John
Reed
Dieci giorni che sconvolsero il mondo
8. La controrivoluzione
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Il mattino seguente - sabato 11 novembre - i cosacchi entrarono
a Zarskoie-Selo. Kerenski montava un cavallo bianco e tutte le
campane suonavano. Dall'alto di una piccola collina, fuori della
città, egli poteva vedere le guglie dorate, le cupole multicolori
e l'immensità grigia della capitale, giacente sulla pianura
triste, che si immergeva, lontano, nel golfo di Finlandia, color
d'acciaio.
Non
vi fu battaglia. Ma Kerenski commise un fatale errore. Alle sette
del mattino mandò al 2° fucilieri di Zarskoie-Selo
l'ordine di deporre le armi. I soldati risposero che acconsentivano
a restare neutrali, ma che non avrebbero deposto le armi. Kerenski
diede loro dieci minuti per obbedire. Tutto ciò irritò
i soldati; da otto mesi avevano preso l'abitudine all'autonomia
(che si manifestava nei Comitati) e quell'ordine puzzava un po'
troppo di vecchio regime... Alcuni minuti dopo l'artiglieria cosacca
apriva il fuoco sulle caserme uccidendo otto uomini... Da quel
momento non vi furono più «neutrali» a Zarskoie-Selo...
Pietrogrado
fu svegliata dalla fucileria e dal rumore sordo delle truppe in
marcia. Sotto il cielo alto e scuro, un vento ghiacciato portava
l'odore della neve. All'alba l'Hotel militare e la Agenzia telegrafica
erano state prese da importanti forze di junker, e poi
riconquistate con una lotta sanguinosa. La centrale telefonica
era assediata dai marinai, che si tenevano trincerati in mezzo
alla Morscaia, dietro a barricate di barili, di casse e di pezzi
di lamiera, o che si riparavano all'angolo della Gorokovaia e
della piazza S. Isacco, sparando su tutto quello che si muoveva.
Ogni tanto si presentava un'automobile con la bandiera della Croce
Rossa; i marinai la lasciavano passare...
Alberto
Rhys Williams, un nostro collega, che si trovava alla centrale
telegrafica, ne uscì in un'automobile della Croce Rossa,
che pareva carica di feriti. Dopo aver fatto qualche giro per
la città, la vettura andò alla Scuola militare Michele,
quartier generale della controrivoluzione. Un ufficiale francese,
che si trovava nel cortile, sembrava dirigere le operazioni...
Così la centrale telefonica era rifornita di munizioni
e di viveri. Parecchie di quelle pretese ambulanze servivano solamente
per il collegamento e per il rifornimento degli junker.
Cinque
o sei automobili blindate, che provenivano dalla vecchia Divisione
britannica di autoblindate, erano nelle loro mani. Luisa Bryant
- passando per la piazza S. Isacco - ne vide arrivare una dall'ammiragliato,
diretta verso la centrale. All'angolo della via Gogol, la macchina
si fermò precisamente di fronte a lei. Alcuni marinai,
riparati da mucchi di legna, cominciarono a sparare. La mitragliatrice
della torretta scaricò una grandine di piombo a caso, nei
mucchi di legna e nella folla. Sette persone, tra cui due ragazzi,
furono uccisi sotto l'arcata dove stava la Bryant. Allora i marinai,
gettando un grande grido, scattarono dalla loro trincea e si precipitarono
avanti sotto i proiettili; circondando il mostro, immersero più
volte le loro baionette nelle feritoie, con orribili urla... Il
conduttore si disse ferito ed essi lo lasciarono in libertà;
corse subito a portare alla Duma quella nuova prova della atrocità
bolscevica... Tra i morti si rinvenne un ufficiale inglese.
Più
tardi i giornali parlarono di un ufficiale francese, che sarebbe
stato fatto prigioniero sull'automobile blindata e mandato a Pietro
e Paolo... L'Ambasciata di Francia si affrettò a pubblicare
la smentita, ma unodei consiglieri municipali mi raccontò
di esser intervenuto lui stesso per far rimettere in libertà
l'ufficiale in questione.
Qualunque
sia stato l'atteggiamento ufficiale delle ambasciate alleate,
è certo che parecchi ufficiali francesi ed inglesi hanno
individualmente partecipato alle operazioni, assistendo anche
alle riunioni del Comitato di Salute, e dandovi i propri consigli.
Durante
tutta la giornata vi furono nei vari quartieri molti scontri tra
junker e guardie rosse e tra automobili blindate. Ovunque,
da vicino o da lontano, si sentivano scoppiettare salve di fucileria
o spari isolati o crepitare le mitragliatrici. Le saracinesche
dei negozi erano abbassate, ma gli affari continuavano. Le sale
cinematografiche, non rischiarate all'esterno, erano ricolme.
I tranvai correvano. Il telefono funzionava e quando si chiamava
la centrale si udiva distintamente la fucileria... Smolni era
tagliato dalla rete, ma la Duma ed il Comitato di Salute rimasero
continuamente in comunicazione con tutte le scuole degli junker
e con Kerenski a Zarskoie.
Alle
sette del mattino, la scuola Vladimiro ricevette la visita di
una pattuglia di soldati, di marinai e di guardie rosse che diede
venti minuti agli junker per consegnare le armi. L'ultimatum
fu respinto. Un'ora dopo gli junker tentarono una sortita,
ma furono respinti da un fuoco violento che partiva dall'angolo
della Grebetscaia e del Corso Grande. Le truppe sovietiche circondarono
l'edificio ed aprirono il fuoco, mentre due automobili blindate
andavano e venivano, crivellandolo continuamente con le mitragliatrici.
Gli junker domandarono aiuti telefonicamente. I cosacchi
risposero che non osavano uscire perché forze imponenti
di marinai con due cannoni sorvegliavano la loro caserma. La Scuola
Imperatore Paolo era circondata. La maggior parte degli junker della Scuola Michele, combatteva già nelle strade...
Alle
undici e mezza giunsero tre pezzi da campagna. Gli junker risposero ad un nuovo ultimatum uccidendo due parlamentari sovietici
che avanzavano con la bandiera bianca. Cominciò allora
un vero bombardamento. Grandi brecce furono aperte nei muri della
scuola. Gli junker si difesero disperatamente; le ondate
urlanti delle guardie rosse, che andavano all'assalto, erano decimate
dalla mitraglia... Kerenski aveva telefonato da Zarskoie per proibire
qualsiasi trattativa con il Comitato militare rivoluzionario.
