Raccontare un grande partito come fu il PCI facendo «un glossario» delle parole che usava per definire la sua strategia e la sua pratica politica: è l’idea geniale che hanno avuto Franca Chiaromonte e Fulvia Bandoli e che hanno concretizzata in un libro originale, bello, coinvolgente, utile, che si legge tutto d’un fiato: Al lavoro e alla lotta. Le parole del PCI (Harpo editore, pp. 240, euro 16). Scrivono le autrici: «Questo lavoro nasce da un idea di Franca, per lei le parole sono sempre state importanti. E dal 2004, quando, si fa per dire, è andata sotto un treno, sono diventate essenziali. Ma anche Fulvia, avendo scelto la politica, ha lavorato molto con le parole. Abbiamo cominciato per gioco a far rivivere il lessico del PCI cercandone le parole più in uso, quelle che ci piacevano e quelle no, quelle che ancora ci parlano e quelle che invece non significano nulla oppure indicano tutt’altro nel presente. Le abbiamo scritte in ordine alfabetico e confrontate con amiche e amici (pochi) e a un certo punto ci siamo rese conto che questo piccolo glossario poteva avere un senso e persino raccontare un pezzetto della storia di quello che, secondo noi, è stato ’il partito comunista più bello dell’Europa Occidentale’» . AVERE A CUORE la memoria. Così il lavoro si è fatto più serio. Mentre il linguaggio della politica diventa sempre più scarno e freddo abbiamo capito che noi continuiamo a preferire un «discorso politico» che non si riduca a un tweet». Al «glossario» seguono dieci interviste a protagoniste e protagonisti di quella storia, con domande che partono dal vissuto personale - perché ti sei iscritto, su quali libri ti sei formato - per scandagliare sulla base dei ricordi la pratica politica di quel partito, la sua dimensione umana oltreché politica. Franca e Fulvia anticipano la critica che può essere loro rivolta - «siete nostalgiche» - e mentre rivendicano il valore di questo sentimento dichiarano con grande schiettezza il punto di vista politico e culturale che orienta la loro ricerca. «Una storia è finita. Ma anche le mummie quando le abbiamo ritrovate ci hanno detto cose che non sapevamo e che ci sono servite». DUNQUE, ATTRAVERSO il glossario e le interviste le autrici ci propongono di ricercare se nella «mummia» del PCI ci sia qualcosa che non solo va conosciuto - perché la memoria storica è fondamentale per non essere fragili ramoscelli - ma se per caso in quella storia non vi risieda «una vivente lezione» importante e utile per questo nostro tempo. Seguo pertanto il punto di vista proposto da Franca e Fulvia e leggo i materiali contenuti in questo libro per capire se la «mummia» PCI ha qualcosa da dire che non sapevamo e, soprattutto, se ha qualcosa da dire alla società di questo nostro tempo, ai suoi giovani in particolare. Il glossario inizia con una parola che non conoscevo, l’unica, «abatino» e si conclude con «vigilanza». Abatino, «piccolo abate, il dirigente della Fgci che decideva di restare nell’organizzazione giovanile anche quando aveva superato i 25/30 anni rinviando al più tardi possibile il suo passaggio al partito. Rispetto all’organizzazione giovanile il partito era percepito come più rigido, meno divertente e piuttosto diffidente verso i giovani». LA VIGILANZA era invece un luogo speciale del PCI e le autrici lo descrivono in modo molto efficace. Io, come loro, lo ricordo come il luogo di cui non potevi fare a meno. Erano un gruppo di compagni molto affiatati tra di loro. Quando entravi al Bottegone ti guardavano dalla testa ai piedi per essere sicuri che tutto era a posto, se eri accompagnato, per cortesia , dovevi lasciare loro in modo accurato le generalità della persona che ti stava accanto, ti passavano con gentilezza le telefonate, ti accompagnavano nei viaggi a volte lunghi, erano sempre discreti e affettuosi. Con loro a volte parlavo di politica, mi veniva ogni tanto di sfogare le mie arrabbiature ma lo facevo con discrezione per timore che riferissero ad altri i miei pensieri. Ricordo una mattina, ero da poco arrivata a Roma da Torino e non avevo famigliarità con il Bottegone. Dovevo andare a prendere un treno, avevo prenotato un passaggio alla stazione. Il treno partiva alle 9 arrivai alle Botteghe Oscure alle 6! Che ci fai a quest’ora qui? Mi sembrava che fosse un po’ buio, ma l’ansia di arrivare in ritardo e di ricevere il rimbrotto di quegli uomini così rigorosi mi incuteva soggezione. Quando glielo confessai si fecero una grande risata, mi accolsero nella loro stanza e mi coccolarono con caffè e biscotti. LA LETTURA DEL GLOSSARIO di Franca e Fulvia racconta la storia del PCI dall’inizio alla fine. Molte parole, scritte in modo accurato, si riferiscono alla strategia politica: