Prefazione Considero il sistema dell'economia borghese nell'ordine seguente: capitale, proprietà fondiaria, lavoro salariato; Stato, commercio estero, mercato mondiale. Nelle tre prime rubriche esamino le condizioni economiche d'esistenza delle tre grandi classi in cui si divide la moderna società borghese; il legame che unisce le altre tre rubriche salta agli occhi da sé. La prima sezione del libro primo, che tratta del capitale, consta dei seguenti capitoli: 1. la merce; 2. il denaro, la circolazione semplice; 3. il capitale in generale. I primi due capitoli formano il contenuto del presente fascicolo. Ho davanti tutto il materiale in forma di monografie da me buttate giù, a grande distanza di tempo l'una dall'altra, non per stamparle, ma per chiarire le cose a me stesso. La loro elaborazione complessiva, secondo il piano indicato, dipenderà dalle circostanze esteriori. Sopprimo una introduzione generale che avevo abbozzato perché, dopo aver ben riflettuto, mi pare che ogni anticipazione di risultati ancora da dimostrare disturbi, e il lettore che avrà deciso di seguirmi dovrà decidere a salire dal particolare al generale. Mi sembra invece che trovino qui il loro posto alcuni accenni al corso dei miei studi politico-economici. La mia specialità erano gli studi giuridici, ma io non li coltivavo se non come disciplina subordinata, accanto alla filosofia e alla storia. Nel 1842-43, come redattore della Rheinische Zeitung, fui posto per la prima volta davanti all'obbligo, per me imbarazzante, di esprimere la mia opinione a proposito di cosiddetti interessi materiali. I dibattiti della Dieta renana sui furti forestali e sullo spezzettamento della proprietà fondiaria, la polemica ufficiale che il signor von Schaper, allora primo presidente della provincia renana, iniziò con la Rheinische Zeitung circa la situazione dei contadini della Mosella, infine i dibattiti sul libero scambio e sulla protezione doganale, mi fornirono le prime occasioni di occuparmi di problemi economici. D'altra parte, in un'epoca in cui la buona volontà di "andare avanti" era di molto superiore alla competenza, si era potuta avvertire nella Rheinische Zeitung una eco, leggermente tinta di filosofia, del socialismo e comunismo francese. Mi dichiarai contrario a questo dilettantismo, ma nello stesso tempo, in una controversia con la Augsburger Allgemeine Zeitung, confessai senza reticenze che gli studi che avevo fatto sino ad allora non mi consentivano di arrischiare un giudizio indipendente qualsiasi sul contenuto delle correnti francesi. Fui invece sollecito nell'approfittare dell'illusione dei gerenti della Rheinische Zeitung, i quali credevano di poter far revocare la condanna a morte caduta sul loro giornale dandogli una linea più moderata, per ritirarmi dalla scena pubblica nella stanza da studio. Il primo lavoro intrapreso per sciogliere i dubbi che mi assalivano fu una revisione critica della filosofia del diritto di Hegel, lavoro di cui apparve l'introduzione nei Deutsch-französische Jahrbücher pubblicati a Parigi nel 1844. La mia ricerca arrivò alla conclusione che tanto i rapporti giuridici quanto le forme dello Stato non possono essere compresi né per sé stessi, né per la cosiddetta evoluzione generale dello spirito umano, ma hanno le loro radici, piuttosto, nei rapporti materiali dell'esistenza il cui complesso viene abbracciato da Hegel, seguendo l'esempio degli inglesi e dei francesi del secolo XVIII, sotto il termine di "società civile"; e che l'anatomia della società civile è da cercare nell'economia politica. Avevo incominciato lo studio di questa scienza a Parigi, e lo continuai a Bruxelles, dove ero emigrato in seguito a un decreto di espulsione del sig. Guizot. Il risultato generale al quale arrivai e che, una volta acquisito, mi servì da filo conduttore nei miei studi, può essere brevemente formulato così: nella produzione sociale della loro esistenza, gli uomini entrano in rapporti determinati, necessari, indipendenti dalla loro volontà, in rapporti di produzione che corrispondono a un determinato grado di sviluppo delle loro