dai discorsi di Enrico Berlinguer al Teatro Eliseo di Roma (1977) e al Teatro Lirico di Milano (1979): L'austerità, leva per trasformare l'Italia [...] Una trasformazione rivoluzionaria può essere avviata nelle condizioni attuali solo se sa affrontare i problemi nuovi posti all'Occidente dal moto di liberazione dei popoli del Terzo mondo. E ciò, secondo noi comunisti, comporta per l'Occidente, e soprattutto per il nostro paese, due conseguenze fondamentali: aprirsi ad una piena comprensione delle ragioni di sviluppo e di giustizia di questi paesi e instaurare con essi una politica di cooperazione su basi di uguaglianza; abbandonare l'illusione che sia possibile perpetuare un tipo di sviluppo fondato su quella artificiosa espansione dei consumi individuali che è fonte di sprechi, di parassitismi, di privilegi, di dissipazione delle risorse, di dissesto finanziario. Ecco perché una politica di austerità, di rigore, di guerra allo spreco è divenuta una necessità irrecusabile da parte di tutti ed è, al tempo stesso, la leva su cui premere per far avanzare la battaglia per trasformare la società nelle sue strutture e nelle sue idee di base. Una politica di austerità non è una politica di tendenziale livellamento verso l'indigenza, né deve essere perseguita con lo scopo di garantire la semplice sopravvivenza di un sistema economico e sociale entrato in crisi. Una politica di austerità, invece, deve avere come scopo - ed è per questo che essa può, deve essere fatta propria dal movimento operaio - quello di instaurare giustizia, efficienza, ordine, e, aggiungo, una moralità nuova. Concepita in questo modo, una politica di austerità, anche se comporta (e di necessità, per la sua stessa natura) certe rinunce e certi sacrifici, acquista al tempo stesso significato rinnovatore e diviene, in effetti, un atto liberatorio per grandi masse, soggette a vecchie sudditanze e a intollerabili emarginazioni, crea nuove solidarietà, e potendo così ricevere consensi crescenti diventa un ampio moto democratico, al servizio di un'opera di trasformazione sociale. Proprio perché pensiamo questo, occorre riconoscere, a me sembra, che finora la politica di austerità non è stata presentata al paese, e ancor meno attuata, dentro tale spirito non di rassegnazione, ma di consapevolezza e di fiducia. E se possiamo ammettere - dobbiamo ammettere, anzi - che vi sono state e vi sono a questo proposito manchevolezze e oscillazioni del movimento operaio e anche del nostro partito, tuttavia le deficienze principali sono da imputare alle forze che dirigono il governo del paese. [...] L'austerità è un imperativo a cui oggi non si può sfuggire. Certe obiezioni di qualche accademico ignorano dati elementari del mondo di oggi e dell'Italia di oggi. In sintesi, questi dati sono: innanzi tutto, il moto e l'avanzata dei popoli e paesi del Terzo mondo, che rifiutano e via via eliminano quelle condizioni di sudditanza e d'inferiorità, cui sono stati costretti, che sono state una delle basi fondamentali della prosperità dei paesi capitalistici sviluppati; in secondo luogo l'acuita concorrenza, la lotta senza esclusione di colpi fra questi stessi paesi capitalistici, della quale fanno sempre più le spese i paesi meno forti e sviluppati, fra i quali l'Italia; infine, la manifesta e ogni giorno più evidente insostenibilità economica e insopportabilità sociale, in questo mutato quadro mondiale, delle distorsioni che hanno caratterizzato lo sviluppo della società italiana negli ultimi venti-venticinque anni. Da tempo noi comunisti cerchiamo di richiamare l'importanza e di far prendere coscienza di questi dati oggettivi della situazione del mondo e dell'Italia. Tuttavia, ancora oggi molti non si sono resi conto che adesso l'Italia si trova oramai - ma io credo, prima o poi, anche altri paesi economicamente più forti del nostro si troveranno - davanti a un dilemma drammatico: o ci si lascia vivere portati dal corso delle cose così come stanno andando, ma in tal modo si scenderà di gradino in gradino la scala della decadenza, dell'imbarbarimento della vita e quindi anche, prima o poi, di una involuzione politica reazionaria; oppure si guarda in faccia la realtà (e la si guarda a tempo) per non rassegnarsi a essa, e si cerca di trasformare una traversia così densa di pericoli e di minacce in una occasione di cambiamento, in un'iniziativa che possa dar luogo anche a un balzo di civiltà, che sia dunque non una sconfitta ma una vittoria dell'uomo sulla storia e sulla natura. Ecco perché diciamo che l'austerità è, sì, una necessità, ma può essere anche un'occasione per rinnovare, per