Esasperate
per lo scacco e per le loro perdite le truppe sovietiche scatenarono
una vera tempesta di fiamme e di acciaio contro l'edificio. I
loro stessi ufficiali furono impotenti a fermare quel terribile
bombardamento. Un commissario di Smolni, certo Kirillov, tentò
di farlo cessare. Si minacciò di linciarlo. Il sangue delle
guardie rosse ribolliva.
Alle
due e mezza gli junker alzarono bandiera bianca; acconsentivano
ad arrendersi se si garantiva loro salva la vita. Fu accordato.
Migliaia di soldati e di guardie rosse si precipitarono attraverso
le finestre, le porte e le brecce. Prima che fosse possibile intervenire,
cinque junker furono uccisi a colpi di baionette. Gli
altri, circa duecento, furono condotti, con buone scorte, a Pietro
e Paolo, in piccoli gruppi, per evitare di attirare l'attenzione.
Per la strada, la folla ne attaccò un gruppo ed uccise
altri otto prigionieri...
Più
di cento guardie rosse e soldati erano caduti...
Due
ore dopo la Duma ricevette un messaggio telefonico col quale si
annunciava che i vincitori marciavano sull’Ingenierni
Zamok, la Scuola degli ingegneri. Una dozzina di deputati
andarono subito ad incontrarli, carichi di pacchetti dell'ultimo
proclama del Comitato di Salute. Alcuni non tornarono più...
Tutte le altre scuole si erano arrese senza resistenza ed i loro
occupanti furono inviati sani e salvi a Pietro e Paolo e a Kronstadt.
La
centrale telefonica resistette ancora parte del pomeriggio. Ma
i marinai finirono per conquistarla, sotto la protezione di un'autoblindata
bolscevica. Le telefoniste, spaventate, correvano in ogni direzione
strillando. Gli junker, per non essere riconosciuti,
si strappavano i distintivi ed uno di essi offrì a Williams
tutto quello che voleva in cambio del suo mantello per nascondersi.
«Ci massacreranno, ci massacreranno!» gridavano,
perché molti di essi, al Palazzo d'Inverno, avevano dato
la parola d'onore di non riprendere le armi contro il popolo.
Williams offerse la sua mediazione a patto che Antonov fosse liberato.
Lo accontentarono subito. Antonov e Williams arringarono i marinai
vittoriosi, esasperati per le perdite subite, e, ancora una volta,
gli junker poterono andarsene liberi... Alcuni tuttavia,
scoperti mentre, terrorizzati tentavano di fuggire per i tetti
o di nascondersi nelle soffitte, furono precipitati nella strada.
Spossati,
coperti di sangue, ma vittoriosi, i marinai ed i soldati entrarono
nel salone degli apparecchi. Vedendo tutte quelle belle ragazze
riunite, si fermarono confusi, imbarazzati, quasi coi piedi inchiodati
al suolo. Nessuna fu molestata, né oltraggiata. Spaventate,
si rifugiarono dapprima negli angoli; poi visto che non capitava
loro niente di male, si sfogarono liberamente. «Oh!
che razza di gente! che bruti!...». I marinai e le
guardie rosse erano molto imbarazzati. «Bruti! Porci!»
squittivano le telefoniste, mettendosi, indignate, le giacchette
ed i cappelli. Come era più romantico portare le cartucce
o fasciare le ferite dei giovani e brillanti junker,
di cui molti erano nobili e che combattevano per restituire il
trono al loro zar amatissimo! Chi erano, invece quelli? Volgari
operai, contadini, plebe incolta...
Il
commissario del Comitato militare rivoluzionario, il piccolo Viscniak,
tentò di persuadere le telefoniste a rimanere. Usò
tutte le risorse della cortesia.
" Fino ad ora - disse - vi si trattava male.
Il servizio dei telefoni dipende dalla Duma municipale. Per sessanta
rubli al mese, voi lavorate dieci ore e più... Ormai tutto
cambierà. Il governo ha l'intenzione di passare i telefoni
al ministero delle Poste e Telegrafi. Il vostro stipendio sarà
subito portato a 120 rubli e le ore dì lavoro saranno ridotte.
Voi appartenete alla classe lavoratrice e avete il diritto di
essere trattate bene..."
La
classe lavoratrice! Per l'appunto! Crederebbe dunque costui che
vi sia qualcosa di comune tra quei... selvaggi e noi? Rimanere?
Neppure per mille rubli!... E fiere, piene di disprezzo, le telefoniste
lasciarono gli uffici.
Gli
impiegati, i guardalinee ed i manovali rimasero. Ma bisognava
occuparsi delle comunicazioni; il telefono è una questione
vitale. Non erano rimaste che sei-sette telefoniste. Si dovette
rivolgersi ai volontari; se ne presentarono un centinaio, soldati,
marinai, operai... Le sei telefoniste correvano a destra e a sinistra,
dando delle indicazioni, aiutando, rimproverando... A poco a poco
il lavoro riprese ed i fili ricominciarono a mormorare. Bisognava
prima di tutto rimettere Smolni in comunicazione con le caserme
e con le officine; in secondo luogo bisognava tagliare la Duma
e le scuole degli junker... Verso la fine del pomeriggio
si diffuse nella città la notizia che questo lavoro era
stato fatto... Allora centinaia di borghesi cominciarono a manifestare
il loro cattivo umore: «Imbecilli! Canaglie! Quanto
tempo credete di resistere? Aspettate che arrivino i cosacchi!».
Cadeva
il crepuscolo. Un vento sferzante spazzava la Nevski quasi deserta;
davanti alla Cattedrale di Kazan si era riunita una folla che
proseguiva un'eterna discussione: alcuni operai, dei soldati e
soprattutto dei commercianti e degli impiegati.
" Ma Lenin non otterrà che la Germania faccia
la pace " gridò qualcuno.