forze produttive materiali. L'insieme di questi rapporti di produzione costituisce la struttura economica della società, ossia la base reale sulla quale si eleva una sovrastruttura giuridica e politica e alla quale corrispondono forme determinate della coscienza sociale. Il modo di produzione della vita materiale condiziona, in generale, il processo sociale, politico e spirituale della vita. Non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma è, al contrario, il loro essere sociale che determina la loro coscienza. A un dato punto del loro sviluppo, le forze produttive materiali della società entrano in contraddizione con i rapporti di produzione esistenti, cioè con i rapporti di proprietà (che ne sono soltanto l'espressione giuridica) dentro i quali tali forze per l'innanzi s'erano mosse. Questi rapporti, da forme di sviluppo delle forze produttive, si convertono in loro catene. E allora subentra un'epoca di rivoluzione sociale. Con il cambiamento della base economica si sconvolge più o meno rapidamente tutta la gigantesca sovrastruttura. Quando si studiano simili sconvolgimenti, è indispensabile distinguere sempre fra lo sconvolgimento materiale delle condizioni economiche della produzione, che può essere constatato con la precisione delle scienze naturali, e le forme giuridiche, politiche, religiose, artistiche o filosofiche, ossia le forme ideologiche che permettono agli uomini di concepire questo conflitto e di combatterlo. Come non si può giudicare un uomo dall'idea che egli ha di se stesso, così non si può giudicare una simile epoca di sconvolgimento dalla coscienza che essa ha di se stessa; occorre invece spiegare questa coscienza con le contraddizioni della vita materiale, con il conflitto esistente fra le forze produttive della società e i rapporti di produzione. Una formazione sociale non perisce finché non si siano sviluppate tutte le forze produttive a cui può dare corso; nuovi e superiori rapporti di produzione non subentrano mai, prima che siano maturate in seno alla vecchia società le condizioni materiali della loro esistenza. Ecco perché l'umanità non si propone se non quei problemi che può risolvere, perché, a considerare le cose dappresso, si trova sempre che il problema sorge solo quando le condizioni materiali della sua soluzione esistono già o almeno sono in formazione. A grandi linee, i modi di produzione asiatico, antico, feudale e borghese moderno possono essere designati come epoche che marcano il progresso della formazione economica della società. I rapporti di produzione borghese sono l'ultima forma antagonistica del processo di produzione sociale; antagonistica non nel senso di un antagonismo individuale, ma di un antagonismo che sorga dalle condizioni di vita sociali degli individui. Ma le forze produttive che si sviluppano nel seno della società borghese creano in pari tempo le condizioni materiali per la soluzione di questo antagonismo. Con questa formazione sociale si chiude dunque la preistoria della società umana. Friedrich Engels, col quale, dopo la pubblicazione (nei Deutsch-französische Jahrbücher) del suo geniale schizzo di critica delle categorie economiche, mantenei per iscritto un continuo scambio di idee, era arrivato per altra via (si confronti la sua Situazione della classe operaia in Inghilterra), allo stesso risultato cui ero arrivato io, e quando nella primavera del 1845 si stabilì egli pure a Bruxelles, decidemmo di mettere in chiaro, con un lavoro comune, il contrasto tra il nostro modo di vedere e la concezione ideologica della filosofia tedesca, di fare i conti, in realtà, con la nostra anteriore coscienza filosofica. Il disegno venne realizzato nella forma di una critica della filosofia posteriore a Hegel. Il manoscritto, due grossi fascicoli in ottavo, era da tempo arrivato nel luogo dove doveva pubblicarsi, in Vestfalia, quando ricevemmo la notizia che un mutamento di circostanze non ne permetteva la stampa. Abbandonammo tanto più volentieri il manoscritto alla rodente critica dei topi, in quanto avevamo già raggiunto il nostro scopo principale, che era