Karl Marx
Per la Critica dell'Economia Politica
Capitolo secondo. Il denaro ossia la circolazione semplice |
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In un dibattito parlamentare sulle leggi bancarie di Sir Robert
Peel del 1844 e del 1845, Gladstone osservava che nemmeno l'amore
aveva fatto impazzire tanti uomini quanti ne erano impazziti scervellandosi
sulla natura del denaro. Parlava di inglesi a inglesi. Gli olandesi,
invece, gente che, malgrado i dubbi del Petty, avevano da sempre
posseduto uno "spirito celeste" per la speculazione
monetaria, non hanno mai perso il loro spirito nella speculazione
teorica sulla moneta.
La difficoltà principale dell'analisi del denaro è
superata non appena la sua origine è concepita partendo
dalla merce stessa. Con questo presupposto si tratterà
semplicemente di afferrare nettamente le sue peculiari proprietà
formali, cosa che in un certo modo viene resa più difficile
perché tutti i rapporti borghesi appaiono dorati o argentati,
appaiono come rapporti di denaro, e perché la forma di
denaro sembra quindi avere un contenuto infinitamente vario che
è estraneo ad essa stessa.
Nell'indagine che segue è da ricordare che si tratta solo
di quelle forme del denaro che emergono direttamente dallo scambio
delle merci, non però di quelle sue forme legate a uno
stadio più elevato del processo di produzione, come ad
esempio la moneta di credito. Per semplicità l'oro è
sempre presupposto come la merce-denaro.
I. Misura dei valori
Il primo processo della circolazione è per così
dire un processo teorico che prepara la reale circolazione. Le
merci, esistenti come valori d'uso, si creano in un primo momento
la forma nella quale appaiono l'una all'altra idealmente come
valori di scambio, come determinati quantitativi di tempo di lavoro
generale oggettivato. Il primo atto necessario di questo processo
è, come vediamo, questo: le merci escludono una merce specifica,
diciamo l'oro, quale materializzazione immediata del tempo di
lavoro generale ossia quale equivalente generale. Ritorniamo per
un momento alla forma nella quale le merci trasformano l'oro in
denaro.
1 tonnellata di ferro = 2 once d'oro
1 quarter di grano = 1 oncia d'oro
1 quintale di caffè = 1/4 oncia d'oro
1 quintale di soda = 1/2 oncia d'oro
1 tonnellata di legno brasiliano = 1 1/2 once d'oro
Y merce = X once d'oro.
In questa serie di equazioni, il ferro, il grano, il caffè,
la soda, ecc. appaiono l'uno all'altro come materializzazione
di lavoro uniforme, cioè di lavoro materializzato in oro,
lavoro in cui siano cancellate in pieno tutte le particolarità
dei reali lavori, rappresentati nei loro differenti valori d'uso.
Come valore sono identiche, sono materializzazione del medesimo
lavoro, ossia sono la medesima materializzazione del lavoro, oro.
Come materializzazione uniforme dello stesso lavoro manifestano
una sola differenza, di carattere quantitativo, ossia appaiono
come grandezze di valore differenti, poiché nei loro valori
d'uso è contenuto un tempo di lavoro disuguale. Come tali
singole merci, esse sono in rapporto fra di loro anche come oggettivazione
del tempo di lavoro generale, riferendosi al tempo di lavoro generale
come a una merce esclusa, all'oro. Quella stessa relazione progressiva
per la quale si presentano come valori di scambio l'uno per l'altro,
esprime il tempo di lavoro contenuto nell'oro come tempo di lavoro
generale, di cui un dato quantitativo si esprime in quantità
differenti di ferro, grano, caffè, ecc., in breve, nei
valori d'uso di tutte le merci, ossia si svolge direttamente nella
serie infinita degli equivalenti-merci. Le merci esprimendo generalmente
i propri valori di scambio in oro, l'oro esprime il proprio valore
di scambio direttamente in tutte le merci. Le merci, dandosi reciprocamente
la forma del valore di scambio, danno all'oro la forma dell'equivalente
generale ossia del denaro.
Poiché tutte le merci misurano in oro i propri valori di
scambio nella proporzione in cui una determinata quantità
d'oro e una determinata quantità di merce contengono la
medesima quantità di tempo di lavoro, l'oro diventa la
misura dei valori; e in un primo momento è soltanto per
questa sua definizione di misura dei valori per la quale il suo
valore si misura direttamente nella cerchia complessiva degli
equivalenti-merci, che l'oro diventa equivalente generale ossia
denaro. D'altra parte, il valore di scambio di tutte le merci
si esprime ora in oro. E in questa espressione occorre distinguere
un elemento qualitativo e un elemento quantitativo. Il valore
di scambio delle merci esiste come materializzazione di un medesimo
e uniforme tempo di lavoro; la grandezza di valore della merce
è rappresentata in modo esauriente poiché le merci
sono equiparate l'una all'altra nella proporzione in cui si sono
equiparate all'oro. Da un lato appare il carattere generale del
tempo di lavoro contenuto in esse, dall'altro appare la quantità
di questo nel suo equivalente aureo. Il valore di scambio delle
merci, espresso in tal modo come equivalenza generale e allo stesso
tempo come grado di questa equivalenza in una merce specifica,
oppure in un'unica equazione fra le merci e una merce specifica,
è il prezzo. Il prezzo è la forma mutata nella quale
appare il valore di scambio delle merci in seno al processo di
circolazione.
Quindi, mediante il medesimo processo con cui esprimono i propri
valori come prezzi in oro, le merci esprimono l'oro come misura
dei valori e perciò come denaro. Se misurassero generalmente
i propri valori in argento o grano o rame, e quindi li esprimessero
come prezzi in argento, grano o rame, l'argento, il grano, il
rame diventerebbero misura dei valori e con ciò diventerebbero
equivalente generale. Per apparire come prezzi nella circolazione,
le merci, rispetto alla circolazione, sono presupposte come valori
di scambio. L'oro diventa misura dei valori soltanto perché
tutte le merci stimano il proprio valore di scambio in esso oro.
La generalità di questo riferimento progressivo, dalla
quale soltanto nasce il suo carattere di misura, presuppone però
che ogni singola merce si misuri in oro in proporzione del tempo
di lavoro contenuto in entrambi, che quindi misura reale fra merce
e oro sia il lavoro stesso, ossia che merce e oro siano equiparati
l'una all'altro come valori di scambio attraverso il diretto commercio
di scambio. Come avvenga praticamente questa equiparazione non
potrà essere discusso nella sfera della circolazione semplice.
Ma è chiaro per lo meno che, in paesi produttori di oro
e argento, un determinato tempo di lavoro si incorpora direttamente
in una determinata quantità di oro e di argento, mentre
in paesi che non siano produttori di oro e argento, questo stesso
risultato viene raggiunto per via traversa, mediante lo scambio
diretto o indiretto delle merci del paese, ossia di una determinata
porzione del lavoro medio nazionale, con una determinata quantità
del tempo di lavoro materializzato in oro e argento dei paesi
possessori di miniere. Per poter servire da misura dei valori,
l'oro deve essere virtualmente un valore variabile perché
soltanto come materializzazione del tempo di lavoro può
diventare l'equivalente di altre merci, e perché uno stesso
tempo di lavoro si realizza però, variando le forze produttive
del lavoro reale, in volumi ineguali dei medesimi valori d'uso.
Come per l'espressione del valore di scambio di ogni merce nel
valore d'uso di altra merce, così, nella valutazione di
tutte le merci in oro, è semplicemente presupposto che
l'oro in un dato momento esprima una data quantità di tempo
di lavoro. Rispetto alla variazione del suo valore vale la legge
dei valori di scambio che abbiamo svolta sopra. Se il valore di
scambio delle merci rimane invariato, un aumento generale dei
loro prezzi in oro sarà possibile soltanto se diminuirà
il valore di scambio dell'oro. Se il valore di scambio dell'oro
rimane invariato, un aumento generale dei prezzi in oro sarà
possibile soltanto se aumenteranno i valori di scambio di tutte
le merci. Il contrario accade nel caso di una diminuzione generale
dei prezzi delle merci. Se il valore di un'oncia d'oro diminuisce
o aumenta a causa di una variazione del tempo di lavoro richiesto
per la sua produzione, il suo valore diminuirà o aumenterà
uniformemente per tutte le altre merci, rappresenterà perciò
ora come prima per tutte le merci un tempo di lavoro di grandezza
data. Valori di scambio uguali si stimano ora in quantità
d'oro maggiori o minori di prima, ma si stimano in proporzione
delle loro grandezze di valore, essi conservano quindi l'uno rispetto
all'altro la stessa proporzione di valore. La proporzione 2:4:8
rimane uguale a quella di 1:2:4 o 4:8:16. La mutata quantità
d'oro in cui i valori di scambio si stimano con un valore-oro
mutante, non impedisce la funzione dell'oro come misura dei valori,
come il valore dell'argento, quindici volte minore di quello dell'oro,
non impedisce all'argento di soppiantare l'oro in questa sua funzione.
Siccome il tempo di lavoro è la misura fra oro e merce,
e siccome l'oro diventa misura dei valori soltanto in quanto tutte
le merci si misurano in esso, si tratta di semplice apparenza
del processo di circolazione, se il denaro sembra rendere commensurabili
le merci. È invece semplicemente la commensurabilità
delle merci quale tempo di lavoro oggettivato che rende l'oro
denaro.
La figura reale con cui le merci entrano nel processo di scambio
è quella dei loro valori d'uso. Reale equivalente generale
esse diventeranno soltanto mediante la loro alienazione. La determinazione
del loro prezzo è la loro trasformazione meramente ideale
nell'equivalente generale, equazione con l'oro che è ancora
da realizzarsi. Ma siccome le merci, nei loro prezzi, sono trasformate
in oro solo idealmente ossia in oro puramente immaginario, e siccome
il loro essere denaro non è ancora realmente separato dal
loro essere reale, l'oro ancora non è trasformato che in
denaro ideale, è ancora semplice misura dei valori, e determinate
quantità d'oro funzionano ancora, in realtà, semplicemente
come denominazioni per determinate quantità di tempo di
lavoro. Dal modo determinato in cui le merci esprimono l'una per
l'altra il proprio valore di scambio, dipenderà ogni volta
la determinatezza formale in cui l'oro si cristallizza come denaro.
Le merci si contrappongono ora come duplici esistenze, realmente
come valori d'uso, idealmente come valori di scambio. La duplice
forma del lavoro contenuto in esse, la esprimono ora l'una per
l'altra mediante la reale presenza del lavoro particolarmente
reale quale loro valore d'uso, mentre il tempo di lavoro astratto
generale acquisisce nel loro prezzo una presenza immaginaria,
nella quale le merci sono materializzazioni uniformi e solo quantitativamente
differenti di una medesima sostanza di valore.
La differenza fra valore di scambio e prezzo appare da un lato
come differenza soltanto nominale, così come Adam Smith
dice che il lavoro è il prezzo reale delle merci e il denaro
ne è il prezzo nominale. Invece di stimare un quarter di
grano trenta giornate lavorative, ora lo si stima un'oncia di
oro, qualora un'oncia d'oro sia il prodotto di trenta giornate
lavorative. D'altra parte, la differenza è tanto poco una
semplice differenza nominale che in essa sono concentrate invece
tutte le intemperie che minacciano la merce nel reale processo
di circolazione. Trenta giornate lavorative sono contenute nel
quarter di grano ed esso non dovrà quindi essere espresso
prima in tempo di lavoro. Ma l'oro è una merce diversa
dal grano, e nella circolazione soltanto potrà effettivamente
risultate se il quarter di grano diventa realmente un'oncia d'oro,
come è stato anticipato nel suo prezzo. Questo dipenderà
dal fatto che il quarter di grano si affermi o meno come valore
d'uso, che la quantità di tempo di lavoro in esso contenuta
si affermi o meno come la quantità di tempo di lavoro richiesta
dalla società come necessaria per la produzione di un quarter
di grano. La merce come tale è valore di scambio, ha un
prezzo. In questa differenza fra valore di scambio e prezzo si
vede che il lavoro individuale particolare, contenuto nella merce,
deve essere espresso soltanto mediante il processo dell'alienazione
come il proprio opposto, come lavoro privo di individualità,
astrattamente generale, e sociale solo in questa forma, ossia
come denaro. Sembra dipendere dal caso che il lavoro sia suscettibile
di tale espressione o no.
Quindi, sebbene il valore di scambio
della merce acquisisca nel prezzo solo idealmente un'esistenza
distinta dalla merce, e sebbene la duplice esistenza del lavoro
in essa contenuto esista ormai soltanto come diverso modo di espressione,
e d'altra parte la materializzazione del tempo di lavoro generale,
l'oro, si contrapponga ormai alla merce reale solo come misura
di valore immaginaria, nell'esistenza del valore di scambio come
prezzo, o dell'oro come misura di valore, è contenuta in
via latente la necessità dell'alienazione della merce in
cambio di oro sonante, la possibilità della sua non-alienazione,
in breve è contenuta in modo latente l'intera contraddizione;
questa deriva dal fatto che il prodotto è merce, ossia
che il lavoro particolare del singolo individuo, per avere effetto
sociale deve esprimersi come il proprio immediato opposto, come
lavoro astrattamente generale. Gli utopisti che vogliono la merce,
ma non il denaro, che vogliono la produzione basata sullo scambio
privato senza le condizioni necessarie di questa produzione, sono
perciò coerenti quando "distruggono" il denaro,
non soltanto nella sua forma tangibile, bensì già
nella sua forma aerea ed arzigogolata di misura dei valori. Nella
misura indivisibile dei valori sta in agguato la dura moneta.
Presupposto il processo pel quale l'oro è diventato la
misura dei valori, e il valore di scambio è diventato prezzo,
tutte le merci nei loro prezzi ormai non sono che immaginarie
quantità d'oro di grandezza diversa. In quanto tali quantità
diverse di una medesima cosa, dell'oro, le merci si assomigliano,
si raffrontano e si misurano l'una con l'altra, e in tal modo
si sviluppa tecnicamente la necessità di riferirle a una
determinata quantità d'oro come unità di misura,
la quale è bene sviluppata ulteriormente fino a diventare
una scala di misura mediante la sua suddivisione in parti aliquote
e la suddivisione di queste, a loro volta, in altre parti aliquote.
Ma le quantità d'oro come tali si misurano mediante il
peso. La scala delle misure si trova quindi già presente
nelle misure generali dei pesi dei metalli che in ogni circolazione
metallica servono quindi realmente in origine da misure dei prezzi.
Le merci non riferendosi più l'una all'altra come valori
di scambio da misurarsi mediante il tempo di lavoro, bensì
come grandezze di uguale denominazione, misurate in oro, l'oro
da misura dei valori si trasforma in scala dei prezzi. Il confronto
dei prezzi delle merci fra di loro come quantità diverse
d'oro si cristallizza in tal modo nelle figurazioni che sono iscritte
in una quantità immaginaria di oro e esprimono questa come
scala di parti aliquote. L'oro, come misura dei valori e come
scala di misura dei prezzi, ha una determinatezza formale del
tutto distinta, e lo scambiare l'una con l'altra ha provocato
il sorgere delle teorie più pazzesche. Misura dei valori
l'oro è in quanto tempo di lavoro oggettivato, scala di
misura dei prezzi l'oro è in quanto sia un determinato
peso metallico. Misura dei valori l'oro diventa quando, come valore
di scambio, è riferito alle merci come valori di scambio;
nella scala di misura dei prezzi una determinata quantità
di oro serve come unità per altre quantità d'oro.
L'oro è misura di valore perché il suo valore è
variabile; è scala di misura dei prezzi perché è
fissato come unità di peso invariabile. Qui, come in tutte
le determinazioni di misura di grandezze di uguale denominazione,
la fissità e la determinatezza delle proporzioni di misura
diventano decisive. La necessità di fissare una quantità
d'oro come unità di misura e di fissare parti aliquote
come suddivisioni di quest'unità, ha fatto nascere l'idea
che una determinata quantità d'oro, che naturalmente ha
valore variabile, sarebbe messa in un rapporto fisso di valore
nei confronti dei valori di scambio delle merci; dicendo questo
ci si dimentica però che i valori di scambio delle merci
sono trasformati in prezzi, in quantità d'oro, prima che
l'oro si sviluppi come scala di misura dei prezzi. Comunque varii
il valore dell'oro, quantità diverse d'oro rappresentano
l'una nei confronti dell'altra sempre lo stesso rapporto di valore.
Se il valore dell'oro diminuisse del mille per cento, dodici once
d'oro avrebbero pur sempre un valore dodici volte maggiore di
quello di un'oncia d'oro, e nei prezzi si tratta soltanto del
rapporto reciproco fra quantità di oro diverse. D'altra
parte, siccome un'oncia d'oro non cambia affatto il proprio peso
con la diminuzione o con l'aumento del proprio valore, non cambia
nemmeno il peso delle sue parti aliquote, e in tal modo l'oro
come scala fissa di misura dei prezzi compie sempre lo stesso
servizio per quanto varii il suo valore.
A un processo storico che spiegheremo più avanti risalendo
alla natura della circolazione metallica, dobbiamo il fatto che
per un peso costantemente variante e discendente di metalli nobili,
nella loro funzione di scala di misura dei prezzi, venisse conservata
la stessa denominazione di peso. Così la lira sterlina
inglese esprime meno di un terzo del suo peso originario, la lira
sterlina scozzese anteriore a l'Unione designa ora soltanto 1/36,
la livre francese 1/74, il maravedi spagnuolo meno di
1/1000, il re portoghese designa una proporzione di gran lunga
minore di quest'ultima. Così le denominazioni monetarie
dei pesi metallici si sono scisse storicamente dalle loro denominazioni
generali di peso. Siccome da una parte la determinazione dell'unità
di misura, delle sue parti aliquote e delle loro denominazioni,
è puramente convenzionale, e d'altra parte essa deve avere
entro la circolazione il carattere della generalità e della
necessità, essa dovette diventare determinazione legale.
L'operazione puramente formale toccò quindi ai governi.
Il metallo determinato che serviva da materiale del denaro era
dato socialmente. In paesi diversi la scala di misura legale dei
prezzi è naturalmente diversa. In Inghilterra p. es. l'oncia
come peso metallico è suddivisa in pennyweights,
grains e carats troy, ma l'oncia d'oro come
unità di misura del denaro è suddivisa in 3 7/8
di sovereigns, il sovereign in venti scellini, lo scellino in
dodici pence, così che cento sterline in oro a ventidue
carati (1.200 once) sono pari a 4.672 sovereigns e dieci
scellini. Sul mercato mondiale, tuttavia, dove scompaiono i confini
nazionali questi caratteri nazionali delle misure del denaro scompaiono
nuovamente e cedono il posto alle misure di peso generali dei
metalli.
Il prezzo di una merce, ossia la quantità d'oro in cui
è idealmente trasformata, si esprime quindi ora nelle denominazioni
monetarie della scala di misura dell'oro. Perciò, invece
di dire che il quarter di grano è pari a un'oncia d'oro,
in Inghilterra si direbbe che è pari a 3 lire sterline
17 scellini 10 1/2 pence. Tutti i prezzi si esprimono in tal modo
nella stessa denominazione. La forma peculiare che le merci conferiscono
al proprio valore di scambio è mutata in denominazioni
monetarie con cui si dicono l'una all'altra quanto valgono. Il
denaro a sua volta diventa moneta di conto.
La trasformazione della merce in moneta di conto, fatta mentalmente,
sulla carta, a voce, avviene tutte le volte che una qualsiasi
specie di ricchezza viene fissata dal punto di vista del valore
di scambio. Per questa trasformazione occorre il materiale dell'oro,
ma soltanto come materiale immaginario. Per stimare il valore
di mille balle di cotone in un determinato numero di once d'oro
e per esprimere questo numero d'once a sua volta nelle denominazioni
di conto dell'oncia, in lire sterline, scellini, pence, non occorre
neanche un atomo di oro reale. Così, in Scozia prima delle
leggi bancarie emanate da Sir Robert Peel nel 1845, non circolava
alcuna oncia d'oro, benché l'oncia d'oro, espressa come
misura di conto inglese in 3 lire sterline 17 scellini 10 1/2
pence, servisse da misura legale dei prezzi. Così, l'argento
serve da misura dei prezzi nello scambio delle merci fra Siberia
e Cina, benché il commercio sia in realtà commercio
di scambio e nient'altro. È quindi indifferente per il
denaro come moneta di conto che la sua stessa unità di
misura o le suddivisioni di questa siano realmente coniate. In
Inghilterra, all'epoca di Guglielmo il Conquistatore, esistevano
1 lira sterlina, allora 1 libbra di argento puro, e lo scellino,
1/20 di una libbra, soltanto come moneta di conto, mentre il penny,
1/240 di libbra d'argento, era la moneta d'argento più
grande che esistesse. Viceversa, nell'Inghilterra d'oggi, non
esistono scellini e pence benché siano denominazioni di
conto legali per parti determinate di un'oncia d'oro. Il denaro
come moneta di conto può in genere esistere solo idealmente,
mentre il denaro esistente realmente è coniato secondo
tutt'altra scala di misura. Così, in molte colonie inglesi
dell'America del Nord fino al secolo XVIII inoltrato il denaro
circolante consisteva di monete spagnuole e portoghesi, mentre
la moneta di conto era dappettutto la stessa che si aveva in Inghilterra.
Siccome l'oro, come scala di misura dei prezzi, si presenta nelle
stesse denominazioni di conto dei prezzi delle merci, e dunque
un'oncia d'oro è espressa in 3 lire sterline 17 scellini
10 1/2 pence, proprio come lo è una tonnellata di ferro,
queste sue denominazioni di conto si sono chiamate il suo prezzo
monetario. Perciò è nata la strana idea che l'oro
sia stimato nel suo proprio materiale, e che riceva un prezzo
fisso, a differenza di tutte le altre merci, per ragioni di Stato.
La fissazione di denominazioni di conto per determinati pesi d'oro
si riteneva erroneamente fosse la fissazione del valore di questi
pesi. L'oro, là dove serve da elemento della determinazione
del prezzo e quindi da moneta di conto, non soltanto non ha un
prezzo fisso, ma in generale non ha prezzo alcuno. Per avere un
prezzo, cioè per esprimersi come equivalente generale in
una merce specifica, quest'altra merce dovrebbe avere nel processo
di circolazione quella stessa funzione esclusiva che vi ha l'oro.
Ma due merci che escludano tutte le altre merci si escludono a
vicenda. Perciò, là dove l'oro e l'argento esistono
l'uno accanto all'altro, legalmente, come denaro, cioè
come misura del valore, si è sempre compiuto il vano tentativo
di trattarli come una sola e medesima materia. Presupposto che
il medesimo tempo di lavoro si oggettivi immutabilmente nella
medesima proporzione di argento e oro, in realtà è
presupposto che l'argento e l'oro siano la medesima materia, e
che l'argento, metallo meno pregiato, sia una frazione invariabile
di oro. Dal regno di Edoardo III all'epoca di Giorgio II, la storia
delle finanze inglesi si smarrisce in una continua serie di perturbazioni
derivanti dalla collisione fra la fissazione legale del rapporto
di valore fra l'oro e l'argento e le reali oscillazioni del loro
valore.Ora si stimava troppo alto l'oro, ora l'argento. Il metallo
stimato troppo poco veniva sottratto alla circolazione, fuso ed
esportato. Il rapporto di valore fra i due metalli veniva poi
modificato di nuovo legalmente, ma il nuovo valore nominale ben
presto entrava in conflitto con il rapporto reale del valore,
come era accaduto per quello vecchio. Nell'epoca nostra, la lievissima
e passeggera caduta del valore dell'oro in confronto a quello
dell'argento, dovuto alla domanda d'argento da parte dell'India
e della Cina, ha prodotto su scala massima quello stesso fenomeno
in Francia, esportazione dell'argento e sua cacciata dalla circolazione
da parte dell'oro. Durante gli anni 1855, 1856, 1857 l'eccedenza
dell'importazione di oro nei confronti dell'esportazione ammontava
in Francia a 41.580.000 lire sterline, mentre l'eccedenza dell'esportazione
d'argento nei confronti dell'importazione era di lire sterline
14.704.000. Infatti, in paesi come la Francia, nei quali tutte
e due i metalli sono per legge misura di valore e devono essere
accettati in pagamento entrambi, ma ognuno può a suo piacere
pagare nell'uno o nell'altro dei due metalli, il metallo che aumenta
di valore gode di un aggio e misura, come ogni altra merce, il
proprio valore nel metallo sopravvalutato, mentre quest'ultimo
soltanto serve da misura di valore. Tutte le esperienze storiche
si riducono in questo campo al semplice fatto che là dove
per legge due merci hanno la funzione di misura di valore, di
fatto è sempre una sola che riesce a mantenersi.
A. Teorie sull'unità di misura del denaro
Il fatto che le merci come prezzi sono trasformate in oro solo
idealmente e quindi l'oro è trasformato solo idealmente
in denaro, ha dato origine alla teoria della unità di misura
ideale del denaro. Siccome nella determinazione del prezzo funzionano
solo oro o argento immaginari, e l'oro e l'argento funzionano
solo come moneta di conto, è stato affermato che le denominazioni
di sterlina, scellino, pence, tallero, franco, ecc., invece di
disegnare parti di peso d'oro o d'argento o un lavoro oggettivato
comunque sia, designano piuttosto atomi ideali di valore. Perciò,
se p. es. il valore di un'oncia d'argento aumentasse, essa conterrebbe
un maggior numero di questi atomi e dovrebbe quindi essere calcolata
e coniata in un maggior numero di scellini. Questa dottrina, riaffermata
durante l'ultima crisi commerciale inglese e perfino presentata
in parlamento da due rapporti particolari acclusi al rapporto
del comitato bancario riunito nel 1858, risale alla fine del secolo
XVII.
All'epoca dell'avvento al trono di Guglielmo III il prezzo
della moneta inglese corrispondente a un'oncia d'argento ammontava
a 5 scellini 2 pence, ossia 1/62 di un'oncia di argento era chiamato
penny e 12 di questi pence erano chiamati scellino. Secondo questa
scala di misura un peso d'argento di 6 once, p. es., veniva monetato
in 31 pezzi dal nome di scellino. Il prezzo di mercato dell'oncia
d'argento saliva però al di sopra del suo prezzo monetario,
da 5 scellini e 2 pence a 6 scellini 3 pence, ossia per comprare
un'oncia di argento grezzo bisognava dare 6 scellini e 3 pence.
Com'era possibile che il prezzo di mercato di un'oncia d'argento
salisse al di sopra del suo prezzo monetario se quest'ultimo era
semplicemente la denominazione di conto per parti aliquote di
un'oncia d'argento? Ma l'enigma si risolse con semplicità.
Delle 5.600.000 lire sterline di moneta argentea allora in circolazione,
quattro milioni erano logori e limati. Risultò a una prova
che 57.200 lire sterline in argento, che avrebbero dovuto pesare
220.000 once, ne pesavano soltanto 141 mila. La zecca coniava
sempre secondo la stessa misura, ma gli scellini leggeri, realmente
circolanti, rappresentavano parti aliquote dell'oncia minori di
quel che pretendesse la loro denominazione. Un quantitativo piuttosto
notevole di questi scellini rimpiccioliti dovette quindi essere
pagato sul mercato per un'oncia di argento grezzo.
Quando, in
seguito alla perturbazione così sorta, fu decisa una monetazione
generale nuova, Lowndes, il secretary to the treasury, sostenne
che il valore dell'oncia d'argento era aumentato e che quindi
in avvenire l'oncia d'argento doveva essere monetata in 6 scellini
3 pence invece che in 5 scellini 2 pence, come si faceva prima.
Di fatto sosteneva dunque che, essendo aumentato il valore dell'oncia,
era diminuito il valore delle sue parti aliquote. Ma la sua falsa
teoria era un semplice coonestamento di un giusto scopo pratico.
I debiti dello Stato erano contratti in scellini leggeri, dovevano
forse essere ripagati in scellini pesanti? Invece di dire, ripagate
4 once d'argento là dove avete ricevuto 5 once nominalmente
ma in realtà soltanto 4, egli diceva viceversa: ripagate
nominalmente 5 once, ma riducetele a 4 once, secondo il contenuto
metallico, e chiamate scellino quello che prima chiamavate 4/5
di scellino. Lowndes teneva dunque in realtà fermo al contenuto
metallico, mentre in teoria teneva fermo alla denominazione di
conto. I suoi avversari, che tenevano fermo alla semplice denominazione
di conto e quindi dichiaravano che uno scellino con un difetto
di peso del 25-30 per cento era identico a uno scellino dal peso
esatto, sostenevano viceversa di tener fermo al solo contenuto
metallico. John Locke, il quale sosteneva la nuova borghesia in
tutte le sue forme, gli industriali contro le classi lavoratrici
e gli impoveriti, gli imprenditori commerciali contro gli usurai
all'antica, l'aristocrazia della Finanza contro i debitori dello
Stato, Locke, il quale in una sua opera dimostrò perfino
che l'intelletto borghese è l'intelletto umano normale,
raccolse anche il guanto di sfida lanciato da Lowndes. La vittoria
toccò a John Locke, e il denaro, preso a prestito a 10
o 14 scellini la ghinea, veniva restituito in ghinee da 20 scellini.
Sir James Steuart riassume ironicamente tutta la transazione con
queste parole: "Il governo realizzò un notevole
guadagno sulle imposte, i creditori sul capitale e sugli interessi,
e la nazione, unica vittima della truffa, era allegra come una
pasqua perché il suo standard (la scala di misura del proprio
valore) non era stato abbassato". Lo Steuart era dell'opinione
che in una fase ulteriore di sviluppo commerciale la nazione si
sarebbe mostrata più astuta. Sbagliava. Circa 120 anni
dopo si ripeté lo stesso quid pro quo.
Era una cosa del tutto naturale che il vescovo Berkeley, rappresentante
di un mistico idealismo nella Filosofia inglese, desse al principio
dell'unità di misura ideale del denaro un indirizzo teorico,
cosa che il pratico "secretary to the treasury"
aveva trascurato di fare. Egli domanda: "Non sono i nomi
di livre, lira sterlina, corona, ecc. da considerarsi semplici
nomi di proporzione?" (cioè proporzioni del valore
astratto come tale). "L'oro, l'argento o la carta sono
forse più che semplici biglietti o marche per il suo computo,
la sua registrazione e il suo controllo" (della proporzione
del valore). "Il potere di comandare l'industriosità
altrui" (il lavoro sociale) "non è forse
ricchezza? Ed è il denaro realmente altro che una marca
o un simbolo del trasferimento o della registrazione di tale potere,
ed è forse di grande importanza in che cosa consista il
materiale di queste marche?". Qui vediamo che da un
lato la misura dei valori è scambiata per la scala di misura
dei prezzi, dall'altro oro o argento come misura sono scambiati
per oro e argento come mezzo di circolazione. Siccome tutti i
metalli nobili, all'atto della circolazione, possono essere sostituiti
con marche, il Berkeley ne deduce che queste marche non rappresentano
nulla, ossia rappresentano il concetto del valore astratto.
La teoria dell'unità di misura ideale del denaro è
svolta così a fondo in Sir James Steuart che i suoi successori
- successori inconsapevoli in quanto non lo conoscono - non trovano
una nuova espressione di linguaggio e nemmeno un nuovo esempio.
"La moneta di conto - egli dice - non è
altro che una scala di misura arbitraria di parti uguali, inventata
per misurare il valore relativo di cose vendibili. La moneta di
conto è del tutto diversa dal denaro-moneta che è
prezzo, e potrebbe esistere benché non ci fosse una sostanza
al mondo capace di restituire l'equivalente proporzionale di tutte
le merci. La moneta di conto compie per il valore delle cose lo
stesso servizio che compiono gradi, minuti, minuti secondi, ecc.
per gli angoli o compiono scale di misura per le carte geografiche,
ecc. In tutte queste invenzioni è sempre presupposta come
unità la stessa denominazione. Come l'utilità di
tutte queste funzioni è semplicemente limitata all'indicazione
della proporzione così avviene per l'unità di denaro.
Questa non può quindi avere una proporzione determinata
invariabilmente nei confronti di una parte qualsiasi del valore,
ossia non può essere fissata in un qualsiasi quantitativo
determinato d'oro, argento o di un'altra qualsiasi merce. Una
volta data l'unità, si potrà salire al valore massimo
soltanto mediante la moltiplicazione. Siccome il valore delle
merci dipende da una generale confluenza di circostanze, che agiscono
su di esse, e di capricci degli uomini, il valore delle merci
dovrebbe essere considerato mutevole soltanto nelle loro reciproche
relazioni. Qualsiasi cosa che turbi o confonda l'accertamento
della variazione nelle proporzioni mediante una scala di misura
generale determinata e immutabile, non potrà che agire
in modo dannoso sul commercio. Il denaro è una scala di
misura puramente ideale di parti uguali. Se taluno domanda che
cosa debba essere l'unità di misura del valore di una parte,
io rispondo con quest'altra domanda: che cos'è la grandezza
normale di un grado, di un minuto, di un minuto secondo? Essi
non ne hanno, ma non appena è determinata una parte, la
natura di una scala vuole che segua in maniera proporzionata tutto
il resto. Esempi di questo denaro ideale sono la moneta bancaria
di Amsterdam o la moneta dell'Angola per la costa sudafricana."