Un giovane soldato replicò, violento: " Di chi
è la colpa? Del vostro maledetto Kerenski, quello sporco
borghese! Al diavolo Kerenski! Non lo vogliamo più! È
Lenin che ci occorre! "
Dinanzi alla Duma un ufficiale - bracciale bianco - strappava
dal muro alcuni manifesti, bestemmiando ad alta voce. Uno di quei
manifesti diceva:
I CONSIGLIERI MUNICIPALI BOLSCEVICHI ALLA POPOLAZIONE DI PIETROGRADO
In quest'ora minacciosa, mentre la Duma municipale dovrebbe rivolgere
tutti i suoi sforzi ad aiutare la popolazione, ad assicurarle
il pane e l'indispensabile, i S.R. di destra e i cadetti, dimentichi
del loro dovere, hanno trasformato la Duma in un'assemblea controrivoluzionaria
e tentano di sollevare una parte della popolazione contro l'altra,
per facilitare la vittoria di Kornilov-Kerenski. Invece di adempiere
i loro più elementari doveri ì S.R. di destra e
i cadetti hanno fatto della Duina un'arena di lotta politica contro
i soviet dei D.O.S.C., contro il governo rivoluzionario della
pace, del pane, e della libertà.
Cittadini di Pietrogrado, noi consiglieri municipali bolscevichi,
vostri eletti, vogliamo che sappiate che i S.R. di destra ed i
cadetti si sono gettati nell'azione controrivoluzionaria, hanno
mancato ai loro obblighi e conducono la popolazione alla fame
e alla guerra civile. Noi, gli eletti di 183.000 voti, consideriamo
sia nostro dovere richiamare l'attenzione dei nostri elettori
su quanto avviene alla Duma e dichiariamo di respingere ogni responsabilità
per le inevitabili e deplorevoli conseguenze del suo atteggiamento.
In
lontananza echeggiava ancora qualche colpo di fucile isolato,
ma la città era nuovamente calma, fredda, come spossata
dagli spasimi violenti che l'avevano scossa.
Nella
sala Nicola, la seduta della Duma stava finendo. Anche quella
Duma turbolenta sembrava un poco stordita. Continuamente i commissari
portavano le notizie: la presa della centrale telefonica, ì
combattimenti nelle strade, la presa della Scuola Vladimiro...
"La
Duma - dichiarò Trup - sostiene la democrazia
nella sua lotta contro la tirannide e la violenza; ma chiunque
sia il vincitore, essa non accetterà mai la giustizia sommaria
e la tortura…"
Al che Kovovski, un cadetto, un vecchio alto, dall'espressione
crudele, rispose:
"Quando le truppe del governo legale entreranno a Pietrogrado,
esse fucileranno gli insorti e questo non sarà affatto
giustizia sommaria. "
Tutta
l'assemblea, compreso il suo partito, protestò.
II
dubbio e la depressione regnavano. La controrivoluzione retrocedeva.
Il Comitato centrale del partito S.R. aveva emesso un voto di
sfiducia nei suoi rappresentanti e l'ala sinistra cominciava ad
avere il sopravvento; Avxentiev aveva rassegnato le dimissioni.
Un messaggero annunciò che la delegazione mandata alla
stazione per ricevere Kerenski era stata arrestata. Nelle strade
si sentiva il sordo brontolio di cannonate lontane, all'ovest
e al sud-ovest. Kerenski non arrivava.
Tre
giornali soli erano comparsi, la Pravda, il Dielo
Narodae, la Novaja Zhizn. Tutti e tre dedicavano
molto spazio al nuovo governo di coalizione. L'organo socialista
rivoluzionario voleva un ministero senza cadetti e senza bolscevichi.
Gorki era ottimista: Smolni aveva fatto qualche concessione e
ciò significava un governo puramente socialista che avrebbe
compreso tutte le forze socialiste, tutti gli elementi, escludendo
la borghesia. La Pravda invece, era aspra:
Non
si può che ridere di una coalizione tra partiti politici,
composti per buona parte da piccole consorterie di giornalisti,
che hanno dietro di sé solamente le simpatie borghesi ed
un passato corrotto e che ormai non sono più seguiti né
dagli operai né dai contadini. La nostra coalizione è
quella che abbiamo formato noi stessi, la coalizione del partito
rivoluzionario del proletariato, con l'esercito rivoluzionario
e con i contadini poveri.
Un manifesto pretenzioso del Vikiel minacciava lo sciopero se
un compromesso non fosse stato concluso:
I veri vincitori di queste lotte, i salvatori di quanto rimane
della nostra patria, non saranno né i bolscevichi, né
il Comitato di Salute, né le truppe di Kerenski, ma noi,
il sindacato dei ferrovieri...
Le guardie rosse non sono in grado di assicurare un servizio così
complesso come quello delle ferrovie; il governo provvisorio si
è dimostrato totalmente incapace di esercitare il potere...
Noi rifiutiamo il nostro aiuto a qualunque partito, qualunque
esso sia, il cui potere non si eserciti per mezzo di un governo
che abbia la fiducia di tutta la democrazia...
Smolni era tutto fremente di vita, di inesauribile energia umana.
Alla
sede dei sindacati, Losovski ci presentò un delegato dei
ferrovieri della linea Nicola, il quale ci disse che i loro uomini,
in grandiosi comizi, condannavano l'atteggiamento dei capi.
"Tutto il potere ai Soviet! - gridò picchiando
il pugno sul tavolo. - I guerrafondai del Comitato centrale
fanno il giuoco di Kornilov. Hanno cercato di mandare una commissione
allo Stato Maggiore Generale dell'Esercito, ma noi l'abbiamo fermata
a Minsk... La nostra sezione ha reclamato una Conferenza panrussa
ma hanno rifiutato di convocarla... "
La
situazione era la stessa nei Soviet e nei Comitati dell'Esercito.
L'una dopo l'altra, in tutta la Russia, le organizzazioni democratiche
scricchiolavano e si trasformavano. Le cooperative erano lacerate
da lotte intestine. Le sedute del Comitato esecutivo dei deputati
contadini dovettero essere sospese senza concludere, in mezzo
a dibattiti tempestosi. Anche tra i cosacchi l'agitazione guadagnava
terreno...
All'ultimo
piano di Smolni, il Comitato militare rivoluzionario lavorava
con il massimo delle sue forze, senza un momento di sosta. Vi
si arrivava freschi e vigorosi; poi notte e giorno, giorno e notte,
la terribile macchina assorbiva le energie e se ne usciva flosci,
ciechi, e sfiniti, la voce arrochita, sporchi, per crollare sul
pavimento e addormentarsi... Il Comitato di Salute era stato messo
fuori legge. Sul pavimento si ammassavano mucchi di nuovi proclami:
...I cospiratori, non avendo partigiani né nella guarnigione,
né nella classe operaia contavano esclusivamente sulla
sorpresa dei loro attacchi. Il loro piano fu scoperto a tempo
dall'aspirante Blagonravov, commissario della fortezza di Pietro
e Paolo, per merito della vigilanza di una guardia rossa il cui
nome sarà ricercato. Al centro del complotto si trovava
il Comitato di Salute. Il colonnello Polkovnikov aveva ricevuto
il comando delle truppe e gli ordini erano firmati da Gotz, ex
membro dello Tzik, messo in libertà sulla parola.