di veder chiaro in noi stessi. Dei diversi lavori sparsi in cui esponemmo al pubblico in quel periodo, sotto questo o quell'aspetto, i nostri modi di vedere, menzionerò soltanto il Manifesto del Partito comunista, redatto in comune da Engels e da me, e un Discorso sul libero scambio da me pubblicato. I punti decisivi della nostra concezione vennero indicati per la prima volta in modo scientifico, benché soltanto in forma polemica, nel mio scritto Miseria della filosofia, pubblicato nel 1847 e diretto contro Proudhon, ecc. La pubblicazione d'una dissertazione, scritta in lingua tedesca, sul Lavoro salariato, in cui raccoglievo le conferenze tenute da me su questo argomento nella Associazione degli operai tedeschi di Bruxelles, venne interrotta dalla rivoluzione di febbraio e dalla mia espulsione dal Belgio che ne seguì. La pubblicazione della Neue Rheinische Zeitung nel 1848 e nel 1849 e i successivi avvenimenti interruppero i miei studi economici, che poterono essere ripresi soltanto a Londra nel 1850. L'enorme quantità di materiali per la storia dell'economia politica che sono accumulati nel Museo britannico, il fatto che Londra è un punto favorevole per l'osservazione della società borghese, infine la nuova fase di sviluppo in cui questa società sembrava essere entrata con la scoperta dell'oro dell'Australia e della California, mi indussero a incominciare di nuovo dal principio, e a studiare a fondo, in modo critico, i nuovi materiali. Questi studi mi portavano da sé, in parte, a discipline in apparenza molto lontane, sulle quali dovetti indugiare per un tempo più o meno lungo. In particolare, però, il tempo di cui disponevo mi venne ridotto dalla necessità imperiosa di lavorare per un guadagno. La mia collaborazione, che dura ormai da otto anni, al primo giornale anglo-americano, la New York Tribune, provocò una straordinaria dispersione dei miei studi, dato che non mi occupo che per eccezione di giornalismo propriamente detto. Gli articoli che scrivevo sui principali avvenimenti economici in Inghilterra e sul continente formavano però una parte così importante del mio lavoro, che fui costretto a familiarizzarmi con dei particolari pratici che escono dal terreno della scienza dell'economia politica propriamente detta. Questo schizzo nel corso dei miei studi nel campo dell'economia politica deve solamente servire a dimostrare che le mie concezioni, in qualsiasi modo si voglia giudicarle e per quanto coincidano ben poco con i pregiudizi interessati delle classi dominanti, sono il risultato di lunghe e coscienziose ricerche. Sulla soglia della scienza, come sulla porta dell'inferno, si deve porre questo ammonimento: Qui si convien lasciare ogni sospetto Ogni viltà convien che qui sia morta. Karl Marx Londra, gennaio 1859 A un primo sguardo la ricchezza borghese appare come una enorme
raccolta di merci e la singola merce come sua esistenza elementare.
Ma ogni merce si presenta sotto il duplice punto di vista di valore
d'uso e di valore di scambio. Le condizioni del lavoro che crea valore di scambio, come risultano dall'analisi del valore di scambio, sono determinazioni sociali del lavoro oppure determinazioni del lavoro sociale, ma non sono sociali senz'altro, lo sono in un modo particolare. Si tratta di un modo particolare di socialità. In primo luogo la semplicità indifferenziata del lavoro è uguaglianza dei lavori di individui differenti, un reciproco riferirsi dei loro lavori l'uno all'altro come a lavoro uguale, e ciò mediante una reale riduzione di tutti i lavori a un lavoro di uguale specie. Il lavoro di ogni individuo, in quanto si presenta in valori di scambio, ha questo carattere sociale di uguaglianza, e si presenta nel valore di scambio solo in quanto è riferito al lavoro di tutti gli altri individui come a lavoro uguale. Inoltre, nel valore di scambio, il tempo di lavoro del singolo individuo si presenta immediatamente come tempo di lavoro generale, e questo carattere generale del lavoro individuale si presenta come carattere sociale di quest'ultimo. Il tempo di lavoro rappresentato nel valore di scambio