Lo Steuart si limita semplicemente all'apparizione del denaro
nella circolazione come scala di misura dei prezzi e come moneta
di conio. Se merci diverse sono elencate nel listino prezzi a
15 scellini, 20 scellini, 36 scellini, in realtà, per il
raffronto delle loro grandezze di valore non mi interessa né
il contenuto argenteo né la denominazione dello scellino.
Le proporzioni numeriche di 15, 20, 36, ora dicono tutto, e il
numero 1 è diventato l'unica unità di misura. Espressione
puramente astratta di una proporzione è in genere soltanto
la stessa proporzione numerica astratta. Per essere conseguente,
lo Steuart doveva quindi lasciar andare non soltanto l'oro e l'argento,
bensì anche i loro nomi di battesimo legali. Siccome egli
non capisce la trasformazione della misura dei valori in scala
di misura dei prezzi, egli crede naturalmente che la determinata
quantità d'oro che serve da unità di misura, sia
riferita come misura non ad altre quantità d'oro, bensì
a valori come tali, poiché le merci, mediante la trasformazione
dei loro valori di scambio in prezzi, appaiono come grandezze
di una stessa denominazione, egli nega la qualità della
misura che le rende uguali di denominazione, e siccome, in questo
raffronto di quantità d'oro diverse, la grandezza della
quantità d'oro adibita a unità di misura è
convenzionale, egli nega che essa debba in genere essere fissata.
Invece di chiamare grado la 360ª parte di un circolo, egli
potrebbe chiamare grado la 180ª parte; in tal caso l'angolo
retto verrebbe misurato da 45 gradi invece che da 90, e gli angoli
acuti e ottusi in misura corrispondente.
Ciò nondimeno
la misura dell'angolo rimarrebbe sempre in primo luogo una figura
matematica qualitativamente determinata, il circolo, e in secondo
luogo una sezione del circolo quantitativamente determinata. Quanto
agli esempi economici dello Steuart, questi si batte da sé
con l'uno e non dimostra nulla con l'altro. Il denaro bancario
di Amsterdam in realtà non era che una denominazione di
conto per i doppioni spagnuoli i quali conservavano il loro pieno
peso di grasso stando pigramente immagazzinati nelle volte della
banca, mentre la laboriosa moneta corrente era dimagrita nel duro
attrito con il mondo esterno. Ma quanto agli idealisti africani,
dovremo abbandonarli al loro destino fino a che descrittori critici
di viaggi non ci avranno dato dei particolari sul loro conto.
Denaro quasi-ideale, nel senso dello Steuart, potrebbe essere
definito l'assegnato francese: "Proprietà nazionale,
Assegnato di franchi 100". In questo caso, è
vero, era specificato il valore d'uso che l'assegnato doveva rappresentare,
cioè la proprietà fondiaria confiscata, ma la determinazione
quantitativa dell'unità di misura era dimenticata, e il
"franco" era quindi un termine senza senso. Infatti
la quantità grande o piccola di terra che un franco d'assegnato
rappresentava, dipendeva dal risultato dell'asta pubblica. In
pratica però il franco-assegnato circolava come simbolo
di valore pel denaro argenteo, e con questa scala di misura dell'argento
si misurava quindi il suo deprezzamento.
L'epoca della sospensione dei pagamenti in contanti da parte della
Banca d'Inghilterra fu appena appena più fertile di bollettini
di guerra che di teorie sul denaro. Il deprezzamento delle banconote
e l'aumento del prezzo di mercato dell'oro al di sopra del suo
prezzo monetario ridestarono per alcuni difensori della Banca
la dottrina della misura ideale del denaro. L'espressione classicamente
confusa di questa opinione confusa la trovò Lord Castlereagh
designando l'unità di misura del denaro come "a
sense of value in reference to currency as compared with commodities".
Allorchè le circostanze, alcuni anni dopo la pace di Parigi,
consentirono la ripresa dei pagamenti in contanti, si fece sentire
in forma quasi identica quello stesso problema che Lowndes aveva
sollevato sotto Guglielmo III. Un enorme debito dello Stato e
una massa di debiti privati, di obbligazioni fisse, ecc. accumulati
durante più di vent'anni, erano contratti in banconote
deprezzate. Dovevano essere ripagati in banconote delle quali
4.672 sterline 10 scellini rappresentavano, non nominalmente,
ma obiettivamente, 100 sterline di oro a 22 carati?
Thomas Attwood,
banchiere di Birmingham, entrò in scena come un Lowndes
redivivo. Nominalmente i creditori dovevano riavere lo stesso
numero di scellini di quelli nominalmente dati, ma se in base
al vecchio conio si chiamava scellino all'incirca 1/78 d'oncia
d'oro, ora doveva essere battezzato scellino, diciamo, l/90. I
seguaci dell'Attwood sono noti come scuola di Birmingham dei "little
shilling-men". Il litigio sulla misura ideale del denaro,
cominciato nel 1819, perdurava sempre ancora nel 1845 fra Sir
Robert Peel e l'Attwood; la sapienza di quest'ultimo, in quanto
si riferisce alla funzione del denaro come misura, è riassunta
in modo esauriente nella seguente citazione: "Sir Robert
Peel domanda nella sua polemica con la camera di commercio di
Birmingham: che cosa rappresenterà il vostro biglietto
da una sterlina? Che cosa è una sterlina?... Viceversa,
che cosa si deve intendere allora per l'attuale unità di
misura del valore?... 3 sterline 17 scellini 10 1/2 pence, significano
un'oncia d'oro o il valore di questa? Se significano l'oncia stessa,
perché non chiamare le cose con il loro nome e non dire,
invece di lira sterlina, scellino, penny, piuttosto oncia, penny-weight
e gran? In tal caso torneremo al sistema del commercio di scambio
diretto... Oppure significano il valore? Se un'oncia = 3 lire
sterline 17 scellini 10 1/2 pence, perché in epoche diverse
valeva ora 5 lire sterline 4 scellini, ora 3 lire sterline 17
scellini 9 pence?... L'espressione lira sterlina (Lst.) si riferisce
al valore, ma non al valore fissato in una invariabile frazione
di peso d'oro. La lira sterlina è un'unità ideale...
Il lavoro è la sostanza alla quale si riducono i costi
di produzione, e il lavoro conferisce all'oro il suo valore relativo,
come lo conferisce al ferro. Qualsiasi denominazione di conto
si usi quindi per designare il lavoro giornaliero o settimanale
di un uomo, questa denominazione esprimerà il valore della
merce prodotta".
Nelle ultime parole l'idea nebulosa della misura ideale del denaro
si dilegua ed erompe il suo vero e proprio contenuto di pensiero.
Le denominazioni di conto dell'oro, sterlina, scellino, ecc. devono
essere denominazioni per determinate quantità di tempo
di lavoro, poiché il tempo di lavoro è sostanza
e misura immanente dei valori, quelle denominazioni raffigurerebbero
reali proporzioni di valore. In altre parole, il tempo di lavoro
è dichiarato vera unità di misura del denaro. Con
questo abbandoniamo la scuola di Birmingham, ma osserveremo così
di passaggio che la dottrina della misura ideale del denaro ebbe
una nuova importanza nella polemica sulla convertibilità
o inconvertibilità dei biglietti di banca. Se la carta
ha la sua denominazione dall'oro o dall'argento, la convertibilità
del biglietto di banca, ossia la possibilità di scambiarla
con oro o argento, rimane legge economica, quale sia la legge
giuridica. In tal modo un tallero-carta prussiano, benché
legalmente inconvertibile, sarebbe subito deprezzato qualora nei
rapporti d'uso valesse meno di un tallero-argento e quindi fosse
inconvertibile praticamente. I sostenitori coerenti della carta
moneta inconvertibile si rifugiarono quindi in Inghilterra nella
misura ideale del denaro. Se le denominazioni di conto del denaro,
lira sterlina, scellino ecc., sono denominazioni di una determinata
somma, sono atomi di valore dei quali una merce assorbe o cede
nello scambio con altre merci ora una maggiore quantità
ora una minore, un biglietto inglese da 5 sterline p. es. sarà
indipendente dal suo rapporto con l'oro proprio come lo è
dal rapporto con il ferro o il cotone. Siccome il suo titolo avrebbe
cessato di equipararlo in teoria a una determinata quantità
d'oro o di qualsiasi altra merce, l'esigenza della sua convertibilità,
ossia della sua pratica equiparazione a una determinata quantità
di una cosa specificata, sarebbe esclusa dal suo stesso concetto.
La dottrina del tempo di lavoro quale unità di misura diretta
del denaro è stata svolta sistematicamente per la prima
volta da John Gray. Questi fa accertare da una banca centrale
nazionale, per mezzo delle sue banche filiali, il tempo di lavoro
consumato nella produzione delle diverse merci. In cambio della
merce il produttore riceve un certificato ufficiale del valore,
ossia una quietanza per la quantità di tempo di lavoro
che è contenuta nella sua merce, e questi biglietti di
banca da 1 settimana lavorativa, da 1 giornata lavorativa, da
1 ora lavorativa, ecc. servono allo stesso tempo come biglietto
di credito per un equivalente in tutte le altre merci immagazzinate
nei recinti della banca. Questo è il principio fondamentale,
elaborato accuratamente nei particolari e sempre appoggiato a
istituzioni inglesi esistenti. Con questo sistema, dice il Gray,
"sarebbe in tutti i tempi reso facile vendere per denaro
come è facile ora comprare con denaro; la produzione sarebbe
la fonte uniforme, mai esaurentesi, della domanda".
I metalli nobili perderebbero il loro "privilegio" nei
confronti di altre merci e "verrebbero a occupare il
posto spettante loro sul mercato accanto al burro, alle uova,
al panno e al cotone, e il loro valore non ci interesserebbe più
di quello dei diamanti". "Dovremmo immaginare
la nostra misura immaginaria dei valori, l'oro, e incatenare in
tal modo le forze produttive del paese, oppure dovremmo avvicinarci
alla misura naturale dei valori, al lavoro, e lasciare libero
giuoco alle forze produttive del paese?"
Siccome il tempo di lavoro è la misura immanente dei valori,
perché avere accanto ad esso un'altra misura esterna? Perché
il valore di scambio diviene prezzo? Perché tutte le merci
stimano il proprio valore in una merce esclusiva, che in tal modo
viene trasformata nell'esistenza adeguata del valore di scambio,
in denaro? Questo era il problema che il Gray doveva risolvere.
Invece di risolverlo, egli si immaginava che le merci potessero
riferirsi l'una all'altra direttamente in quanto prodotti del
lavoro sociale. Ma le merci si possono riferire l'una all'altra
solo in quanto sono quello che sono. Le merci sono in modo immediato
prodotti di singoli lavori privati indipendenti, i quali mediante
la propria alienazione nel processo dello scambio privato, devono
confermarsi come lavoro sociale generale, ovvero il lavoro sulla
base della produzione mercantile diventa lavoro sociale soltanto
attraverso la generale alienazione dei lavori individuali. Ma
se il Gray presuppone il tempo di lavoro contenuto nelle merci
come tempo di lavoro immediatamente sociale, egli lo presuppone
come tempo di lavoro comune ossia come tempo di lavoro di individui
direttamente associati. Così, infatti, una merce specifica
come l'oro e l'argento, non potrebbe contrapporsi alle altre merci
come incarnazione del lavoro generale, il valore di scambio non
diventerebbe prezzo, ma non diventerebbe neanche valore di scambio
il valore d'uso, il prodotto non diventerebbe merce, e in tal
modo sarebbe eliminata la base della produzione borghese. Ma non
è affatto questa l'opinione del Gray. I prodotti dovrebbero
essere prodotti come merci, ma non scambiati come merci. Il Gray
incarica dell'esecuzione di questo pio desiderio una banca nazionale.
Da un lato la società, nella forma di banca, rende i singoli
individui indipendenti dalle condizioni dello scambio privato,
e dall'altro fa che essi continuino a produrre sulla base dello
scambio privato. La coerenza interna spinge tuttavia il Gray a
negare una dopo l'altra le condizioni della produzione borghese,
sebbene egli intenda "riformare" solo il denaro derivante
dallo scambio delle merci. Così egli trasforma il capitale
in capitale nazionale, la proprietà fondiaria in proprietà
nazionale, e guardando la sua banca un po' più, da vicino,
si trova non soltanto che con una mano riceve merci e con l'altra
distribuisce i certificati del lavoro consegnato, bensì
che essa regola la produzione stessa. Nel suo ultimo scritto Lectures
on Money nel quale cerca timorosamente di presentare il suo
denaro-lavoro come riforma puramente borghese, il Gray si confonde
in assurdità ancora più stridenti.
Ogni merce è direttamente denaro. Questa era la teoria
del Gray, derivata dalla sua analisi della merce incompleta e
quindi errata. La costruzione "organica" del "denaro-lavoro"
e della "banca nazionale" e dei "magazzini di merci"
è solo una chimera in cui il dogma è fatto apparire
come legge dominante il mondo. Il dogma che la merce è
direttamente denaro e che il lavoro particolare dell'individuo
privato in essa contenuto è direttamente lavoro sociale,
non diventa vero naturalmente pel fatto che una banca vi creda
e operi in base ad esso. Il fallimento si assumerebbe in tal caso
piuttosto la parte della critica pratica. Quello che nel Gray
rimane celato e rimane in particolare un segreto per lo stesso
Gray, ossia che il denaro-lavoro è una frase dal suono
economico per il pio desiderio di liberarsi del denaro, insieme
con il denaro del valore di scambio, insieme con il valore di
scambio della merce, e insieme con la merce della forma borghese
della produzione, è detto a chiare parole da alcuni socialisti
inglesi i quali hanno scritto in parte prima del Gray in parte
dopo. Ma rimase privilegio del signor Proudhon e della sua scuola
di predicare seriamente come nocciolo del socialismo la degradazione
del denaro e l'ascensione in cielo della merce e di ridurre in
tal modo il socialismo a un elementare malinteso circa il necessario
nesso fra merce e denaro.
II. Mezzi di circolazione
Dopo che, nel processo della fissazione del prezzo, la merce ha
ottenuto la forma atta alla circolazione e l'oro ha ottenuto il
suo carattere di denaro, la circolazione presenterà e allo
stesso tempo risolverà le contraddizioni racchiuse nel
processo di scambio delle merci. Il reale scambio delle merci,
ossia il processo di ricambio organico sociale, avviene in un
mutamento di forma nel quale si dispiega la duplice natura della
merce quale valore d'uso e quale valore di scambio, ma in cui
il mutamento di forma della merce si cristallizza allo stesso
tempo in determinate forme del denaro. La rappresentazione di
questo mutamento di forma è la rappresentazione della circolazione.
Come abbiamo visto che la merce non è che valore di scambio
dispiegato, così la circolazione presuppone generali atti
di scambio e il costante fluire del loro rinnovarsi. Secondo presupposto
è che le merci entrano nel processo di scambio come merci
definite nel prezzo o appaiono entro lo stesso l'una per l'altra
come duplici esistenze, realmente come valori d'uso, idealmente
- nel prezzo - come valori di scambio.
Nelle vie più frequentate di Londra un magazzino si affolla
accanto all'altro, e dietro i loro vuoti occhi di vetro pompeggiano
tutte le ricchezze del mondo, scialli d'India, revolvers americani,
porcellane cinesi, busti di Parigi, pellicce russe e spezie dei
tropici, ma tutte queste cose graziosamente mondane recano in
fronte fatali cartellini biancastri in cui sono incise cifre arabe
con i laconici caratteri Lst. s. d. Questa è l'immagine
della merce che appare nella circolazione.
a. La metamorfosi delle merci
Considerato più da vicino il processo di circolazione manifesta
due forme diverse di cicli. Chiamando M la merce e D il denaro
potremo esprimere queste due forme come:
M - D - M
D - M - D
In questa sezione ci occuperemo esclusivamente della prima forma
ossia della forma immediata della circolazione delle merci.
Il ciclo M - D - M si divide nel movimento M - D, scambio di merce
con denaro ossia vendita; nel movimento opposto D - M, scambio
di denaro con merce ossia compera, e nell'unità di questi
due movimenti M - D - M, scambio di merce con denaro, per scambiare
denaro con merce, ossia vendere per comprare. Ma come risultato
in cui il processo si estingue, abbiamo M - M, scambio di merce
con merce, il reale ricambio organico.
M - D - M, partendo dall'estremità della prima merce, rappresenta
la sua trasformazione in oro e la sua ritrasformazione da oro
in merce, ossia un movimento con il quale la merce esiste prima
come particolare valore di uso, poi abbandona quest'esistenza
e acquista un'esistenza distaccata da ogni nesso con la sua esistenza
naturale, un'esistenza come valore di scambio o equivalente generale,
abbandona a sua volta questa e infine rimane ferma come reale
valore d'uso per singoli bisogni. In quest'ultima forma dalla
circolazione cade nel consumo. L'insieme della circolazione M
- D - M è quindi la serie complessiva delle metamorfosi
che ogni singola merce percorre per diventare valore d'uso immediato
per il proprio possessore. La prima metamorfosi si compie nella
prima metà della circolazione M - D, la seconda nell'altra
metà D - M, e la circolazione intera costituisce il curriculum
vitae della merce. Ma la circolazione M - D - M è la metamorfosi
complessiva di una merce singola, soltanto essendo allo stesso
tempo la somma di determinate metamorfosi unilaterali di altre
merci, poiché ogni metamorfosi della prima merce è
la sua trasformazione in un'altra merce, quindi trasformazione
dell'altra merce in essa, dunque una trasformazione da entrambe
le parti che si compie nello stesso stadio della circolazione.
Dovremo in primo luogo considerare isolatamente ognuno dei due
processi di scambio in cui si divide la circolazione M - D - M.
M - D ossia vendita: M, la merce, entra nel processo di circolazione
non soltanto come valore d'uso particolare, p. es. come tonnellata
di ferro, bensì come valore d'uso di un determinato prezzo,
diciamo di 3 sterline 17 scellini 10 1/2 pence, ossia di una oncia
di oro. Questo prezzo che da un lato è l'esponente della
quantità di tempo di lavoro contenuta nel ferro, vale a
dire della sua grandezza di valore, esprime allo stesso tempo
il pio desiderio del ferro di diventare oro, vale a dire di dare
al tempo di lavoro contenuto in esso la figura del tempo di lavoro
generalmente sociale. Se questa transustanziazione non riesce,
la tonnellata di ferro cessa di essere non soltanto merce bensì
prodotto, poiché è merce soltanto perché
è valore non d'uso pel suo possessore, ossia il lavoro
di questo lavoro reale solo in quanto lavoro utile per altri;
ed è un lavoro utile per lui soltanto come lavoro astrattamente
generale. È quindi compito del ferro o del suo possessore
di scovare quel punto del mondo delle merci in cui il ferro attira
l'oro. Ma questa difficoltà, il salto mortale della merce,
è superata quando la vendita, come è presupposto
qui nell'analisi della circolazione semplice, avviene realmente.
La tonnellata di ferro, realizzandosi come valore d'uso per mezzo
della sua alienazione, vale a dire mediante il suo passaggio dalla
mano in cui è valore non d'uso nella mano in cui è
valore d'uso, realizza allo stesso tempo il proprio prezzo, e
da oro soltanto immaginario diventa oro reale. Al posto del nome
oncia d'oro, ossia 3 sterline 17 scellini 10 1/2 pence, è
ora subentrata un'oncia di oro reale, ma la tonnellata di ferro
ha abbandonato il suo posto. Mediante la vendita M - D non soltanto
la merce, che nel suo prezzo era idealmente trasformata in oro,
è realmente trasformata in oro, bensì, mediante
lo stesso processo l'oro che, come misura dei valori, era solo
oro ideale e di fatto figurava solo come denominazione di denaro
delle merci stesse, viene trasformato in oro reale. Come l'oro
era diventato idealmente equivalente generale, perché tutte
le merci misuravano in esso i propri valori, così ora diventa
la merce assolutamente alienabile, denaro reale, in quanto prodotto
della alienazione generale delle merci in cambio di esso oro,
e la vendita M - D è il processo di questa alienazione
generale. Ma l'oro diventa realmente denaro solo nella vendita,
perché i valori di scambio delle merci erano, nei prezzi,
già idealmente oro.
Nella vendita M - D, come nella compera D - M, si trovano di fronte
due merci, due unità di valore di scambio e di valore d'uso,
ma nella merce il valore di scambio esiste solo idealmente come
prezzo, mentre nell'oro, benché sia valore d'uso reale,
il valore d'uso esiste solo come depositario del valore di scambio
e quindi solo come valore formale, non riferito a un reale bisogno
individuale. Il contrasto fra valore d'uso e valore di scambio
si suddivide quindi polarmente sulle due estremità di M
- D, così che la merce, nei confronti dell'oro, è
un valore d'uso che deve prima realizzare nell'oro il suo valore
di scambio ideale, il prezzo, mentre l'oro, nei confronti della
merce, è un valore di scambio che materializza il suo valore
d'uso formale soltanto nella merce. Soltanto mediante questa duplicazione
della merce in merce e oro, e mediante la relazione a sua volta
duplice e opposta in cui ogni estremità è idealmente
quello che il suo opposto è realmente, ed è realmente
quello che il suo opposto è idealmente, dunque soltanto
mediante la rappresentazione delle merci come antitesi di duplice
polarità si risolvono le contraddizioni contenute nel processo
di scambio delle merci.
Finora abbiamo considerato M - D come vendita, come trasformazione
di merce in denaro. Ma se ci poniamo dall'altra parte dell'estremità,
questo medesimo processo appare invece come D - M, come compera,
dunque come trasformazione di denaro in merce. La vendita è
necessariamente insieme il proprio opposto, compera, è
l'una delle cose, se si considera il processo da un lato, ed è
l'altra, se la si considera dall'altro lato. Ossia, in realtà
il processo differisce solo perché in M - D l'iniziativa
parte dall'estremità della merce ossia del venditore, e
in D - M parte dall'estremità del denaro ossia del compratore.
Noi presentiamo dunque la prima metamorfosi della merce, la sua
trasformazione in denaro, come risultato del percorso del primo
stadio della circolazione M - D, presupponiamo dunque allo stesso
tempo che un'altra merce si sia già trasformata in denaro,
si trovi dunque già nel secondo stadio della circolazione,
D - M. Così andiamo a finire in un circolo vizioso di presupposti.
La circolazione stessa è questo circolo vizioso. Se in
M - D non consideriamo subito D come metamorfosi di un'altra merce,
estromettiamo l'atto di scambio dal processo di circolazione.
Ma fuori di questo scompare la forma M - D, e si stanno di fronte
ormai semplicemente due diverse M, diciamo ferro e oro, il cui
scambio non è un atto particolare della circolazione, bensì
del commercio di scambio immediato. L'oro alla fonte della sua
produzione è una merce come tutte le altre. Il suo valore
relativo e quello del ferro, o quello di qualsiasi altra merce,
si esprimono nelle quantità in cui essi si scambiano reciprocamente.
Ma nel processo di circolazione quest'operazione è presupposta,
nei prezzi delle merci è già dato il valore proprio
dell'oro.
Nulla potrà essere quindi più errato dell'idea
che entro il processo di circolazione oro e merce entrino nel
rapporto del commercio di scambio immediato e che quindi il loro
valore relativo venga ritrovato mediante il loro scambio in quanto
merci semplici. Allorchè pare che nel processo di circolazione
l'oro venga scambiato con altre merci come semplice merce, questa
parvenza deriva semplicemente dal fatto che, nei prezzi, una determinata
quantità di merce è già equiparata a una
determinata quantità d'oro, ossia è già riferita
all'oro come denaro, equivalente generale, e quindi è direttamente
scambiabile con esso. In quanto il prezzo di una merce si realizza
in oro essa si scambia con questo come merce, come materializzazione
particolare del tempo di lavoro, ma in quanto l'oro è il
prezzo della merce che si realizza in esso oro, la merce si scambia
con l'oro come denaro e non come merce, vale a dire con l'oro
in quanto materializzazione generale del tempo di lavoro. In entrambe
le relazioni però, la quantità di oro con cui la
merce si scambia entro il processo di circolazione, non è
determinata dallo scambio, bensì lo scambio è determinato
dal prezzo della merce, cioè dal suo valore di scambio
stimato in oro.
Entro il processo di circolazione, l'oro si presenta in ogni mano
come risultato della vendita M - D. Ma siccome M - D, la vendita,
è insieme D - M, compera, risulta che, mentre M, la merce
da cui parte il processo, compie la sua prima metamorfosi, l'altra
merce che le sta di fronte come estremità D, compie la
sua seconda metamorfosi, e quindi percorre la seconda metà
della circolazione, mentre la prima merce si trova ancora nella
prima metà del suo corso.
Come risultato del primo processo della circolazione, della vendita,
si ha il punto di partenza del secondo processo, il denaro. Al
posto della merce nella sua prima forma è subentrato il
suo equivalente in oro. Questo risultato potrà in un primo
tempo costituire un punto di sosta, poiché la merce ha,
in questa sua seconda forma, una propria esistenza perdurante.
La merce che in mano al suo possessore non è valore d'uso,
è presente ora in forma costantemente utile in quanto costantemente
scambiabile, e dipenderà dalle circostanze in quale momento
e in quale punto della superficie del mondo delle merci essa ritornerà
in circolazione. Il suo imbozzolamento aureo costituisce una sezione
autonoma della sua vita in cui essa potrà soffermarsi per
un periodo più o meno lungo. Mentre nel commercio di scambio,
lo scambio di un particolare valore d'uso è legato direttamente
allo scambio di altro particolare valore d'uso, il carattere generale
del lavoro creatore di valore di scambio appare nella separazione
e nel distacco definitivo dell'atto di compera e dell'atto di
vendita.
D - M, la compera, è il movimento inverso di M - D ed è
al tempo stesso la seconda metamorfosi o metamorfosi conclusiva
della merce. Come oro, oppure nella sua esistenza quale equivalente
generale, la merce è direttamente raffigurabile nei valori
d'uso di tutte le altre merci le quali, nei loro prezzi, tendono
nel contempo tutte all'oro quasi loro aldilà, ma contemporaneamente
indicano la nota con cui dovrà risuonare affinché
i loro corpi, i valori d'uso, balzino dalla parte del denaro,
ma la loro anima, il valore di scambio, entri con un balzo nell'oro
stesso. Il prodotto generale dell'alienazione delle merci è
la merce alienabile in assoluto. Non esiste un limite qualitativo,
bensì solo un semplice limite quantitativo alla trasformazione
dell'oro in merce, il limite che è posto all'oro dalla
sua quantità o grandezza di valore. "Tutto si può
avere per denaro contante." Mentre la merce, nel movimento
M - D, mediante alienazione del valore d'uso, realizza il proprio
prezzo e il valore d'uso del denaro altrui, nel movimento D -
M, mediante la sua alienazione quale valore di scambio, la merce
realizza il proprio valore d'uso e il prezzo dell'altra merce.
Se la merce, realizzando il proprio prezzo, trasforma al contempo
l'oro in denaro reale, mediante la sua ritrasformazione, essa
trasforma l'oro nella sua propria esistenza di denaro che si dilegua
semplicemente. Siccome la circolazione delle merci presuppone
una divisione del lavoro sviluppata, quindi una unilateralità
dei bisogni del singolo individuo in proporzione inversa dell'unilateralità
del suo prodotto, la compera D - M ora si esprimerà in
una equazione con un equivalente-merce, ora si scinderà
in una lunga serie di equivalenti-merce, circoscritta dalla cerchia
dei bisogni del compratore e dall'ammontare della sua somma di
denaro. Allo stesso modo che la vendita è al contempo compera,
la compera è al contempo vendita, D - M è al contempo
M - D, ma l'iniziativa spetta qui all'oro ossia al compratore.
Torniamo ora alla circolazione complessiva M - D - M. Risulterà
che in essa una merce percorre la serie complessiva delle sue
metamorfosi. Ma allo stesso tempo che essa inizia la prima metà
della circolazione e compie la prima metamorfosi, una seconda
merce entra nella seconda metà della circolazione, compie
la sua seconda metamorfosi e abbandona la circolazione, e, viceversa,
la prima merce entra nella seconda metà della circolazione,
compie la sua seconda metamorfosi e abbandona la circolazione,
mentre una terza merce entra nella circolazione, percorre la prima
metà del suo corso e compie la prima metamorfosi. La circolazione
complessiva M - D - M, quale metamorfosi complessiva di una merce,
è quindi sempre al contempo la fine della metamorfosi complessiva
di una seconda merce e l'inizio della metamorfosi complessiva
di una terza merce, è quindi una serie senza inizio e senza
fine. Segnamo, per chiarezza, per distinguere le merci, M in modo
diverso nei due estremi, p. es. M' - D - M''. In realtà,
il primo termine M' - D presuppone D quale risultato di un altro
M - D, è dunque a sua volta semplicemente l'ultimo termine
di M - D - M', mentre il secondo termine D - M'' è nel
suo risultato M'' - D, si rappresenta quindi esso stesso come
primo termine di M'' - D - M''', ecc. Inoltre si vede che l'ultimo
termine D - M, benché D sia risultato di una sola vendita,
può esprimersi come D - M' + D - M'' + D - M''' + ecc.,
può quindi scindersi in una massa di vendite, ossia in
una massa di primi termini di nuove metamorfosi complessive di
merci. Se dunque la metamorfosi complessiva di una singola merce
appare non soltanto come termine di una catena di metamorfosi
priva di inizio e di fine, bensì di molte di queste catene,
il processo di circolazione del mondo delle merci, giacchè
ogni singola merce percorre la circolazione M - D - M, appare
come un intrico di catene intrecciate all'infinito di questo movimento
che ha costantemente fine e costantemente inizio in punti infinitamente
differenti. Ma ogni singola vendita o compera esiste allo stesso
tempo come atto indifferente e isolato, il cui atto integrativo
può essere da questo separato nel tempo e nello spazio,
e quindi non occorre che gli sussegua immediatamente come continuazione.
Ogni particolare processo di circolazione M - D o D - M costituisce,
in quanto trasformazione di una merce in valore d'uso e trasformazione
dell'altra in denaro, come primo e secondo stadio della circolazione,
un punto fermo autonomo in due direzioni, ma siccome d'altra parte
tutte le merci iniziano la loro seconda metamorfosi sotto l'aspetto
dell'equivalente generale, comune ad esse, dell'oro, e si pongono
al punto di partenza della seconda metà della circolazione,
nella circolazione reale un qualsiasi D - M si colloca accanto
a un qualsiasi M - D, e il secondo capitolo della carriera di
una merce si colloca accanto al primo capitolo della carriera
dell'altra. A vende p. es. ferro per 2 lire sterline, compiendo
quindi M - D ossia la prima metamorfosi della merce ferro, ma
rimanda la compera ad epoca posteriore. Allo stesso tempo B, che
quindici giorni prima aveva venduto 2 quarter di grano per 6 lire
sterline, compera con queste giacca e pantaloni da Mosè
e Figlio, compie quindi D - M, ossia la seconda metamorfosi della
merce grano. Questi due atti D - M e M - D appaiono qui semplicemente
come anelli di una catena, perché in D, nell'oro, una merce
ha lo stesso aspetto dell'altra, e nell'oro non è possibile
riconoscere se si tratti di ferro in metamorfosi o di grano. Nel
processo della circolazione reale, M - D si esprime dunque come
giustapposizione e successione infinitamente casuale di anelli
di metamorfosi complessive differenti frammischiati alla cieca.
Il processo della circolazione reale appare quindi non come metamorfosi
complessiva della merce non come suo movimento attraverso fasi
opposte, bensì come semplice aggregato di molte compere
e vendite che casualmente si giustappongono o si succedono. In
tal modo è cancellata la determinatezza formale del processo,
e lo sarà in modo tanto più completo in quanto ogni
singolo atto della circolazione, ad esempio la vendita, è
al contempo il proprio opposto, la compera, e vicevera. D'altra
parte, il processo di circolazione è il movimento delle
metamorfosi del mondo delle merci e deve quindi anche rispecchiarle
nel proprio movimento complessivo. Il modo in cui riflette quel
movimento, lo considereremo, nella sezione seguente. Qui ci limiteremo
a osservare che in M - D - M i due estremi M non si trovano nel
medesimo rapporto formale con D. Il primo M è in rapporto
con D in quanto merce particolare in rapporto alla merce generale,
mentre il denaro in quanto merce generale è in rapporto
con il secondo M in quanto questo è merce singola. M -
D - M potrà quindi essere ridotto in modo astrattamente
logico alla forma conclusiva P - G - S, nella quale la particolarità
costituisce il primo estremo, la generalità il centro di
unione e la singolarità costituisce l'ultimo estremo.
I possessori di merci sono entrati nel processo di circolazione
come semplici custodi di merci. All'interno del processo l'uno
di fronte all'altro nella forma contrastante di compratore e di
venditore, l'uno pan di zucchero personificato, l'altro oro personificato.
Allo stesso modo che il pan di zucchero ora diventa oro, il venditore
diventa compratore. Questi caratteri sociali determinati non derivano
dunque in alcun modo dall'individualità umana in genere,
bensì dai rapporti di scambio di uomini, i quali producono
i loro prodotti nella forma determinata di merci. Tanto poco sono
i rapporti puramente individuali quelli che si esprimono nel rapporto
fra compratore e venditore, che questi due entrano in questo rapporto
solo in quanto il loro lavoro individuale viene negato, diventa
cioè lavoro di nessun individuo singolo, diventa denaro.
E come è sciocco dunque intendere questi caratteri - dal
punto di vista economico, borghese - del compratore e del venditore
come forme sociali eterne dell'individualità umana, altrettanto
sbagliato è piangerli come abolizione dell'individualità.