Il Comitato militare rivoluzionario porta questi fatti a conoscenza
della popolazione di Pietrogrado, ed ordina l'arresto delle persone
complici del complotto ed il loro deferimento al Consiglio di
guerra rivoluzionario…
Da Mosca arrivò la notizia che gli junker ed i
cosacchi avevano circondato il Kremlino ed invitato le truppe
sovietiche a capitolare. Le forze sovietiche avevano accettato,
ma, mentre lasciavano il Kremlino, erano state assalite ed annientate.
Altre forze bolsceviche meno importanti erano state espulse dalle
centrali telefoniche e telegrafiche; gli junker occupavano
il centro della città, ma attorno ad essi le truppe sovietiche
si riorganizzavano. I combattimenti si sviluppavano nelle strade;
tutti i tentativi di compromesso erano falliti... I Soviet disponevano
di diecimila soldati della guarnigione e di alcune migliaia di
guardie rosse; il governo di seimila junker, duemilacinquecento
cosacchi e duemila guardie bianche.
Il Soviet di Pietrogrado era riunito, e nella stanza vicina stava
il nuovo Tzik che esaminava i decreti e gli ordini che
gli mandava, senza sosta, dal piano superiore, il Consiglio dei
commissari del popolo. Tra questi decreti si trovavano quelli
per la ratifica e la promulgazione delle leggi sulla giornata
di otto ore ed il «progetto di un sistema di educazione
popolare» di Lunaciarski. Alcune centinaia di delegati
assistevano a quelle due assemblee, la maggioranza armati. Smolni
era quasi deserto; solo le guardie erano occupate ad installare
nei vani delle finestre le mitragliatrici per proteggere i fianchi
dell'edificio.
Allo
Tzik parlava un delegato del Vikiel:
"Noi rifiutiamo di trasportare le truppe di un partito,
qualunque esso sia... Abbiamo mandato una delegazione a Kerenski
per dirgli che se continua la marcia su Pietrogrado, gli taglieremo
le comunicazioni."
Concluse con l'abituale difesa di una Conferenza di tutti i partiti
socialisti per costituire un nuovo governo.
Kamenev
rispose prudentemente. I bolscevichi sarebbero felici di assistere
ad una tale Conferenza. Però il centro del problema non
era la formazione di un governo di quella specie, ma la accettazione
del programma del Congresso dei Soviet... Lo Tzik aveva
deliberato sulla dichiarazione dei S.R. di sinistra e dei socialdemocratici
internazionalisti ed aveva accettato una proposta di rappresentanza
proporzionale alla Conferenza, anche con i delegati dei Comitati
dell'esercito e dei Soviet contadini...
Nella
grande sala, Trotski passava in rassegna gli avvenimenti della
giornata:
"Noi abbiamo proposto la resa agli junker di
Vladimiro - disse. - Volevamo evitare ogni spargimento
di sangue. Ma adesso che il sangue è stato versato, vi
è una sola strada, la lotta a fondo. Sarebbe puerile pensare
che noi possiamo vincere in altro modo... Il momento decisivo
è arrivato. Tutti devono lavorare con il Comitato militare
rivoluzionario, denunciare i depositi di filo spinato, di benzina,
di armi... Noi abbiamo preso il potere e dobbiamo conservarlo.
"
Il
menscevico Joffe volle leggere una dichiarazione del suo partito,
ma Trotski rifiutò di lasciare aprire «un dibattito
sui princìpi».
"Le
nostre discussioni si concludono adesso nella strada, - gridò.
- II passo decisivo è stato fatto. Tutti noi, ed io
in particolare, assumiamo la responsabilità di quello che
accade... "
Alcuni
soldati, venuti dal fronte e da Gacina, espressero i loro sentimenti.
Uno di essi, delle truppe d'assalto della 481° divisione d'artiglieria,
disse:
"Quando le trincee sapranno questo, vi sarà una
sola voce: «Ecco il nostro governo!». "
Uno
junker dichiarò che lui e due dei suoi compagni
avevano rifiutato di marciare contro i Soviet; quando i suoi compagni
erano ritornati dalla difesa del Palazzo d'Inverno, l'avevano
nominato loro commissario e mandato a Smolni ad offrire il loro
aiuto alla «vera» rivoluzione...
Poi
Trotski si alzò di nuovo, ardente, infaticabile, dando
degli ordini, rispondendo alle domande.
"La piccola borghesia, per schiacciare gli operai, i
soldati ed i contadini, si alleerebbe col diavolo! - disse.
Durante gli ultimi due giorni si erano constatati numerosi
casi di ubriachezza. Non bevete, compagni! Nessuno deve
trovarsi nelle strade dopo le otto di sera, all'infuori delle
pattuglie. Si perquisiranno tutti i luoghi sospetti e l'alcool
che si troverà sarà distrutto. Nessuna pietà
per i trafficanti di alcool…"
In
quel momento il Comitato militare rivoluzionario fece chiamare
la delegazione della sezione di Viborg, poi quella degli operai
di Putilov. Risposero subito all'appello.
"Per
ogni rivoluzionario ucciso - disse ancora Trotski - noi
uccideremo cinque controrivoluzionari! "
Tornammo
in città. La Duma era tutta illuminata: una folla immensa
vi si precipitava. Al pianterreno, nell'entrata, si udivano gemiti
e grida di dolore: la folla sì accalcava davanti al grande
quadro dei comunicati, sul quale era affissa la lista degli junker
uccisi nella giornata - o, almeno, dei pretesi uccisi, perché
moltissimi di quei morti, quasi tutti, riapparvero in ottima salute.
In alto, nella sala Alessandro, il Comitato dì Salute continuava
le sue riunioni. Vi si notavano ufficiali con le spalline rosso
e oro, visi conosciuti di intellettuali menscevichi e S.R., diplomatici
e banchieri dallo sguardo duro e dalle pance imponenti, funzionari
dell'antico regime, signore eleganti...