trasformare l'Italia: un'occasione, certo, come ha detto qui un compagno operaio, tutta da conquistare, ma quindi da non lasciarci sfuggire. L'austerità per definizione comporta restrizioni di certe disponibilità a cui ci si è abituati, rinunce a certi vantaggi acquisiti: ma noi siamo convinti che non è detto affatto che la sostituzione di certe abitudini attuali con altre, più rigorose e non sperperatrici, conduca a un peg-gioramento della qualità e della umanità della vita. Una società più austera può essere una società più giusta, meno diseguale, realmente più libera, più democratica, più umana. [...] La politica di austerità quale è da noi intesa può essere fatta propria dal movimento operaio proprio in quanto essa può recidere alla base la possibilità di continuare a fondare lo sviluppo economico italiano su quel dissennato gonfiamento del solo consumo privato, che è fonte di parassitismi e di privilegi, e può invece condurre verso un assetto economico e sociale ispirato e guidato dai principi della massima produttività generale, della razionalità, del rigore, della giustizia, del godimento di beni autentici, quali sono la cultura, l'istruzione, la salute, un libero e sano rapporto con la natura. "Lor signori", come direbbe il nostro Fortebraccio, vogliono invece l'assurdo perché in sostanza pretendono di mantenere il consumismo, che ha caratterizzato lo sviluppo economico italiano negli ultimi venti-venticinque anni, e, insieme, di abbassare i salari. Elementi di socialismo dal rapporto e dalle conclusioni al Comitato Centrale del PCI - 18/20 ottobre 1976 Insieme all'austerità, come condizione per un assetto più giusto ed efficiente dell'economia e della società, bisogna introdurre "elementi di socialismo" [...] Il centro della nostra lotta di oggi deve essere il concreto avvio di un nuovo tipo di sviluppo, il rin-novamento di tutta la struttura economica e sociale italiana e delle stesse idee di base che devono ispirare quest'opera di trasformazione generale. Finora - come abbiamo riconosciuto - questo obiettivo è stato più proclamato come esigenza che perseguito attraverso lotte e movimenti per obiettivi precisi. Ora, proprio muovendo dalla condizione drammatica del paese, che impone misure di austerità, non è più procrastinabile l'avvio di un cambiamento profondo. Il movimento operaio, tutte le forze democratiche, l'intera nostra società non possono lasciarsi sfuggire anche questa occasione dopo le precedenti cui ho accennato. Si tratta dunque di fare oggi quello che in Italia non è stato ancora mai fatto se non sotto forma di esercitazioni tecnocratiche tradottesi solo in carta stampata. Al nostro concetto di programmazione democratica è estranea ogni forma di dirigismo tecnocratico e burocratico. Per noi mantengono uno spazio, un ruolo il mercato e le imprese. Ma non lo mantengono per concessione tattica agli "altri", bensì per salvaguardare al massimo criteri di imprenditività e di economicità e perché solo un tipo di programmazione che salvaguardi un ruolo delle imprese e del mercato è coerente con la nostra visione pluralistica della società e rispondente al carattere aperto verso l'estero della nostra economia. Noi però non crediamo - e l'esperienza ce lo prova a usura - che il mercato e le imprese siano capaci di esprimere spontaneamente le scelte necessarie a fornire i punti di riferimento e ad organizzare gli sbocchi necessari per gli investimenti. Questo può venire solo dall'iniziativa di una volontà pubblica che si formi, e si attui, in modi democratici, con il concorso di una molteplicità di soggetti privati e pubblici che trovi la sua sintesi e mediazione nel parlamento e in un governo che abbia la necessaria autorità politica e morale e la più ampia base di consenso popolare. Per far questo l'esigenza fondamentale è dunque quella di una programmazione dello sviluppo che definisca concretamente gli scopi e gli sbocchi delle fondamentali attività economiche. Qualcuno obietterà che di programmazione si è già parlato dieci o più anni fa e che i tentativi allora avviati sono falliti. Questo è vero, ma una programmazione sbagliata non può certo indurre il movimento operaio e il paese a rinunciare all'esigenza di programmare davvero lo sviluppo per affidarsi unicamente alle leggi del mercato, corrette secondo la congiuntura da questo o quell'intervento pubblico soccorritore. La verità è che i governi di centro-sinistra pur avendo elaborato (e persino, una volta, fatto approvare per legge) documenti economici chiamati presuntuosamente piani quinquennali, quei governi non hanno mai dato luogo a una reale