Essi sono una necessaria espressione dell'individualità
sulla base di un determinato stadio del processo di produzione
sociale. Nella contraffazione di compratore e venditore la natura
antagonistica della produzione borghese si esprime per giunta
ancora in modo così superficiale e formale che questa contrapposizione
si trova anche in forme sociali preborghesi, giacché essa
richiede semplicemente che gli individui si riferiscano l'uno
all'altro come possessori di merci.
Se ora consideriamo il risultato di M - D - M, esso si riduce
al ricambio organico M - M. Merce è stata cambiata con
merce, valore d'uso con valore d'uso, e la trasformazione in denaro
della merce, ossia la merce come denaro, non serve che alla mediazione
di questo ricambio. In tal modo il denaro appare come semplice
mezzo di scambio delle merci, ma non come mezzo di scambio in
generale, bensì come mezzo di scambio caratterizzato dal
processo di circolazione, vale a dire come mezzo di circolazione.
Voler dedurre che fra compera e vendita esiste solo l'unità
e non il distacco, dal fatto che in M - M il processo di circolazione
delle merci svanisce e quindi appare come commercio di scambio
semplicemente mediato dal denaro, o per il fatto che in generale
M - D - M non si scinde soltanto in due processi isolati, ma ne
rappresenta al contempo la loro unità in movimento, è
un modo di pensare che spetta criticare non all'economia bensì
alla logica. Allo stesso modo che il distacco che si ha fra compera
e vendita nel processo di scambio, spezza limiti del ricambio
organico sociale localmente radicati dal tempo resi sacri dalla
lunga tradizione o da uno sciocco sentimento, esso è al
contempo la forma generale della rottura e separazione di tutti
gli elementi che in esso erano uniti e della loro definizione
reciproca, in una parola è la possibilità generale
delle crisi commerciali, ma questo soltanto perché l'antitesi
merce e denaro è la forma astratta e generale di tutte
le antitesi contenute nel lavoro borghese.
La circolazione del
denaro può avvenire quindi senza crisi, ma non possono
esservi crisi senza la circolazione del denaro. Questo significa
però semplicemente che, laddove il lavoro basato sullo
scambio privato non è ancora giunto nemmeno alla formazione
del denaro, esso potrà naturalmente produrre ancora un
numero piuttosto piccolo di fenomeni che presuppongano il pieno
sviluppo del processo di produzione borghese. Si potrà
quindi giudicare della profondità di quella critica che
intende eliminare gli "inconvenienti" della produzione
borghese abolendo il "privilegio" dei metalli nobili
e inaugurando un cosiddetto "sistema monetario razionale".
Come saggio dell'apologetica degli economisti basterà un
ragionamento che ha fama di essere straordinariamente acuto. James
Mill, padre del noto economista inglese John Stuart Mill, dice:
"Non può mai esserci mancanza di compratori per
tutte le merci. Chiunque offra in vendita una merce, esige di
riceverne un'altra in cambio, ed è quindi compratore per
il solo fatto di essere venditore. Compratori e venditori di tutte
le merci presi nel loro insieme, devono quindi equilibrarsi in
virtù di una necessità metafisica. Perciò,
se vi sono più venditori che compratori di una merce, dovranno
esserci più compratori che venditori di un'altra merce".
Mill stabilisce l'equilibrio trasformando il processo di circolazione
in commercio di scambio diretto, immettendo però di contrabbando
nel commercio di scambio diretto di nuovo le figure del compratore
e del venditore mutuate dal processo di circolazione. Per usare
il suo linguaggio confuso, vi sono, nei momenti in cui tutte le
merci sono invendibili, come ad esempio a Londra e ad Amburgo
durante certi momenti della crisi commerciale del 1857-58, realmente
più compratori che venditori di una merce, del denaro,
e più venditori che compratori di tutto il restante denaro,
delle merci. L'equilibrio metafisico delle compere e delle vendite
si limita al fatto che ogni compera è una vendita e ogni
vendita è una compera, il che non costituisce un gran conforto
per i custodi delle merci, i quali non riescono a vendere e quindi
neanche a comprare.
La separazione fra vendita e compera rende possibile, con il commercio
vero e proprio, una quantità di apparenti transazioni prima
dello scambio definitivo fra produttori di merci e consumatori
di merci. In tal modo questa separazione consente a una massa
di parassiti di insinuarsi nel processo di produzione e di sfruttare
il distacco. Ma questo a sua volta significa semplicemente che
con il denaro, quale forma generale del lavoro borghese, è
data la possibilità dello sviluppo delle contraddizioni
del lavoro borghese.
La circolazione del denaro
La circolazione reale si presenta in un primo momento come una
massa di compere e di vendite casualmente parallele. Nella compera,
come nella vendita, merce e denaro si stanno di fronte sempre
nella medesima relazione, il venditore dalla parte della merce,
il compratore dalla parte del denaro. Il denaro come mezzo di
circolazione appare quindi sempre come mezzo di acquisto, nel
quale le sue differenti definizioni nelle fasi opposte della metamorfosi
delle merci sono diventate irriconoscibili.
Il denaro passa nelle mani del venditore nello stesso atto in
cui la merce passa in quelle del compratore. Merce e denaro si
muovono quindi in direzione opposta, e questo cambiamento di posti
nel quale la merce passa da una parte e il denaro dall'altra,
si compie contemporaneamente in un numero indeterminato di punti
su tutta la superficie della società borghese. Ma il primo
passo con cui la merce entra in circolazione, è allo stesso
tempo il suo ultimo. Sia che essa lasci il suo posto, perché
l'oro è attratto da essa (M - D), sia perché venga
attratta dall'oro (D - M), con quel solo movimento, con quell'unico
cambiamento di posto, la merce passa dalla circolazione nel consumo.
La circolazione è un movimento costante di merci, ma di
merci sempre differenti, e ogni merce si muove una volta sola.
Ogni merce inizia la seconda metà della propria circolazione
non come la medesima merce, bensì come un'altra merce,
come oro. Quella medesima moneta o quel medesimo individuo-oro,
che nell'atto M - D ha cambiato posto una volta con una merce,
si presenta viceversa di nuovo come punto di partenza di D - M
e in tal modo cambia posto per la seconda volta, con un'altra
merce. Allo stesso modo che la moneta passa dalle mani del compratore
B nelle mani del venditore A, essa passa ora dalle mani di A,
divenuto compratore, nelle mani di C. Il movimento formale di
una merce, la sua trasformazione in denaro e la sua ritrasformazione
dal denaro, ossia il movimento della metamorfosi complessiva della
merce, si esprime dunque come il movimento esterno di una medesima
moneta, la quale cambia due volte posto con due merci differenti.
Per quanto frazionate e casuali si giustappongono compere e vendite,
nella circolazione reale a un compratore si contrappone sempre
un venditore, e il denaro che prende il posto della merce venduta,
prima di capitare nelle mani del compratore, deve già aver
cambiato posto una volta con un'altra merce. D'altra parte, presto
o tardi, passa di nuovo dalle mani del venditore, diventato compratore,
in quelle di un nuovo compratore, e in questa sua frequente ripetizione
del cambiamento di posto esprime la concatenazione delle metamorfosi
delle merci. Le stesse monete si spostano dunque, sempre in direzione
opposta a quella delle merci in movimento, l'una più spesso,
l'altra meno spesso, da un posto della circolazione all'altro,
e descrivono quindi un arco di circolazione più o meno
lungo. Questi movimenti differenti di una medesima moneta possono
susseguirsi solo nel tempo, allo stesso modo che, viceversa, la
molteplicità e il frazionamento delle compere e delle vendite
si presentano nel simultaneo cambiamento di posto delle merci
e del denaro, parallelo nello spazio e compiuto una volta tanto.
La circolazione della merce M - D - M, nella sua forma semplice,
si compie nel passaggio del denaro dalle mani del compratore in
quelle del venditore, e dalle mani del venditore, divenuto compratore,
in quelle di un nuovo venditore. In tal modo è terminata
la metamorfosi della merce, e di conseguenza è terminato
il movimento del denaro in quanto ne è l'espressione. Ma
siccome sempre nuovi valori d'uso vengono prodotti come merci
e di conseguenza devono essere gettati nella circolazione, M -
D - M si ripete e si rinnova da parte dei medesimi possessori
di merci. Il denaro che questi hanno speso come compratori, ritorna
nelle loro mani non appena si presentino di nuovo come venditori
di merci. Il costante rinnovo della circolazione delle merci si
riflette in tal modo nel fatto che il denaro non soltanto scivola
costantemente da una mano nell'altra, ma allo stesso tempo percorre
una somma di difrerenti piccoli cicli partendo da punti infinitamente
differenti e tornando a questi stessi punti per ripetere di bel
nuovo il medesimo movimento.
Se il cambiamento formale delle merci appare come semplice cambiamento
di posto del denaro e se la continuità del movimento circolatorio
sta interamente dalla parte del denaro pel fatto che la merce
fa sempre un solo passo in direzione opposta a quella del denaro,
mentre il denaro invece fa sempre il secondo passo per la merce
e dice B là dove la merce ha detto A, in tal modo l'intero
movimento sembra partire dal denaro, sebbene la merce all'atto
della vendita allontani il denaro dal suo posto e quindi metta
in circolazione il denaro allo stesso modo che è messa
in circolazione dal denaro all'atto della compera. Siccome inoltre
il denaro le si contrappone sempre nella medesima relazione come
mezzo d'acquisto e come tale tuttavia muove le merci solo realizzando
il loro prezzo, l'intero movimento della circolazione si presenta
in questo modo: il denaro cambia posto con le merci realizzando
i loro prezzi sia in particolari atti di circolazione che si verifichino
contemporaneamente l'uno accanto all'altro, sia in successione,
quando la medesima moneta realizzi prezzi di merci differenti
l'uno dopo l'altro. Se consideriamo p. es. M - D - M' - D - M''
- D - M''' ecc., astraendo dagli elementi qualitativi che nel
processo di circolazione reale diventano irriconoscibili, risulta
soltanto una medesima operazione monotona. D, realizzato il prezzo
di M, realizza successivamente i prezzi di M' - M'' ecc., e le
merci M' - M'' - M''' ecc. subentrano sempre al posto abbandonato
dal denaro. Pare dunque che il denaro metta in circolazione le
merci realizzando i loro prezzi. In questa funzione di realizzazione
dei prezzi esso stesso circola costantemente, ora cambiando semplicemente
di posto, ora percorrendo un arco circolatorio, ora descrivendo
un piccolo circolo in cui i punti di partenza e il punto di ritorno
coincidono. Come mezzo di circolazione il denaro ha la sua propria
circolazione. Il movimento formale delle merci in movimento appare
quindi come il suo proprio movimento, mediatore dello scambio
delle merci di per sé prive di movimento. Il movimento
del processo di circolazione delle merci si esprime quindi nel
movimento del denaro in quanto mezzo di circolazione nella circolazione
del denaro.
Allo stesso modo che i possessori di merci presentavano i prodotti
dei loro lavori privati come prodotti di lavoro sociale, trasformando
un oggetto, l'oro, in un'esistenza immediata del tempo di lavoro
generale e con ciò in denaro, ora si contrappone ad essi
il loro proprio movimento onnilaterale col quale mediano il ricambio
organico dei loro lavori, come movimento peculiare di un oggetto,
come circolazione dell'oro. Il movimento sociale stesso è
per i possessori di merci da un lato necessità esterna,
dall'altro un processo mediatore semplicemente formale, che ad
ogni singolo individuo dà la facoltà di estrarre
dalla circolazione in cui getta il valore d'uso, altri valori
d'uso per un medesimo volume di valore. Il valore d'uso della
merce ha inizio con la sua uscita dalla circolazione, mentre il
valore di uso del denaro come mezzo di circolazione è la
circolazione stessa del denaro. Il movimento della merce nella
circolazione è solo un movimento che scompare, mentre l'ininterrotto
aggirarsi nella circolazione diventa la funzione del denaro. Questa
sua peculiare funzione all'interno del processo di circolazione,
dà al denaro come mezzo di circolazione una nuova determinatezza
formale che ora dovremo svolgere in modo più particolare.
In un primo momento si comprende facilmente che la circolazione
del denaro è un movimento infinitamente frazionato poiché
vi si rispecchiano l'infinito frazionamento del processo circolatorio
in compere e in vendite e l'indifferente distaccarsi delle fasi
integrantisi della metamorfosi delle merci. Nei cicli brevi percorsi
dal denaro, nei quali punto di partenza e punto di ritorno coincidono,
si manifesta, è vero, un movimento di ripiego, un reale
movimento circolare ma ci sono purtuttavia tanti punti di partenza
quante sono le merci, e già per la loro indeterminata numerosità,
questi cicli si sottraggono ad ogni controllo, ad ogni misura
e ad ogni calcolo.
E inoltre non è determinato il tempo fra allontanamento
dal punto di partenza e ritorno ad esso. Ed è anche indifferente
che in un dato caso venga percorso uno di questi cicli o meno.
Nessun fatto economico è noto più generalmente di
questo: si può spendere del denaro con l'una delle mani
senza che con l'altra lo si riprenda di nuovo. Il denaro parte
da punti infinitamente differenti e ritorna in punti infinitamente
differenti ma la coincidenza del punto di partenza e del punto
di ritorno è casuale, perché nel movimento M - D
- M la ritrasformazione del compratore in venditore non è
condizione necessaria. E ancora meno, la circolazione del denaro
rappresenta un movimento che si irradi da un centro verso tutti
i punti della periferia e da tutti i punti della periferia a quello
stesso centro. Il cosiddetto corso circolatorio del denaro, come
immagine dinanzi ai nostri occhi, si limita al fatto che in tutti
i punti si scorgono la sua comparsa e la sua scomparsa, il suo
ininterrotto cambiamento di posto. In una forma mediatrice più
elevata della circolazione del denaro, p. es. nella circolazione
dei biglietti di banca, troveremo che le condizioni del dispendio
del denaro implicano le condizioni del suo riaffluire. Per la
circolazione semplice del denaro è per contro un caso che
il medesimo compratore diventi di nuovo venditore. Là dove
si manifestano costantemente reali movimenti circolatori, questi
non sono che un semplice riflesso di processi di produzione più
profondi. L'industriale prende p. es. il denaro dal proprio banchiere
il venerdì, lo paga il sabato ai suoi operai, questi ne
pagano la massima parte subito ai bottegai, ecc., e quest'ultimi,
il lunedì, lo riportano al banchiere. Abbiamo visto che
il denaro realizza contemporaneamente una data massa di prezzi
nelle compere e vendite che nello spazio corrono parallelamente
alla rinfusa, e che una volta soltanto cambia il posto con le
merci. Ma d'altra parte, in quanto nel suo movimento appaiono
il movimento delle metamorfosi complessive delle merci e la concatenazione
di queste metamorfosi, una medesima moneta realizza i prezzi di
merci differenti e compie in tal modo un numero maggiore o minore
di circolazioni. Se prendiamo dunque il processo di circolazione
di un paese in un dato periodo di tempo, in un giorno p. es.,
la massa d'oro necessaria per la realizzazione dei prezzi e quindi
per la circolazione, sarà determinata dal duplice elemento
della somma complessiva di questi prezzi da un lato, e dall'altro
dal numero medio delle circolazioni delle medesime monete. Questo
numero delle circolazioni, ossia la velocità della circolazione
del denaro, è a sua volta di nuovo determinata, ossia esprime
semplicemente la velocità media con la quale le merci percorrono
le differenti fasi della loro metamorfosi, nelle quali queste
metamorfosi si prolungano in una catena e nelle quali le merci
che hanno compiuto le loro metamorfosi, sono sostituite nel processo
di circolazione da merci nuove. Mentre dunque nella fissazione
del prezzo il valore di scambio di tutte le merci è trasformata
idealmente in una quantità d'oro di identica grandezza
di valore, e nei due atti isolati della circolazione D - M e M
- D la stessa somma di valore esisteva in duplice modo, da una
parte in merce, dall'altra in oro, l'esistenza dell'oro quale
mezzo di circolazione non è determinata dal suo riferimento
isolato alle singole merci in riposo, bensì dalla sua movimentata
esistenza nel mondo delle merci in movimento; ed è determinata
dalla sua funzione di esprimere, nel proprio cambiamento di posto,
la velocità del cambiamento formale delle merci. La sua
reale esistenza nel processo di circolazione, vale a dire la massa
reale di oro alla quale circola, è ora dunque determinata
dalla sua esistenza funzionante nello stesso processo complessivo.
Presupposto della circolazione del denaro è la circolazione
delle merci; e cioè, il denaro fa circolare merci che hanno
prezzi, ossia sono già equiparate idealmente a determinate
quantità d'oro. Nella determinazione dei prezzi delle merci
stesse, la grandezza di valore della quantità d'oro presa
come unità di misura, ossia il valore dell'oro, è
presupposto come dato. Partendo da questo presupposto la quantità
di oro necessaria alla circolazione è dunque determinata
in primo luogo dalla somma complessiva dei prezzi delle merci
da realizzarsi. Questa somma complessiva è essa stessa
però determinata 1) dal grado del prezzo, dai relativamente
alti o bassi valori di scambio delle merci stimati in oro e 2)
dalla massa delle merci circolanti a determinati prezzi, dunque
dalla massa delle compere e delle vendite a prezzi dati. Se un
quarter di grano costa 60 scellini, occorrerà una doppia
quantità d'oro per farlo circolare o per realizzare il
suo prezzo che non quando il quarter costa soltanto 30 scellini.
Per la circolazione di 500 quarter a 60 scellini occorrerà
una doppia quantità d'oro che non per la circolazione di
250 quarter allo stesso prezzo. Infine, per la circolazione di
10 quarter a100 scellini basterà metà dell'oro necessario
per la circolazione di 40 quarter a 50 scellini. Ne consegue quindi
che la quantità di oro necessaria per la circolazione delle
merci può diminuire malgrado l'aumento dei prezzi, nel
caso che la massa delle merci in circolazione diminuisca in proporzione
maggiore dell'aumento della somma complessiva dei prezzi, e che,
per contro, la massa dei mezzi di circolazione può aumentare
qualora diminuisca la massa delle merci in circolazione, ma la
somma dei loro prezzi aumenti in proporzione maggiore. Alcune
belle ricerche particolari compiute da inglesi hanno così
ad esempio dimostrato che in Inghilterra, nei primi stadi di una
carestia di grano, la massa del denaro circolante aumenta, perché
la somma dei prezzi della massa di grano diminuita è maggiore
di quella che era la somma dei prezzi della massa di grano maggiore,
ma che contemporaneamente, per un certo tempo, la circolazione
della massa rimanente delle merci continua e ai prezzi vecchi.
In uno stadio ulteriore della carestia del grano, la massa del
denaro circolante diminuisce invece, o perché, accanto
al grano, un minore numero di merci è venduto ai prezzi
vecchi o perché altrettante merci sono vendute a prezzi
più bassi.
Ma la quantità del denaro circolante, come abbiamo visto,
non è determinata soltanto dalla somma complessiva dei
prezzi delle merci da realizzarsi, bensì al contempo dalla
velocità con la quale il denaro circola ossia compie in
un dato periodo di tempo la funzione di questa realizzazione.
Se una stessa sovrana in uno stesso giorno fa dieci compere, ogni
volta di una merce del prezzo di una sovrana, dunque cambiando
di mano dieci volte, questa sovrana compirà esattamente
la stessa funzione che compirebbero 10 sovrane, delle quali ognuna
circolasse solo una volta al giorno. La velocità nella
circolazione dell'oro può quindi sostituirne la quantità,
ossia l'esistenza dell'oro nel processo di circolazione non è
determinata soltanto dalla sua esistenza come equivalente accanto
alla merce, bensì anche dalla sua esistenza entro il movimento
della metamorfosi della merce. La velocità della circolazione
del denaro sostituisce, tuttavia, la sua quantità solo
fino a un certo grado, poiché compere e vendite infinitamente
frazionate si trovano, in ogni dato momento, parallele nello spazio.
Se i prezzi complessivi delle merci in circolazione aumentano,
in proporzione minore però della velocità della
circolazione del denaro, la massa dei mezzi di circolazione diminuirà.
Se, viceversa, la velocità della circolazione diminuisce
in proporzione maggiore che non il prezzo complessivo della massa
di merci in circolazione, la massa dei mezzi di circolazione aumenterà.
Quantità crescente dei mezzi di circolazione con prezzi
generalmente in diminuzione, quantità dei mezzi di circolazione
in diminuzione con prezzi generalmente in aumento, ecco uno dei
fenomeni più largamente constatati nella storia dei prezzi
delle merci. Ma le cause le quali determinano l'aumento del grado
dei prezzi e allo stesso tempo un aumento anche maggiore nel grado
della velocità di circolazione del denaro, come anche il
movimento opposto, non rientrano nella considerazione della circolazione
semplice. Come esempio si potrà ricordare che, fra l'altro,
in epoche di predominio del credito, la velocità della
circolazione del denaro cresce più rapidamente che non
i prezzi delle merci, mentre, in casi di credito in diminuzione,
i prezzi delle merci diminuiscono più lentamente che non
la velocità della circolazione.
Il carattere superficiale
e formale della circolazione semplice del denaro si manifesta
per l'appunto nel fatto che tutti gli elementi determinanti l'ammontare
dei mezzi di circolazione, come la massa delle merci circolanti,
i prezzi, il loro aumento o diminuzione, il numero delle compere
e delle vendite, la velocità della circolazione del denaro,
dipendono dal processo della metamorfosi del mondo delle merci,
il quale a sua volta dipende dal carattere complessivo del modo
di produzione, dalla densità della popolazione, dal rapporto
fra città e campagna, dallo sviluppo dei mezzi di trasporto,
da una maggiore o minore divisione del lavoro, dal credito, ecc.,
in breve da circostanze che si trovano tutte al di fuori della
circolazione semplice del denaro e che vi si riflettono semplicemente.
Presupposta la velocità della circolazione, la massa dei
mezzi di circolazione è dunque semplicemente determinata
dai prezzi delle merci. I prezzi non sono quindi alti o bassi
perché circola più o meno denaro, bensì circola
più o meno denaro perché i prezzi sono alti o bassi.
È questa una delle più importanti leggi economiche,
la cui dimostrazione particolareggiata in base alla storia dei
prezzi costituisce forse l'unico merito dell'economia postricardiana.
Se ora l'esperienza mostra che il livello della circolazione metallica,
ossia la massa dell'oro o argento in circolazione in un determinato
paese, è, sì, esposto ad alti e bassi temporanei
e talvolta ad alti e bassi molto tempestosi, che però per
periodi di tempo piuttosto lunghi rimane eguale, e le deviazioni
dal livello medio si riducono solo a deboli oscillazioni, questo
fenomeno si spiega semplicemente con la natura antitetica delle
circostanze che determinano la massa del denaro circolante. La
loro modificazione simultanea paralizza il loro effetto e lascia
ogni cosa al punto di prima.
La legge per la quale, data la velocità di circolazione
del denaro e data la somma dei prezzi delle merci, è determinata
la quantità del medio circolante, si può anche formulare
dicendo che, dati i valori di scambio delle merci e la velocità
media delle loro metamorfosi, la quantità dell'oro circolante
dipenderà dal valore dell'oro stesso. Quindi, se il valore
dell'oro, ossia il tempo di lavoro necessario per la sua produzione,
aumentasse o diminuisse, i prezzi delle merci aumenterebbero o
diminuirebbero in proporzione inversa, e a questo aumento o a
questa diminuzione generale dei prezzi, restando invariata la
velocità della circolazione, corrisponderebbe una massa
maggiore o minore dell'oro richiesto per la circolazione di quella
stessa massa di merci. Il medesimo cambiamento si avrebbe, qualora
la vecchia misura del valore fosse soppiantata da un metallo più
prezioso o meno prezioso. Così l'Olanda, quando per un
delicato riguardo verso i creditori dello Stato e per timore degli
effetti delle scoperte in California e in Australia, sostituì
la moneta d'oro con la moneta d'argento, ebbe bisogno di una quantità
d'argento 14-15 volte maggiore di quella d'oro di cui si serviva
prima per far circolare la identica massa di merci.
Siccome la quantità d'oro circolante dipende dalla somma
variabile dei prezzi delle merci e dalla variabile velocità
della circolazione, ne consegue che la massa dei mezzi di circolazione
metallici deve essere suscettibile di contrazione e di espansione,
in breve che l'oro, corrispondente al fabbisogno del processo
di circolazione, dovrà ora entrare nel processo come mezzo
di circolazione, ora uscirne di nuovo. Vedremo più tardi
in che modo lo stesso processo di circolazione realizzi queste
condizioni.
c) La moneta. Il segno del valore
Nella sua formazione di mezzo di circolazione, l'oro acquista
un aspetto particolare, diventa moneta. Affinché la sua
circolazione non sia ostacolata da difficoltà tecniche,
l'oro è coniato in corrispondenza della scala di misura
della moneta di conio. Pezzi d'oro la cui coniazione e figura
indichi che contengono frazioni di peso d'oro espresse nelle denominazioni
di conto del denaro, lire sterline, scellini, ecc., sono monete.
Allo Stato compete sia la definizione del prezzo monetario, sia
l'attività tecnica della coniazione. Tanto come moneta
di conto quanto come moneta, il denaro acquista carattere locale
e politico, parla linguaggi ufficiali differenti e porta uniformi
nazionali differenti. La sfera entro la quale il denaro circola
come moneta si distacca quindi come circolazione delle merci interna,
circoscritta ai confini di una comunità, dalla circolazione
generale del mondo delle merci.
Tuttavia, l'oro in verghe e l'oro come moneta non sono più
differenziati di quel che lo siano la sua denominazione monetaria
e la sua denominazione di peso. Quella che in quest'ultimo caso
è differenza di denominazione, appare ora come semplice
differenza di figura. La moneta d'oro può essere gettata
nel crogiuolo e con ciò essere ritrasformata in oro sans
phrase, allo stesso modo che basterà mandare semplicemente
il lingotto alla zecca per ottenere la forma monetaria. La trasformazione
e ritrasformazione da una figura nell'altra appare come operazione
puramente tecnica.
Per 100 libbre ossia 1.200 once troy di oro a 22 carati si ottengono
in moneta inglese 4.672 1/2 sterline o sovrane oro e, posando
queste sovrane su un piatto della bilancia e 100 libbre di oro
in lingotti sull'altro, essi avranno il peso uguale, e in tal
modo è fornita la prova che la sovrana è null'altro
che la frazione di peso d'oro indicata con questa denominazione
nel prezzo della moneta inglese, con figura e impronta proprie.
Le 4.672 1/2 sovrane oro sono gettate nella circolazione da punti
differenti, e afferrate da questa, compiono in un giorno un determinato
numero di percorsi, una sovrana di più e l'altra di meno.
Se il numero medio dei percorsi giornalieri di un'oncia fosse
10, le 1.200 once d'oro realizzerebbero una somma complessiva
di prezzi di merci dell'ammontare di 12.000 once ossia di 46.725
sovrane. Un'oncia d'oro si potrà voltare e rivoltare come
si vuole non peserà mai 10 once di oro. Ma qui nel processo
di circolazione un'oncia pesa di fatto 10 once. L'esistenza della
moneta entro i limiti del processo di circolazione equivale alla
quantità d'oro in essa contenuta, moltiplicata per il numero
dei suoi percorsi. Oltre alla propria esistenza reale come singolo
pezzo d'oro di un peso determinato, la moneta acquisisce dunque
un'esistenza ideale derivante dalla sua funzione. Tuttavia, che
la sovrana circoli una volta o dieci volte, in ogni singola compera
o vendita essa agirà soltanto come singola sovrana. È
lo stesso caso di un generale che il giorno della battaglia, mediante
una tempestiva apparizione in 10 punti differenti, sostituisce
10 generali eppure in ogni singolo punto è lo stesso identico
generale. L'idealizzazione del mezzo di circolazione, la quale
nasce nella circolazione del denaro dalla sostituzione della quantità
mediante la velocità, riguarda soltanto l'esistenza funzionale
della moneta nei limiti del processo di circolazione, ma non si
estende all' esistenza della moneta singola.
Ma la circolazione del denaro è movimento esterno, e la
sovrana benché non olet, si aggira in compagnia piuttosto
discutibile. Soffregandosi con ogni specie di mani, borse, tasche,
salvadanai, sacchetti, casse e armadi, la moneta si consuma, lascia
attaccato un atomo d'oro qua, un altro là, perdendo in
tal modo, con il limarsi nella circolazione del mondo, sempre
più del suo contenuto interno. La moneta si logora per
lo stesso fatto che la si usa. Tratteniamo ora la sovrana in un
momento in cui il suo carattere naturalmente serio e composto
appare ancora a mala pena intaccato. "Un fornaio che
oggi riceve fresca fresca dalla banca una sovrana nuova di zecca
e la dà via l'indomani per pagare il mugnaio, non paga
la stessa, vera (veritable) sovrana; questa sarà più
leggera di quel che era al momento in cui l'aveva ricevuta."
"È chiaro che la moneta, per la natura stessa
delle cose, debba scivolare nel deprezzamento pezzo per pezzo
in seguito alla azione pura e semplice dell'ordinaria e inevitabile
usura. È cosa fisicamente impossibile escludere del tutto
dalla circolazione in un momento qualsiasi, foss'anche per un
sol giorno, monete leggere." Jacob calcola che dei 380
milioni di lire sterline, esistenti nel 1809 in Europa, nel 1829,
in un periodo cioè di vent'anni, 19 milioni di lire sterline
erano completamente scomparsi a causa dell'usura.
Quindi, come
la merce al suo primo passo entro la circolazione esce da questa,
così la moneta dopo alcuni passi entro la circolazione
rappresenta un peso metallico maggiore di quello che ha. Quanto
più a lungo la moneta circola, restando invariata la velocità
della circolazione, oppure, quanto più vivace si fa la
sua circolazione in quello stesso periodo di tempo, tanto più
la sua esistenza quale moneta si distacca dalla sua esistenza
aurea o argentea. Quello che rimane è magni nominis
umbra. Il corpo della moneta ormai non è più
che un'ombra. Mentre in origine la moneta diventava più
pesante per effetto del processo, ora diventa più leggera
per lo stesso effetto, ma continua, in ogni singola compera o
vendita, a valere la originaria quantità d'oro. La sovrana
continua a compiere la funzione della moneta d'oro legittima come
sovrana apparente, come oro apparente. Mentre altri esseri, nell'attrito
con il mondo esterno, perdono il loro idealismo, la moneta è
idealizzata dalla pratica, e trasformata in semplice esistenza
apparente del suo corpo aureo o argenteo. Questa seconda idealizzazione
del denaro metallico, attuata dallo stesso processo di circolazione,
ossia la scissione fra il suo contenuto nominale e il suo contenuto
reale, è sfruttata, parte da governi, parte da avventurieri
privati, in falsificazioni monetarie di tutti i colori. Tutta
la storia della monetazione dall'inizio del medioevo fino al Settecento
inoltrato si risolve nella storia di queste falsificazioni bilaterali
e antagonistiche, e i molti volumi della raccolta di economisti
italiani del Custodi in buona parte si aggirano intorno a questo
punto.
L'esistenza apparente dell'oro, entro la sua funzione, entra però
in conflitto con la sua esistenza reale. Una moneta d'oro ha perduto
nella circolazione più del suo contenuto metallico, l'altra
meno, e una sovrana vale quindi ora realmente più dell'altra.
Ma siccome nella loro esistenza funzionale come moneta hanno il
medesimo valore, la sovrana, che è un quarto di oncia,
non più di quella che appare come un quarto di oncia, le
sovrane a peso pieno in mano a possessori privi di coscienza vengono
assoggettate a operazioni chirurgiche, e si compie su di esse
artificialmente quello che la circolazione stessa ha compiuto
in via naturale sulle loro sorelle. Vengono tosate e ritosate,
e il loro superfluo grasso d'oro se ne va a finire nel crogiuolo.
Se 4.672 1/2 sovrane oro posate su una bilancia pesano in media
non più di 800 once invece di 1.200, portate sul mercato
dell'oro, compreranno ormai sole 800 once d'oro, oppure il prezzo
del mercato dell'oro salirebbe al di sopra del suo prezzo di moneta.
Ogni moneta, anche se a peso pieno, avrebbe minor valore nella
sua forma di moneta che nella sua forma di verga. Le sovrane a
peso pieno verrebbero ritrasformate in verghe, forma in cui una
maggiore quantità d'oro ha maggior valore che non ne abbia
una quantità minore d'oro. Non appena questo calo al di
sotto del contenuto metallico si fosse esteso a un numero di sovrane
sufficiente per determinare un costante aumento del prezzo di
mercato dell'oro al di sopra del suo prezzo di moneta, le denominazioni
di conto della moneta rimarrebbero le stesse, ma in avvenire indicherebbero
una minore quantità di oro. In altre parole, la scala di
misura del denaro sarebbe modificata, e l'oro in avvenire verrebbe
monetato in base a questa nuova scala di misura. Per effetto della
sua idealizzazione come mezzo di circolazione, l'oro avrebbe,
reagendo, modificato i rapporti legalmente stabiliti, nei quali
era scala di misura dei prezzi. La medesima rivoluzione si ripeterebbe
dopo un certo periodo, e in tal modo l'oro sarebbe soggetto a
un costante cambiamento sia nella sua funzione come scala di misura
dei prezzi sia come mezzo di circolazione, di modo che il cambiamento
nell'una delle forme produrrebbe quello nell'altra e viceversa.