alleanze, alternativa, compromesso storico, austerità, ceti medi, classe sociale, classe operaia, doppiezza, egemonia, eurocomunismo, miglioristi, solidarietà nazionale, scissione, svolta, Bolognina, Cosa 1 Cosa 2, Quarta Mozione, ecc. Ma le parole più intriganti sono quelle che si riferiscono alla vita concreta del partito, al modo con cui i militanti vivevano e facevano la politica. Sono intriganti perché non sono usuali, esprimono l’appartenenza a un «corpo» che si sentiva diverso ma che aveva l’ambizione di «aderire a tutte le pieghe della società», di rendere protagonista il suo popolo. «ASSEMBLEA, AGIBILITÀ, al lavoro e alla lotta, allestimento, amici e compagni, attacchinaggio, battaglia delle idee, campagna di massa, casa per casa, comizio, comizio volante, compagno di strada, corteo, forme di lotta, fraterno, il corpo del partito, magliette a striscia, militanza, musica del PCI, passione, politica della fontanella, popolo, radicamento sociale, qui e ora, rivoluzionario di professione, scuola di partito, sensibilizzare, sezioni, servizio d’ordine, spirito di servizio, territorio, tessera, ufficio elettorale nazionale, vigilanza, Unità». Sono parole intriganti perché raccontano il modo di fare politica, il modo con cui si sprigionava la passione politica di un popolo che era plurale. Tra gerarchie, rituali fortemente codificati e sperimentazione di cose e parole nuove, apertura a nuovi soggetti. Ciò che rivelano quelle parole è la ricerca da parte di quel «corpo» formato da dirigenti e militanti di un rapporto con le persone per renderle protagoniste. L’ambizione di coniugare l’idea di società, la società socialista con il «qui e ora» per risolvere subito i problemi delle persone. La ricerca del legame umano, l’essere compagni significava anche volersi bene, essere amici, stare bene insieme. Di qui, l’attenzione a quelle che sembravano attività minori come l’attacchinaggio, i comizi volanti, l’allestimento degli eventi sapendo riconoscere le singole autorità nelle varie materie, come il mitico compagno Zucconelli che riusciva a rendere qualunque evento del partito bello e ben organizzato. Quella Politica delle Fontanelle in cui tutti dovevano fare lavoro manuale e insieme studiare, avere pensieri lunghi e nello stesso tempo preoccuparsi di rendere più belle e umane le nostre comunità «partendo dal mondo e arrivando alle fontanelle». ll senso, il valore e la passione per quella politica popolare è sintetizzata in modo drammatico nelle ultime parole di Enrico Berlinguer nel giugno del 1984 sul palco di Padova quando sta per cadere: «E ora, compagne e compagni, impegniamoci tutti, lavorate tutti, casa per casa, azienda per azienda, strada per strada, dialogando con i cittadini». Un testamento, ma anche l’esplicitazione e la conferma di quella che era l’essenza del PCI. QUELLA CHE HA LASCIATO nel cuore di migliaia di militanti e iscritti, e dei suoi dirigenti i ricordi più belli come testimoniano le interviste a protagonisti e protagoniste di quella storia contenute nel libro. Diversi tra loro per estrazione sociale, formazione - a conferma che il PCI era realmente un partito di massa e plurale - le dieci personalità che si raccontano nella loro militanza politica e nella loro vita nel partito fanno tutti, non casualmente, riferimento alla sezione quale luogo in cui si viveva la politica autentica perché, come scrive Lia Cigarini, «ricordo che le sezioni del PCI erano un luogo di incontro di diversa provenienza sociale, di diversa generazione e, infine, di donne e di uomini. Ad esempio, nella mia sezione nel Centro storico di Milano c’era l’ambulante e il primo violino della Scala, la portinaia, l’intellettuale, l’artigiano e il bancario. Cioè luoghi di relazione e di amicizia». Oppure Emanuele Macaluso: «Penso che la migliore pratica fosse quella che si faceva sul campo, nelle sezioni, nelle fabbriche, nei quartieri. Ritengo un fatto enorme che quel partito abbia dato modo a tanti giovani, uomini e donne di ogni classe sociale, di fare esperienza nel sindacato, nei consigli comunali, nelle cooperative, nelle sue riviste e giornali». Luciana Castellina ci racconta il suo lavoro politico con le ragazze delle borgate romane, dove tante volte per convincerle a uscire di casa costruiva un’alleanza con le mamme condividendo le incombenze quotidiane del lavoro famigliare, compreso lavare insieme i piatti. Le parole del Glossario e quelle delle interviste mi confermano che la «mummia PCI» ci lascia una vivente lezione, non solo attuale, ma necessaria per far rinascere la democrazia e ridare senso alla sinistra: la necessità di una moderna politica popolare. grazie a: il manifesto, 28.10.2017
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