Le telefoniste vennero a testimoniare. L'una dopo l'altra salivano
la tribuna, povere ragazze, vestite con una ricercatezza che scimmiottava
l'eleganza, i lineamenti tirati e le scarpe bucate... L'una dopo
l'altra, arrossendo di piacere per gli applausi dell'aristocrazia
di Pietrogrado, degli ufficiali, dei ricchi, dei politicanti celebri,
esse descrivevano le sofferenze che il proletariato aveva loro
inflitto e proclamavano la loro fedeltà a tutto quanto
rappresentava il vecchio regime, l'ordine stabilito, la potenza...
La Duma era nuovamente riunita nella sala Nicola. Il sindaco,
ottimista, vi dichiarò che i reggimenti di Pietrogrado
si vergognavano già della loro condotta; la propaganda
faceva progressi... Emissari andavano e venivano riferendo gli
atti orribili commessi dai bolscevichi, si interponevano a favore
degli junker o lavoravano attivamente a fare delle inchieste.
"È
la forza morale che avrà ragione dei bolscevichi,
- disse Trup, - e non le baionette... "
Tuttavia
la situazione non era brillante sul fronte rivoluzionario. Il
nemico aveva con sé alcuni treni blindati, muniti di cannoni.
Le forze sovietiche, composte soprattutto dì guardie rosse
inesperte, erano senza ufficiali e senza un piano determinato.
Solamente cinquemila soldati regolari si erano potuti unire ad
esse; il resto della guarnigione era occupato sia a reprimere
la rivolta degli junker, sia a custodire la città,
oppure non si decideva a prendere posizione. Alle dieci di sera
Lenin parlò in una grande riunione di delegati dei reggimenti
della città, che si pronunciarono in favore della lotta
con una maggioranza schiacciante. Si elesse un comitato di cinque
soldati, che doveva costituire lo Stato Maggiore, e all'alba i
reggimenti uscirono dalle caserme sul piede di guerra... Rincasando,
li vidi sfilare con il passo regolare dei veterani, le baionette
perfettamente allineate, attraverso le strade deserte della capitale
conquistata. Nello stesso tempo al quartiere generale del Vikiel,
nella Sadovaia, la Conferenza di tutti i partiti socialisti lavorava
a formare un nuovo governo. Abramovic vi dichiarò, a nome
del centro menscevico, che non dovevano esservi né vincitori
né vinti e che era necessario passare la spugna sul passato.
Tutti i gruppi di sinistra acconsentirono. Dan, a nome della destra
menscevica, propose ai bolscevichi una tregua alle condizioni
seguenti: disarmo della guardia rossa, passaggio della guarnigione
di Pietrogrado agli ordini della Duma, proibizione alle truppe
di Kerenski di sparare un solo colpo di fucile o di procedere
ad un solo arresto, formazione di un ministero comprendente tutti
i partiti socialisti, eccetto i bolscevichi. Riazanov e Kamenev
risposero, a nome di Smolni, che un governo di coalizione di tutti
i partiti era accettabile, ma protestarono contro le proposte
di Dan. I socialisti-rivoluzionari erano divisi, ma il Comitato
esecutivo dei Soviet contadini ed i socialisti popolari si rifiutarono
assolutamente di accettare la partecipazione dei bolscevichi al
governo... Dopo una discussione accanita, una commissione fu incaricata
di preparare un piano.
Tutta
la notte discusse la commissione, tutto il giorno seguente ed
ancora la notte dopo. Già una volta, il 9 novembre, un
simile sforzo conciliatore era stato tentato da Martov e da Gorki;
ma poiché Kerenski si avvicinava ed il Comitato di Salute
era attivissimo, l'ala destra menscevica, i S.R. ed i socialisti
popolari vi si erano rifiutati. Questa volta la sconfitta della
rivolta degli junker li spaventava...
Il
lunedì 12 fu un giorno di attesa. Tutta la Russia guardava
alla grigia pianura che si estende alle porte di Pietrogrado,
dove tutte le forze disponibili del vecchio regime affrontavano
la potenza inorganizzata del nuovo: l'incognito. A Mosca era stata
conclusa una tregua; i due avversari parlamentavano, attendendo
style='la conclusione della lotta ingaggiata nella capitale. I
delegati del Congresso dei Soviet si gettavano nei treni diretti
che lì portavano fino ai confini dell'Asia, per ritornare
alle loro province portatori della croce di fuoco della rivoluzione.
La notizia del miracolo si spargeva a ondate sempre più
larghe su tutta la superficie del paese; le città, i villaggi,
i lontani casolari cominciarono ad agitarsi ed a sollevarsi; ovunque
Soviet e Comitati rivoluzionari si levavano contro le Dume, gli
zemstvo ed i commissari governativi, le guardie rosse contro le
guardie bianche; ci si batteva nelle strade, si discuteva appassionatamente...
La conclusione dipendeva da Pietrogrado.
Smolni
era quasi vuoto, ma la Duma era superaffollata e rumorosa. Il
vecchio sindaco, sempre con lo stesso aspetto dignitoso, protestava
contro il manifesto dei consiglieri municipali bolscevichi.
"La
Duma non è un centro controrivoluzionario, - diceva
accalorato. - La Duma non prende parte a queste lotte tra
partiti. Nel momento in cui il paese è privo di un potere
legale, la sola sede dell'ordine è il governo municipale
autonomo. La popolazione tranquilla lo riconosce; le ambasciate
straniere riconoscono solo i documenti firmati dal sindaco della
città. La mentalità europea non ammette altra soluzione
poiché il governo municipale autonomo è il solo
organo capace di proteggere i cittadini. La città ha il
dovere di essere ospitale verso tutte le organizzazioni che desiderano
usufruire della sua ospitalità. La Duma non può
perciò proibire la distribuzione di nessun giornale nell'interno
del palazzo della Duma. Il campo della nostra attività
si allarga e noi abbiamo bisogno di una completa libertà
dì azione; i nostri diritti devono essere rispettati da
ambo le parti...
Noi siamo rigorosamente neutrali! Quando la centrale telefonica
fu occupata dagli junker, il colonnello Polkovnikov ordinò
di tagliare le comunicazioni con Smolni, ma, in seguito alle mie
proteste, il telefono continuò a funzionare... "
Risate
ironiche scoppiettarono sui banchi bolscevichi ed imprecazioni
si levarono dalla destra.