Così si sipiega il fenomeno accennato prima, cioè
che nella storia di tutti i popoli moderni, a un contenuto metallico
in costante diminuzione sia rimasta sempre la stessa denominazione
di denaro. La contraddizione fra l'oro come moneta e l'oro come
scala di misura dei prezzi diventa altresì contraddizione
fra l'oro come moneta e l'oro come equivalente generale, forma
in cui circola non soltanto entro i confini del paese, ma anche
sul mercato mondiale. Come misura dei valori l'oro è sempre
stato di peso pieno perché serviva semplicemente come oro
ideale. Come equivalente nell'atto isolato M - D, dalla sua esistenza
in movimento ricade subito nella sua esistenza statica , ma come
moneta la sua sostanza naturale entra in continuo conflitto con
la sua funzione. Non è possibile evitare interamente la
trasformazione della sovrana d'oro in oro apparente, ma la legislazione
cerca di impedire la sua fissazione come moneta, eliminandola
a un determinato grado di ammanco di sostanza. Secondo la legge
inglese per esempio, una sovrana che abbia perduto più
di 0,747 grani di peso, non è più una sovrana legale.
La Banca d'Inghilterra, la quale nei soli anni fra il 1844 e il
1848 ha pesato 48 milioni di sovrane d'oro, possiede nella bilancia
da oro del signor Cotton una macchina, che non soltanto avverte
la differenza di 1/100 di grani fra due sovrane, ma, come un essere
raziocinante, fa balzare la sovrana manchevole di peso su di un'asse
da cui va a finire in un'altra macchina che la frantuma con crudeltà
orientale.
Ma in queste condizioni la moneta d'oro non potrebbe circolare
in genere, se la sua circolazione non fosse limitata a certi ambienti
della circolazione, entro i cui confini essa ha un'usura meno
rapida. In quanto una moneta d'oro nella circolazione è
considerata un quarto d'oncia, mentre ormai non pesa più
che 1/5, essa è diventata realmente un semplice segno o
simbolo di 1/20 d'oncia d'oro, e in tal modo ogni moneta d'oro
per effetto dello stesso processo di circolazione viene più
o meno trasformata in un semplice segno o simbolo della propria
sostanza. Ma nessuna cosa può essere simbolo di se stessa.
Uva dipinta non è il simbolo di un'uva reale, bensì
è uva apparente. Ma ancor meno una sovrana leggera potrà
essere il simbolo di una sovrana di peso pieno, come un cavallo
dimagrito non potrà essere simbolo di un cavallo grasso.
Siccome dunque l'oro diventa simbolo di se stesso, ma non può
servire da simbolo di se stesso, negli ambienti della circolazione
nei quali la sua usura è la più rapida, ossia negli
ambienti in cui compere e vendite in proporzioni minime sono costantemente
rinnovate, l'oro acquisisce un'esistenza simbolica, d'argento
o di rame, staccata dalla sua esistenza aurea. In questi ambienti
circolerebbe sempre come moneta una determinata proporzione del
complessivo denaro aureo, benché non le stesse identiche
monete d'oro. In questa proporzione l'oro è sostituito
da marche d'argento o di rame.
Quindi, mentre entro i confini
di un paese una sola merce specifica può funzionare da
misura dei valori e con ciò da denaro, merci differenti
possono servire da moneta accanto al denaro. Questi mezzi di circolazione
sussidiari, p. es. marche d'argento o di rame, rappresentano entro
la circolazione determinate frazioni della moneta d'oro. Il loro
contenuto d'argento o di rame non è quindi determinato
dal rapporto di valore fra argento e rame nei confronti dell'oro,
ma è stabilito a piacere dalla legge. Esse possono essere
spese solo nelle quantità in cui le frazioni diminutive
della moneta d'oro, da esse rappresentate, circolerebbero costantemente
sia per il cambio di monete d'oro più alte, sia per la
realizzazione di prezzi di merci di corrispondente esiguità.
All'interno della circolazione al minuto delle merci, le marche
di argento e di rame rientreranno di nuovo in particolari ambienti.
Secondo la natura della cosa, la loro velocità di circolazione
è in proporzione inversa del prezzo che realizzano in ogni
singola compera e vendita, ossia della grandezza di frazione della
moneta d'oro che rappresentano. Considerando la mole enorme del
piccolo traffico giornaliero in un paese come l'Inghilterra, la
proporzione relativamente insignificante della quantità
complessiva delle monete sussidiarie in circolazione manifesta
la velocità e la continuità della loro circolazione.
In una relazione parlamentare pubblicata poco tempo fa, vediamo
per esempio che nel 1857 la zecca inglese ha monetato oro per
un ammontare di 4.859.000 lire sterline, argento per un valore
nominale di 373.000 lire sterline e per un valore metallico di
363.000 lire sterline. L'ammontare complessivo dell'oro monetato,
nei dieci anni decorsi in data 31 dicembre 1857, era di 55.239.000
lire sterline e di sole 2.434.000 sterline in argento. La moneta
di rame nel 1857 ammontava soltanto a un valore nominale di 6.720
lire sterline con un valore in rame di 3.492 sterline (di cui
3.136 sterline in pence, 2.464 in mezzi pence e 1.120 in farthings).
Il valore complessivo della moneta di rame coniata in dieci anni
era di 141.477 lire sterline con un valore metallico di 73.503
lire sterline. Allo stesso modo che alla moneta d'oro s'impedisce
di fissarsi nella sua funzione di moneta, stabilendo legalmente
la sua usura metallica che la smonetizza alle marche d'argento
e di rame, viceversa, s'impedisce di passare dalle sfere di circolazione
nella sfera di circolazione della moneta d'oro, stabilendo il
grado del prezzo che esse realizzano legalmente. Così p.
es. in Inghilterra si deve accettare in pagamento rame soltanto
fino all'ammontare di 6 pence e argento solo fino all'ammontare
di 40 scellini. Se le marche d'argento e di rame fossero spese
in quantità maggiori di quelle richieste dai bisogni delle
loro sfere di circolazione, i prezzi delle merci non salirebbero
per questo, si avrebbe bensì un'accumulazione di queste
marche presso i venditori al minuto, i quali alla fine sarebbero
costretti a venderle come metallo. Così, nel 1798, monete
di rame inglesi, spese da privati, si erano accumulate per un
ammontare di 20.350 lire sterline presso piccoli bottegai che
invano cercavano di rimetterle in circolazione e alla fine dovettero
gettarle come merce sul mercato del rame.
Le marche d'argento e di rame, rappresentanti la moneta d'oro
in determinate sfere della circolazione interna, hanno un contenuto
d'argento e di rame legalmente stabilito, ma, afferrate dalla
circolazione, si logorano come la moneta d'oro e si idealizzano,
a seconda della velocità e continuità della loro
circolazione, in modo ancor più rapido, fino a diventare
semplici ombre di corpi. Ora se si dovesse tracciare di nuovo
una linea limite della loro smetallizzazione, oltre la quale le
marche d'argento e di rame perderebbero il loro carattere di moneta,
esse dovrebbero, entro determinati ambienti della propria sfera
di circolazione, essere sostituite a loro volta da altro denaro
simbolico, p. es. dal ferro e dal piombo, e questa raffigurazione
di denaro simbolico, per mezzo di altro denaro simbolico, sarebbe
un processo all'infinito. In tutti i paesi a circolazione sviluppata,
quindi, la necessità stessa della circolazione del denaro
costringe a rendere il carattere monetario delle marche d'argento
e di rame indipendente da ogni grado della loro usura. In questo
appare quanto stava nella natura della cosa, cioè che queste
marche sono simboli della moneta d'oro non perché siano
simboli fatti d'argento o di rame, non perché abbiano un
valore, bensì in quanto non ne hanno.
Cose relativamente prive di valore come carta possono dunque funzionare
da simboli del denaro aureo. Il fatto che la moneta sussidiaria
consista di marche metalliche, argento, rame, ecc. risale in gran
parte a questo: nella massima parte dei paesi, i metalli meno
pregiati circolavano in qualità di denaro, come in Inghilterra
l'argento, nell'antica repubblica romana, in Svezia, Scozia, ecc.
il rame, prima che il processo di circolazione li avesse degradati
a moneta divisionale e li avesse sostituiti mediante un metallo
più pregiato. Del resto sta nella natura della cosa che
il simbolo del denaro, che nasce direttamente dalla circolazione
metallica, sia a sua volta di nuovo un metallo. Allo stesso modo
che la porzione di oro che dovrebbe sempre circolare come moneta
divisionale è sostituita da marche metalliche, la porzione
d'oro che è sempre assorbita come moneta dalla sfera della
circolazione interna, e deve quindi circolare costantemente, può
essere sostituita da marche prive di valore. Il livello, al di
sotto del quale la massa della moneta circolante non scende mai,
è dato in ogni paese dall'esperienza. La differenza fra
il contenuto nominale e il contenuto metallico della moneta metallica,
in origine appena percettibile, può dunque aumentare fino
al distacco assoluto. La denominazione monetaria del denaro si
distacca dalla sua sostanza ed esiste al di fuori di questa in
cedole di carta prive di valore. Così come il valore di
scambio delle merci si cristallizza in denaro aureo mediante il
loro processo di scambio, il denaro aureo nella circolazione si
sublima a proprio simbolo, prima nella forma della propria moneta
aurea logorata, poi nella forma delle monete metalliche sussidiarie
e infine nella forma della marca priva di valore, nella forma
della carta, del segno di valore puro e semplice.
Ma la moneta aurea ha generato i propri sostituti, dapprima metallici,
e poi cartacei, soltanto perché, malgrado la sua perdita
di metallo, ha continuato a funzionare da moneta. Non ha circolato
perché si logorava, bensì si è logorata a
simbolo perché continuava a circolare. Solo in quanto all'interno
del processo lo stesso denaro aureo diventa mero segno del proprio
valore, meri segni di valore potranno sostituirlo.
Nella misura in cui il movimento M - D - M è unità
dinamica dei due momenti M - D, D - M trasformantisi direttamente
l'uno nell'altro, ossia nella misura in cui la merce percorre
il processo della sua metamorfosi complessiva, essa realizza il
proprio valore di scambio nel prezzo e nel denaro per superare
subito di nuovo questa forma e ridiventare merce o, piuttosto,
valore d'uso. Essa procede dunque a una autonomizzazione solo
apparente del proprio valore di scambio. Abbiamo visto d'altra
parte che l'oro, in quanto funziona solo come moneta, ossia si
trova costantemente in circolazione, di fatto non rappresenta
che la concatenazione delle metamorfosi delle merci e il loro
essere denaro semplicemente dileguantesi, che realizza il prezzo
di una merce soltanto per realizzare il prezzo dell'altra, ma
che in nessun punto appare come esistenza in riposo del valore
di scambio o come la stessa merce in riposo. La realtà
che il valore di scambio delle merci acquisisce in questo processo
e che l'oro rappresenta nella propria circolazione, è soltanto
quella di una scintilla elettrica. Benché sia oro reale,
funziona soltanto come oro apparente e quindi può essere
sostituito in questa sua funzione da simboli di se stesso.
Il segno di valore, diciamo la carta che funzioni da moneta, è
il simbolo della quantità d'oro espressa nella sua denominazione
monetaria, è dunque segno d'oro. Allo stesso modo che una
determinata quantità d'oro in sé non esprime un
rapporto di valore, non lo esprimerà nemmeno il segno che
subentra al suo posto. In quanto una determinata quantità
d'oro come tempo di lavoro oggettivato possiede una determinata
grandezza di valore, il segno dell'oro rappresenta valore. La
grandezza di valore da esso rappresentata dipenderà però
ogni volta dal valore della quantità d'oro da esso rappresentata.
Nei confronti delle merci il segno di valore rappresenta la realtà
del loro prezzo, è signum pretii ed è segno del
loro valore soltanto perché il loro valore è espresso
nel loro prezzo. Nel processo M - D - M, in quanto questo si presenti
solo come unità in movimento ossia reciproca trasformazione
diretta delle due metamorfosi - e così si presenta nella
sfera della circolazione in cui funziona il segno di valore -,
il valore di scambio delle merci acquisisce nel prezzo un'esistenza
meramente ideale, meramente immaginaria, nel denaro, un'esistenza
simbolica.
Il valore di scambio appare in tal modo soltanto come
valore immaginato o rappresentato nella cosa, ma non possiede
realtà al di fuori delle merci stesse, in quanto in questo
è oggettivata una determinata quantità di tempo
di lavoro. Pare quindi che il segno di valore rappresenti direttamente
il valore delle merci in quanto si presenta non come segno dell'oro,
bensì come segno del valore di scambio che nel prezzo è
semplicemente espresso, ma esiste nella merce soltanto. Ma questa
parvenza è falsa. Il segno di valore è direttamente
solo segno del prezzo, dunque segno dell'oro, e solo per via indiretta
è segno del valore della merce. L'oro non ha venduto la
propria ombra come Peter Schlemihl, bensì compra mediante
la propria ombra. Il segno di valore agisce quindi soltanto in
quanto all'interno del processo rappresenta il prezzo di una merce
nei confronti dell'altra o nei confronti di ogni possessore di
merci rappresenta l'oro. Una determinata cosa, relativamente priva
di valore, un pezzo di cuoio, una cedola, ecc. diventa in un primo
tempo per consuetudine segno del materiale del denaro, ma si afferma
come tale solo in quanto la sua esistenza come simbolo è
garantita dalla volontà generale dei possessori di merci,
ossia in quanto ottiene un'esistenza legalmente convenzionale
e quindi corso forzoso. La carta moneta di Stato a corso forzoso
è la forma compiuta del segno di valore, ed è l'unica
forma di carta moneta che nasca direttamente dalla circolazione
metallica ossia dalla stessa circolazione semplice delle merci.
La moneta di credito fa parte di una sfera superiore del processo
di produzione sociale ed è regolata da tutt'altre leggi.
La carta moneta simbolica in realtà non differisce affatto
dalla moneta metallica sussidiaria, agisce semplicemente in una
sfera di circolazione più vasta. Se già il semplice
sviluppo tecnico della scala di misura dei prezzi o del prezzo
monetario e, ancora, la trasformazione esteriore dell'oro grezzo
in moneta aurea hanno provocato la ingerenza dello Stato, e con
ciò la circolazione interna si è distaccata visibilmente
dalla circolazione generale delle merci, questo distacco viene
portato a termine dalla evoluzione della moneta a segno di valore.
In generale, come semplice mezzo di circolazione, il denaro può
rendersi indipendente soltanto entro la sfera della circolazione
interna.
La nostra esposizione ha mostrato come la esistenza monetaria
dell'oro, quale segno di valore distaccato dalla sostanza aurea
stessa, nasca dallo stesso processo di circolazione, non da accordi
o dall'ingerenza dello Stato. La Russia offre un esempio lampante
dell'origine spontanea del segno di valore. All'epoca in cui pelli
e pellicce servivano colà come denaro, la contraddizione
fra questo materiale deteriorabile e malagevole e la sua funzione
di mezzo di circolazione creò la consuetudine di sostituirlo
con piccoli pezzi di cuoio bollato, i quali in tal modo diventavano
assegni pagabili in pelli e pellicce. In seguito divennero, sotto
il nome di copechi, semplici segni per frazioni del rublo d'argento
e si conservarono in talune località con quest'uso fino
al 1700, allorchè Pietro il Grande ordinò di cambiarli
con piccole monete di rame emesse dallo Stato. Scrittori antichi
che avevano potuto osservare solo i fenomeni della circolazione
metallica, interpretano già la moneta aurea come simbolo
o segno di valore. Così Platone e Aristotele. In paesi
senza alcuno sviluppo del credito, come in Cina, la carta moneta
a corso forzoso si trova già in tempi remoti. In vecchi
autori che hanno già trattato della carta moneta, si fa
espressamente riferimento alla trasformazione della moneta metallica
in segno di valore come cosa nota dallo stesso processo di circolazione.
Così in Benjamin Franklin e negli scritti del vescovo Berkeley.
Quante risme di carta, tagliuzzate in cedole, potranno circolare
come denaro? Posto in tal modo, il quesito sarebbe assurdo. Le
marche prive di valore sono segni di valore solo in quanto entro
il processo di circolazione sostituiscono l'oro, e lo sostituiscono
solo in quanto l'oro stesso entrerebbe nel processo di circolazione
come moneta, quantità, determinata dal valore dell'oro
stesso quando fossero dati i valori di scambio delle merci e la
velocità delle loro metamorfosi. Cedole dalla denominazione
di 5 lire sterline potrebbero circolare solo in un numero di cinque
volte minore che cedole della denominazione di 1 lira sterlina,
e se tutti i pagamenti si facessero in cedole di scellini, dovrebbero
circolare 20 volte più cedole di scellini che cedole di
lire sterline.
Se la moneta aurea fosse rappresentata da cedole
di denominazione diversa, p. es. cedole da 5 sterline, 1 sterlina,
10 scellini, la quantità di queste diverse specie di segni
di valore sarebbe determinata non dalla quantità d'oro
necessaria per la circolazione complessiva, bensì da quella
necessaria per l'ambito di circolazione di ogni specie particolare.
Se 14 milioni di lire sterline (è questo il presupposto
della legislazione bancaria inglese, ma non per la moneta, bensì
per la moneta di credito) fossero il livello al di sotto del quale
la circolazione di un paese non scendesse mai, potrebbero circolare
14 milioni di cedole, ognuna segno di valore per 1 lira sterlina.
Se il valore dell'oro salisse o scendesse perché fosse
diminuito o aumentato il tempo di lavoro necessario per la sua
produzione, restando invariato il valore di scambio della medesima
massa merci, il numero delle cedole da 1 lira sterlina in circolazione
aumenterebbe o diminuirebbe in proporzione inversa del variare
del valore dell'oro. Se l'oro fosse sostituito, come misura dei
valori, dall'argento, e se il rapporto di valore fra argento e
oro fosse l:15, se in avvenire ogni cedola rappresentasse la medesima
quantità d'argento che prima rappresentava di oro, in tal
caso invece dei 14 milioni dovrebbero in avvenire circolare 210
milioni di cedole da 1 sterlina. La quantità delle cedole
è dunque determinata dalla quantità di denaro aureo
che esse sostituiscono nella circolazione, ed essendo soltanto
segni di valore in quanto lo sostituiscono, il loro valore è
semplicemente determinato dalla loro quantità. Quindi,
mentre la quantità dell'oro circolante dipende dai prezzi
delle merci, il valore delle cedole circolanti, viceversa, dipende
esclusivamente dalla loro quantità.
L'ingerenza dello Stato il quale emette la carta moneta a corso
forzoso - e noi trattiamo solo di questa specie di carta moneta
- sembra abolire la legge economica. Lo Stato, il quale nel prezzo
monetario ha dato a un determinato peso d'oro un solo nome di
battesimo, e nella monetazione ha semplicemente impresso il proprio
timbro all'oro, sembra ora, per effetto della magia del suo timbro,
trasformare carta in oro. Siccome le cedole hanno corso forzoso,
nessuno può impedire allo Stato di immettere nella circolazione
un numero di esse elevato quanto gli piacerà e di iscrivervi
le denominazioni monetarie che vorrà, come 1 lira sterlina,
5 lire sterline, 20 lire sterline, ecc. È impossibile scacciare
dalla circolazione le cedole una volta che vi si trovino, poiché
da un lato i pali di confine del paese ostacolano il loro corso,
e dall'altro, esse perdono ogni valore, valore d'uso come anche
valore di scambio, al di fuori della circolazione. Distaccate
dalla loro esistenza funzionale, si trasformano in spregevoli
pezzi di carta. Ma questo potere dello Stato è semplice
parvenza. Lo Stato potrà gettare nella circolazione una
qualsivoglia quantità di cedole con qualsivoglia denominazione
monetaria, ma con questo atto meccanico cessa il suo controllo.
Afferrato dalla circolazione, il segno di valore ossia la carta
moneta si trova soggetto alle leggi immanenti della circolazione.
Se 14 milioni di lire sterline fossero la somma d'oro necessaria
per la circolazione delle merci, e se lo Stato gettasse nella
circolazione 210 milioni di cedole, ognuno con la denominazione
di 1 lira sterlina, questi 210 milioni sarebbero trasformati in
rappresentanti di oro per l'ammontare di 14 milioni di lire sterline.
Si avrebbe lo stesso effetto che si avrebbe, se lo Stato avesse
reso le cedole da 1 lira sterlina rappresentanti di un metallo
15 volte meno pregiato o di una frazione di peso d'oro 15 volte
minore di prima. Nulla sarebbe cambiato se non la denominazione
della scala dei prezzi che è naturalmente convenzionale,
sia che essa avvenga direttamente mediante modifica della monetazione
o indirettamente mediante l'aumento delle cedole in una quantità
richiesta per una scala di misura nuova, più bassa. Siccome
la denominazione di lira sterlina indicherebbe ora una quantità
d'oro 15 volte minore, tutti i prezzi delle merci aumenterebbero
15 volte e allora 210 milioni di biglietti da 1 lira sterlina
sarebbero di fatto altrettanto necessari quanto prima lo erano
14 milioni. Nella stessa misura in cui sarebbe aumentata la somma
complessiva dei segni di valore, sarebbe diminuita la quantità
d'oro che ognuno di essi rappresenta singolarmente. L'aumento
dei prezzi sarebbe soltanto la reazione del processo di circolazione,
il quale equipara forzosamente i segni di valore alla quantità
di oro che essi pretendono di sostituire nella circolazione.
Nella storia delle falsificazioni monetarie inglesi e francesi
ad opera dei governi, troviamo ripetute volte che i prezzi non
erano saliti nella misura in cui la moneta d'argento era stata
falsificata. Semplicemente perché la proporzione in cui
la moneta veniva aumentata non corrispondeva alla proporzione
in cui era falsificata, vale a dire, siccome della composizione
metallica inferiore non era emessa la massa corrispondente, i
valori di scambio delle merci pel futuro dovevano essere valutati
in questa come misura dei valori ed essere realizzati mediante
monete corrispondenti a questa unità di misura inferiore.
E così si risolve la difficoltà insoluta nel duello
fra Locke e Lowndes. La proporzione in cui il segno di valore,
si tratti di carta e di oro e argento falsificato, sostituisce
pesi d'oro e di argento calcolati in conformità del prezzo
monetario, dipende non dal valore del segno, bensì dalla
sua quantità in circolazione. La difficoltà di comprensione
di questo rapporto nasce dal fatto che il denaro, nelle sue due
funzioni di misura dei valori e di mezzo di circolazione, è
soggetto a leggi non soltanto invertite, ma apparentemente contraddittorie
nei confronti del contrasto fra le due funzioni. Per la sua funzione
come misura dei valori, in cui il denaro serve solo come moneta
di conto, e l'oro serve solo come oro ideale, tutto dipende dal
materiale naturale. Valutati in argento o come prezzi in argento,
i valori di scambio appaiono naturalmente del tutto diversi dai
prezzi in oro. Viceversa, nella sua funzione di mezzo di circolazione
in cui il denaro non è soltanto immaginario, ma deve essere
presente come cosa reale accanto alle altre merci, il suo materiale
diventa indifferente, mentre tutto dipenderà dalla sua
quantità. Per l'unità di misura è cosa decisiva
ch'essa sia una libbra di oro, d'argento o di rame; mentre la
semplice quantità rende la moneta realizzazione corrispondente
di ognuna di queste unità di misura, qualunque sia il materiale
della moneta. Ma è cosa contraria al comune buonsenso che
pel denaro puramente immaginario tutto dipenda dalla sua sostanza
materiale, e per la moneta percettibilmente presente tutto dipenda
da un ideale rapporto numerico.
L'aumento o la diminuzione dei prezzi delle merci insieme con
l'aumento o la diminuzione della massa delle cedole - quest'ultimo
caso là dove le cedole costituiscono il mezzo di circolazione
esclusivo - non sono dunque altro che l'applicazione forzosa,
ad opera del processo di circolazione, della legge violata meccanicamente
dall'esterno, che la quantità dell'oro circolante è
determinata dai prezzi delle merci e la quantità dei segni
di valore circolanti è determinata dalla quantità
della moneta aurea che sostituiscono nella circolazione. D'altra
parte, ogni e qualsiasi massa di cedole è perciò
assorbita e per così dire digerita dal processo di circolazione,
perché il segno di valore, qualunque sia il titolo aureo
con cui entri nella circolazione, entro quest'ultima è
compreso a segno della quantità d'oro che potrebbe circolare
al suo posto.
Nella circolazione dei segni di valore, tutte le leggi della reale
circolazione del denaro sembrano invertite e capovolte. Mentre
l'oro circola perché ha valore, la carta ha valore perché
circola. Mentre con un valore di scambio delle merci dato, la
quantità dell'oro circolante dipende dal valore di questo
ultimo, il valore della carta dipende dalla sua quantità
circolante. Mentre la quantità dell'oro circolante aumenta
o sale insieme con l'aumento o con la diminuzione dei prezzi delle
merci, i prezzi delle merci sembrano aumentare o diminuire insieme
con il variare della quantità di carta circolante. Mentre
la circolazione delle merci può assorbire solo una determinata
quantità di moneta aurea, e quindi l'alternarsi della contrazione
e dell'espansione del denaro circolante si manifesta come legge
necessaria, la carta moneta sembra entrare nella circolazione
in ogni e qualsiasi estensione. Mentre lo Stato falsifica la moneta
d'oro e d'argento e quindi turba la loro funzione come mezzo di
circolazione, anche se dovesse emettere la moneta con solo 1/100
di grano al di sotto del suo contenuto nominale, esso compie un'operazione
del tutto giusta emettendo cedole prive valore che nulla hanno
del metallo se non la denominazione monetaria. Mentre la moneta
d'oro apparentemente rappresenta soltanto il valore delle merci
in quanto questo è esso stesso valutato in oro o espresso
come prezzo, il segno di valore sembra rappresentare il valore
della merce direttamente. È chiaro quindi perché
osservatori, i quali studiavano i fenomeni della circolazione
del denaro unilateralmente in base alla circolazione della carta
moneta a corso forzoso, dovevano misconoscere tutte le leggi immanenti
della circolazione del denaro. In realtà queste leggi,
nella circolazione dei segni di valore, non soltanto appaiono
invertite, bensì radiate, poiché la carta moneta,
se emessa nella giusta quantità, compie movimenti che le
sono peculiari non in quanto segno di valore, mentre il suo movimento
particolare, di risalire direttamente alla metamorfosi delle merci,
nasce dalla violazione della sua giusta proporzione nei confronti
dell'oro.
III. Denaro
Il denaro, a differenza della moneta, che è il risultato
del processo di circolazione nella forma M - D - M, costituisce
il punto di partenza del processo di circolazione nella forma
D - M - D, ossia lo scambio di denaro con merce per scambiare
merce con denaro. Nella forma M - D - M il punto di partenza e
il punto finale del movimento sono costituiti dalla merce, nella
forma D - M - D dal denaro. Nel primo movimento, lo scambio della
merce è mediato dal denaro, nella seconda è la merce
che media il divenire denaro del denaro. Il denaro che nella pria
forma è semplice mezzo, appare nella seconda come scopo
finale della circolazione, mentre la merce, la quale nella prima
forma appare come scopo finale, nella seconda appare come semplice
mezzo. Siccome il denaro è esso stesso già risultato
della circolazione M - D - M, nella forma D - M - D il risultato
della circolazione appare allo stesso tempo come suo punto di
partenza. Mentre in M - D - M il reale contenuto è il ricambio
organico, nel secondo processo D - M - D il reale contenuto è
costituito dall'esistenza formale della merce stessa, sorta da
quel primo processo.
Nella forma M - D - M entrambi gli estremi sono merci della medesima
grandezza di valore, ma allo stesso tempo valori d'uso qualitativamente
differenti. Il loro scambio M - M è reale ricambio organico.
Nella forma D - M - D invece entrambi gli estremi sono oro e allo
stesso tempo oro della medesima grandezza di valore. Pare cosa
assurda scambiare oro con merce per scambiare merce con oro o,
considerando il risultato D - D, scambiare oro con oro. Ma traducendo
D - M - D nella formula comprare per vendere, il che null'altro
significa se non scambiare oro con oro per effetto di un movimento
mediatore, si riconoscerà subito la forma dominante della
produzione borghese. Ma in pratica non si compera per vendere,
bensì si compra a poco prezzo per vendere a prezzo più
caro. Il denaro è scambiato con la merce per riscambiare
questa stessa merce con una quantità maggiore di denaro,
cosicché gli estremi D - D sono differenti quantitativamente
se non qualitativamente. Una differenza quantitativa di questo
genere presuppone lo scambio di non equivalenti, mentre merce
e denaro come tali non sono che forme antitetiche della merce
stessa, quindi modi di esistenza differenti di una medesima grandezza
di valore. Il ciclo D - M - D cela dunque sotto le forme di denaro
e merce rapporti di produzione più sviluppati, ed è
entro la circolazione semplice soltanto il riflesso di un movimento
superiore. Dobbiamo quindi svolgere il denaro, a differenza dei
mezzi di circolazione, dalla forma immediata della circolazione
delle merci M - D - M.
L'oro, cioè la merce specifica che serve da misura dei
valori e da mezzo di circolazione, diventa denaro senza ulteriore
intervento della società. In Inghilterra, dove non è
né misura dei valori né mezzo di circolazione dominante,
l'argento non diventa denaro, allo stesso modo che l'oro, non
appena fu detronizzato in Olanda come misura dei valori, cessò
di esservi denaro. Una merce diventa dunque denaro in un primo
tempo come unità della misura dei valori e del mezzo di
circolazione, ossia l'unità della misura dei valori e del
mezzo di circolazione è denaro. Ma come tale unità
l'oro ha di nuovo un'esistenza indipendente e differenziata dalla
propria esistenza in queste due funzioni. Come misura dei valori,
l'oro è denaro e oro soltanto ideale; come semplice mezzo
di circolazione è denaro e oro simbolico; ma nella sua
semplice corporeità metallica, l'oro è denaro ossia
il denaro è reale oro.
Consideriamo ora per un momento la merce in riposo oro, la quale
è denaro, nel suo rapporto con le altre merci. Tutte le
merci rappresentano nei loro prezzi una determinata somma d'oro,
sono dunque soltanto oro rappresentato o denaro rappresentato,
sono rappresentanti dell'oro, come, viceversa, nel segno di valore
il denaro era apparso come semplice rappresentante dei prezzi
delle merci. Siccome in tal modo tutte le merci sono soltanto
denaro rappresentato, il denaro è l'unica merce reale.
In contrapposizione a tutte le merci che sono soltanto una rappresentazione
dell'esistenza autonoma del valore di scambio, del lavoro sociale
generale, della ricchezza astratta, l'oro è l'esistenza
materiale della ricchezza astratta. Dal lato del valore d'uso
ogni merce esprime solo un elemento della ricchezza materiale
mediante la sua relazione con un particolare bisogno, esprime
un lato puramente isolato della ricchezza. Ma il denaro soddisfa
ogni bisogno in quanto è direttamente trasformabile nell'oggetto
di ogni bisogno. Il suo valore d'uso è realizzato nella
serie infinita dei valori d'uso che costituiscono il suo equivalente.
Nella sua solida corporeità metallica contiene ripiegata
ogni ricchezza materiale che nel mondo delle merci è dispiegata.
Se dunque le merci nei loro prezzi rappresentano l'equivalente
generale ossia la ricchezza astratta, l'oro, l'oro rappresenta
nel suo valore d'uso i valori d'uso di tutte le merci. L'oro è
perciò il rappresentante materiale della ricchezza materiale.
È il "précis de toutes choses"
(Boisguillebert), è il compendio della ricchezza sociale.
Ed è allo stesso tempo, quanto alla forma, l'incarnazione
diretta del lavoro generale, e quanto al contenuto, la quintessenza
di tutti i lavori reali. È la ricchezza generale come individuo.
Nella sua figura di mediatore della circolazione, l'oro ha sofferto
danni di ogni genere, è stato circonciso e perfino appiattito
a pezzo di carta meramente simbolico. Come denaro si vede restituito
il suo splendore aureo. Da servo diventa padrone. Da semplice
manovale diventa dio delle merci.
a. Tesaurizzazione
L'oro si era distaccato in un primo tempo, come denaro, dal mezzo
di circolazione pel fatto che la merce interrompeva il processo
della propria metamorfosi e permaneva nel proprio imbozzolamento
aureo. Questo avviene sempre, non appena la vendita non si trasmuti
in compera. L'autonomizzazione dell'oro come denaro è dunque
anzitutto espressione percettibile della scissione del processo
di circolazione, ossia della metamorfosi della merce, in due atti
separati, esistenti indifferentemente l'uno accanto all'altro.