è tempo di lavoro del singolo, ma del singolo indifferenziato dall'altro singolo, da tutti i singoli in quanto compiono un lavoro uguale, e quindi il tempo di lavoro richiesto per la produzione di una determinata merce è il tempo di lavoro necessario, che ogni altro impiegherebbe per la produzione di quella stessa merce. È il tempo di lavoro del singolo, il suo tempo di lavoro, ma solo come tempo di lavoro comune a tutti, per il quale è indifferente di quale singolo individuo esso sia il tempo di lavoro. Come tempo di lavoro generale, esso si esprime in un prodotto generale, in un equivalente generale, in un determinato quantitativo di tempo di lavoro oggettivato; e quest'ultimo, astraendo dalla forma determinata del valore d'uso in cui appare immediatamente come prodotto dell'uno, è traducibile a piacere in qualsiasi altra forma di valore d'uso in cui si esprima come prodotto di qualsiasi altro. È grandezza sociale soltanto in quanto è una tale grandezza generale. Per risultare valore di scambio, il lavoro del singolo deve risultare equivalente generale, ossia rappresentazione del tempo di lavoro del singolo come tempo di lavoro generale o, ancora, rappresentazione del tempo di lavoro generale come tempo di lavoro del singolo. È come se i diversi individui avessero messo insieme i loro tempi di lavoro e avessero espresso in valori d'uso diversi quantitativi diversi del tempo di lavoro a loro comune disposizione. Infatti, il tempo di lavoro del singolo è in tal modo il tempo di lavoro di cui la società ha bisogno per la espressione di un determinato valore d'uso, ossia per il soddisfacimento di un determinato bisogno. Ma qui si tratta soltanto della forma specifica in cui il lavoro acquisisce carattere sociale. Poniamo che un determinato tempo di lavoro del filatore si oggettivizzi per esempio in cento libbre di filato di lino; e che cento braccia di tela di lino, prodotte dal tessitore, rappresentino un quan- titativo uguale di tempo di lavoro. In quanto questi due prodotti rappresentano un quantitativo uguale di tempo di lavoro generale e sono quindi equivalenti per ogni valore d'uso che contenga un tempo di lavoro di uguale durata, essi sono equivalenti l'uno dell'altro. Solo per il fatto che il tempo di lavoro del filatore e il tempo di lavoro del tessitore si presentano come tempo di lavoro generale e i loro prodotti si presentano quindi come equivalenti generali, il lavoro del tessitore diventa qui per il filatore e il lavoro del filatore per il tessitore il lavoro dell'uno per il lavoro dell'altro, vale a dire per entrambi l'esistenza sociale dei loro lavori. Nell'industria contadina patriarcale invece, in cui filatore e tessitore abitavano sotto lo stesso tetto, in cui la parte femminile della famiglia filava e quella maschile tesseva, diciamo per il solo fabbisogno della famiglia, filato e tela erano prodotti sociali, filatura e tessitura erano lavori sociali entro i limiti della famiglia. Ma il loro carattere sociale non consisteva nel fatto che il filato si scambiava come equivalente generale con la tela come equivalente generale o entrambi reciprocamente come espressioni indifferenti ed equivalenti di uno stesso tempo di lavoro generale. Il nesso familiare, anzi, con la sua naturale e spontanea divisione del lavoro, imprimeva al prodotto del lavoro il suo peculiare timbro speciale. Oppure, prendiamo i servizi in natura e le prestazioni in natura del Medioevo. I determinati lavori dei singoli nella loro forma naturale, la particolarità, non la generalità del lavoro costituiscono qui il legame sociale. Oppure prendiamo infine il lavoro in comune nella sua forma naturale spontanea, come lo troviamo alle soglie della storia di tutti i popoli civili. Qui il carattere sociale del lavoro evidentemente non è dato dal fatto che il lavoro del singolo assume la forma astratta della generalità o che il suo prodotto assume la forma di equivalente generale. È la comunità, il presupposto della produzione, ad impedire che il lavoro del singolo individuo sia il lavoro privato e il suo prodotto privato a far apparire