"Malgrado
tutto questo, - continuò Schreider, - i bolscevichi
ci considerano come controrivoluzionari e ci denunciano come tali
alla popolazione. Ci tolgono i nostri mezzi di trasporto requisendo
le nostre ultime automobili. Non sarà colpa nostra se la
città cadrà in preda alla carestia. Le nostre proteste
sono vane..."
Kobozev,
consigliere comunale bolscevico, mise in dubbio le requisizione
delle automobili municipali da parte del Comitato militare rivoluzionario;
in ogni modo non poteva trattarsi che di un atto individuale e
di un caso d'urgenza.
"Il sindaco - continuò - ci dice che
noi non dobbiamo trasformare le sedute della Duma in comizi politici.
Ma i menscevichi e i S.R. fanno qui esclusivamente dell'agitazione
di partito e distribuiscono alla porta i loro giornali illegali,
l'Iskra (La scintilla), il Soldatski Golos e
la Rabociaia Gazeta che incitano alla sollevazione. Che
cosa accadrebbe se noi, bolscevichi, ci mettessimo a distribuire
qui anche i nostri giornali? Ma noi non lo faremo, perché
noi rispettiamo la Duma. Noi non abbiamo attaccato un governo
municipale autonomo e non l'attaccheremo. Solo, poiché
voi avete rivolto un appello alla popolazione, noi abbiamo il
diritto di fare altrettanto... "
Il
cadetto Scingariov parlò dopo di lui, dichiarando che nessuna
discussione era possibile con gente che bisognava mettere in istato
di accusa e giudicare per tradimento... Propose che tutti i membri
bolscevichi fossero espulsi dalla Duma. Ma la proposta fu rinviata,
perché nessuna accusa personale poteva essere formulata
contro i consiglieri bolscevichi, i quali avevano inoltre varie
funzioni nell'amministrazione comunale.
Allora
due menscevichi internazionalisti dichiararono che il manifesto
dei consiglieri bolscevichi era una provocazione diretta al massacro.
"Se si qualifica come controrivoluzione ogni atto diretto
contro i bolscevichi - disse Pinkievic - non vedo più
differenza fra rivoluzione ed anarchia... I bolscevichi calcolano
sullo scatenamento delle passioni delle masse; noi contiamo solo
sulla nostra forza morale. Noi protesteremo contro ogni violenza,
da qualunque parte essa venga, perché la nostra funzione
è di trovare una soluzione pacifica."
"Il manifesto affisso sulle mura sotto il titolo di «Alla
gogna», che incita il popolo a sterminare il menscevichi
e i S.R. - disse Nazariev - è un delitto che voi,
bolscevichi, non riuscirete mai a cancellare. Gli errori di ieri
non sono che un preludio di quelli che voi preparate con un tale
proclama... Ho sempre tentato di riconciliarvi con gli altri partiti,
ma in questo momento io non provo per voi che disprezzo!"
I consiglieri
bolscevichi si levarono sotto l'insulto, rispondendo con violenza
all'assalto delle voci rauche e piene di odio ed ai gestì
di minaccia...
Uscendo
dalla sala incontrai il menscevico Gomberg, ingegnere capo della
città, e tre o quattro giornalisti. Erano tutti alticci.
"Vedete!
- mi dissero - Quei vigliacchi hanno paura di noi. Essi non
osano arrestare la Duma! Il loro Comitato militare rivoluzionario
non osa mandare qui un commissario. Oggi, all'angolo della Sadovaia,
ho visto una guardia rossa mentre tentava di impedire ad un ragazzo
di vendere il Soldatski Golos. Il ragazzo si accontentò
di ridergli sulla faccia e la folla voleva linciare il bandito.
Non è ormai più che questione dì ore. Anche
se Kerenski non arrivasse, non saranno capaci di fare il governo.
Gente assurda! Si dice che si battano fra di loro a Smolni!
"
Un
mio amico, socialista rivoluzionario, mi prese da parte.
"So dove si nasconde il Comitato di Salute - mi
disse - Volete vederli? "
Era
calato il crepuscolo. La città aveva ripreso un aspetto
normale; le vetrine dei magazzini erano illuminate, le lampade
splendevano e nelle strade una grande folla passeggiava discutendo.
Al
numero 86 della Nevskì passammo sotto un arco che ci condusse
nel cortile di una immensa casa d'affitto. All'appartamento numero
229, il mio amico bussò in un modo speciale. Si senti un
rumore di passi; una porta sbatté, poi la porta d'entrata
fu socchiusa ed un viso di donna apparve. Era una signora dall'aspetto
placido, di mezz'età. Gridò: «Cirillo,
potete restare!». Nella sala da pranzo, un samovar
fumava sulla tavola accanto a piatti con fette di pane e pesce
affumicato. Un uomo in uniforme, nascosto dietro le tende della
finestra, uscì; un altro, vestito da operaio, uscì
da un piccolo gabinetto. Erano felici di vedere un giornalista
americano. Dichiararono, con qualche fierezza, che i bolscevichi
li avrebbero certamente fucilati se lì avessero trovati.
Non vollero dirmi i loro nomi, ma mi dichiararono che erano ambedue
socialisti rivoluzionari.
"Perché
- domandai - pubblicate tante menzogne sui vostri giornali?
"
Senza offendersi affatto, l'ufficiale rispose:
"Certamente, senza dubbio, ma cosa possiamo fare?
- Ed alzò le spalle. - Voi ammetterete certamente che
noi siamo obbligati a creare un certo stato d'animo nel popolo..."
L'altro
interruppe:
"È una pura e semplice avventura da parte dei
bolscevichi. Non hanno intellettuali. I ministeri non li aiuteranno...
Eppoi la Russia non è una città, è una nazione...
Poiché sappiamo che potranno resistere solo qualche giorno,
abbiamo deciso di dare il nostro appoggio al più forte
dei loro avversari, a Kerenski, e dì collaborare al ristabilimento
dell'ordine."
"Sia - dissi - ma allora, perché vi alleate
ai cadetti? "
Lo pseudo operaio sorrise francamente.
"A dire la verità, in questo momento le masse
sono per i bolscevichi. Noi non abbiamo attualmente partigiani.
Ci sarebbe impossibile riunire anche solo un pugno di soldati.