programmazione e cioè a una direzione dei processi economici che cambiasse il tipo di sviluppo del paese. I "piani" di quel periodo erano astratti, velleitari, arbitrari, privi di strumenti operativi, e mancavano soprattutto di un consenso e di un'effettiva partecipazione democratica sia degli enti locali e delle Regioni sia dei lavoratori e delle imprese. Di fatto l'intervento dello Stato nell'economia continuò a svolgersi, sotto lo stretto controllo della Dc, in forme sempre più degenerative, al servizio di una politica clientelistica e di collu-sione fra partito, maggioranza e grandi gruppi economici anziché al servizio dell'interesse generale e di una nuova linea di sviluppo del paese. Noi proponiamo dunque oggi e formalmente che il lavoro preparatorio di un programma di sviluppo sia prontamente avviato. Gli stessi organismi dirigenti del nostro partito dovranno mettersi al lavoro per elaborare proposte in questa direzione. È evidente che l'elaborazione di tale programma comporterà un certo periodo di tempo. Ma questo vuoi dire forse che si debba attendere l'approntamento di un programma generale rinunciando a organizzare movimenti e iniziative per ottenere conquiste di riforma che già si muovano nella direzione di avviare un nuovo tipo di sviluppo? No, certamente. In questo spirito vogliamo proporre per il confronto con altre forze e soprattutto per l'impegno d'iniziativa e di mobilitazione di tutti i nostri compagni, la necessità di interventi trasformatori in alcuni settori nei quali si sta toccando il culmine della inefficienza e dello spreco e a cui competerebbe, invece, la soddisfazione di bisogni sociali di grande portata. Alludiamo a settori come quelli dei trasporti, dell'istruzione, della sanità e della casa. Perché diamo la preferenza a queste questioni su altre? Perché prendiamo questi casi esemplari? Perché un impegno in direzione dei trasporti collettivi, della istruzione e della scuola e, infine, della sanità e della casa obbliga a porre in modo più evidente il nesso tra l'intervento economico volto ad aprire nuovi sbocchi agli investimenti e l'operazione, non più certo solo economica, volta a creare gradualmente condizioni per un mutamento profondo nel modo di vivere della società. [...] I temi dei trasporti, della scuola, della sanità, della casa e del territorio aiutano a comprendere perché noi sottolineiamo la necessità di collegare la lotta per una politica economica rigorosa alla trasformazione della società e alla sua "umanizzazione". È anche impostando cosi la nostra battaglia pratica e ideale di oggi che diviene evidente come avanzando verso gli obiettivi che abbiamo indicato - e che non esauriscono certo la nostra visione di una società nuova - si lavora concretamente per introdurre nella complessiva vita civile, e negli orientamenti ideali, ciò che noi chiamiamo "elementi di socialismo", e per cominciare a rendere comprensibili a grandi masse in che cosa concretamente essi consistono. Sono evidenti le conseguenze positive che gli obiettivi che oggi poniamo - di risanamento, di sviluppo economico, di trasformazione sociale e di "umanizzazione" della convivenza civile - hanno sulla emancipazione della donna e per l'avvenire delle giovani generazioni. Anche e proprio sulla carica rinnovatrice delle donne e dei giovani dobbiamo far leva perché le nostre proposte avanzino attraverso la mobilitazione di grandi masse. Naturalmente, questo nostro sforzo si rivolge, oltre che alle donne e ai giovani, a tutte le forze sociali e alle energie intellettuali interessate al cambiamento. [...] E il fine vero - ritorno qui al tema esposto all'inizio - il fine che può rendere questa austerità accettabile dalla maggioranza dei lavoratori, dalla grande maggioranza del popolo e del paese, è di avviare misure trasformatrici delle strutture economiche e dell'assetto sociale tali da incidere, da innovare profondamente nella vita del nostro paese. [...] Sappiamo bene che queste sono in larga misura cause di ordine internazionale, ma vi sono anche cause interne, che stanno nelle distorsioni del sistema economico, sociale, statale italiano, nella direzione governativa democristiana: e questo va ben ricordato e ripetuto in ogni occasione. [...] Oltre all'esigenza oggettiva, però, c'è anche, per noi comunisti, una esigenza soggettiva nel porre l'obiettivo di profonde trasformazioni. [...] Si può mai pretendere e ottenere dalla classe operaia, dalle masse lavoratrici e popolari, dai comunisti una politica di austerità per far ritornare le cose come erano prima? No, non è possibile, credo anch'io che debba essere detto. [...] |