invece il lavoro singolo direttamente come funzione di un membro dell'organismo sociale. Il lavoro che si esprime nel valore di scambio è presupposto come lavoro del singolo preso singolarmente: diventa sociale assumendo la forma del suo diretto opposto, la forma dell'astratta generalità. Caratteristico del lavoro che crea valore di scambio è infine che il rapporto sociale delle persone si rappresenta per così dire rovesciato, cioè come rapporto sociale delle cose. Soltanto in quanto un valore d'uso si riferisce all'altro quale valore di scambio, il lavoro di persone diverse è riferito l'uno all'altro come a lavoro uguale e generale. Quindi, se è esatto dire che il valore di scambio è un rapporto fra persone, bisogna tuttavia aggiungere: un rapporto celato sotto il velo delle cose. Allo stesso modo che una libbra di ferro e una libbra d'oro rappresentano lo stesso quantitativo di peso malgrado le loro qualità fisiche e chimiche diverse, due valori d'uso di merci, in cui sia contenuto lo stesso tempo di lavoro, rappresentano lo stesso valore di scambio. Il valore di scambio appare in tal modo come determinazione naturale sociale dei valori d'uso, come determinazione che spetta a questo in quanto cose, e a causa della quale nel processo di scambio essi si sostituiscono a vicenda secondo determinati rapporti quantitativi, costituiscono equivalenti, allo stesso modo che le sostanze chimiche semplici si combinano secondo determinati rapporti quantitativi, costituendo equivalenti chimici. È soltanto l'abitudine della vita quotidiana che fa apparire come cosa banale, come cosa ovvia che un rapporto di produzione sociale assuma la forma di un oggetto, cosicché il rapporto fra le persone nel loro lavoro si presenti piuttosto come un rapporto reciproco fra cose e fra cose e persone. Nella merce questa mistificazione è ancor molto semplice. Tutti più o meno capiscono vagamente che il rapporto delle merci quali valori di scambio è piuttosto un rapporto fra le persone e la loro reciproca attività produttiva. Nei rapporti di produzione di più alto livello questa parvenza di semplicità si dilegua. Tutte le illusioni del sistema monetario derivano dal fatto che dall'aspetto del denaro non si capisce che esso rappresenta un rapporto di produzione sociale, se pure nella forma di una cosa naturale di determinate qualità. Presso gli economisti moderni i quali sdegnano sghignazzando le illusioni del sistema monetario, fa capolino questa medesima illusione, non appena essi maneggino categorie economiche superiori, ad esempio il capitale. Essa irrompe nella confessione di ingenuo stupore quando ora appare come rapporto sociale ciò che essi goffamente ritenevano di fissare come cosa, e ora li stuzzica di nuovo come cosa ciò che avevano appena finito di fissare come rapporto sociale. Il valore di scambio delle merci, essendo infatti null'altro che
il rapporto reciproco fra i lavori dei singoli individui come
lavori uguali e generali, null'altro che l'espressione oggettuale
di una forma specificamente sociale del lavoro, è una tautologia
dire che il lavoro è l'unica fonte del valore di scambio
e quindi della ricchezza in quanto consiste di valori di scambio.
E la stessa tautologia è dire che la materia naturale come
tale non contiene valore di scambio perché non contiene
lavoro e che il valore di scambio come tale non contiene materia
naturale. Ma quando William Petty chiama "il lavoro il
padre e la terra la madre della ricchezza", oppure quando
il vescovo Berkeley domanda "se i quattro elementi e
il lavoro dell'uomo applicato ad essi non siano la vera fonte
della ricchezza", o quando l'americano Th. Cooper spiega
volgarizzando: "Togli da una pagnotta il lavoro applicatovi,
il lavoro del fornaio, mugnaio, affittuario, ecc., e che cosa
rimane? Alcuni granelli di erbe che crescono allo stato selvatico,
inservibili ad ogni uso umano" allora, in tutte queste
vedute, non si tratta del lavoro astratto come fonte del valore
di scambio, bensì del lavoro concreto come fonte di ricchezza
materiale, in breve del lavoro in quanto produce valori d'uso.