La moneta stessa diventa denaro, non appena il suo corso è
interrotto. Nella mano del venditore che la incassa per la propria
merce, è denaro, non moneta; appena abbandona la sua mano,
ridiventa moneta. Ognuno è venditore della merce unilaterale
che produce, ma è compratore di tutte le altre merci di
cui ha bisogno per l'esistenza sociale. Mentre il suo presentarsi
come venditore dipende dal tempo di lavoro necessario per la produzione
della sua merce, il suo presentarsi come compratore è condizionato
dal costante rinnovamento dei bisogni vitali. Per poter comprare
senza vendere, egli deve aver venduto senza comprare. Infatti
la circolazione M - D - M è semplicemente l'unità
in movimento della vendita e della compera in quanto è
al contempo il costante processo della loro separazione. Affinché
il denaro fluisca costantemente come moneta, la moneta dovrà
costantemente coagularsi in denaro. La circolazione costante della
moneta è determinata dal suo costante ristagno in porzioni
più o meno grandi, in fondi monetari di riserva che si
formano in ogni senso entro la circolazione e ne sono condizione,
la cui costituzione, distribuzione, dissoluzione e ricostituzione
cambiano costantemente, la cui presenza scompare costantemente,
la cui scomparsa è costantemente presente. Adam Smith ha
espresso questa incessante trasformazione della moneta in denaro
e del denaro in moneta dicendo che ogni possessore di merce debba
avere costantemente come scorta una certa somma della merce generale
con cui compera accanto alla merce particolare che vende. Abbiamo
visto che nella circolazione M - D - M il secondo termine D -
M si fraziona in una serie di compere che si compiono non tutte
in una volta, bensì successivamente nel tempo, di modo
che una porzione di D circola in quanto moneta, mentre l'altra
è ferma in quanto denaro. Il denaro è qui di fatto
null'altro che moneta sospesa, e i singoli elementi costitutivi
della massa monetaria circolante appaiono costantemente varianti,
ora in una forma ora nell'altra. Questa prima trasformazione del
mezzo di circolazione in denaro rappresenta perciò un elemento
puramente tecnico della circolazione del denaro stesso.
La prima forma naturale della ricchezza è quella della
sovrabbondanza o dell'eccedenza, la parte dei prodotti non immediatamente
richiesta come valore d'uso, ossia il possesso di prodotti il
cui valore d'uso esca dall'ambito della mera necessità.
Considerando il passaggio della merce al denaro abbiamo visto
che questa sovrabbondanza o eccedenza dei prodotti, a un grado
non sviluppato della produzione, costituisce la vera e propria
sfera dello scambio di merci. Prodotti in sovrabbondanza sono
prodotti scambiabili ossia merci. La forma d'esistenza adeguata
di questa sovrabbondanza sono l'oro e l'argento, la prima forma
in cui la ricchezza è trattenuta come ricchezza astrattamente
sociale. Non soltanto possono essere conservate nella forma dell'oro
o dell'argento, cioè nel materiale del denaro, le merci,
ma l'oro e l'argento sono ricchezza in forma conservata. Ogni
valre d'uso compie il suo servizio essendo consumato ossia essendo
distrutto. Ma il valore d'uso dell'oro come denaro è quello
di essere rappresentante del valore di scambio, di essere, in
quanto materia grezza amorfa, materializzazione del tempo di lavoro
generale. Come metallo amorfo, il valore di scambio ha una forma
imperitura. L'oro o l'argento, immobilizzati come denaro, sono
tesoro. Presso i popoli che hanno una circolazione puramente metallica,
come presso gli antichi, la tesaurizzazione si manifesta come
processo generale, dal singolo individuo fino allo Stato, il quale
custodisce il proprio tesoro di Stato. In tempi antichi questi
tesori appaiono in Asia e in Egitto nella custodia dei re e dei
sacerdoti più come testimoni della potenza dei custodi.
In Grecia e in Roma, la costituzione di tesori dello Stato, in
quanto forma di sovrabbondanza sempre assicurata e sempre pronta,
diventa una politica. Il rapido trasporto di tali tesori da un
paese nell'altro ad opera di conquistatori, e la loro effusione,
in parte improvvisa, nella circolazione, costituiscono una peculiarità
dell'economia antica.
Come tempo di lavoro oggettivato, l'oro garantisce la propria
grandezza di valore, e siccome è materializzazione del
tempo di lavoro generale, il processo di circolazione gli garantisce
la sua costante azione come valore di scambio. Per il semplice
fatto che il possessore di merce può trattenere la merce
nella sua figura di valore di scambio, ossia il valore stesso
di scambio della merce come merce, lo scambio delle merci, al
fine di riaverle nella figura trasformata dell'oro, diventa particolare
motivo della circolazione. La metamorfosi della merce M - D ha
luogo per amore della sua metamorfosi, per trasformare la merce
da ricchezza naturale particolare in ricchezza sociale generale.
Invece del ricambio organico diventa scopo a se stesso il cambiamento
formale. Da semplice forma del movimento il valore di scambio
si trasmuta in suo contenuto. Come ricchezza, come merce, la merce
si conserva solo in quanto si conserva entro la sfera della circolazione,
e in questo stato fluido essa si conserva soltanto in quanto si
ossifica in argento e oro. Essa continua a fluire come cristallo
del processo di circolazione. L'oro e l'argento però si
fissano essi stessi come denaro solo in quanto non siano mezzi
di circolazione. Come non-mezzi di circolazione diventano denaro.
La sottrazione della merce alla circolazione, nella forma dell'oro,
è dunque l'unico mezzo per tenerla costantemente entro
la circolazione.
Il possessore di merce può riavere dalla circolazione come
denaro soltanto quello che le dà come merce. Una costante
vendita, un'ininterrotta immissione di merci nella circolazione,
è quindi la prima condizione della tesaurizzazione dal
punto di vista della circolazione delle merci. D'altra parte,
il denaro si dilegua costantemente come mezzo di circolazione
nello stesso processo di circolazione realizzandosi continuamente
in valori e dissolvendosi in godimenti effimeri. Il denaro deve
essere quindi strappato alla corrente consumatrice della circolazione,
oppure la merce deve essere tenuta ferma nella sua prima metamorfosi
impedendo al denaro di compiere la sua funzione di mezzo di acquisto.
Il possessore di merce, ora divenuto tesaurizzatore, dovrà
vendere il più possibile e comprare il meno possibile,
come insegnava già Catone il Vecchio: patrem familias vendacem,
non emacem esse. Allo stesso modo che l'industriosità è
la condizione positiva della tesaurizzazione, la parsimonia ne
è la condizione negativa. Quanto meno l'equivalente della
merce in merci particolari o in valori d'uso è sottratto
alla circolazione, tanto piu le è sottratto nella forma
del denaro o del valore di scambio. L' appropriazione della ricchezza
nella sua forma generale comporta quindi la rinuncia alla ricchezza
nella sua realtà materiale. L'istinto vivo della tesaurizzazione
è quindi l'avarizia per la quale costituisce bisogno non
la merce come valore d'uso, bensì il valore di scambio
come merce. Per impossessarsi della sovrabbondanza nella sua forma
generale, i bisogni particolari dovranno essere trattati come
lusso e sovrabbondanza. Così, nel 1593 le Cortes facevano
delle rimostranze a Filippo II in cui fra l'altro si diceva: "Le
Cortes di Valladolid dell'anno 1586 pregarono Vostra Maestà
di non consentire più l'importazione nel regno di candele,
vetrerie, bigiotterie, coltelli e cose simili che vengono dall'estero,
che, cose così inutili per la vita degli uomini, siano
scambiati con oro, come se gli spagnuoli fossero indiani".
Il tesaurizzatore disprezza i piaceri di questo mondo, caduchi
ed effimeri, per dar la caccia al tesoro eterno che non è
divorato né dai tarli né dalla ruggine, che è
del tutto celeste e del tutto terreno. "La causa generale
lontana della nostra mancanza di oro, - dice il Misselden nello
scritto citato, - è il grande successo che si ha in questo
regno del consumo di merci di paesi stranieri le quali a noi si
rivelano come discommodities invece che commodities privandoci
nettamente di altrettanto tesoro che altrimenti verrebbe importato
al posto di questi giocattoli (toys). Fra di noi consumiamo un
eccesso troppo vistoso di vini di Spagna, Francia, Renania, Levante;
l'uva sultanina di Spagna, l'uva passita di Levante, i lawns (tipo
di fine tela) e cambrics di Hainault, le seterie d'Italia, zucchero
e tabacco delle Indie Occidentali, le spezie di quelle Orientali,
tutto questo non costituisce un fabbisogno assoluto per noi, e
purtuttavia queste cose si acquistano con del buon oro."
Come oro e argento la ricchezza è imperitura, sia perché
il valore di scambio esiste in metallo indeteriorabile, sia, in
particolare, perche s'impedisce che l'oro e l'argento diventino,
come mezzi di circolazione, la figura-denaro semplicemente dileguantesi
della merce. Il contenuto non durevole è in tal modo sacrificato
alla forma durevole. "Se il denaro, attraverso le imposte,
è tolto a una persona che lo consuma mangiando e bevendo,
ed è dato a persona che lo usa in miglioramenti del paese,
nella pesca, nelle miniere, manifatture o anche in abiti, si avrà
sempre un vantaggio per la comunità, poiché perfino
gli abiti sono più durevoli di cibi e bevande. Se il denaro
sarà usato per mobili di casa, il vantaggio sarà
anche maggiore, ancora maggiore sarà nella costruzione
di case, ecc., ma il vantaggio maggiore di tutti si avrà
se nel paese saranno importati oro e argento, perché questi
beni soltanto sono veramente durevoli, anzi sono stimati come
ricchezza in ogni tempo e in ogni luogo; tutto il resto non è
che ricchezza pro hinc et nunc." La sottrazione del denaro
alla fiumana della circolazione e il suo salvataggio dal ricambio
organico sociale si manifestano anche esteriormente nel sotterramento,
cosicché la ricchezza sociale, come tesoro durevole sotterraneo,
è messa in un rapporto privato del tutto segreto con il
possessore di merce. Il dottor Bernier, il quale per un certo
tempo si trattenne a Delhi alla corte di Aurenzeb, narra come
i mercanti sotterrino il loro denaro in segreto e a grande profondità,
ma che lo fanno specialmente i pagani non maomettani, i quali
hanno nelle loro mani quasi tutto il commercio e tutto il denaro,
"fissi come sono nella fede che l'oro e l'argento nascosti
durante la loro vita, serviranno loro dopo la morte, nell'altro
mondo". Il tesaurizzatore è del resto, in quanto il
suo ascetismo sia unito a una energica industriosità, in
religione essenzialmente protestante e ancor più puritano.
"Non si può negare che la compera e la vendita siano
cose necessarie, indispensabili, e si possano usare anche cristianamente,
in particolare in cose necessarie e onorevoli, poiché allo
stesso modo hanno venduto e comprato anche i patriarchi bestiame,
lana, grano, burro, latte e altri beni. Sono doni di Dio che egli
dà dal grembo della terra e distribuisce fra gli uomini.
Ma il commercio estero che porta qua merci da Calcutta e dalle
Indie e simili, come sono le splendide sete e i lavori in oro
e le spezie che servono solo alla magnificenza e non ad utilità
alcuna, e succhiano il denaro al paese e alla gente, non dovrebbe
essere ammesso, se avessimo un regime e dei principi. Ma di questo
non intendo scrivere ora, poiché penso che alla fine, quando
non avremo più denaro, dovremo abbandonarle da noi stessi,
come anche le gioie e le grandi mangiate: giacché non gioverà
né scritto né insegnamento finché non ci
costringeranno il bisogno e la povertà."
In epoche di commozioni del ricambio organico sociale, perfino
nella società borghese sviluppata, si verifica il sotterramento
del denaro come tesoro. La connessione sociale nella sua forma
compatta - pel possessore di merce questa connessione consiste
nella merce, e l'esistenza adeguata della merce è il denaro
- viene salvata dal pericolo del movimento sociale. Il nervus
rerum sociale viene seppellito accanto al corpo di cui è
nerbo.
Ora, il tesoro sarebbe semplicemente metallo inutile, la sua anima
di denaro gli sarebbe sfuggita, ed esso rimarrebbe indietro come
cenere bruciata della circolazione, come suo caput mortuum, se
non si trovasse in costante tensione nei confronti di quest'ultima.
Il denaro, ossia il valore di scambio fattosi indipendente è,
per sua qualità, esistenza della ricchezza astratta, d'altro
lato però ogni somma di denaro data è una grandezza
di valore quantitativamente limitata. Il limite quantitativo del
valore di scambio è in contraddizione con la sua generalità
qualitativa, e il tesaurizzatore sente il limite come barriera
che, di fatto, al contempo si trasmuta in barriera qualitativa,
ossia fa del tesoro il rappresentante solo limitato della ricchezza
materiale. Il denaro, come equivalente generale, si raffigura,
come abbiamo visto, direttamente in una equazione in cui il denaro
stesso costituisce uno dei termini, e la serie infinita delle
merci ne costituisce l'altro. Dipenderà dalla grandezza
del valore di scambio la misura in cui si realizzerà approssimativamente
come tale serie infinita, vale a dire corrisponderà al
proprio concetto di valore di scambio. Il movimento del valore
di scambio come valore di scambio, come automa, in generale non
potrà essere che quello di oltrepassare il proprio limite
quantitativo. Ma, oltrepassando un limite quantitativo del tesoro,
si creerà una nuova barriera che dovrà a sua volta
essere superata. Non è un limite determinato del tesoro
che si presenta come barriera bensì ogni suo limite. La
tesaurizzazione non ha dunque limite immanente, non ha misura
in sé, è bensì un processo infinito che in
ogni suo risultato trova un motivo del proprio inizio. Se il tesoro
si aumenta soltanto conservandolo, è però anche
vero che si conserva soltanto aumentandolo.
Il denaro non è soltanto un oggetto della smania di arricchimento,
ne è l'oggetto. Questa smania è essenzialmente auri
sacra fames. La smania di arricchimento. a differenza della smania
di una particolare ricchezza naturale o di valori d'uso come vestiti,
gioie, greggi, ecc., è possibile soltanto non appena la
ricchezza generale come tale è individualizzata in una
cosa particolare e quindi può essere fissata come merce
singola. Il denaro appare quindi altrettanto come oggetto quanto
come fonte della smania d'arricchimento. In fondo e di fatto si
tratta di questo: il valore di scambio come tale, e con ciò
il suo aumento, diventano fine. L'avarizia fissa il tesoro non
consentendo al denaro di diventare mezzo di circolazione, ma la
bramosia dell'oro ne conserva l'anima-denaro, la sua costante
tensione nei confronti della circolazione.
Ora, l'attività mediante la quale viene formato il tesoro,
è da un lato la sottrazione del denaro alla circolazione
mediante una vendita costantemente ripetuta, dall'altro un semplice
accatastare, un'accumulazione. Infatti, è soltanto nella
sfera della circolazione semplice, e cioè nella forma della
tesaurizzazione, che avviene l'accumulazione della ricchezza come
tale, mentre, come vedremo più avanti, le altre cosiddette
forme dell'accumulazione sono considerate accumulazione solo abusivamente,
solo per una reminiscenza della accumulazione semplice del denaro.
Tutte le altre merci sono accumulate o come valori d'uso, e allora
la specie della loro accumulazione è determinata dalla
particolarità del loro valore d'uso. L'accumulazione di
grano p. es. richiede particolari provvidenze. L'accumulazione
di pecore fa di me un pastore, l'accumulazione di schiavi e di
terre rende necessari rapporti di signoria e di servaggio, ecc.
La costituzione di scorte della ricchezza particolare richiede
processi particolari, differenziati dall'atto semplice della accumulazione
stessa, e sviluppa lati particolari dell'individualità.
Oppure, la ricchezza in forma di merci viene accumulata come valore
di scambio, e allora l'accumulazione appare come operazione commerciale
o specificamente economica. Il soggetto di quest'ultima diventa
mercante di cereali, mercante di bestiame, ecc. L'oro e l'argento
sono denaro non per effetto di una attività qualsiasi dell'individuo
che li accumula, bensì come cristalli del processo di circolazione
che ha luogo senza il suo intervento. L'individuo non ha da fare
null'altro che metterli da parte e accumulare peso su peso, attività
del tutto priva di contenuto la quale, applicata a tutte le altre
merci, svaluterebbe queste ultime.
Il nostro tesaurizzatore appare come martire del valore di scambio,
come santo asceta sulla sommità della colonna metallica.
A lui sta a cuore solo la ricchezza nella sua forma sociale, e
perciò la sotterra sottraendola alla società. Egli
esige la merce nella sua forma sempre suscettibile di circolazione,
e perciò la sottrae alla circolazione. Egli va in estasi
pel valore di scambio, e perciò non scambia nulla. La forma
fluida della ricchezza e il suo petrificato, l'elisir di vita
e la pietra filosofale, turbinano in una folle, spettrale ridda
alchimistica. Nella sua immaginaria smania di piacere illimitato
egli rinuncia a tutti i piaceri. Siccome egli vuole soddisfare
tutti i bisogni sociali, soddisfa a mala pena il naturale bisogno
corporale. Fissando la ricchezza nella sua corporeità metallica,
la fa evaporare fino a ridurla a semplice chimera. Ma in realtà
l'accumulazione del denaro per amor del denaro è la forma
barbarica della produzione per amor della produzione, ossia lo
sviluppo delle forze produttive del lavoro sociale al di là
dei limiti dei bisogni tradizionali. Quanto meno sviluppata è
la produzione delle merci, tanto più importante sarà
la prima autonomizzazione del valore di scambio come denaro, la
tesaurizzazione, la quale ha perciò una funzione importante
presso i popoli antichi, in Asia fino ai giorni nostri, e presso
i moderni popoli rurali, dove il valore di scambio non ha ancora
afferrato tutti i rapporti di produzione. La funzione specificamente
economica della tesaurizzazione entro la circolazione metallica
stessa la considereremo subito, ma prima accenneremo ancora a
un'altra forma di tesaurizzazione.
Astraendo completamente dalle loro qualità estetiche, le
merci d'argento e d'oro sono, in quanto il materiale di cui consistono
è il materiale del denaro, trasformabili in denaro allo
stesso modo che oro monetato o oro in verghe sono trasformabili
in quelle merci. Siccome l'oro e l'argento sono il materiale della
ricchezza astratta, la massima ostentazione della ricchezza consiste
nell'usarli come valori d'uso concreti, e se il possessore di
merci a certi gradi della produzione nasconde il proprio tesoro,
egli è indotto, in ogni caso in cui possa farlo con sicurezza,
ad apparire dinanzi agli altri possessori di merci come rico hombre.
Egli copre d'oro se stesso e la sua casa. In Asia, particolarmente
nelle Indie, dove la tesaurizzazione ancora non si presenta, come
nell'economia borghese, come funzione subordinata del meccanismo
della produzione complessiva e la ricchezza è invece trattenuta
in questa forma come ultimo fine, le merci d'oro e d'argento non
sono veramente che una forma estetica di tesoro. Nella Inghilterra
medievale, le merci d'oro e d'argento erano legalmente considerate
come semplice forma di tesoro, poiché il loro valore veniva
aumentato solo in misura scarsa dal lavoro rozzo aggiuntovi. Loro
scopo era di essere rigettate nella circolazione, e la loro finezza
era quindi prescritta allo stesso modo che lo era quella della
moneta stessa. L'uso crescente dell'oro e dell'argento come oggetti
di lusso, data la ricchezza crescente, è cosa tanto semplice
che per gli antichi risultava chiarissima mentre gli economisti
moderni hanno posto la tesi errata che l'uso di merci d'argento
e d'oro non aumenta in proporzione dell'aumento della ricchezza,
bensì soltanto in proporzione della diminuzione del valore
dei metalli nobili. Le loro delucidazioni, per altro esatte, sull'uso
dell'oro della California e dell'Australia, rivelano quindi sempre
una deficienza, poiché l'aumento nell'uso dell'oro come
materia prima non è giustificato nella loro immaginazione
dalla corrispondente diminuzione del suo valore. Dal 1810 al 1830,
come conseguenza della lotta fra le colonie americane e la Spagna
e dell'interruzione del lavoro nelle miniere per effetto delle
rivoluzioni, la produzione media annua dei metalli nobili era
diminuita di più della metà. La diminuzione della
moneta circolante in Europa ammontava quasi a l/6 paragonando
il 1829 con il 1809. Quindi, benché la quantità
della produzione fosse diminuita e le spese di produzione, se
pure mutate, fossero aumentate, il consumo dei metalli pregiati
come oggetti di lusso ciò nondimeno aumentò in misura
straordinaria, in Inghilterra già durante la guerra, sul
continente a partire dalla pace di Parigi. Il consumo crebbe insieme
con l'accrescersi della ricchezza generale. Come legge generale
si potrà affermare che la trasformazione di denaro aureo
e argenteo in oggetti di lusso prevale in periodi di pace, e la
loro ritrasformazione in verghe o anche in moneta prevale soltanto
in situazioni tempestose. L'importanza della proporzione fra il
tesoro d'oro e d'argento esistente in forma di oggetti di lusso
e il metallo nobile adibito a denaro si potrà capire vedendo
che nel 1829 la proporzione era in Inghilterra, secondo Jacob,
di 2 a 1, ma che in tutt'Europa e in America il metallo nobile
esisteva per 1/4 di più in oggetti di lusso che non in
denaro.
Abbiamo visto che la circolazione del denaro è soltanto
la manifestazione della metamorfosi delle merci o del cambiamento
di forma in cui si compie il ricambio organico sociale. Insieme
con la somma variante dei prezzi delle merci circolanti, ossia
con il volume delle loro simultanee metamorfosi da un lato, insieme
con ogni singola velocità del loro cambiamento formale
dall'altro, la quantità complessiva dell'oro circolante
doveva quindi costantemente espandersi o contrarsi, cosa possibile
soltanto a condizione che la quantità complessiva del denaro
presente in un paese si trovi continuamente in un rapporto variante
con la quantità del denaro presente nella circolazione.
Questa condizione è adempiuta dalla tesaurizzazione. Se
i prezzi diminuiscono oppure se aumenta la velocità di
circolazione, i serbatoi tesauriferi assorbono la parte del denaro
che la circolazione secerne; se i prezzi aumentano, oppure se
diminuisce la velocità di circolazione, i tesori si aprono
e riaffluiscono in parte nella circolazione. L'irrigidimento del
denaro circolante in tesoro e l'effusione dei tesori nella circolazione
è un movimento oscillatorio costantemente variante, nel
quale il prevalere dell'una o dell'altra direzione è determinato
esclusivamente dalle oscillazioni della circolazione delle merci.
In tal modo i tesori si presentano come canali di afflusso e di
deflusso del denaro circolante, cosicché circola sempre
come moneta soltanto la quantità di denaro richiesta dai
bisogni immediati della circolazione stessa. Se il volume della
circolazione complessiva si espande improvvisamente e se l'unità
fluida di vendita e di compera prevale, in modo che però
la somma complessiva dei prezzi da realizzarsi cresca anche più
rapidamente della velocità della circolazione del denaro,
i tesori si vuoteranno a vista d'occhio; non appena il movimento
complessivo ristagna in modo inusuale, oppure si consolida la
separazione fra vendita e compera, il mezzo di circolazione si
irrigidisce a denaro in proporzioni molto vistose, e i serbatoi
tesauriferi si riempiono molto al di sopra del loro livello medio.
In paesi a circolazione solo metallica o a livello di produzione
poco elevato, i tesori sono frazionati all'infinito e disseminati
su tutta la superficie del paese, mentre in paesi borghesemente
sviluppati sono concentrati nei serbatoi delle banche. Il tesoro
non è da confondersi con la riserva monetaria, la quale
costituisce a sua volta un elemento della quantità complessiva
di denaro sempre in circolazione, mentre il rapporto attivo fra
tesoro e mezzo di circolazione presuppone la diminuzione o l'aumento
di quella quantità complessiva. Le merci in oro e in argento,
come abbiamo visto, costituiscono anch'esse un canale di deflusso
dei metalli pregiati, come pure una fonte latente di afflusso.
In tempi normali la loro prima funzione soltanto è importante
per l'economia della circolazione metallica.
b. Mezzo di pagamento
Le due forme nelle quali il denaro si differenziava dal mezzo
di circolazione, erano quella della moneta sospesa e quella del
tesoro. La prima forma rifletteva nella trasformazione passeggera
della moneta in denaro, che il secondo termine di M - D - M, la
compera D - M, entro una determinata sfera di circolazione, deve
frazionarsi in una serie di compere successive. Ma la tesaurizzazione
si basava semplicemente sull'isolamento dell'atto M - D il quale
non proseguiva a D - M, ossia era null'altro che lo sviluppo autonomo
della prima metamorfosi della merce, il denaro, sviluppato come
esistenza alienata di tutte le merci in contrapposizione al mezzo
di circolazione come esistenza della merce nella sua forma sempre
alienantesi. La riserva monetaria e il tesoro non erano che denaro
come non-mezzi di circolazione, non-mezzi di circolazione però
solo perché non circolavano. Nella definizione in cui considereremo
ora il denaro, esso circola o entra nella circolazione, ma non
con la funzione del mezzo di circolazione. Come mezzo di circolazione
il denaro è sempre stato mezzo di acquisto, ora agirà
da non-mezzo d'acquisto.
Non appena il denaro, mediante la tesaurizzazione, è sviluppato
come esistenza della ricchezza sociale astratta e come rappresentante
materiale della ricchezza materiale, in questa sua definizione
come denaro acquisisce entro il processo di circolazione funzioni
particolari. Se il denaro circola come semplice mezzo di circolazione,
e con ciò come mezzo di acquisto, si presuppone che la
merce e il denaro si stanno di fronte contemporaneamente, che
dunque la medesima grandezza di valore è presente in duplice
modo, a un polo come merce nelle mani del venditore, all'altro
come denaro nelle mani del compratore. Questa esistenza contemporanea
dei due equivalenti a poli opposti e il loro contemporaneo cambiamento
di posto, ossia la loro vicendevole alienazione, presuppongono
a loro volta che venditore e compratore si riferiscano l'uno all'altro
soltanto come possessori di equivalenti presenti. Ma il processo
della metamorfosi delle merci, il quale produce differenti definizioni
formali del denaro, metamorfizza anche i possessori di merci,
ossia modifica i caratteri sociali con cui si appaiono reciprocamente.
Nel processo di metamorfosi della merce, il custode della merce
cambierà pelle tutte le volte che la merce si muova o che
il denaro nasca in nuove forme. Così, in origine i possessori
di merci si stavano di fronte soltanto come possessori di merci
e diventavano poi, l'uno venditore, l'altro compratore, in seguito
ognuno in modo alternato compratore e venditore, poi tesaurizzatore,
infine uomo ricco. Così, i possessori di merci non escono
dal processo di circolazione come vi sono entrati. Infatti le
differenti definizioni formali acquisite dal denaro nel processo
di circolazione, non sono altro che il cambiamento formale cristallizzato
delle merci stesse, il quale a sua volta è null'altro che
l'espressione oggettuale delle mutevoli relazioni sociali nelle
quali i possessori di merci compiono il loro ricambio organico.
Nel processo di circolazione nascono nuovi rapporti di traffico,
e come rappresentanti di questi rapporti modificati i possessori
di merci acquisiscono nuovi caratteri. Allo stesso modo che entro
la circolazione interna il denaro si idealizza e la semplice carta,
come rappresentante dell'oro, esegue la funzione del denaro, il
medesimo processo dà al compratore o al venditore, che
vi entra come semplice rappresentante di denaro o di merce, ossia
rappresenta denaro futuro o merce futura, la efficacia del venditore
o compratore reale.
Tutte le definizioni formali nelle quali si
sviluppa l'oro come denaro, sono soltanto lo svolgimento delle
definizioni racchiuse nella metamorfosi delle merci, le quali
però, nella circolazione semplice del denaro, nell'aspetto
del denaro come moneta o nel movimento M - D - M quale unità
progrediente, non sono secrezioni giunte a forma autonoma, oppure,
come p. es. l'interruzione della metamorfosi della merce, sono
apparse come semplici possibilità. Abbiamo visto che nel
processo M - D la merce, come valore d'uso reale e come valore
di scambio ideale, si riferiva al denaro come valore di scambio
reale e valore d'uso soltanto ideale. Alienando la merce come
valore d'uso, il compratore ha realizzato il valore di scambio
della merce e il valore d'uso del denaro. Viceversa, alienando
il denaro come valore di scambio, il compratore ha realizzato
il valore d'uso del denaro e il prezzo della merce. Ha avuto luogo
un corrispondente cambiamento di posto da parte della merce e
del denaro. Il processo vivo di questa antitesi duplicemente polare
è ora scisso a sua volta nella sua realizzazione. Il venditore
aliena la merce realmente e realizza il suo prezzo in un primo
tempo di nuovo solo idealmente. L'ha venduta al suo prezzo, il
quale è però realizzato soltanto in un'epoca posteriore
stabilita. Il compratore compera in quanto rappresentante di denaro
futuro, mentre il venditore vende in quanto possessore di merce
attuale. Dalla parte del venditore la merce è realmente
alienata come valore d'uso, senza che essa sia realmente realizzata
come prezzo, dalla parte del compratore il denaro è realmente
realizzato nel valore d'uso della merce senza che sia realmente
alienato come valore di scambio. Al posto del segno di valore
di prima, qui è il compratore stesso che rappresenta simbolicamente
il denaro. Ma come prima il simbolismo generale del segno di valore
provocava la garanzia e il corso forzoso da parte dello Stato,
ora il simbolismo personale del compratore provoca dei contratti
privati legalmente coattivi fra i possessori di merci.
Viceversa, nel processo D - M il denaro può essere alienato
come reale mezzo di acquisto, e il prezzo della merce essere in
tal modo realizzato prima che sia realizzato il valore d'uso del
denaro o la merce sia alienata. Questo ha luogo p. es. nella forma
comunissima del pagamento anticipato. Oppure nella forma in cui
il governo inglese compera l'oppio dei ryots in India, oppure
commercianti stranieri domiciliati in Russia comprano in gran
parte prodotti nazionali russi. In questo modo però il
denaro agisce soltanto nella forma già nota del mezzo d'acquisto
e quindi non acquisisce una nuova definizione formale. Non ci
soffermeremo perciò su quest'ultimo caso, ma osserveremo,
con riferimento alla figura trasformata in cui entrambi i processi
D - M e M - D qui si presentano, che la differenza puramente intenzionale
fra compera e vendita, come appare immediatamente nella circolazione,
diventa ora differenza reale pel fatto che nell'una delle forme
è presente solo la merce e nell'altra solo il denaro, in
entrambe le forme però soltanto l'estremo da cui parte
l'iniziativa. Inoltre entrambe le forme hanno in comune che in
tutte e due l'uno degli equivalenti è presente solo nella
volontà comune del compratore e del venditore, volontà
che vincola entrambi e acquisisce determinate forme legali.
Venditore e compratore diventano creditore e debitore. Se il possessore
di merce, come custode del tesoro, recitava una parte piuttosto
buffa, ora egli diventa terrificante in quanto concepisce non
se stesso, bensì il suo prossimo, come esistenza di una
determinata somma di denaro e rende martire del valore di scambio
non se stesso, bensì il prossimo. Da credente diventa creditore,
dalla religione precipita nella giurisprudenza.
"I stay here on my bond!"
Dunque, nella forma modificata M - D, nella quale la merce è
presente e il denaro è soltanto rappresentato, il denaro
funziona in un primo momento come misura dei valori. Il valore
di scambio della merce è stimato nel denaro come sua misura,
ma come valore di scambio misurato contrattualmente il prezzo
esiste non soltanto nella mente del venditore, bensì al
contempo come misura del debito del compratore. Secondo, il denaro
funziona qui da mezzo di acquisto benché proietti soltanto
l'ombra della sua esistenza futura. Esso trae cioè la merce
dal suo posto, dalla mano del venditore in quella del compratore.
Quando scade il termine dell'adempimento del contratto, il denaro
entra nella circolazione, poiché cambia posto e passa dalle
mani del compratore passato in quelle del venditore passato. Ma
non entra nella circolazione come mezzo di circolazione o mezzo
di acquisto. Come tale ha funzionato prima di esserci, e si presenta
dopo aver cessato di funzionare come tale. Invece entra in circolazione
come unico equivalente adeguato della merce, come esistenza assoluta
del valore di scambio, come ultima parola del processo di scambio,
in breve come denaro, e cioè come denaro nella funzione
determinata di mezzo di pagamento generale. In questa funzione
come mezzo di pagamento il denaro appare come la merce assoluta,
ma entro la circolazione stessa, non come il tesoro al di fuori
di questa. La differenza fra mezzo d'acquisto e mezzo di pagamento
si fa notare in modo assai spiacevole nelle epoche di crisi commerciali.
In origine, nella circolazione, la trasformazione del prodotto
in denaro appare soltanto come necessità individuale per
il possessore di merce in quanto il suo prodotto non è
valore d'uso per lui, ma deve appena diventarlo mediante la sua
alienazione. Ma per pagare alla scadenza contrattuale, egli dovrà
prima aver venduto merce. In modo del tutto indipendente dai suoi
bisogni individuali la vendita è quindi, per effetto del
movimento del processo di circolazione, trasformata per lui in
una necessità sociale. Come compratore passato di una merce,
egli diventa per forza venditore di un'altra merce, non per ricevere
il denaro come mezzo d'acquisto, bensì come mezzo di pagamento,
come forma assoluta del valore di scambio. La trasformazione della
merce in denaro come atto conclusivo, ossia la prima metamorfosi
della merce come fine a se stessa, che nella tesaurizzazione sembrava
un capriccio del possessore di merce, è ora diventata una
funzione economica. Il motivo e il contenuto della vendita, per
pagare, è contenuto dello stesso processo di circolazione
derivante dalla forma di quest'ultimo.
In questa forma di vendita la merce compie il proprio cambiamento
di posto, circola mentre differisce la sua prima metamorfosi,
la sua trasformazione in denaro. Dalla parte del compratore invece
si compie la seconda metamorfosi, ossia denaro è ritrasformato
in merce prima che sia compiuta la prima metamorfosi, ossia prima
che merce sia stata trasformata in denaro. La prima metamorfosi
si presenta quindi qui nel tempo dopo la seconda. E con ciò
il denaro, la figura della merce nella sua prima metamorfosi,
acquisisce una nuova definizione formale. Il denaro, ossia lo
sviluppo autonomo del valore di scambio, non è più
la forma mediatrice della circolazione delle merci, ne è
bensì il risultato conclusivo.
