valori di giustizia e di solidarietà. Apertissimo è il problema della definizione di un nuovo ordine mondiale fondato su una redistribuzione delle ricchezze del pianeta, sulla tutela dell’ambiente e su un equilibrio politico multipolare, contro ogni tentazione di imporre al mondo intero, con la forza delle armi, la volontà di un’unica superpotenza. Apertissima rimane la grande questione posta dal compromesso storico: dialogo tra cultura laico-socialista e cultura cattolica finalizzato non ad un accordo di potere ma ad un’ efficace strategia di riforme. È per tutto questo che ricordare Berlinguer non è una cerimonia vuota di significato. Ricordare Berlinguer è sollevare questioni politiche senza affrontare le quali non c’è futuro, per nessuno.
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