Pel fatto che il valore d'uso della merce sia presupposto, è
presupposta la particolare utilità, la determinata finalità
del lavoro consumato in essa, ma con ciò, dal punto di
vista della merce, è allo stesso tempo esaurita ogni considerazione
del lavoro come lavoro utile. Nel pane, come valore d'uso, ci
interessano le sue qualità come mezzo alimentare, non ci
interessano affatto i lavori dell'affittuario, del mugnaio, del
fornaio. Qualora per mezzo di qualche invenzione i 19/20 di questi
lavori venissero meno, la pagnotta farebbe lo stesso servizio
di prima. Qualora cadesse bell'e pronta dal cielo, non perderebbe
un atomo del suo valore d'uso. Mentre il lavoro che crea valore
di scambio si attua nell'uguaglianza delle merci come equivalenti
generali, il lavoro, come attività produttiva conforme
al fine, si attua nell'infinita varietà dei suoi valori
d'uso. Mentre il lavoro che crea valore di scambio è lavoro
astrattamente generale e uguale, il lavoro che crea valore d'uso
è lavoro concreto e particolare che si scinde in modi di
lavoro infinitamente vari a seconda della forma e della materia.
1 braccio di tela = 2 libbre di caffè, 1 braccio di tela = 8 libbre di pane, 1 braccio di tela = 6 braccia di cotone può essere espressa come: 1 braccio di tela = 1/8 libbra di tè + 1/2 libbra di caffè + 2 libbre di pane + 1 1/2 braccio di cotone. Quindi, se avessimo dinanzi a noi l'intera somma delle equazioni nelle quali il valore di un braccio di tela è espresso esaurientemente, potremmo raffigurare il suo valore di scambio in forma di serie. In realtà questa serie è infinita, poiché l'ambito delle merci non è mai chiuso in via definitiva, bensì si allarga costantemente. Ma misurando così una data merce il proprio valore di scambio nei valori d'uso di tutte le altre merci, i valori di scambio di tutte le altre merci, viceversa, si misurano nel valore d'uso di questa data merce che si misura in essi. Se il valore di scambio di un braccio di tela si esprime in mezza libbra di tè o in due libbre di caffè o in sei braccia di cotone o in otto libbre di pane, ecc., ne consegue che caffè, tè, cotone, pane, ecc. sono uguali fra di loro nella proporzione in cui sono uguali a un terzo valore d'uso, alla tela, e che quindi la tela serve da misura comune dei loro valori di scambio. Ogni merce, come tempo di lavoro generalmente oggettivato, vale a dire come determinata quantità di tempo di lavoro generale, esprime il proprio valore di scambio in una serie di determinate quantità dei valori d'uso di tutte le altre merci, e i valori di scambio di tutte le altre merci si misurano, viceversa, nel valore d'uso di quest'unica merce esclusa. Ma come valore di scambio, ogni merce è tanto la merce unica esclusa, che serve da misura comune dei valori di scambio di tutte le altre merci, quanto, d'altra parte, è semplicemente una delle numerose merci nel cui ambito complessivo ogni altra merce esprime in modo immediato il proprio valore di scambio. La grandezza di valore di una merce non risente del fatto che all'infuori di essa esistano poche o molte merci di altra specie. Ma che la serie delle equazioni in cui il suo valore di scambio si attua, sia maggiore o minore, dipende dalla maggiore o minore varietà di altre merci. La serie delle equazioni in cui si esprime per esempio il valore del caffè esprime la sfera della sua scambiabilità, i limiti entro i quali funziona da valore di scambio. Al valore di scambio di una merce in quanto oggettivazione del tempo di lavoro generale sociale corrisponde l'espressione dell'equivalenza della merce in valori d'uso infinitamente differenti. Abbiamo visto che il valore di scambio di una merce varia con il variare della quantità del tempo di lavoro contenuto in essa. Il suo valore realizzato, ossia espresso nei valori d'uso di altre merci, deve a sua volta dipendere dalla proporzione in cui varia il tempo di lavoro impiegato nella produzione di tutte le altre merci. Se ad esempio rimanesse uguale il tempo di lavoro necessario alla produzione di un