Noi non abbiamo armi... I bolscevichi hanno ragione in una certa
misura. Vi sono attualmente in Russia solo due partiti forti:
i bolscevichi ed i reazionari, che si nascondono tutti dietro
le falde dei cadetti. I cadetti pensano di servirsi di noi. In
realtà siamo noi che ci serviamo di loro. Quando avremo
rovesciato i bolscevichi, ci rivolgeremo contro i cadetti."
"I bolscevichi saranno ammessi nel nuovo governo?
"
Si grattò la testa.
"La questione è importante - disse - Evidentemente,
se non li si ammette, è probabile che ricominceranno. Ad
ogni modo essi potrebbero, alla Costituente, diventare gli arbitri
della situazione, a condizione, naturalmente, che vi sia una Costituente."
"Questa questione, d'altra parte - disse l'ufficiale
- pone quella dell'ammissione dei cadetti nel nuovo governo,
per le stesse ragioni. Voi sapete che i cadetti non tengono all'Assemblea
Costituente, soprattutto se è possibile schiacciare adesso
i bolscevichi."
Scosse la testa.
"La politica non è una cosa facile per noi russi.
Voi americani, voi siete nati politici; durante tutta la vostra
vita avete conosciuto la politica. Noi, non è che un anno
che sappiamo che cosa è."
"Che pensate di Kerenski? - domandai.
"Oh! Kerenski è responsabile degli errori del
governo provvisorio, - rispose l'altro. - Fu proprio Kerenski
che ci obbligò ad accettare la coalizione con la borghesia.
Se egli avesse dato le dimissioni, come minacciava, vi sarebbe
stata una nuova crisi ministeriale sedici settimane prima dell'Assemblea
Costituente. E noi non volevamo."
" Ma non è accaduto lo stesso, alla fine?"
"È vero, ma come potevamo saperlo? I Kerenski
e gli Avxentiev ci hanno giocati. Gotz è un po' più
a sinistra. Io sono partigiano di Cernov, che è un vero
rivoluzionario. Oggi, Lenin stesso ha fatto sapere che non farebbe
obiezioni all'entrata di Cernov nel governo. Volevamo anche noi
sbarazzarci del governo di Kerenski, ma abbiamo pensato che era
meglio attendere la Costituente... All'inizio, io ero coi bolscevichi,
ma il Comitato centrale del mio partito ha preso posizione contro
di essi all'unanimità. Che cosa potevo fare? Era una questione
di disciplina dì partito... In una settimana il governo
bolscevico affonderà; quindi se i S.R. potessero tenersi
da parte ed attendere, il governo cadrebbe nelle loro mani senza
sforzi. Ma se noi aspettiamo una settimana, il paese sarà
così disorganizzato che gli imperialisti tedeschi trionferanno.
Ed è per questo che abbiamo dovuto cominciare il nostro
movimento avendo promesse di appoggio solo da parte di due reggimenti,
che poi si sono messi contro di noi... Non ci restavano allora
che gli junker."
"Ma i cosacchi?
L'ufficiale sospirò.
Non si sono mossi. Cominciarono a dire che avrebbero marciato
se fossero stati sostenuti dalla fanteria. Aggiungevano però
che una parte di essi era con Kerenski e che quindi avrebbero
fatto il loro dovere... Dissero anche che li si accusava sempre
di essere i nemici tradizionali della democrazia... Poi, alla
fine, ci dichiararono: «I bolscevichi hanno promesso che
non ci prenderanno le nostre terre. Non abbiamo nulla da temere,
e quindi resteremo neutrali».
Mentre
parlavamo parecchie persone entravano ed uscivano continuamente,
per la maggiore parte ufficiali che si erano tolti i distintivi.
Li potevamo vedere nell'anticamera e li sentivamo discutere a
voce bassa, molto animatamente. A tratti, una tenda tirata a metà
lasciava entrare i nostri sguardi nella sala da bagno, dove, seduto
sulla toilette, un ufficiale corpulento, con l'uniforme di colonnello,
scriveva sulle sue ginocchia. Riconobbi il colonnello Polkovnikov,
l'ex comandante della piazza di Pietrogrado, per l'arresto del
quale il Comitato militare rivoluzionario avrebbe data una fortuna...
"
Il nostro programma? - disse l'ufficiale - Eccolo!
La terra rimessa ai Comitati agrari, gli operai pienamente rappresentati
nella direzione delle industrie, un energico programma di pace,
ma non un ultimatum a tutto il mondo, come quello dei bolscevichi.
I bolscevichi non potranno mantenere le promesse che fanno alle
masse. Noi non li lasceremo fare... Ci hanno rubato il nostro
programma agrario per ottenere l'appoggio dei contadini. È
disonesto. Se avessero atteso l'Assemblea Costituente...
"
"Non si tratta dell'Assemblea Costituente - interruppe
l'altro - Se i bolscevichi vogliono fondare qui uno Stato
socialista, noi non possiamo, in alcun caso, collaborare con loro.
Kerenski ha commesso un grave errore. Ha fatto capire ai bolscevichi
quali erano le sue intenzioni, annunciando al Consiglio della
Repubblica che aveva ordinato il loro arresto..."
"Ma voi, che cosa contate di fare adesso? "
domandai.
I due uomini si guardarono.
"Lo vedrete tra qualche giorno. Se avremo a nostro favore
sufficienti truppe del fronte, non transigeremo coi bolscevichi.
In caso contrario vi saremo forse costretti. "
Ritornati
sulla Nevski, saltammo sul predellino di un tranvai affollatissimo,
la cui piattaforma, cedendo sotto il peso, radeva il suolo, e
che, con una lentezza mortale, ci trascinò fino a Srnolni.
Miesckovski,
un piccolo uomo accurato, di aspetto debole, attraversava l'entrata,
con aria preoccupata. Gli scioperi dei ministeri, ci disse, cominciavano
a produrre i loro effetti. Il Consiglio dei Commissari del popolo
aveva promesso di pubblicare i trattati segreti; ma Neratov, il
funzionario che li custodiva, era scomparso coi documenti. Si
supponeva che li avesse nascosti all'ambasciata inglese.
Particolarmente
grave era lo sciopero delle banche.
"Senza
denaro - disse Menjinski - noi siamo impotenti. Bisogna
pagare i salari ai ferrovieri, agli impiegati delle Poste e Telegrafi.
