C'è un piccolo testo di Karl Marx che, come a suo tempo il Manifesto del partito comunista, quando uscì fece esplodere le categorie di interpretazione sino ad allora esistite in determinati campi di indagine non solo economica ma anche, e soprattutto, sociologica. La critica del programma di Gotha è inviata da Marx a Wilhelm Bracke, uno dei fondatori ad Eisenach del Partito Operaio Socialdemocratico tedesco, affinché ne prenda visione e gliela rinvii dopo averla fatta leggere a Geib, Auer, Bebel e Liebknecht, tutti dirigenti del partito tedesco. Marx scrive che si trova in un periodo in cui i medici gli consigliano pause lunghe dal suo lavoro frenetico: «... non è stato punto un piacere per me lo scrivere uno scartafaccio così lungo. Ma la cosa era necessaria, affinché i passi che io dovrò fare in seguito non vengano fraintesi dagli amici del partito a cui è destinata questa comunicazione - Alludo al fatto che dopo il Congresso di unificazione Engels ed io pubblicheremo una breve dichiarazione, in cui dichiareremo che non condividiamo assolutamente i principi del suddetto programma (del Partito Operaio Socialdemocratico tedesco, ndr) e che non abbiamo niente a che fare con esso». È il 5 maggio 1875 quando Marx verga sulla carta queste parole e le allega alle Glosse a margine al programma del Partito operaio tedesco. L'acutezza della critica marxista all'impianto programmatico elaborato da Ferdinand Lassalle traspare già immediatamente dal primo punto di contestazione. Ogni articolo del programma è smontato meticolosamente e capovolto con altrettanta dovizia di particolari. Si legge al punto 1 del Programma di Gotha: «Il lavoro è la fonte di ogni ricchezza e di ogni civiltà, e poiché un lavoro utile è possibile solo nella società e mediante la società, il frutto del lavoro appartiene integralmente, a ugual diritto, a tutti i membri della società». Ad una prima lettura tutti noi saremmo portati ad affermare la giustezza di questo enunciato. Marx, invece, lo contesta in ogni sua parte e scrive: «... il lavoro non è la fonte di ogni ricchezza. La natura è la fonte dei valori d'uso (e in questi consiste la ricchezza effettiva!) altrettanto quanto il lavoro, che a sua volta, è soltanto la manifestazione di una forza naturale, la forza-lavoro umana...». La contestazione non è cavillosa, ma semplicemente un corretto approfondimento della superficialità, potremmo dire tendente alla "conservazione sociale", che Lassalle immette nel programma del partito operaio tedesco. Intelligente operazione quella di Lassalle: mostrare come "rivoluzionario" un programma che invece è nel suo profondo un chiaro dettato riformista. La ricchezza, infatti, non è una produzione della "forza-lavoro" umana. La forza-lavoro trasforma quello che trova in qualche cosa di diverso e, in special modo, nel capitalismo la trasforma nella forma merceologica. È quanto ci troviamo intorno di materie prime che ci fornisce la possibilità di avere una ricchezza successiva: quindi è la natura a fornirci gli "oggetti" da trasformare in ricchezze sociali. Basterebbe questo per comprendere come Marx non veda nella "ricchezza" quel valore negativo che molti hanno attribuito ai comunisti di ogni tempo: due concezioni diverse del termine appunto. In quella borghese si intende la "ricchezza" come accumulazione non solo di capitali ma di oggetti preziosi, immobili, ville: quindi si giunge a dare al termine una connotazione di stile di vita, la determinazione della condizione di ceto sociale. Per Marx la "ricchezza" è prima di tutto non una condizione sociale, ma la fonte della eventuale produzione anche di una condizione sociale superiore alle altre. Nella natura Marx riconosce anche l'uomo come "ricchezza": anche qui in potenza. In atto l'essere umano è valore quando viene trasformato dal capitale in "forza-lavoro" e quindi diventa uno dei momenti della produzione del profitto. I comunisti sono solamente nemici della "ricchezza" divenuta "classe sociale" e quindi perno fondante dell'espansione del capitalismo. La borghesia padronale è quindi l'avversaria di classe dei proletari e, quindi, avversaria della parte politica che la combatte: il "partito comunista". Vi è un ulteriore elemento da sottolineare quando si parla della ricchezza: il suo valore sociale è tanto neutro quanto lo è, davanti agli studi di Marx, la condizione del capitalista. Non esiste, infatti, un padrone buono o un padrone filantropo e amico del proletariato. Esistono due distinte e dicotomiche realtà sociali: uomini che controllano la produzione della trasformazione delle materie prime in merce, e uomini che non hanno questo controllo e che quindi sono costretti nella loro vita a dare le loro capacità non a se stessi, ma a chi è il detentore dei mezzi di produzione, ossia delle fabbriche. Dare all'umanità la possibilità di costruire una produzione "sociale" della trasformazione delle ricchezze naturali in soddisfazione dei bisogni è lo scopo dei comunisti. Per questo Marx contesta a Lassalle, nel punto 5 del Programma di Gotha, di riportarsi in uno stretto ambito nazionale quando parla di liberazione della classe operaia: in effetti per il riformista tedesco «... la classe operaia agisce per la propria liberazione anzitutto nell'ambito dell'odierno Stato nazionale...». È ovvio, e Marx lo sostiene a pieni polmoni, che la classe operaia per generare la lotta che la porti alla sua liberazione si organizzi anche nazionalmente in termini di rivendicazioni e altro. Ma questo non può eludere il necessario quadro internazionale in cui i proletari e i comunisti devono muovere per dare concretezza all'azione di superamento del capitalismo una volta per tutte. Marco Sferini Aprile 2003 grazie a http://www.rifondazionesavona.it/ |