Che simili vendite a tempo, nelle quali entrambi i poli della
vendita esistono separati nel tempo, nascano naturalmente dalla
circolazione semplice delle merci, non ha bisogno di essere dimostrato
nei particolari. In un primo momento lo sviluppo della circolazione
comporta che la reciproca presenza dei medesimi possessori di
merce come venditore e come compratore si ripeta. Il fenomeno
ripetuto non rimane soltanto casuale, ma la merce è p.
es. ordinata per un termine di tempo futuro, in cui dovrà
essere fornita e pagata. In questo caso la vendita è compiuta
idealmente, cioè nel nostro caso giuridicamente senza che
merce e denaro si presentino in carne ed ossa. Entrambe le forme
del denaro come mezzo di circolazione e come mezzo di pagamento
qui coincidono ancora poiché merce e denaro cambiano di
posto allo stesso tempo, e d'altra parte il denaro non compera
la merce, ma realizza il prezzo della merce venduta in precedenza.
Inoltre la natura di una serie di valori d'uso comporta che questi
siano realmente alienati, non con la effettiva consegna della
merce, bensì mediantela sua cessione per un determinato
tempo. P. es., se l'uso di una casa è venduto per un mese,
il valore d'uso della casa è fornito solo alla fine del
mese benché la casa cambi di mano all'inizio del mese.
Siccome la cessione di fatto del valore d'uso e la sua reale alienazione
qui si distaccano nel tempo, la realizzazione del prezzo del valore
d'uso avrà luogo anch'essa più tardi che non il
suo cambiamento di posto. Infine però la differenza nella
durata del tempo e nell'epoca, in cui sono prodotte le differenti
merci, comporta che l'uno si presenti come venditore mentre l'altro
non può ancora presentarsi come compratore, e, data una
frequente ripetizione di compera e vendita fra i medesimi possessori
di merce, i due momenti della vendita si distanzieranno a seconda
delle condizioni di produzione delle loro merci.
Così ha
origine un rapporto di creditore e di debitore fra i possessori
di merce che costituisce, è vero, la base naturale del
sistema di credito, ma potrà essere completamente sviluppato
prima che esista questo ultimo. È chiaro tuttavia che,
con il perfezionamento del sistema di credito, della produzione
borghese in genere dunque, la funzione del denaro come mezzo di
pagamento si estenderà a spese della sua funzione di mezzo
di acquisto e ancor più come elemento di tesaurizzazione.
In Inghilterra p. es. il denaro come moneta è confinato
quasi esclusivamente nella sfera del commercio al minuto e del
piccolo commercio fra produttori e consumatori, mentre come mezzo
di pagamento esso domina la sfera delle grandi transazioni commerciali.
Come mezzo generale di pagamento il denaro diventa la merce generale
dei contratti, in un primo tempo soltanto entro la sfera della
circolazione delle merci. Ma con il suo sviluppo in questa funzione,
un pò alla volta tutte le altre forme del pagamento si
riducono a pagamento in denaro. Il grado al quale il denaro è
sviluppato come mezzo esclusivo di pagamento, indica il grado
in cui il valore di scambio si è impadronito della produzione
nella sua profondità e ampiezza.
In un primo momento la massa del denaro circolante come mezzo
di pagamento è determinata dall'ammontare dei pagamenti,
ossia dalla somma dei prezzi delle merci alienate, non di quelle
da alienarsi come succede nella circolazione semplice del denaro.
La somma così determinata viene però modificata
in duplice maniera, primo dalla velocità con cui la stessa
moneta ripete la stessa funzione ovvero la massa dei pugamenti
si presenti come catena progrediente di pagamenti. A paga B, dopo
di che B paga C, e così avanti. La velocità con
cui una medesima moneta ripete la sua funzione di mezzo di pagamento
dipende da un lato dalla concatenazione dei rapporti di creditore
e debitore fra i possessori di merci, cosicché un medesimo
possessore di merce è creditore di fronte all'uno, debitore
di fronte all'altro, ecc., d'altro lato dipende dalla durata di
tempo che separa i difrerenti termini di pagamento. Questa catena
di pagamenti, ossia di prime metamorfosi posticipate delle merci,
differisce qualitativamente dalla catena delle metamorfosi che
si manifesta nella circolazione del denaro in quanto mezzo di
circolazione. Quest'ultima non soltanto appare in successione
temporale, bensì diviene in essa per la prima volta. La
merce diventa denaro, poi di nuovo merce, e in tal modo rende
possibile all'altra merce di diventare denaro, ecc., ossia il
venditore diventa compratore, per il quale fatto un altro possessore
di merce diventa venditore. Questa connessione nasce casualmente
nel processo stesso dello scambio di merci. Ma che il denaro con
cui A ha pagato B, venga pagato successivamente da B a C, da C
a D, ecc., e questo in momenti succedentisi rapidamente: in questa
connessione esteriore viene alla luce semplicemente una connessione
sociale già presente bell'e pronta. Il medesimo denaro
non passa per mani differenti perché si presenta come mezzo
di pagamento, bensì circola come mezzo di pagamento, perché
mani differenti si sono già unite in una stretta. La velocità
con la quale circola il denaro come mezzo di pagamento, mostra
dunque un'attrazione molto più profonda dei singoli individui
nel processo di circolazione che non la velocità con la
quale il denaro circola come moneta o mezzo d'acquisto.
La somma dei prezzi di compere e di vendite contemporanee e quindi
giustapposte nello spazio costituisce il limite entro il quale
la massa monetaria può essere sostituita dalla velocità
di circolazione. Questa barriera viene a mancare pel denaro in
funzione di mezzo di pagamento. Se in un punto si concentrano
pagamenti da farsi allo stesso tempo, cosa che naturalmente si
verifica solo nei grandi centri di raccolta della circolazione
delle merci, i pagamenti, come grandezze negative e positive,
si controbilanciano reciprocamente giacchè A deve pagare
a B, ma allo stesso tempo deve ricevere il pagamento da C, ecc.
La somma di denaro richiesta come mezzo di pagamento sarà
quindi determinata non dalla somma dei prezzi dei pagamenti da
realizzarsi contemporaneamente, bensì dalla loro maggiore
o minore concentrazione e dalla grandezza del bilancio che rimane
dopo la loro elisione vicendevole in quanto grandezze negative
e positive. Dispositivi appositi per queste compensazioni nascono
senza alcuno sviluppo del sistema creditizio, come p. es, nell'antica
Roma. La considerazione di queste non rientra qui come non rientra
qui la considerazione dei termini generali di pagamento, i quali
si fissano ovunque in determinati circoli della società.
Qui basti osservare che l'influsso specifico che questi termini
esercitano sulle oscillazioni periodiche nella quantità
del denaro circolante è stato indagato scientificamente
soltanto in epoca recentissima.
In quanto i pagamenti si compensano come grandezze positive e
negative non ha luogo alcun intervento di denaro reale. Il denaro
si sviluppa qui solo nella sua forma di misura dei valori, da
un lato nel prezzo della merce, dall'altro nella grandezza delle
obbligazioni reciproche. Oltre alla sua esistenza ideale, il valore
di scambio qui non acquisisce esistenza autonoma, nemmeno l'esistenza
come segno di valore, ossia il denaro diventa soltanto moneta
di conto ideale. La funzione del denaro come mezzo di pagamento
racchiude dunque la contraddizione che da un lato, in quanto i
pagamenti si compensano, esso agisce solo idealmente da misura,
d'altro lato, in quanto il pagamento è da effettuarsi realmente,
esso non entra nella circolazione come mezzo di circolazione transitorio,
bensì come esistenza fissa dell'equivalente generale, nella
qualità di merce assoluta, in breve, come denaro. Quindi,
là dove si sono sviluppati la catena dei pagamenti e un
sistema artificiale della loro compensazione, in epoche di commozioni
che interrompono con violenza il corso dei pagamenti e perturbano
il meccanismo della loro compensazione, il denaro trapassa improvvisamente
dalla sua figura aerea, arzigogolata dal cervello, di misura dei
valori a quella di solida moneta ossia mezzo di pagamento. In
condizioni di produzione borghese sviluppata, dunque, in cui il
possessore di merce è da lungo tempo diventato capitalista,
conosce il suo Adam Smith e sorride con aria superiore della superstizione
che vede come denaro unicamente l'oro e l'argento e ritiene che
il denaro sia in generale, a differenza di altre merci, la merce
assoluta, il denaro riappare improvvisamente, non come mediatore
della circolazione, ma come unica forma adeguata del valore di
scambio, come unica ricchezza, proprio come lo concepisce il tesaurizzatore.
In quanto siffatta esclusiva esistenza della ricchezza, il denaro
non si manifesta, come accade per esempio nel sistema monetario,
nella svalutazione e mancanza di valore di tutta la ricchezza
materiale soltanto rappresentate, bensì in quelle reali.
È questo quel particolare momento delle crisi del mercato
mondiale che si chiama crisi monetaria. Il summum bonum,
invocato in tali momenti con alte grida come unica ricchezza,
è il denaro, il denaro contante, e accanto ad esso tutte
le altre merci, appunto in quanto valori d'uso, sono inutili in
quanto cose vane, giocattoli o, come dice il nostro dottor Martin
Lutero, come meri agghindamenti e gran mangiate. Questo subitaneo
trapasso del sistema creditizio a sistema monetario aggiunge il
terrore teorico al panico pratico, e gli agenti della circolazione
rabbrividiscono dinanzi al mistero impenetrabile dei loro propri
rapporti.
I pagamenti, a loro volta, rendono necessario un fondo di riserva,
una accumulazione di denaro come mezzo di pagamento. La costituzione
di questi fondi di riserva non si presenta più, come accadeva
per la tesaurizzazione, come attività aliena alla circolazione
stessa, né, come accadeva per la riserva monetaria, come
ristagno puramente tecnico della moneta, bensì, il denaro
deve essere raccolto un po' alla volta per esser disponibile al
momento di determinate future scadenze di pagamento. Mentre dunque
la tesaurizznzione, nella forma astratta in cui è considerata
arricchimento, diminuisce insieme con lo sviluppo della produzione
borghese, aumenta quest'ultima tesaurizzazione, richiesta direttamente
dal processo di scambio, ossia una parte dei tesori, che in generale
si formano nella sfera della circolazione delle merci, viene assorbita
come fondo di riserva di mezzi di pagamento. Quanto più
la produzione borghese è sviluppata, tanto più questi
fondi di riserva saranno limitati al minimo necessario. Locke
ci dà nel suo scritto sull'abbassamento del saggio d'interesse
interessanti notizie sull'ammontare di questi fondi di riserva
nella sua epoca. Da esse si vede quale parte considerevole del
denaro circolante in genere assorbissero in Inghilterra i serbatoi
di mezzi di pagamento proprio nell'epoca in cui il sistema bancario
cominciava a svilupparsi.
La legge sulla quantità del denaro circolante, come risultava
dalla considerazione della circolazione semplice del denaro, è
modificata sostanzialmente dalla circolazione del mezzo di pagamento.
Data la velocità di circolazione del denaro, sia in quanto
mezzo di circolazione, sia in quanto mezzo di pagamento, la somma
complessiva del denaro circolante in un dato periodo sarà
determinata dalla somma complessiva dei prezzi delle merci da
realizzarsi, più la somma complessiva dei pagamenti in
scadenza della medesima epoca, meno i pagamenti che si elidono
reciprocamente mediante compensazione. La legge generale secondo
cui la massa del denaro circolante dipende dai prezzi delle merci,
non è in tal modo affatto inficiata, poiché l'ammontare
dei pagamenti stessi è determinato dai prezzi stabiliti
per contratto. Ma risulta con lampante chiarezza che, anche presupposte
invariate la velocità di circolazione e l'economia dei
pagamenti, la somma dei prezzi delle masse di merci circolanti
in un determinato periodo, p. es. in un giorno, e la massa del
denaro circolante nel medesimo giorno non coincidono affatto,
poiché circola una massa di merci il cui prezzo sarà
realizzato in denaro solo in futuro, e circola una massa di denaro
pel quale le merci corrispondenti sono da gran tempo uscite di
circolazione. Quest'ultima massa stessa dipenderà dalla
grandezza della somma di valore dei pagamenti in scadenza nello
stesso giorno, benché siano contratti in periodi del tutto
diversi.
Abbiamo visto che il cambiamento nel valore dell'oro e dell'argento
non incide sulla loro funzione come misura dei valori o denaro
di conto. Ma questo cambiamento acquista importanza decisiva per
il denaro come tesoro, poiché con l'aumento o con la diminuzione
del valore dell'oro e dell'argento aumenta o diminuisce la grandezza
di valore del tesoro aureo o argenteo. E ancor più importante
sarà per il denaro come mezzo di pagamento. Il pagamento
avviene soltanto in epoca successiva alla vendita della merce,
ossia il denaro agisce in due periodi diversi in due funzioni
diverse, prima come misura dei valori, poi come mezzo di pagamento
corrispondente a questa misurazione. Se nel frattempo cambia il
valore dei metalli nobili, ossia il tempo di lavoro richiesto
per la loro produzione, una medesima quantità di oro o
di argento, presentandosi come mezzo di pagamento, avrà
maggiore o minor valore che all'epoca in cui servì da misura
dei valori o fu concluso il contratto. La funzione di una merce
particolare, come l'oro e l'argento, quale denaro ossia valore
di scambio autonomizzato, entra qui in collisione con la sua natura
di merce particolare, la cui grandezza di valore dipende dal cambiamento
dei suoi costi di produzione. La grande rivoluzione sociale provocata
dalla caduta del valore dei metalli nobili in Europa è
cosa altrettanto nota quanto la rivoluzione opposta causata in
un'epoca remota dell'antica repubblica di Roma dall'aumento nel
valore del rame in cui erano contratti i debiti dei plebei. Senza
seguire oltre le oscillazioni nel valore dei metalli nobili nel
loro influsso sul sistema dell'economia borghese, risulta già
qui che la caduta nel valore dei metalli nobili favorisce i debitori
a spese dei creditori e che, viceversa, un aumento nel loro valore
favorisce i creditori a spese dei debitori.
c. Moneta mondiale
L'oro diventa denaro che si differenzia dalla moneta soltanto
ritirandosi come tesoro dalla circolazione, entrando poi in questa
come non-mezzo di circolazione, ma abbattendo alla fine le barriere
della circolazione interna per funzionare da equivalente generale
nel mondo delle merci. In tal modo diventa moneta mondiale.
Allo stesso modo che le misure generali del peso dei metalli nobili
servivano in origine da misure di valore, all'interno del mercato
mondiale le denominazioni di conto del denaro sono di nuovo trasformate
nelle corrispondenti denominazioni di peso. Allo stesso modo che
il metallo grezzo amorfo (aes rude) era la forma originaria
del mezzo di circolazione, e la forma monetaria in origine era
essa stessa soltanto segno ufficiale del peso contenuto nei pezzi
di metallo, il metallo nobile come moneta mondiale si toglie nuovamente
figura e conio e ricade nella forma indifferente delle verghe,
oppure, se monete nazionali circolano all'estero, come imperiali
russi, talleri messicani e sovrane inglesi, il loro titolo diventa
indifferente e vale soltanto il loro contenuto. Come denaro internazionale,
infine, i metalli nobili compiono di nuovo la loro funzione originaria
di mezzo di scambio, la quale, come lo stesso scambio di merci,
non è nata all'interno della comunità naturale,
bensì ai punti di contatto fra comunità differenti.
Come moneta mondiale il denaro riacquista dunque la sua forma
primaria spontanea. Abbandonando la circolazione interna, si toglie
nuovamente di dosso le forme particolari sorte dallo sviluppo
del processo di scambio entro quella sfera particolare, le sue
forme locali come scala di misura dei prezzi, moneta, moneta divisionale
e segno di valore.
Abbiamo visto che nella circolazione interna di un paese una sola
merce serve da misura dei valori. Ma siccome in un paese questa
funzione è esercitata dall'oro, nell'altro dall'argento,
sul mercato mondiale vale una duplice misura dei valori, e il
denaro raddoppia la sua esistenza anche in tutte le altre funzioni.
La traduzione dei valori delle merci da prezzi in oro in prezzi
in argento e viceversa, è determinata ogni volta dal valore
relativo dei due metalli, il quale cambia costantemente e la cui
fissazione appare quindi come costante processo. I possessori
di merce di ogni sfera della circolazione interna sono costretti
a usare per la circolazione esterna alternativamente l'oro e l'argento
e a scambiare perciò il metallo che all'interno è
considerato denaro con il metallo che in quel momento necessita
loro come denaro all'estero. Ogni nazione usa dunque come moneta
mondiale entrambi i metalli, l'oro e l'argento.
Nella circolazione internazionale delle merci l'oro e l'argento
non appaiono come mezzi di circolazione, ma come mezzi generali
di scambio. Il mezzo di scambio generale funziona però
soltanto nelle due forme sviluppate di mezzo d'acquisto e di mezzo
di pagamento il cui rapporto, tuttavia, sul mercato mondiale si
inverte. Nella sfera della circolazione interna il denaro, in
quanto era moneta, rappresentava il mediatore dell'unità
in movimento M - D - M ossia la forma puramente transitoria del
valore di scambio nell'incessante cambiamento di posto delle merci,
agiva esclusivamente come mezzo d'acquisto. Sul mercato mondiale
accade il contrario. L'oro e l'argento appaiono qui come mezzi
di acquisto, se il ricambio è soltanto unilaterale, e quindi
compera e vendita non coincidono. Il commercio confinario a Kiachta
p. es. è in effetti e per contratto commercio di scambio
in cui l'argento non è che misura di valore. La guerra
del 1857-58 indusse i cinesi a vendere senza comprare. Allora
improvvisamente l'argento appare come mezzo d'acquisto. Per un
riguardo al tenore del contratto, i russi trasformarono monete
francesi da cinque franchi in rozzi articoli d'argento che servivano
da mezzo di scambio. L'argento funziona continuamente come mezzo
d'acquisto fra Europa e America da un lato, l'Asia dall'altro,
dove si fissa come tesoro. Inoltre i metalli funzionano da mezzi
d'acquisto internazionali non appena l'equilibrio economico del
ricambio organico fra due nazioni è interrotto all'improvviso,
ad esempio nel caso che un cattivo raccolto costringa una delle
due a comprare in misura straordinaria. Infine i metalli nobili
sono mezzo d'acquisto internazionale nelle mani dei paesi produttori
d'oro e d'argento, dove sono prodotto immediato e merce, e non
forma modificata della merce. Quanto più si sviluppa lo
scambio di merci fra sfere di circolazione nazionali diverse,
tanto più si sviluppa la funzione della moneta mondiale
come mezzo di pagamento per la compensazione dei bilanci internazionali.
Come la circolazione interna, così anche la circolazione
internazionale richiede una quantità di oro e di argento
sempre mutevole. Una parte dei tesori accumulati serve quindi
presso ogni popolo come fondo di riserva della moneta mondiale
che ora si svuota, ora si riempie di nuovo, a seconda delle oscillazioni
dello scambio di merci. Oltre ai movimenti particolari con i quali
essa si affanna entro le sfere di circolazione nazionali, la moneta
mondiale ha un movimento generale i cui punti di partenza si trovano
alle fonti della produzione, dalle quali corsi d'oro e di argento
scendono in direzione diversa sul mercato mondiale. Come merci,
l'oro e l'argento entrano qui nella circolazione mondiale e come
equivalenti sono scambiati in proporzione del tempo di lavoro
in essi contenuto, con equivalenti in merci prima di finire nelle
sfere della circolazione interna. In queste appaiono perciò
con una grandezza di valore data. Ogni diminuzione o aumento nel
cambiamento delle loro spese di produzione incide quindi sul mercato
mondiale in modo uniforme sul loro valore relativo, il quale invece
è del tutto indipendente dal grado a cui le diverse sfere
nazionali della circolazione inghiottono oro o argento. La parte
della fiumana metallica che viene raccolta da ogni sfera particolare
del mondo delle merci entra in parte direttamente nella circolazione
interna del denaro per sostituirvi le monete metalliche logorate,
in parte viene arginata nei diversi serbatoi tesauriferi della
moneta, del mezzo di pagamento e della moneta mondiale, in parte
viene trasformata in articoli di lusso, mentre il resto infine
diventa semplicemente tesoro. A un grado di produzione borghese
sviluppata la formazione di tesori è limitata al minimo
richiesto dai diversi processi della circolazione per il libero
giuoco del loro meccanismo. Tesoro come tale qui diventa solo
la ricchezza in maggese - a meno che essa non sia la forma momentanea
di un'eccedenza nella bilancia dei pagamenti, risultato di un
ricambio organico interrotto e per questo irrigidimento della
merce nella sua prima metamorfosi.
Come l'oro e l'argento, in quanto denaro, sono nel concetto la
merce generale così, nella moneta mondiale, acquistano
la corrispondente forma d'esistenza di merce universale. Nella
proporzione in cui tutti i prodotti si alienano con essa, diventano
la forma tramutata di tutte le merci e quindi la merce universalmente
alienabile. Come materializzazione del tempo di lavoro generale
sono realizzati nella misura in cui il ricambio organico dei lavori
reali abbraccia la superficie del globo. Diventano equivalente
generale allo stesso grado in cui si sviluppa la serie degli equivalenti
particolari che costituiscono la loro sfera di scambio. Siccome
nella circolazione mondiale le merci dispiegano universalmente
il proprio valore di scambio, la forma di quest'ultimo, trasformata
in oro e in argento, appare come moneta mondiale. Quindi, mentre
le nazioni di possessori di merci, mediante la loro industria
universale e il loro traffico generale trasformano l'oro in denaro
adeguato, industria e traffico appaiono loro soltanto come mezzi
per sottrarre il denaro, nella forma di oro e di argento, al mercato
mondiale. L'oro e l'argento come moneta mondiale sono quindi tanto
prodotto della circolazione generale delle merci come anche mezzo
per estenderne l'orbita. Allo stesso modo che alle spalle degli
alchimisti, che volevano fare l'oro, nacque la chimica, alle spalle
dei possessori di merci che danno la caccia alla merce nella sua
forma fatata, sgorgano dal suolo le fonti dell'industria e del
commercio mondiali. L'oro e l'argento aiutano a creare il mercato
mondiale anticipando nel loro concetto del denaro la esistenza
del denaro. Che questa loro azione magica non sia affatto limitata
agli anni d'infanzia della società borghese, bensì
nasca necessariamente dal rovesciamento in cui ai rappresentanti
del mondo delle merci appare il loro proprio lavoro sociale, lo
dimostra lo straordinario influsso esercitato sul traffico mondiale
alla metà del secolo XIX dalla scoperta di nuove regioni
aurifere.
Allo stesso modo che il denaro si sviluppa in moneta mondiale,
il possessore di merci si sviluppa in cosmopolita. La relazione
cosmopolitica fra gli uomini è in origine soltanto il loro
rapporto come possessori di merce. La merce di per sé è
superiore a ogni barriera religiosa, politica, nazionale e linguistica.
Il suo linguaggio generale è il prezzo, e la sua comunità
è il denaro. Ma con lo sviluppo della moneta mondiale in
contrapposizione alla moneta nazionale, il cosmopolitismo del
possessore di merce si sviluppa come fede della ragione pratica
in contrapposizione ai pregiudizi religiosi, nazionali ed altri
che ostacolano il ricambio organico dell'umanità. Come
quello stesso oro, che nella forma di eagles americani sbarca
in Inghilterra, diventa sovrana, dopo tre giorni circola a Parigi
come napoleone, dopo alcune settimane si ritrova a Venezia come
ducato, ma conserva sempre lo stesso valore, così diventa
chiaro per il possessore di merce che la nazionalità "is
but the guinea's stamp". L'idea sublime in cui si trasfigura
per lui tutto il mondo, è quella di un mercato, quella
del mercato mondiale.
IV. I metalli nobili
Il processo di produzione borghese s'impadronisce in un primo
momento della circolazione metallica come di un organo tramandato
bell'e pronto che viene, sì, trasformato, un po' alla volta,
ma conserva pur sempre la sua struttura fondamentale. La questione
del perché invece di altre merci, servano come materiale
del denaro l'oro e l'argento, va al di là dei confini del
sistema borghese. Riepiloghiamo quindi solo in modo sommario i
punti di vista più essenziali.
Siccome il tempo di lavoro generale stesso ammette soltanto differenze
quantitative, l'oggetto che deve essere considerato sua incarnazione
specifica dovrà essere in grado di esprimere differenze
puramente quantitative, cosicché identità, uniformità
della qualità siano presupposte. È questa la prima
condizione perché una merce eserciti la funzione di misura
di valore. Se p. es. io stimo tutte le merci in buoi, pelli, grano,
ecc. dovrò di fatto misurarle su un bue medio ideale, su
una pelle media ideale, poiché il bue si differenzia qualitativamente
da un altro bue, il grano da altro grano, una pelle da altra pelle,
mentre per contro l'oro e l'argento come corpi semplici sono costantemente
eguali a se stessi, e loro eguali quantità rappresentano
quindi valori di eguale grandezza. L'altra condizione perché
una merce possa servire da equivalente generale, la quale nasce
direttamente dalla sua funzione di rappresentare differenze puramente
quantitative, è la possibilità che la merce sia
sezionabile a piacere e ricomponibile, cosicché la moneta
di conto possa essere raffigurata anche percettibilmente. L'oro
e l'argento posseggono queste qualità a un grado preminente.
Come mezzi di circolazione l'oro e l'argento presentano, a confronto
di altre merci, il vantaggio che al loro alto peso specifico,
che rappresenta un peso relativo grande entro uno spazio esiguo,
corrisponde il loro peso specifico economico che consente di racchiudere
un tempo di lavoro relativamente grande, ossia un grande valore
di scambio, in un volume esiguo. In questo modo sono garantite
la facilità del trasporto, del passaggio da una mano all'altra,
da un paese all'altro, la capacità di apparire e di scomparire
con altrettanta rapidità, in breve è garantita la
mobilità materiale, il sine qua non della merce la quale
è destinata a servire da perpetuum mobile del processo
di circolazione.
L'alto valore specifico dei metalli nobili, la loro resistenza
e relativa indistruttibilità, la loro inossidabilità
a contatto dell'aria, per l'oro in particolare la sua indissolubilità
in acidi ad eccezione dell'acqua regia, tutte queste qualità
naturali fanno dei metalli nobili il materiale della tesaurizzazione.
Pietro Martire, che sembra essere stato grande amico della cioccolata,
osserva perciò a proposito dei sacchi di cacao che costituivano
una delle specie monetarie messicane: "O felice denaro,
che offre al genere umano una bevanda dolce e nutriente e protegge
i suoi innocenti possessori dall'infernale morbo della cupidigia,
perché non può essere sotterrato né conservato
a lungo" (De orbe novo [Alcalà, 1530, dec. 5,
cap. 4]).
La grande importanza dei metalli in genere all'interno del processo
di produzione immediato è connessa alla loro funzione come
strumenti della produzione. Astraendo dalla loro rarità,
la maggiore malleabilità a paragone del ferro e anche del
rame (allo stato indurito in cui lo usavano gli antichi) rende
l'oro e l'argento incapaci di questo uso e li priva quindi in
larga misura della qualità su cui si basa in generale il
valore d'uso dei metalli. Come sono inutili entro il processo
immediato della produzione, così appaiono non necessari
come mezzi di sussistenza, come oggetti di consumo. Ogni e qualsiasi
quantità di questi due metalli può quindi entrare
nel processo della circolazione sociale senza pregiudicare il
processo della produzione e del consumo immediati. Il loro valore
d'uso individuale non viene a trovarsi in contraddizione con la
loro funzione economica. D'altra parte, l'oro e l'argento sono,
non soltanto negativamente, oggetti superflui ossia non necessari,
ma le loro qualità estetiche ne fanno il materiale naturale
di magnificenze, gioie, splendori, bisogni domenicali, in breve
ne fanno la forma positiva della sovrabbondanza e della ricchezza.
Appaiono in certo qual modo come luce squisita scavata dal mondo
sotterraneo, mentre l'argento riflette tutti i raggi di luce nella
loro mescolanza originaria e l'oro riflette solo la potenza più
elevata del colore, il rosso. Ma il senso dei colori è
la forma più popolare del senso estetico in generale. La
connessione etimologica dei nomi dei metalli nobili nelle differenti
lingue indo-germanicbe con designazioni di colore è stata
provata da Jakob Grimm. (Vedi la sua Storia della lingua tedesca.)
Infine la capacità che hanno l'oro e l'argento di essere
tramutati dalla forma di moneta nella forma di verghe, dalla forma
di verghe nella forma di articoli di lusso e viceversa, il loro
vantaggio dunque sulle altre merci, di non essere vincolati a
determinate forme d'uso, date una volta tanto, fanno di essi il
materiale naturale del denaro che da una determinatezza formale
deve costantemente tramutarsi nell'altra.
La natura non produce denaro allo stesso modo che non produce
banchieri o un corso dei cambi. Ma siccome la produzione borghese
deve cristallizzare la ricchezza come feticcio nella forma di
una singola cosa, l'oro e l'argento ne sono la corrispondente
incarnazione. L'oro e l'argento non sono per natura denaro, ma
il denaro è per natura oro e argento. Da un lato il cristallo-denaro
argenteo o aureo non è soltanto prodotto del processo di
circolazione, bensì di fatto il suo unico prodotto stabile.
Dall'altro lato l'oro e l'argento sono prodotti naturali bell'e
pronti, e sono quel primo prodotto direttamente come sono anche
il secondo, non separati da alcuna differenza formale. Il prodotto
generale del processo sociale, ossia lo stesso processo sociale,
come prodotto è un prodotto naturale particolare che sta
nelle viscere della terra e da queste è scavabile.
Abbiamo visto che l'oro e l'argento non possono soddisfare l'esigenza
posta ad essi in quanto denaro, di essere una grandezza di valore
invariabile. Ma hanno, come osserva già Aristotele, una
grandezza di valore più permanente che la media delle altre
merci. Astraendo dagli effetti generali di una sopravvalutazione
o di un deprezzamento dei metalli nobili, le oscillazioni del
rapporto di valore fra oro e argento sono di particolare importanza
poiché entrambi, l'uno accanto all'altro, servono sul mercato
mondiale da materiale del denaro. Le ragioni puramente economiche
di questo variare del valore - conquiste e altri rivolgimenti
politici, che nel mondo antico esercitavano un forte influsso
sul valore dei metalli, agiscono solo localmente e in modo transitorio
- si devono far risalire al variare del tempo di lavoro necessario
per la produzione di questi metalli. Questo tempo di lavoro a
sua volta dipenderà dalla loro rarità naturale relativa,
come dalla maggiore o minore difficoltà offerta a chi si
impadronisce di essi allo stato puramente metallico. L'oro è
di fatto il primo metallo che l'uomo scopre. Da un lato la natura
stessa lo presenta in forma cristallina schietta, individualizzato,
esente da combinazioni chimiche con altri corpi ossia, come dicevano
gli alchimisti, allo stato vergine; dall'altro lato, la natura
stessa si assume, nei grandi lavaggi dell'oro compiuti dai fiumi,
il lavoro della tecnologia. Da parte dell'uomo è richiesto
in tal modo soltanto il lavoro più rozzo, sia per la produzione
dell'oro di fiume, sia per quello dell'oro in terra alluvionale,
mentre la produzione dell'argento presuppone lavoro di miniera
e in genere uno sviluppo relativamente elevato della tecnica.
Malgrado la sua minore rarità assoluta il valore dell'argento
è quindi in origine relativamente maggiore di quello dell'oro.
L'assicurazione data da Strabone che presso una tribù di
arabi 10 libbre d'oro venivano date per 1 libbra di ferro e 2
libbre d'oro per 1 libbra di argento non appare quindi affatto
incredibile. Ma nella proporzione in cui si sviluppano le forze
produttive del lavoro sociale e il prodotto del lavoro semplice
rincara quindi nei confronti di quello del lavoro combinato, nella
proporzione in cui la crosta terrestre viene spezzata più
universalmente e inaridiscono le originarie fonti superficiali
dell'offerta dell'oro, il valore dell'argento scenderà
in rapporto al valore dell'oro. A un grado di sviluppo dato della
tecnologia e dei mezzi di comunicazione, la scoperta di nuovi
terreni auriferi o argentiferi avrà infine il suo peso.
Nell'antica Asia il rapporto fra oro e argento era di 6 a 1 o
8 a 1; quest'ultimo rapporto si aveva in Cina e in Giappone ancora
all'inizio del secolo XIX; 10 a 1, il rapporto dell'epoca di Senofonte,
può essere considerato come il rapporto medio dell'antichità
media. Lo sfruttamento delle miniere d'argento spagnole da parte
di Cartagine e in seguito da parte di Roma agì nell'antichità
come la scoperta delle miniere americane nell'Europa moderna.
Per Roma nell'età imperiale potrà essere cifra media
approssimativa 15 o 16 a 1, benché spesso troviamo in Roma
un più forte deprezzamento dell'argento. Lo stesso movimento
che inizia con il deprezzamento relativo dell'oro e finisce con
la caduta del valore dell'argento, si ripete nell'epoca successiva
che va dal Medioevo fino all'epoca contemporanea. Come ai tempi
di Senofonte, il rapporto medio è nel Medioevo di 10 a
1 e, in conseguenza della scoperta delle miniere americane, si
tramuta di nuovo in 16 o 15 a 1. La scoperta delle sorgenti aurifere
d'Australia, di California e di Colombo rende probabile un'altra
caduta nel valore dell'oro.