Le banche sono chiuse, compresa la Banca di Stato che è
la chiave della situazione. Tutti gli impiegati di banca sono
stati comprati... Lenin ha dato l'ordine dì forzare con
la dinamite la porta dei sotterranei della Banca di Stato e un
decreto promulgato adesso ingiunge alle banche private di aprire
gli sportelli domattina. Altrimenti li apriremo noi stessi!
"
II
Soviet di Pietrogrado era in piena attività; nella sala
ricolma quasi tutti erano armati. Trotski parlava.
"I cosacchi abbandonano Zarskoie-Selo. (La sala
trepidante applaudì). - Ma la battaglia non è
che all'inizio. A Pulkovo si combatte aspramente. Bisogna mandarvi
tutte le forze possibili... Da Mosca, le notizie sono cattive.
Il Kremlino è nelle mani degli junker e gli operai hanno
poche armi. La soluzione dipende da Pietrogrado. Al fronte, i
Decreti sulla pace e sulla terra provocano un grande entusiasmo.
Kerenski inonda le trincee di telegrammi che dicono che Pietrogrado
è messa a ferro e a fuoco e che i bolscevichi massacrano
donne e fanciulli. Ma nessuno ci crede... Gli incrociatori Oieg,
Aurora e Repubblica hanno gettato le ancore nella Neva ed hanno
puntato i cannoni sulle strade che conducono alla città..."
"Perché voi non siete al fronte con le guardie
rosse? " gridò una voce rude.
"Ci vado in questo momento" replicò
Trotski ed abbandonò la tribuna. Con il viso un po' più
pallido del solito, costeggiò un lato della sala, circondato
da amici affaccendati e si recò rapidamente all'automobile
che lo aspettava.
Kamenev
prese poi la parola per riferire sui lavori della Conferenza di
conciliazione dei partiti.
"Le condizioni proposte dai menscevichi erano state
- disse - respinte sdegnosamente. Anche le sezioni del sindacato
dei ferrovieri avevano votato contro... Mentre noi abbiamo conquistato
il potere e la nostra azione si estende a tutta la Russia ci pongono
tre sole piccole condizioni: 1°) restituire il potere; 2°)
persuadere i soldati a continuare la guerra; 3°) fare in modo
che i contadini non parlino più della terra... "
Lenin
comparve un istante per rispondere alle accuse dei S.R.
"Ci accusano di aver rubato loro il programma agrario...
Se è così, i nostri complimenti. Questo programma
ci serve veramente bene... "
La
seduta continuò nella stessa atmosfera. Gli uni dopo gli
altri, i capi venivano a dare spiegazioni, ad esortare, a confutare.
Soldati ed operai si succedevano alla tribuna e ciascuno esprimeva
fino in fondo il suo pensiero e rivelava tutti i suoi sentimenti...
L'uditorio
cambiava e si rinnovava continuamente. Ogni tanto si chiamavano
i membri dell'uno o dell'altro distaccamento che doveva raggiungere
il fronte; altri, che erano stati sostituiti, o evacuati per ferite
o che erano venuti a Smolni per cercare delle armi, li sostituivano.
Erano quasi le tre del mattino, quando, dopo aver abbandonato
la sala, incontrammo Holtzman, del Comitato militare rivoluzionario,
che arrivava correndo, col viso trasfigurato.
"Tutto
va bene - gridò afferrandomi le mani. - Un telegramma
dal fronte! Kerenski è schiacciato! Guardate!"
Ci
passò, un pezzo di carta, affrettatamente scarabocchiato
con la matita, e, vedendo che non potevamo decifrarlo, ci lesse
ad alta voce:
Pulkovo, Stato Maggiore ore 2,20 del mattino
La notte dal 30 al 31 ottobre è ormai storica. Il tentativo
fatto da Kerenski per lanciare le truppe controrivoluzionarie
contro la capitale della rivoluzione è stato definitivamente
respinto. Kerenski si ritira. Noi avanziamo. Soldati, marinai
ed operai di Pietrogrado hanno provato che essi possono e vogliono
consolidare, con le armi, l'autorità della democrazia.
La borghesia ha tentato di isolare l'esercito rivoluzionario.
Kerenski ha tentato di spezzarlo servendosi dei cosacchi. Questi
due piani sono lamentevolmente falliti.
La grande idea del dominio della democrazia operaia e contadina
ha fatto serrare le file dell'esercito e ne ha rafforzato la volontà.
Ormai tutto il paese sarà convinto che il potere sovietico
non è un'apparizione effimera; il potere degli operai,
dei soldati e dei contadini è un fatto indistruttibile.
La sconfitta dì Kerenski è la sconfitta dei grandi
proprietari, della borghesia e dei kornilovisti. La disfatta di
Kerenski è la conferma del diritto del popolo ad una vita
di pace e di libertà, alla terra, al pane ed al potere.
Il distaccamento di Pulkovo ha, con il suo valore, rafforzato
la causa della rivoluzione operaia e contadina. Un ritorno al
passato non è più possibile. Altre lotte, altri
ostacoli ed altri sacrifici ci attendono. Ma la strada è
aperta e la vittoria assicurata. La Russia rivoluzionaria ed il
potere sovietico possono essere fieri del loro distaccamento di
Pulkovo, comandato dal colonnello Walden. Gloria eterna a quelli
che sono caduti! Gloria ai combattenti della rivoluzione, ai soldati
e agli ufficiali che furono fedeli al popolo!
Viva la Russia rivoluzionaria, popolare e socialista!
A nome del Consiglio
II Commissario del popolo: L. Trotski.
Attraversando
la piazza Snamenskaia, vedemmo una folla insolita davanti alla
stazione Nicola. Parecchie migliaia di marinai, armati, si accalcavano
davanti all'edificio.
In
piedi, sui gradini, un membro del Vikiel parlamentava:
"Compagni, noi non possiamo trasportarvi a Mosca. Noi
siamo neutrali, noi non trasportiamo le truppe di nessun partito.
Noi non possiamo condurvi a Mosca dove infierisce già una
terribile guerra civile... "
Un
ruggito immenso gli rispose; i marinai cominciarono ad avanzare.
Di colpo una porta si spalancò: due o tre frenatori, un
macchinista ed alcuni altri ferrovieri comparvero.
"Di qua, compagni! - gridò uno di essi - Vi condurremo noi a Mosca! A Vladivostok, se lo volete! Viva
la rivoluzione! "
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