A. Teorie sul mezzo di circolazione e sul denaro
Come nei secoli XVI e XVII, periodo d'infanzia della moderna società
borghese, una generale bramosia d'oro sospingeva popoli e principi
in crociate transoceaniche alla ricerca dell'aureo Gral, così
i primi interpreti del mondo moderno, gli autori del sistema monetario
di cui il sistema mercantilistico non è che una variante,
proclamavano l'oro e l'argento, ossia il denaro, unica ricchezza.
Con esattezza definivano come missione della società borghese
la produzione del denaro, cioè, dal punto di vista della
circolazione semplice delle merci, la costituzione del tesoro
eterno che non è divorato né dai tarli né
dalla ruggine. Non si risponde al sistema monetario dicendo che
una tonnellata di ferro del prezzo di 3 lire sterline è
una grandezza di valore uguale a quella di 3 lire sterline di
oro. Non si tratta qui della grandezza del valore di scambio bensì
della sua forma adeguata. Se il sistema monetario e quello mercantilistico
elogiano il commercio mondiale e i rami del lavoro nazionali sboccanti
direttamente nel commercio mondiale come le uniche vere fonti
della ricchezza o del denaro, bisognerà considerare che
in quell'epoca la massima parte della produzione nazionale si
moveva ancora in forme feudali e serviva come fonte diretta di
sussistenza ai produttori stessi. I prodotti, in gran parte, non
si trasformavano in merci e quindi non in denaro, in generale
non entravano nel generale ricambio organico sociale, non apparivano
quindi come oggettivazione del lavoro astratto generale e di fatto
non costituivano ricchezza borghese. Il denaro, come fine della
circolazione, è il valore di scambio ossia la ricchezza
astratta - non un qualsiasi elemento materiale della ricchezza
- come fine determinato e motivo propulsore della produzione.
Come si accordava al grado preliminare della produzione borghese,
quei profeti misconosciuti tenevano fermo alla forma palpabile
e rutilante del valore di scambio, alla sua forma di merce generale
in contrapposizione a tutte le merci particolari.
La sfera economica
propriamente borghese di quell'epoca era la sfera della circolazione
delle merci. Dal punto di vista di questa sfera elementare essi
giudicavano quindi tutto il complicato processo della produzione
borghese e scambiavano il denaro per il capitale. La lotta incessante
che gli economisti moderni conducono contro il sistema monetario
e mercantilistico deriva in gran parte dal fatto che questo sistema
svela in forma brutalmente ingenua il mistero della produzione
borghese, il suo essere dominata dal valore di scambio. Ricardo,
se pure allo scopo di una applicazione errata, osserva in qualche
passo che perfino in tempi di carestia si importa grano, non perché
la nazione soffra la fame, bensì perché il mercante
di cereali fa quattrini. Criticando il sistema monetario e mercantilistico,
l'economia politica sbaglia dunque attaccando questo sistema come
mera illusione, come teoria semplicemente falsa, e non riconoscendolo
come forma barbarica del proprio presupposto fondamentale. Inoltre,
questo sistema non soltanto serba un diritto storico, ma, entro
determinate sfere dell'economia moderna, serba pieno diritto di
cittadinanza.
A tutti gli stadi del processo di produzione borghese,
in cui la ricchezza assume la forma elementare di merce, il valore
di scambio assume la forma elementare di denaro, e in tutte le
fasi del processo di produzione la ricchezza ricade sempre di
bel nuovo per un momento nella forma elementare generale di merce.
Anche nell'economia borghese più sviluppata, le funzioni
specifiche dell'oro e dell'argento come denaro, a differenza della
loro funzione di mezzo di circolazione e in opposizione a tutte
le altre merci, non sono superate, bensì semplicemente
limitate, e il sistema monetario e mercantilistico mantengono
quindi la ragione che avevano. Il dato di fatto cattolico che
oro e argento si contrappongono alle altre merci profane come
incarnazione diretta del lavoro sociale, dunque come esistenza
della ricchezza astratta, lede naturalmente il point d'honneur
protestante dell'economia borghese, e per timore dei pregiudizi
del sistema monetario per molto tempo essa si è privata
del giudizio sui fenomeni della circolazione monetaria, come mostrerà
la seguente esposizione.
In contrapposizione al sistema monetario e mercantilistico, i
quali conoscono il denaro soltanto nella sua definizione formale
di prodotto cristallino della circolazione, era del tutto logico
che l'economia classica concepisse il denaro in un primo momento
nella sua forma fluida, come forma del valore di scambio, prodotta
entro la stessa metamorfosi delle merci e di nuovo dileguantesi.
Quindi, come la circolazione delle merci è concepita esclusivamente
nella forma M - D - M, e questa a sua volta esclusivamente nella
definizione dell'unità progrediente di vendita e compera,
così il denaro è affermato nella sua definizione
formale come denaro. Se lo stesso mezzo di circolazione viene
isolato nella sua funzione di moneta, esso si trasforma, come
abbiamo visto, in segno di valore. Ma siccome l'economia classica
in un primo momento si trovava di fronte la circolazione metallica
come forma dominante di circolazione, essa interpreta il denaro
metallico come moneta, la moneta metallica come semplice segno
di valore. In corrispondenza della legge della circolazione dei
segni di valore, la tesi viene posta in questo modo: i prezzi
delle merci dipendono dalla massa del denaro circolante, e non
viceversa, la massa del denaro circolante dipende dai prezzi delle
merci. Troviamo questa teoria in economisti italiani del secolo
XVII accennata più o meno, ora affermata, ora negata da
Locke, svolta decisamente dallo Spectator (nel numero
del 19 ottobre 1711), dal Montesquieu e dallo Hume. Siccome lo
Hume è di gran lunga il rappresentante più autorevole
di questa teoria nel corso del secolo XVIII, inizieremo con lui
la nostra rassegna.
Dati determinati presupposti, l'aumento o la diminuzione nella
quantità, sia del denaro metallico circolante, sia dei
segni di valore circolanti, sembra agire uniformemente sui prezzi
delle merci. Se scende o sale il valore dell'oro o dell'argento
in cui sono stimati come prezzi i valori di scambio delle merci,
saliranno o scenderanno i prezzi perché la loro misura
di valore si è mutata, e circolano più o meno oro
e argento che non moneta, perché i prezzi sono saliti o
scesi. Ma il fenomeno visibile è il mutamento dei prezzi,
mentre il valore di scambio delle merci rimane invariato, e si
ha una quantità aumentata o diminuita dei mezzi di circolazione.
D'altra parte, se la quantità dei segni di valore in circolazione
scende o sale al di sopra o al di sotto del loro livello necessario,
i segni di valore saranno ridotti a quest'ultimo forzatamente,
mediante la discesa o la salita dei prezzi delle merci. In entrambi
i casi un medesimo effetto sembra prodotto da una medesima causa,
e a questa parvenza teneva fermo lo Hume.
Ogni indagine scientifica sul rapporto fra cifra dei mezzi di
circolazione e movimento dei prezzi delle merci deve presupporre
come dato il valore materiale monetario. Lo Hume, invece, considera
esclusivamente epoche di rivoluzione nella misura degli stessi
metalli nobili, dunque rivoluzioni nella misura dei valori. L'aumento
dei prezzi delle merci, contemporaneo all'aumento del denaro metallico
a partire dalla scoperta delle miniere americane, costituisce
lo sfondo storico della sua teoria, allo stesso modo che la polemica
contro il sistema monetario e mercantilistico ne era il motivo
pratico. L'offerta dei metalli nobili può naturalmente
essere aumentata restando invariate le spese della loro produzione.
D'altra parte, la diminuzione del loro valore, ossia del tempo
di lavoro necessario per la loro produzione, in un primo tempo
si manifesterà soltanto nell'aumento della loro offerta.
Dunque, dicevano in seguito taluni scolari di Hume, il valore
diminuito dei metalli nobili si manifesta nella massa crescente
dei mezzi di circolazione, e la massa crescente dei mezzi di circolazione
si manifesta nell'aumento dei prezzi delle merci. Ma di fatto
cresce soltanto il prezzo delle merci esportate, le quali sono
scambiate con oro e argento come merce e non come mezzo di circolazione.
In tal modo aumenta il prezzo di queste merci, stimate in oro
e in argento dal valore diminuito, nei confronti di tutte le altre
merci il cui valore di scambio continua a essere stimato in oro
o argento in base alla scala di misura delle loro vecchie spese
di produzione. Questa duplice stima dei valori di scambio delle
merci in uno stesso paese non può essere naturalmente che
temporanea, e i prezzi oro o argento dovranno pareggiarsi nelle
proporzioni determinate dagli stessi valori di scambio, cosicché
infine i valori di scambio di tutte le merci saranno stimati in
rispondenza al nuovo valore del materiale monetario. Lo svolgimento
di questo processo non rientra qui come non rientra qui il modo
in cui, in generale, si fa valere il valore di scambio delle merci
entro le oscillazioni dei prezzi di mercato. Che però questo
pareggio, in epoche meno sviluppate della produzione borghese,
sia molto graduale e si distribuisca su lunghi periodi, ma comunque
non vada di pari passo con l'aumento del contante in circolazione,
è stato dimostrato in modo lampante da nuove indagini critiche
sul movimento dei prezzi delle merci nel secolo XVI. Senza alcuna
pertinenza sono i riferimenti, cari agli scolari dello Hume, all'aumento
dei prezzi nella Roma antica in seguito alla conquista della Macedonia,
dell'Egitto e dell'Asia Minore. Il trasferimento improvviso e
forzoso di denaro accumulato in tesori da un paese all'altro,
peculiare del mondo antico, la temporanea riduzione delle spese
di produzione dei metalli nobili per un determinato paese in virtù
del semplice processo del saccheggio, non incidono sulle leggi
immanenti della circolazione del denaro, come ad esempio la distribuzione
gratuita di grano egiziano e siciliano non incide a Roma sulla
legge generale che regola il prezzo del grano. Il materiale richiesto
da una osservazione particolareggiata della circolazione del denaro,
da un lato la storia selezionata dei prezzi delle merci, dall'altro
le statistiche ufficiali e continuative dell'espansione e della
contrazione del medio circolante, dell'afflusso e del deflusso
dei metalli nobili, ecc., materiale che in generale si va formando
soltanto con un sistema bancario sviluppato in pieno, mancava
allo Hume come a tutti gli altri scrittori del secolo XVIII. La
teoria della circolazione dello Hume si riassume nelle seguenti
tesi: 1) I prezzi delle merci di un paese sono determinati dalla
massa di denaro (denaro reale o denaro simbolico) che vi si trova.
2) Il denaro circolante in un paese rappresenta tutte le merci
che vi si trovano. Nella proporzione in cui cresce il numero dei
rappresentanti, ossia del denaro, toccherà al singolo rappresentante
una quantità maggiore o minore della cosa rappresentata.
3) Se le merci sono aumentate, diminuirà il loro prezzo
ossia crescerà il valore del denaro. Se è aumentato
il denaro, crescerà viceversa il prezzo delle merci, scenderà
il valore del denaro.
"Il caro prezzo delle cose - dice lo Hume - in
conseguenza di una sovrabbondanza di denaro è uno svantaggio
per ogni commercio esistente, poiché in tal modo è
consentito che paesi poveri superino nelle compere paesi più
ricchi su tutti i mercati esteri. Non può avere alcun effetto,
né buono né cattivo, considerando una nazione per
se stessa, che esista molta o poca moneta per il conteggio o la
rappresentanza delle merci, come non sarebbe alterato il bilancio
di un commerciante qualora egli usasse nella contabilità
invece del calcolo arabo che necessita di poche cifre, quello
romano che ha bisogno di un numero maggiore. Anzi, la quantità
maggiore del denaro, pari ai caratteri romani di calcolo, è
piuttosto scomoda e costa una fatica maggiore, tanto per la conservazione
quanto per il trasporto."
Per dimostrare qualcosa in
un qualche modo, lo Hume avrebbe dovuto mostrare che, in un sistema
dato di caratteri di calcolo, la massa delle cifre impiegate non
dipende dalla grandezza di valore della cifra, ma la grandezza
di valore della cifra dipende, viceversa, dalla massa dei caratteri
impiegati. È molto esatto che non costituisce alcun vantaggio
la stima o il "conteggio" dei valori delle merci in
oro o argento dal valore diminuito, e perciò i popoli,
aumentando la somma di valori delle merci circolanti, hanno sempre
trovato che è più comodo contare in argento che
in rame, e in oro che in argento. Nella misura in cui diventavano
più ricchi, trasformavano i metalli meno preziosi in moneta
sussidiaria e i metalli più preziosi in denaro. D'altra
parte lo Hume dimentica che per il conteggio dei valori in oro
e argento non occorre che "ci sia" né oro né
argento. Il denaro di conto e il mezzo di circolazione per lui
coincidono ed entrambi sono moneta (coin). Siccome una modifica
del valore nella misura dei valori, ossia nei metalli nobili che
funzionano da denaro di conto, fa salire o scendere i prezzi delle
merci, quindi anche la massa del denaro circolante, restando invariata
la velocità di circolazione, lo Hume deduce che l'aumento
o la diminuzione dei prezzi delle merci dipende dalla quantità
del denaro circolante. Che nei secoli XVI e XVII non soltanto
fosse aumentata la quantità d'oro e d'argento, ma allo
stesso tempo fossero diminuiti i loro costi di produzione, lo
Hume poteva arguirlo dalla chiusura delle miniere in Europa. Nei
secoli XVI e XVII i prezzi delle merci aumentarono in Europa insieme
con la massa dell'oro e argento importati dall'America; quindi
i prezzi delle merci di ogni paese sono determinati dalla massa
dell'oro e argento che vi si trovano. Questa era la prima "conseguenza
necessaria" dello Hume. Nei secoli XVI e XVII i prezzi
non aumentarono nella stessa misura dell'aumento dei metalli nobili;
passò più di mezzo secolo prima che nei prezzi delle
merci si manifestasse un cambiamento qualsiasi, e perfino allora
passò ancora molto tempo prima che i valori di scambio
delle merci fossero stimati generalmente in base al valore diminuito
dell'oro e dell'argento, dunque prima che la rivoluzione afferrasse
i prezzi delle merci in generale. Dunque, ragiona lo Hume, il
quale in assoluta contraddizione con i principi della sua filosofia
trasforma acriticamente fatti osservati unilateralmente in tesi
generali, dunque il prezzo delle merci, ossia il valore del denaro,
è determinato non dalla massa assoluta del denaro esistente
in un paese, bensì, piuttosto, dalla quantità di
oro e di argento che entra realmente nella circolazione, ma alla
fine tutto l'oro e l'argento esistenti in un paese devono essere
assorbiti dalla circolazione come moneta. È chiaro che,
possedendo l'oro e l'argento un valore proprio, e astraendo da
tutte le altre leggi della circolazione, soltanto una quantità
determinata di oro e argento possa circolare come equivalente
per una data somma di valori di merci. Se dunque ogni quantità
di oro e di argento, che si trovi casualmente in un paese, deve
entrare nello scambio di merci come mezzo di circolazione, senza
considerare la somma dei valori delle merci, allora l'oro e l'argento
non hanno valore immanente e quindi in effetti non sono merci
reali. Questa è la terza "conseguenza necessaria"
dello Hume. Merci senza prezzo, e oro e argento senza valore,
egli li fa entrare nel processo di circolazione. Perciò
non parla neanche mai di un valore delle merci e di un valore
dell'oro, bensì soltanto della loro vicendevole quantità.
Già il Locke aveva detto che l'oro e l'argento non avevano
che un valore immaginario ossia convenzionale; la prima brutale
forma di contrasto nei confronti dell'affermazione del sistema
monetario, che l'oro e l'argento soltanto avevano un vero valore.
Che la esistenza-denaro dell'oro e dell'argento nasca semplicemente
dalla loro funzione nel processo di scambio sociale, viene interpretato
nel senso che essi vanno debitori del proprio valore e quindi
della propria grandezza di valore a una funzione sociale. L'oro
e l'argento sono dunque cose prive di valore, ma entro il processo
di circolazione acquistano una grandezza di valore fittizia in
quanto rappresentanti delle merci. Dal processo non sono trasformati
in denaro, bensì in valore. Questo loro valore è
determinato dalla proporzione fra la loro massa e la massa delle
merci, dovendo entrambe le masse pareggiarsi. Mentre dunque lo
Hume fa entrare l'oro e l'argento nel mondo delle merci come non-merci,
egli le trasforma viceversa, non appena appaiono nella definizione
formale della moneta, in semplici merci, le quali si scambiano
con altre merci mediante un semplice commercio di scambio. Ora,
se il mondo delle merci consistesse in una sola merce, p. es.
in un milione di quarter di grano, riuscirebbe molto semplice
l'idea che un quarter si scambia con due once d'oro, essendoci
due milioni di once d'oro, e con 20 once d'oro, essendoci 20 milioni
di once d'oro, che prezzo della merce e valore del denaro salgono
o scendono in proporzione inversa della quantità di denaro
esistente. Ma il mondo delle merci consiste di valori d'uso infinitamente
diversi, il cui valore relativo non è affatto determinato
dalla loro quantità relativa. Come si immagina dunque lo
Hume questo scambio fra massa delle merci e massa dell'oro? Egli
si accontenta dell'idea vaga e aconcettuale che ogni merce, come
parte aliquota della massa complessiva delle merci, si scambia
con una corrispondente aliquota della massa dell'oro. Il movimento
progrediente delle merci, il quale nasce dall'antitesi fra valore
di scambio e valore di uso in esse contenuta, che appare nella
circolazione del denaro e si cristallizza nelle diverse definizioni
formali di quest'ultimo, è dunque radiato, e al suo posto
subentra la immaginaria equiparazione meccanica fra massa di peso
dei metalli nobili esistenti in un paese e massa di merci presenti
nello stesso tempo.
Sir James Steuart apre la sua indagine sulla moneta e sul denaro
con una critica particolareggiata dello Hume e del Montesquieu.
Egli è in realtà il primo che ponga il quesito:
La quantità del denaro circolante è determinata
dai prezzi delle merci, oppure i prezzi delle merci sono determinati
dalla quantità del denaro circolante? Benché la
sua esposizione sia annebbiata da vedute fantastiche circa la
misura dei valori, da una raffigurazione oscillante del valore
di scambio in genere e da reminiscenze del sistema mercantilistico,
egli scopre le definizioni formali essenziali del denaro e le
leggi generali della circolazione del denaro, perché non
pone meccanicamente le merci da un lato e il denaro dall'altro,
ma svolge effettivamente le differenti funzioni dai differenti
momenti dello scambio delle merci. "L'uso del denaro per
la circolazione all'interno del paese si può riassumere
in due punti principali, pagamento di quanto uno deve, acquisto
di quanto occore a uno; entrambe le cose messe insieme costituiscono
la domanda di denaro contante (ready money demands)... Lo stato
del commercio della manifattura, il tenore di vita e le spese
tradizionali degli abitanti sommate, tutte queste cose regolano
e determinano la massa delle domande di denaro contante, ossia
la massa delle vendite. Per attuare questa molteplicità
di pagamenti occorre una certa proporzione di denaro. Questa proporzione,
a sua volta, può aumentare o diminuire, a seconda delle
circostanze, sebbene la quantità delle vendite rimanga
invariata... Comunque, la circolazione di un paese può
assorbire soltanto una quantità determinata di denaro."
"Il prezzo di mercato della merce è determinato
dalla complicata operazione di domanda e concorrenza (demand
and competition), le quali sono indipendenti dalla massa di
oro e di argento presente in un paese. Che cosa ne sarà
allora dell'oro e argento non richiesti come moneta? Saranno accumulati
come tesoro oppure lavorati come materiale di articoli di lusso.
Se la massa di oro e di argento scendesse al di sotto del livello
richiesto dalla circolazione, la si sostituirà mediante
denaro simbolico o altri espedienti. Se un corso dei cambi favorevole
porta in paese una sovrabbondanza di denaro e se arresta al contempo
la domanda per il suo invio all'estero, il denaro andrà
a finire spesso in casse dove diventa inutile come se giacesse
nelle miniere."
La seconda legge, scoperta dallo Steuart,
è il riflusso della circolazione fondata sul credito al
proprio punto di partenza. Infine egli svolge gli effetti prodotti
dalla differenza del saggio d'interesse in paesi differenti sulla
emigrazione e immigrazione internazionali dei metalli nobili.
Queste ultime due determinazioni le accenneremo qui solo per amore
di completezza, poiché sono lontane dal nostro tema della
circolazione semplice. Il denaro simbolico o la moneta di credito
- lo Steuart ancora non distingue fra queste due forme del denaro
- possono sostituire nella circolazione interna i metalli nobili
come mezzo d'acquisto e mezzo di pagamento, ma non possono farlo
sul mercato mondiale. I biglietti di carta moneta sono quindi
il denaro della società (money of the society),
mentre l'oro e l'argento sono la moneta del mondo (money of
the world).
È una caratteristica delle nazioni che abbiano uno sviluppo
"storico", nel senso della scuola storica del diritto,
di dimenticare costantemente la propria storia. Benché
quindi la polemica sul rapporto fra prezzi delle merci e quantità
dei mezzi di circolazione abbia occupato continuamente, durante
questo mezzo secolo, il parlamento e abbia originato in Inghilterra
migliaia di opuscoli, grandi e piccoli, lo Steuart è rimasto
un "cane morto" più ancora di quanto
lo Spinoza apparisse a Moses Mendelssohn ai tempi del Lessing.
Perfino il più recente storiografo del "currency",
il Maclaren, fa di Adam Smith l'inventore della teoria steuartiana,
come fa di Ricardo l'inventore della teoria dello Hume. Mentre
Ricardo aveva affinato la teoria dello Hume, Adam Smith registra
i risultati delle indagini compiute dallo Steuart come morti dati
di fatto. Adam Smith ha applicato la sentenza della sua saggezza
scozzese che, "avendo guadagnato un poco, spesso vi riuscirà
facile guadagnare molto", anche alla ricchezza intellettuale
e ha quindi, con meschina sollecitudine, tenuto segrete le fonti
alle quali va debitore di quel poco da cui in effetti cava molto.
Più di una volta egli preferisce troncare il problema là
dove una precisa formulazione lo costringerebbe a fare i conti
con i suoi predecessori. Così nella teoria del denaro.
Egli accetta in silenzio la teoria dello Steuart, raccontando
che l'oro e l'argento presenti in un paese sono trasformati parte
in moneta, parte accumulati come fondi di riserva per i commercianti
in paesi privi di banche e come riserve bancarie in paesi che
abbiano una circolazione creditizia; parte servirebbe come tesoro
per la compensazione di pagamenti internazionali, parte verrebbe
trasformato in articoli di lusso. Il problema della quantità
della moneta circolante egli lo elimina in silenzio trattando
il denaro, in maniera completamente errata, da semplice merce.
Il suo volgarizzatore, l'insulso J. B. Say, che i francesi hanno
nominato prince de la science, come Johann Christoph
Gottsched nominò Omero il suo Schönaich e Pietro Aretino
nominò se stesso terror principum e lux mundi, ha fatto
con aria di grande importanza un dogma di questa omissione di
Adam Smith, non del tutto ingenua. La tensione polemica nei riguardi
delle illusioni del sistema mercantilistico impediva del resto
ad Adam Smith di concepire obiettivamente i fenomeni della circolazione
metallica, mentre le sue vedute sulla moneta di credito sono originali
e profonde. Allo stesso modo che nelle teorie delle petrificazioni
del secolo XVIII scorre sempre una corrente sotterranea che nasce
dal riguardo critico o apologetico verso la tradizione biblica
del grande diluvio, dietro a tutte le teorie del denaro del secolo
XVIII si nasconde una lotta segreta con il sistema monetario,
lo spettro che aveva custodito la culla dell'economia borghese
e che proiettava pur sempre la propria ombra sulla legislazione.
Le ricerche sul denaro sono state ispirate nel secolo XIX direttamente,
non dai fenomeni della circolazione metallica, bensì piuttosto
da quelli della circolazione dei biglietti di banca. Alla prima
si risaliva soltanto per scoprire le leggi di quest'ultima. La
sospensione del pagamento in contanti da parte della Banca d'Inghilterra
a partire dal 1797, l'aumento successivo del prezzo di molte merci,
la caduta del prezzo monetario dell'oro al di sotto del suo prezzo
di mercato, il deprezzamento dei biglietti di banca, specialmente
dal 1809 in poi, offrirono i motivi direttamente pratici di una
lotta fra i partiti in parlamento e di un torneo teorico al di
fuori di esso, entrambi ugualmente appassionati. Come fondo storico
della discussione serviva la storia della carta moneta nel secolo
XVIII, il fiasco della banca di Law, il deprezzamento dei biglietti
delle banche provinciali delle colonie inglesi nell'America del
Nord, dall'inizio del secolo XVIII fino alla metà, deprezzamento
che procedeva di pari passo con la quantità crescente dei
segni di valore; poi, in seguito, la carta moneta (continental
bills) imposta legalmente dal governo centrale americano
durante la guerra d'indipendenza, infine l'esperimento degli assegnati
francesi compiuto su scala anche maggiore. La massima parte degli
scrittori inglesi di quell'epoca scambiano la circolazione delle
banconote, determinata secondo tutt'altre leggi, per la circolazione
di segni di valore o di titoli di Stato a corso forzoso e, pretendendo
di spiegare i fenomeni di questa circolazione forzosa con le leggi
della circolazione metallica, ricavano in realtà, viceversa,
le leggi di quest'ultima dai fenomeni della prima. Sorvoleremo,
qui, sul gran numero di scrittori del periodo 1800-1809 e ci occuperemo
subito di Ricardo, sia perché egli compendia i suoi predecessori
e formula le loro vedute con maggior precisione, sia perché
la figura che egli diede alla teoria del denaro domina fino a
questo momento la legislazione bancaria inglese. Ricardo, come
i suoi predecessori, mette in un sol fascio la circolazione di
banconote o di moneta di credito e la circolazione di soli segni
di valore. Il fatto che lo domina è il deprezzamento della
carta moneta e il simultaneo aumento dei prezzi delle merci. Quello
che le miniere americane erano per lo Hume, erano per Ricardo
i torchi per la stampa dei biglietti di carta in Thread-needle
Street, ed egli stesso identifica in un passo espressamente entrambi
gli agenti. I suoi primi scritti, trattanti del problema del denaro,
risalgono all'epoca della più violenta polemica fra la
Banca d'Inghilterra, per cui parteggiavano i ministri e il partito
della guerra, e i suoi avversari, intorno ai quali si raggruppava
la opposizione parlamentare, i whigs e il partito della
pace. Questi scritti apparivano i precursori diretti del celebre
rapporto del comitato del bullion del 1810, nel quale sono accettate
le vedute di Ricardo. Lo strano fatto che Ricardo e i suoi seguaci,
che definiscono il denaro un semplice segno di valore, siano chiamati
bullionists (uomini dell'oro in verghe) deriva non soltanto
dal nome di questo comitato, bensì dal contenuto stesso
della sua teoria. Nella sua opera sull'economia politica, Ricardo
ha ripetuto le medesime vedute e ha continuato a svolgerle, ma
in nessun punto ha indagato il denaro di per sé come fece
per il valore di scambio, il profitto, la rendita, ecc.
Ricardo determina in un primo tempo il valore dell'oro e dell'argento,
come quello di tutte le altre merci, mediante la quantità
del tempo di lavoro in essi oggettivato. Nell'oro e nell'argento,
in quanto merci di valore dato, sono misurati i valori di tutte
le altre merci. Ora, la quantità dei mezzi di circolazione
di un paese è determinata dal valore dell'unità
di misura del denaro da un lato, dalla somma dei valori di scambio
delle merci dall'altro. Questa quantità è modificata
dall'economia usata per effettuare i pagamenti. Siccome in tal
modo la quantità in cui può circolare del denaro
di un valore dato si trova determinata, e siccome il suo valore
si presenta all'interno della circolazione soltanto nella sua
quantità, semplici suoi segni di valore potranno sostituirlo
nella circolazione, se spesi nella proporzione determinata dal
suo valore, cioè "il denaro circolante si trova
al suo stato più perfetto allorchè consiste esclusivamente
di carta di valore eguale a quello dell'oro che essa assume di
rappresentare". Fino a questo punto, quindi, Ricardo
determina la quantità dei mezzi di circolazione, presupposto
come dato il valore del denaro, mediante i prezzi delle merci,
e il denaro come segno di valore equivale per lui a segno di una
determinata quantità di oro, non è come nello Hume
rappresentante privo di valore delle merci.
Là dove Ricardo si scosta improvvisamente dal cammino piano
della sua esposizione e trapassa all'opinione opposta, egli si
volge subito alla circolazione internazionale dei metalli nobili
e ingarbuglia così il problema, apponendovi punti di vista
estranei. Seguendo la voce interna del suo pensiero lasceremo
in disparte, in un primo momento, tutti i punti d'incidenza artificiali
e sposteremo quindi le miniere d'oro e d'argento all'interno dei
paesi dove i metalli nobili circolano come denaro. L'unica tesi
che consegue da quanto Ricardo ha svolto sin qui, è che,
dato il valore dell'oro, la quantità del denaro circolante
si trova determinata dai prezzi delle merci. Dunque, in un momento
dato, la massa dell'oro circolante in un paese è semplicemente
determinata dal valore di scambio delle merci circolanti. Poniamo
ora che la somma di questi valori di scambio diminuisca, o perché
si producono meno merci al vecchio valore di scambio o perché,
in virtù di un aumento della forza produttiva del lavoro,
la medesima massa di merci acquista un valore di scambio minore.
Oppure supponiamo, viceversa, che aumenti la somma dei valori
di scambio, perché aumenta la massa delle merci, restando
invariate le spese di produzione, o perché il valore, sia
della massa medesima, sia di una massa di merci minore, aumenta
in virtù di una forza produttiva del lavoro diminuita.
Che cosa ne è in entrambi i casi della quantità
data del metallo circolante? Se l'oro è denaro soltanto
perché circola come mezzo di circolazione, se è
costretto a permanere nella circolazione, come la carta moneta
emessa dallo Stato a corso forzoso (e questo ha in mente Ricardo),
allora la quantità del denaro circolante traboccherà,
nel primo caso, in rapporto al valore di scambio del metallo;
nel secondo caso verrebbe a trovarsi al di sotto del proprio livello
normale. Dunque, benché dotato di valore proprio, l'oro
diventa nel primo caso segno di un metallo di valore di scambio
inferiore del proprio, nel secondo caso diventa segno di un metallo
di valore superiore. Nel primo caso sarà, come segno di
valore, al di sotto, nel secondo caso al di sopra del proprio
valore reale (altra derivazione della carta moneta a corso forzoso).
Nel primo caso sarebbe la stessa cosa se le merci fossero stimate
in metallo di valore inferiore all'oro, nel secondo caso se fossero
stimate in metallo di valore superiore a quello dell'oro. Nel
primo caso i prezzi delle merci salirebbero, perciò nel
secondo scenderebbero. In entrambi i casi il movimento dei prezzi
delle merci, il loro aumento o la loro diminuzione sarebbero effetto
della espansione o contrazione relativa della massa dell'oro circolante
al di sopra o al di sotto del livello corrispondente al valore
dell'oro, cioè della quantità normale che è
determinata dal rapporto fra il valore dell'oro e il valore delle
merci da mettersi in circolazione.
Il medesimo processo avrebbe luogo se la somma dei prezzi rimanesse
invariata, ma la massa dell'oro circolante venisse a trovarsi
al di sotto o al di sopra del livello normale, il primo di questi
due casi se la moneta aurea logorata nella circolazione non venisse
sostituita da una corrispondente produzione nuova delle miniere,
il secondo se la nuova offerta da parte delle miniere avesse superato
i bisogni della circolazione. In entrambi i casi si presuppone
che le spese di produzione dell'oro, ossia il suo valore, rimangano
invariate.
Riassumendo: il denaro circolante si trova a livello normale se
la sua quantità, dato il valore di scambio delle merci,
è determinata dal suo valore metallico. Esso trabocca,
l'oro scende al di sotto del proprio valore metallico e i prezzi
delle merci salgono, perché la somma dei valori di scambio
della massa di merci diminuisce oppure perché l'offerta
di oro delle miniere aumenta. L'oro si contrae al di sotto del
livello normale, l'oro sale al di sopra del proprio valore metallico
e i prezzi delle merci scendono, perché la somma dei valori
di scambio della massa di merci aumenta oppure perché l'offerta
dell'oro delle miniere non sostituisce la massa dell'oro logorato.
In entrambi i casi l'oro circolante è segno di valore di
un valore maggiore o minore di quello che realmente contiene.
Può diventare segno sovrapprezzato o deprezzato di se stesso.
Non appena le merci si fossero stimate generalmente in questo
valore nuovo del denaro e i prezzi generali delle merci fossero
saliti o discesi in proporzione, la quantità dell'oro circolante
corrisponderebbe di nuovo ai bisogni della circolazione (conseguenza
che Ricardo rileva con particolare piacere), ma sarebbe in contraddizione
con le spese di produzione dei metalli nobili e quindi con il
loro rapporto, in quanto merce, con le rimanenti merci. In concordanza
con la teoria ricardiana dei valori di scambio in genere, l' aumento
dell'oro al di sopra del suo valore di scambio, ossia del valore
determinato dal tempo di lavoro in esso contenuto, cagionerebbe
un aumento della produzione dell'oro, fino a che la sua offerta
aumentata lo avesse di nuovo fatto scendere alla sua esatta grandezza
di valore.
Viceversa, una diminuzione dell'oro al di sotto del
suo valore cagionerebbe una diminuzione della sua produzione fino
a che l'oro fosse di nuovo salito alla sua esatta grandezza di
valore. In virtù di questi movimenti inversi la contraddizione
fra il valore metallico dell'oro e il suo valore come mezzo di
circolazione si eliderebbe, si stabilirebbe il livello normale
della massa d'oro circolante, e l'altezza dei prezzi delle merci
corrisponderebbe di nuovo alla misura dei valori. Queste fluttuazioni
del valore dell'oro circolante si impadronirebbero anche dell'oro
in forma di verghe, poiché, secondo quanto è presupposto,
circola tutto l'oro che non sia consumato in articoli di lusso.
Siccome l'oro stesso, sia in moneta che in verghe, può
diventare segno di valore di un valore metallico maggiore o minore
del proprio, s'intende che banconote convertibili eventualmente
in circolazione condividano questa stessa sorte. Benché
le banconote siano convertibili, benché dunque il loro
valore reale corrisponda al loro valore nominale, la massa complessiva
del denaro circolante, oro e biglietti (the aggregate currency
consisting of metal and of convertible notes) potrà essere
sovrapprezzata e deprezzata, a seconda che la sua quantità
complessiva, per le ragioni spiegate prima, salga al di sopra
o scenda al di sotto del livello determinato dal valore di scambio
delle merci in circolazione e dal valore metallico dell'oro. Carta
moneta inconvertibile da questo punto di vista ha, nei confronti
della carta moneta convertibile, il vantaggio di poter essere
deprezzata in duplice modo. Può scendere al di sotto del
valore del metallo che pretende di rappresentare, perché
è spesa in misura troppo elevata, oppure può scendere
perché il metallo da essa rappresentato è sceso
al di sotto del proprio valore. Questo deprezzamento, non della
carta nei confronti dell'oro, bensì dell'oro e della carta
presi insieme, ossia della massa complessiva dei mezzi di circolazione
di un paese, è una delle invenzioni principali di Ricardo,
che Lord Overstone e compagni costrinsero al proprio servizio
facendone uno dei principi fondamentali della legislazione bancaria
del 1844 e 1845 ad opera di Sir Robert Peel.
Quello che si doveva dimostrare era che il prezzo delle merci
ossia il valore dell'oro dipende dalla massa dell'oro circolante.
La dimostrazione consiste nel presupporre quanto è da dimostrare,
cioè che ogni quantità del metallo nobile che serve
da denaro, in qualunque rapporto stia con il proprio valore intrinseco,
deve diventare mezzo di circolazione, moneta, e in tal modo segno
di valore per le merci in circolazione, qualunque sia la somma
complessiva del loro valore. In altri termini, la dimostrazione
consiste nell'astrazione da tutte le altre funzioni che il denaro
[compie] oltre alla sua funzione di mezzo di circolazione. Se
è incalzato da presso, come p. es. nella sua polemica con
il Bosanquet, Ricardo, tutto dominato dal fenomeno dei segni di
valore deprezzati dalla propria quantità, si rifugia in
assicurazioni dogmatiche. Ora, se Ricardo avesse avanzato questa
teoria nella maniera seguita da noi astrattamente, senza immettervi
rapporti concreti e punti d'incidenza che deviano dal problema
stesso, la sua vacuità si sarebbe manifestata in modo lampante.
Ma egli dà a tutto lo svolgimento una colorazione internazionale.
Ma sarà facile comprovare che l'apparente grandezza della
scala di misura nulla cambia alla meschinità delle idee
fondamentali.
La prima tesi suonava dunque: la quantità del denaro metallico
circolante è normale, allorchè è determinata
dalla somma di valore delle merci circolanti, stimata nel valore
metallico del denaro. Questo, espresso da un punto di vista internazionale,
suona: in condizioni normali di circolazione ogni paese possiede
una massa di denaro corrispondente alla sua ricchezza e alla sua
industria. Il denaro circola in un valore corrispondente al proprio
valore reale, ossia alle proprie spese di produzione; vale a dire
il denaro ha in tutti i paesi il medesimo valore. Quindi non si
avrebbe mai un'esportazione o importazione di denaro da un paese
all'altro. Si avrebbe dunque un equilibrio fra i currencies (le
masse complessive del denaro circolante) dei vari paesi. Il livello
normale del currency nazionale viene ora espresso come equilibrio
internazionale dei currencies, e di fatto non si dice null'altro
se non che la nazionalità non modifica in alcun modo la
legge economica generale. Ci troviamo di nuovo allo stesso fatale
punto di prima. In che modo è perturbato il livello normale,
il che ora suona in che modo è perturbato l'equilibrio
internazionale dei currencies, oppure in che modo il denaro cessa
di avere il medesimo valore in tutti i paesi, o, infine, in che
modo cessa il denaro di avere in ogni paese il proprio valore?
Allo stesso modo che prima veniva perturbato il livello normale,
perché la massa dell'oro circolante aumentava o diminuiva,
restando invariata la somma di valore delle merci, o perché
restava invariata la quantità del denaro circolante, aumentando
o diminuendo i valori di scambio delle merci, viene ora perturbato
il livello internazionale determinato dal valore degli stessi
metalli, perché la massa dell'oro esistente in un paese
aumenta in seguito a nuove miniere di metallo ivi scoperte o perché
la somma dei valori di scambio delle merci circolanti in un paese
particolare è aumentata o diminuita. Allo stesso modo che
prima diminuiva o aumentava la produzione dei metalli nobili a
seconda della necessità di contrarre o di espandere il
currency e di abbassare o elevare in proporzione i prezzi delle
merci, si fanno sentire ora esportazione e importazione da un
paese nell'altro. Nel paese in cui i prezzi fossero saliti e il
valore dell'oro fosse sceso al di sotto del suo valore metallico
per effetto di una circolazione rigonfia, l'oro sarebbe deprezzato
rispetto agli altri paesi, e di conseguenza i prezzi delle merci,
a paragone di altri paesi, sarebbero aumentati. L'oro verrebbe
dunque esportato, merci sarebbero importate. Se viceversa, viceversa.
Come prima la produzione dell'oro, continuerebbero ora l'importazione
o l'esportazione dell'oro, e con queste l'aumento o la diminuzione
dei prezzi delle merci, fino a che fosse ora ristabilito l'equilibrio
fra i currencies internazionali, come prima il normale rapporto
di valore fra metallo e merce. Come nel primo caso la produzione
dell'oro aumentava o diminuiva soltanto perché l'oro era
al di sopra o al di sotto del proprio valore, così la migrazione
internazionale dell'oro avverrebbe soltanto per questo motivo.
Come nel primo caso ogni variazione nella sua produzione inciderebbe
sulla quantità del metallo circolante e con ciò
sui prezzi, così accadrebbe ora per l'importazione e l'esportazione
internazionale. Non appena fosse stabilito il valore relativo
fra oro e merce, ossia fosse stabilita la quantità normale
dei mezzi di circolazione, nel primo caso non avverrebbe alcun'altra
produzione, nel secondo non si avrebbero altre esportazioni o
importazioni, se non la produzione per la sostituzione della moneta
logora e quella per il consumo dell'industria di lusso. Ne consegue
quindi "che la tentazione di esportare oro come equivalente
per merci, o una bilancia commerciale sfavorevole non si potranno
mai avere se non come conseguenza di una quantità traboccante
dei mezzi di circolazione". Sarebbe sempre soltanto
a causa della svalutazione o sopravvalutazione del metallo, dovute
a espansione o contrazione della massa dei mezzi di circolazione
al di sopra o al di sotto del suo livello normale, che se ne avrebbe
un'importazione o un'esportazione. Inoltre risulterebbe: siccome
nel primo caso la produzione dell'oro viene aumentata o diminuita,
nel secondo caso l'oro viene importato o esportato soltanto perché
la sua quantità sta al di sopra o al di sotto del livello
normale, perché l'oro è sopravvalutato al di sopra
o svalutato al di sotto del suo valore metallico, e dunque i prezzi
delle merci sono o troppo elevati o troppo bassi, ognuno di questi
movimenti agisce da correttivo riconducendo i prezzi al loro vero
livello mediante espansione o contrazione del denaro circolante,
nel primo caso il livello fra valore dell'oro e valore delle merci,
nel secondo caso il livello internazionale dei currencies.
In altri termini: il denaro circola nei vari paesi solo in quanto
circola in ogni paese come moneta. Il denaro è soltanto
moneta, e la quantità di oro esistente in un paese deve
quindi entrare nella circolazione, può dunque, in quanto
segno di valore di se stesso, salire al di sopra o scendere al
di sotto del suo valore. E così, per la via indiretta di
questa complicazione internazionale, eccoci arrivati di nuovo
felicemente a quel semplice dogma che costituisce il punto di
partenza.
Alcuni esempi mostreranno come Ricardo in base alla sua teoria
astratta si costruisca a modo suo e forzatamente i fenomeni reali.
Egli sostiene p. es. che in epoche di cattivi raccolti, in Inghilterra
con grande frequenza nei periodi dal 1800 al 1820, si esporti
oro non perché ci sia bisogno di grano e l'oro sia denaro,
e quindi mezzo di acquisto e di pagamento sempre efficace sul
mercato mondiale, bensì perché l'oro sarebbe deprezzato
a confronto delle altre merci e di conseguenza il currency del
paese in cui si ha il cattivo raccolto sarebbe deprezzato a confronto
degli altri currencies nazionali. Siccome cioè il cattivo
raccolto avrebbe diminuito la massa delle merci circolanti, la
quantità data del denaro circolante sarebbe traboccata
oltre il suo livello normale e di conseguenza sarebbero saliti
i prezzi di tutte le merci. In contrasto con questa interpretazione
paradossale è stato comprovato statisticamente che, a partire
dal 1795 fino all'epoca più recente, in caso di cattivo
raccolto, in Inghilterra la quantità esistente dei mezzi
di circolazione non è traboccata, bensì è
diventata insufficiente, e quindi circolava e doveva circolare
più denaro di prima.
Allo stesso modo Ricardo sosteneva che all'epoca del blocco continentale
decretato da Napoleone e dei decreti sul blocco inglese, gli inglesi
esportavano sul continente oro invece di merce, perché
il loro denaro sarebbe stato deprezzato a confronto del denaro
dei paesi continentali, le loro merci avrebbero avuto un prezzo
più elevato, e in tal modo sarebbe stata speculazione commerciale
più vantaggiosa esportare oro al posto delle merci. Secondo
lui, l'Inghilterra era il mercato sul quale le merci erano care
e il denaro costava poco, mentre sul continente le merci costavano
poco e il denaro era caro.
"Il fatto reale - dice
uno scrittore inglese - era il prezzo rovinosamente basso
dei nostri manufatti e prodotti coloniali per effetto del sistema
continentale nel corso degli ultimi 6 anni della guerra. I prezzi
dello zucchero e del caffè, p. es., erano stimati in oro,
quattro o cinque volte più alti sul continente di quel
che i medesimi prezzi fossero in Inghilterra stimati in biglietti
di banca. Era l'epoca in cui i chimici francesi scopersero lo
zucchero ricavato dalla barbabietola e sostituirono la cicoria
al caffè, mentre allo stesso tempo gli affittuari inglesi
sperimentavano l'ingrassamento dei buoi mediante sciroppi e melasse,
era l'epoca in cui l'Inghilterra si impossessò dell'isola
di Helgoland per costituirvi un deposito di merci allo scopo di
facilitare il contrabbando per il nord dell'Europa, e i tipi più
leggeri dei manufatti britannici cercavano la strada per la Germania
passando attraverso la Turchia... Quasi tutte le merci del mondo
erano accumulate nei nostri magazzini e vi giacevano vincolate,
tranne quando una quantità piccola veniva riscattata da
una licenza francese per la quale i commercianti di Amburgo e
di Amsterdam avevano pagato a Napoleone una somma dalle 40 alle
50 mila lire sterline. Di strani commercianti doveva trattarsi,
se pagavano simili somme per la libertà di portare un carico
di merci da un mercato caro a un mercato di poco prezzo. Qual
era la chiara alternativa per un commerciante? O vendere del caffè
per 6 pence in banconote e mandarlo su una piazza dove potesse
vendere la libbra direttamente per 3 o 4 scellini in oro, o comprare
dell'oro con banconote da 5 lire sterline l'oncia e mandarlo su
una piazza dove venisse stimato 3 sterline 17 scellini 10 1/2
pence. È assurdo perciò dire che si facevano rimesse
di oro invece che di caffè in quanto questa era un'operazione
mercantile da preferirsi... Non vi era paese al mondo in cui allora
si potesse ottenere una quantità così grande di
merci desiderabili come in Inghilterra. Bonaparte esaminava sempre
attentamente i listini dei prezzi inglesi. Finché vedeva
che in Inghilterra l'oro era caro e il caffè era a buon
mercato, egli si mostrava soddisfatto degli effetti del suo sistema
continentale."
Proprio nell'epoca in cui Ricardo avanzò
per la prima volta la sua teoria del denaro e il comitato del
bullion la incorporò al suo rapporto parlamentare, nell'anno
1810, si ebbe una caduta rovinosa nei prezzi di tutte le merci
inglesi, a paragone del 1808 e 1809, mentre l'oro aumentava di
valore in proporzione. Costituivano un'eccezione i prodotti agricoli,
perché la loro importazione dall'estero s'imbatteva in
ostacoli e perché la massa esistente all'interno del paese
era decimata dai cattivi raccolti. Ricardo misconobbe la funzione
dei metalli nobili come mezzi di pagamento internazionali a tal
punto da poter dichiarare nella sua deposizione davanti al comitato
della camera dei Lord (1819): "Che i deflussi dell'oro
per l'esportazione sarebbero cessati interamente non appena fossero
ripresi i pagamenti in contanti e la circolazione del denaro fosse
ricondotta al suo livello metallico". Egli morì
in tempo, proprio alla vigilia dello scoppio della crisi del 1825
la quale smentì in pieno la sua profezia. Il periodo in
cui Ricardo svolse la sua attività di scrittore era in
genere poco adatto per l'osservazione dei metalli nobili nella
loro funzione di moneta mondiale. Prima dell'introduzione del
sistema continentale, la bilancia commerciale era quasi sempre
a favore dell'Inghilterra e durante quel sistema le transazioni
con il continente europeo erano troppo insignificanti per incidere
sul corso dei cambi inglese. Le rimesse di denaro erano principalmente
di natura politica, e Ricardo sembra aver misconosciuto completamente
la funzione avuta nell'esportazione inglese dell'oro dai sussidi
in denaro.
Fra i contemporanei di Ricardo che costituiscono la scuola per
i princípi della sua economia politica James Mill è
il più notevole. Questi ha tentato di esporre la teoria
ricardiana del denaro sulla base della circolazione metallica
semplice, senza le impertinenti complicazioni internazionali dietro
le quali Ricardo nasconde la povertà delle sue opinioni,
senza alcun riguardo polemico per le operazioni della Banca d'Inghilterra.
Le sue tesi principali sono le seguenti:
"Il valore del denaro è pari alla proporzione
nella quale lo si scambia con altri articoli, ossia alla quantità
di denaro che si dà in cambio di una determinata quantità
di altre cose. Questa proporzione è determinata dalla quantità
totale del denaro esistente in un paese. Supponendo da un lato
tutte le merci di un paese, e dall'altro tutto il suo denaro,
è evidente che nello scambio dei due lati il valore del
denaro, ossia la quantità di merci per la quale è
scambiato, dipende interamente dalla sua quantità. La massa
totale delle merci in un paese non si scambia d'un sol tratto
con la massa totale del denaro, le merci si scambiano bensì
in porzioni, e spesso in porzioni minime, in epoche differenti
nel corso dell'anno. La stessa moneta che oggi è servita
per questo scambio, potrà domani servire per un altro.
Una parte del denaro è usata per un numero considerevole
di atti di scambio, un'altra parte per un numero molto esiguo,
e una terza parte viene accumulata e non serve per scambio alcuno.
Fra queste variazioni vi sarà una media, fondata sul numero
di atti di scambio pel quale sarebbe stata usata ogni moneta d'oro,
se ognuna di esse compisse lo stesso numero di atti di scambio.
Questo numero medio si fissi a piacere, p. es. a 10. Se ogni moneta
esistente nel paese è servita per 10 compere, si avrà
la stessa cosa che si avrebbe, se la massa totale delle monete
si fosse decuplicata, e ognuna di esse avesse servito per una
sola compera. In questo caso il valore di tutte le merci è
pari al valore del denaro moltiplicato per dieci, ecc. Se, viceversa,
invece di far servire ogni moneta per 10 compere, la massa totale
del denaro fosse decuplicata, e ogni moneta compisse un solo scambio,
è chiaro che ogni aumento di questa massa cagionerebbe
una relativa diminuzione nel valore di ognuna delle monete d'oro
presa per sé. Siccome si presuppone che la massa di tutte
le merci con la quale può scambiarsi il denaro rimanga
invariata, il valore della massa complessiva del denaro non è
aumentato, dopo l'aumento della sua quantità, a più
di quanto fosse prima. Se si presuppone un aumento di un decimo,
il valore di ogni parte aliquota della massa complessiva, p. es.
di un'oncia, deve essere sceso di un decimo. Qualunque sia il
grado di diminuzione o di aumento della massa totale del denaro,
rimanendo invariata la quantità delle altre cose, questa
massa complessiva e ognuna delle sue parti subiranno reciprocamente
una diminuzione o un aumento proporzionale. È chiaro che
questa tesi è pura verità. Tutte le volte che il
valore del denaro abbia subito un aumento o una diminuzione, e
tutte le volte che la quantità delle merci con cui si poteva
scambiare il denaro e il movimento della circolazione rimangano
invariati, questo mutamento deve aver avuto come motivo un aumento
o una diminuzione proporzionale del denaro e non potrà
essere attribuito ad altra causa. Se la massa delle merci diminuisce,
restando invariata la quantità del denaro, sarà
come se la somma complessiva del denaro fosse aumentata o viceversa.
Mutamenti consimili sono il risultato di ogni mutamento nel movimento
della circolazione. Ogni aumento del numero delle circolazioni
produce lo stesso effetto che è prodotto da un aumento
complessivo del denaro; una diminuzione di quel numero produce
direttamente l'effetto opposto... Se una parte della produzione
annua non è scambiata affatto, come quella consumata dagli
stessi produttori, questa parte non entrerà nel calcolo.
Siccome essa non si scambia con denaro, rispetto al denaro è
come se non esistesse affatto... Ogni qualvolta l'aumento e la
diminuzione del denaro possono aver luogo liberamente, la quantità
complessiva del denaro esistente in un paese sarà regolata
dal valore dei metalli nobili... Ma l'oro e l'argento sono merci
il cui valore, come quello di tutte le altre merci, è determinato
dalle spese di produzione, dalla quantità del lavoro contenuto
in essa."
Tutto l'acume del Mill si dissolve in una serie di presupposti
altrettanto arbitrari quanto assurdi. Egli vuol dimostrare che
il prezzo delle merci, ossia il valore del denaro, è determinato
"dalla quantità totale del denaro esistente in
un paese". Presupponendo che la massa e il valore di
scambio delle merci circolanti rimangano invariati, come anche
la velocità di circolazione e il valore dei metalli nobili
determinato dalle spese di produzione, e presupponendo al contempo
che, tuttavia, la quantità del denaro metallico in circolazione
aumenti o diminuisca in rapporto alla massa del denaro esistente
nel paese, diventa di fatto "evidente" che si è
presupposto quanto si pretendeva di dimostrare. Il Mill cade del
resto nell'errore di Hume, ossia fa circolare valori d'uso, non
merci di un valore di scambio dato, e quindi la sua tesi diventa
sbagliata anche se si accettano tutti i suoi "presupposti".
La velocità di circolazione può rimanere invariata,
e così anche il valore dei metalli nobili, così
anche la quantità delle merci circolanti, eppure, con il
mutamento del loro valore di scambio, potrà essere richiesta,
per la loro circolazione, ora una massa maggiore, ora una massa
minore di denaro. Il Mill vede il fatto reale per cui una parte
del denaro esistente nel paese circola, mentre l'altra ristagna.
Con l'aiuto di un calcolo medio assai buffo egli presuppone che
in verità circoli tutto il denaro esistente in un paese,
benché in realtà la cosa sembri diversa. Supponiamo
che in un paese circolino, due volte all'anno, 10 milioni di talleri
d'argento; in tal caso potrebbero circolare 20 milioni, qualora
ogni tallero compisse una compera. E se la somma complessiva dell'argento
esistente nel paese in ogni e qualsiasi forma ammontasse a 100
milioni di talleri, si potrà supporre che i 100 milioni
potranno circolare qualora ogni moneta compisse una compera nel
corso di cinque anni. Si potrebbe anche supporre che tutto il
denaro del mondo circoli a Hampstead, che ogni sua parte aliquota
però compia una circolazione nel corso di 3.000.000 di
anni invece di compierne circa tre in un anno solo. L'una di queste
supposizioni è esattamente altrettanto importante quanto
l'altra, rispetto alla determinazione del rapporto fra somma dei
prezzi delle merci e quantità dei mezzi di circolazione.
Il Mill avverte che per lui è d'importanza decisiva connettere
direttamente le merci non con la quantità di denaro esistente
nella circolazione, bensì con la scorta complessiva del
denaro esistente ogni volta in un paese. Egli ammette che la massa
totale delle merci di un paese non si scambia "d'un sol tratto"
con la massa totale del denaro, ma porzioni differenti di merci
si scambiano con porzioni differenti di denaro in epoche differenti
dell'anno. Per eliminare questo inconveniente, egli presuppone
che non esista. Del resto tutta questa idea della contrapposizione
immediata di merci e denaro e del loro scambio immediato è
dedotta dal movimento delle compere e delle vendite semplici ossia
dalla funzione del denaro quale mezzo di acquisto. Già
nel movimento del denaro come mezzo di pagamento questa apparizione
simultanea di merce e denaro scompare.
Le crisi commerciali del secolo XIX, in particolare le grandi
crisi del 1825 e del 1836, non produssero un ulteriore svolgimento
della teoria ricardiana del denaro, diedero origine però
a una sua nuova applicazione. Non si trattava più di singoli
fenomeni economici, come per Hume il deprezzamento dei metalli
nobili dei secoli XVI e XVII, o per Ricardo il deprezzamento della
carta moneta durante il Settecento e all'inizio dell'Ottocento,
bensì delle grandi tempeste sul mercato mondiale, in cui
si scarica l'antagonismo di tutti gli elementi del processo di
produzione borghese, origine e prevenzione delle quali venivano
ricercate entro la sfera più superficiale e più
astratta di questo processo, entro la sfera della circolazione
del denaro. Il presupposto propriamente teorico da cui parte la
scuola dei meteorologi dell'economia, consiste di fatto in nient'altro
che nel dogma affermante che Ricardo ha scoperto le leggi della
circolazione puramente metallica. Quel che rimaneva da fare per
essi era l'assoggettamento della circolazione creditizia e della
circolazione dei biglietti di banca a queste leggi.
Il fenomeno più generale e più manifesto delle crisi
commerciali è una caduta generale, improvvisa dei prezzi
delle merci facente seguito a un loro aumento generale prolungato.
La caduta generale dei prezzi delle merci può essere espressa
come aumento del valore relativo del denaro a paragone di tutte
le merci, e l'aumento generale dei prezzi, viceversa, come caduta
del valore relativo del denaro. In entrambe le espressioni il
fenomeno è enunciato, non spiegato. Che io formuli il tema:
spiegate l'aumento periodico generale dei prezzi che si alterna
con la loro generale caduta, o che io formuli il medesimo tema:
spiegate caduta e aumento periodici del valore relativo del denaro
a paragone delle merci, il diverso frasario lascia invariato il
tema stesso come lo lascerebbe invariato la sua traduzione dal
tedesco in inglese. La teoria ricardiana del denaro giungeva quindi
molto gradita poiché a una tautologia dà l'apparenza
di un rapporto causale. Da dove viene la periodica caduta generale
dei prezzi delle merci? Dall'aumento periodico del valore relativo
del denaro. Da dove, viceversa, viene il generale aumento periodico
dei prezzi delle merci? Da una caduta periodica del valore relativo
del denaro. Con la stessa precisione si potrebbe dire che l'aumento
e la caduta periodici dei prezzi derivano dal loro aumento e dalla
loro caduta periodici. Il compito stesso è posto con la
premessa che il valore immanente del denaro, ossia il suo valore
determinato dalle spese di produzione dei metalli nobili, rimanga
invariato. Se la tautologia dev'essere più che una tautologia,
allora è basata sul disconoscimento dei concetti più
elementari. Se il valore di scambio di A, misurato in B, diminuisce,
sappiamo che questo può derivare tanto da una diminuzione
del valore di A quanto da un aumento del valore di B. E così,
viceversa, se aumenta il valore di scambio di A misurato in B.
Una volta ammessa la trasformazione della tautologia in rapporto
causale, tutto il resto viene con facilità. L'aumento dei
prezzi delle merci deriva dalla diminuzione del valore del denaro,
la diminuzione del valore del denaro però, come sappiamo
da Ricardo, deriva da una circolazione traboccante, ossia dal
fatto che la massa del denaro circolante sale al di sopra del
livello determinato dal suo valore immanente e dai valori immanenti
delle merci.
Così, viceversa, la diminuzione generale dei
prezzi delle merci deriva dall'aumento del valore del denaro al
di sopra del suo valore immanente in seguito a una circolazione
al di sotto del livello normale. I prezzi salgono e cadono quindi
periodicamente, perché periodicamente circola troppo o
troppo poco denaro. Ora, se per caso si dimostra che l'aumento
dei prezzi ha coinciso con una circolazione di denaro diminuita,
e la diminuzione dei prezzi con una circolazione aumentata, ciò
nonostante si potrà sostenere che a causa di una qualsiasi
diminuzione o di un qualsiasi aumento della massa di merci in
circolazione, seppure aumento o diminuzione non siano affatto
comprovabili statisticamente, la quantità del denaro circolante
sia stata aumentata o diminuita, se non assolutamente, purtuttavia
relativamente. Ora, abbiamo visto che secondo Ricardo queste oscillazioni
generali dei prezzi devono verificarsi anche per una circolazione
puramente metallica, che si compensano però in virtù
del loro alternarsi p. es. una circolazione al di sotto del livello
normale, una caduta dei prezzi delle merci, che provoca un'esportazione
delle merci all'estero, che a sua volta però provoca l'afflusso
di denaro all'interno, e questo afflusso di denaro provoca a sua
volta di nuovo però un aumento dei prezzi delle merci.
Il contrario accade allorchè si tratti di una circolazione
al di sopra del livello normale, nella quale siano importate merci
e sia esportato denaro. Ora, siccome però, malgrado queste
oscillazioni generali dei prezzi, che derivano dalla natura della
stessa circolazione metallica secondo Ricardo, la forma violenta
e forzosa delle oscillazioni, la loro forma di crisi, fa parte
dei periodi di un sistema creditizio sviluppato, diventa cosa
chiara come la luce del sole che l'emissione dei biglietti di
banca non è esattamente regolata in base alle leggi della
circolazione metallica. La circolazione metallica ha il suo toccasana
nell'importazione e nell'esportazione dei metalli nobili, i quali
entrano subito in circolazione come moneta e in tal modo, mediante
il loro afflusso o deflusso, fanno scendere e salire i prezzi
delle merci. Lo stesso effetto sui prezzi delle merci deve allora
essere prodotto dalle banche imitando le leggi della circolazione
metallica. Se dall'estero affluisce oro, si ha la dimostrazione
che la circolazione è al di sotto del livello normale,
il valore del denaro è troppo elevato e i prezzi sono troppo
bassi e, che di conseguenza, devono essere immessi nella circolazione
biglietti di banca in proporzione dell'oro di nuova importazione.
Nel caso opposto, dovranno essere sottratti alla circolazione
nella proporzione in cui l'oro defluisce dal paese. In altri termini,
l'emissione delle banconote dovrà essere regolata secondo
l'importazione e l'esportazione dei metalli nobili, ossia secondo
il corso dei cambi. L'erroneo presupposto di Ricardo per il quale
l'oro non è che moneta e quindi tutto l'oro importato aumenta
il denaro circolante e quindi fa salire i prezzi, che tutto l'oro
esportato diminuisce la moneta e quindi fa scendere i prezzi,
questo presupposto teorico diventa qui l'esperimento pratico di
far circolare una quantità di moneta identica alla quantità
di oro presente di volta in volta. Lord Overstone (il banchiere
Jones Lloyd), il colonnello Torrens, Norman, Clay, Arbuthnot e
un numero infinito di altri scrittori, noti in Inghilterra sotto
il nome di scuola del "currency principle",
hanno non soltanto predicato questa dottrina, ma ne hanno fatto,
per mezzo degli Atti sulla Banca d'Inghilterra di Sir Robert Peel
del 1844 e 1845, la base della vigente legislazione bancaria inglese
e scozzese. Il loro vergognoso fiasco, teorico e pratico, dopo
esperimenti su scala nazionale massima, potrà essere illustrato
soltanto nella teoria del credito. Ma si vede qui come la teoria
ricardiana, la quale isola il denaro nella sua forma fluida di
mezzo di circolazione, finisce per attribuire all'aumento e alla
diminuzione dei metalli nobili un effetto assoluto sull'economia
borghese, come mai se l'era sognato la superstizione del sistema
monetario. Così, Ricardo il quale proclama la carta moneta
la forma più compiuta del denaro, divenne il profeta dei
bullionisti.
Svolta in tal modo fino alle ultime conseguenze la teoria dello
Hume, ossia l'opposizione astratta contro il sistema monetario,
la concezione concreta del denaro dello Steuart fu infine reintegrata
nei suoi diritti ad opera di Thomas Tooke. Il Tooke non fa derivare
i suoi principi da una qualche teoria, bensì da una coscienziosa
analisi della storia dei prezzi delle merci dal 1793 al 1856.
Nella prima edizione della sua storia dei prezzi, pubblicata nel
1823, il Tooke è ancora molto vincolato alla teoria ricardiana
e invano fa del suo meglio per accordare i fatti con quella teoria.
Il suo opuscolo On the Currency, pubblicato dopo la crisi
del 1825, potrebbe persino esser considerato la prima proposizione
conseguente delle vedute fatte valere in seguito da Overstone.
Ma, proseguendo le sue ricerche sulla storia dei prezzi, egli
si vide costretto a rendersi conto che quella connessione diretta
fra prezzi e quantità dei mezzi di circolazione, come è
presupposta dalla teoria, è una semplice ubbia, l'espansione
e la contrazione dei mezzi di circolazione, restando invariato
il valore dei metalli nobili, è sempre effetto, mai causa,
delle oscillazioni dei prezzi, che la circolazione del denaro
in generale è soltanto un movimento secondario, e che il
denaro, nel reale processo di produzione, acquisisce definizioni
formali molto diverse da quella del mezzo di circolazione. Le
sue indagini particolareggiate rientrano in una sfera diversa
dalla sfera della circolazione metallica semplice, e quindi non
possono essere discusse qui, come non possono esserlo le indagini
del Wilson e del Fullarton le quali sono della medesima tendenza.
Tutti questi scrittori concepiscono il denaro non in modo unilaterale,
bensì nei suoi momenti differenti, ma solo materialmente,
senza un qualsiasi nesso vivo, sia reciproco fra questi momenti,
sia con il sistema complessivo delle categorie economiche. Essi
mettono quindi, sbagliando, in un sol fascio il denaro, a differenza
dal mezzo di circolazione, e il capitale o addirittura la merce,
benché d'altra parte si trovino di nuovo costretti a far
valere all'occasione la differenza fra il denaro e entrambi. Se
ad es. si spedisce oro all'estero, si spedisce all'estero di fatto
del capitale, ma lo stesso avviene se si esportano ferro, cotone,
grano, in breve qualsiasi merce. Entrambi sono capitale e si differenziano
quindi non in quanto capitale, bensì in quanto denaro e
merce. La funzione dell'oro, come mezzo di scambio internazionale
non deriva dunque dalla sua definizione formale di capitale, bensì
dalla sua funzione specifica di denaro. Allo stesso modo, quando
l'oro o al suo posto i biglietti di banca funzionano da mezzi
di pagamento per il commercio interno, essi sono al contempo capitale.
Ma il capitale nella forma di merce, come mostrano p. es. molto
tangibilmente le crisi, non potrebbe subentrare al loro posto.
È dunque di nuovo la differenziazione dell'oro in quanto
denaro dalla merce, non la sua esistenza come capitale, che fa
dell'oro il mezzo di pagamento. Perfino là dove il capitale
è esportato direttamente come capitale per prestare una
determinata somma di valore, ad es. a interesse, all'estero, dipenderà
dalle congiunture che esso sia esportato nella forma di merce
o di oro e, se è esportato in quest'ultima forma, sarà
a causa della specifica definizione formale che hanno i metalli
nobili in quanto denaro nei confronti della merce.
In generale,
quegli scrittori non considerano il denaro prima nella forma astratta,
in cui è svolto entro la circolazione semplice delle merci
e in cui nasce dalla relazione delle merci stesse in movimento.
Essi oscillano perciò costantemente fra le definizioni
formali astratte, che il denaro acquisisce in contrapposizione
alla merce, e le definizioni del denaro in cui si celano rapporti
più concreti, come capitale, revenue e simili.
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