moggio di grano, mentre il tempo di lavoro necessario alla produzione di tutte le altre merci raddoppiasse, il valore di scambio del moggio di grano, espresso nei suoi equivalenti, sarebbe diminuito della metà. Praticamente il risultato sarebbe uguale a quello che si avrebbe se il tempo di lavoro necessario alla produzione del moggio di grano fosse diminuito della metà e il tempo di lavoro necessario alla produzione di tutte le altre merci fosse rimasto invariato. Il valore delle merci è determinato dalla proporzione in cui possono essere prodotte entro il medesimo tempo di lavoro. Per vedere a quali possibili variazioni sia esposta questa proporzione, poniamo il caso di due merci, A e B. Primo: supponiamo che il tempo di lavoro richiesto per la produzione di B rimanga invariato. In questo caso il valore di scambio di A, espresso in B, diminuisce o aumenta nella stessa proporzione in cui diminuisce o aumenta il tempo di lavoro necessario per la produzione di A. Secondo: Il tempo di lavoro richiesto per la produzione di A rimanga invariato. Il valore di scambio di A, espresso in B, diminuisce o aumenta nella proporzione inversa della diminuzione o dell'aumento del tempo di lavoro richiesto per la produzione di B. Terzo: Il tempo di lavoro richiesto per la produzione di A e B diminuisca o aumenti nella medesima proporzione. In tal caso l'espressione di equivalenza di A in B rimarrà invariata. Se a causa di una circostanza qualsiasi la forza produttiva di tutti i lavori diminuisse nella stessa misura, di modo che tutte le merci richiedessero in ugual proporzione un aumento del tempo di lavoro necessario alla loro produzione, sarebbe salito il valore di tutte le merci, l'espressione reale del loro valore di scambio sarebbe rimasta invariata, e la ricchezza reale della società sarebbe diminuita, poiché quest'ultima avrebbe bisogno di un tempo di lavoro maggiore per creare la medesima massa di valori d'uso. Quarto: Il tempo di lavoro richiesto per la produzione di A e B aumenti o diminuisca per entrambi, ma in grado disuguale, oppure aumenti il tempo di lavoro necessario per A mentre diminuisca quello per B, o viceversa. Tutti questi casi possono essere ridotti semplicemente al fatto che il tempo di lavoro richiesto per la produzione di una merce rimane invariato, mentre quello delle altre aumenta o diminuisce. Il valore di scambio di ogni merce si esprime nel valore d'uso di ogni altra merce, sia in unità di questo valore o in sue frazioni. In quanto valore di scambio, ogni merce è altrettanto divisibile quanto lo stesso tempo di lavoro che in essa è oggettivato. L'equivalenza delle merci è indipendente dalla loro divisibilità come valori d'uso, allo stesso modo che per l'addizione dei valori di scambio delle merci non ha importanza quale reale mutamento di forma subiscano i valori d'uso di queste merci nella loro rifusione in una sola merce nuova. Finora la merce è stata considerata da un duplice punto di vista, come valore d'uso e come valore di scambio, entrambe le volte unilateralmente. Ma come merce essa è immediatamente unità di valore d'uso e di valore di scambio; allo stesso tempo è merce soltanto in relazione alle altre merci. L'effettiva relazione reciproca delle merci è il loro processo di scambio. È questo un processo sociale che gli individui stabiliscono indipendentemente l'uno dall'altro, ma lo stabiliscono soltanto come possessori di merci; la loro vicendevole esistenza dell'uno per l'altro è l'esistenza delle loro merci, e perciò in realtà non si presentano che come titolari consapevoli del processo di scambio. La merce è valore d'uso, grano, tela, diamante, macchina, ecc., ma come merce allo stesso tempo non è valore d'uso. Se pel suo possessore fosse valore d'uso, ossia mezzo immediato per il soddisfacimento dei suoi bisogni, non sarebbe merce. Per lui la merce è invece non valore d'uso, cioè semplicemente depositario materiale del valore di scambio ossia semplice mezzo di scambio; come depositario attivo del valore di scambio, il valore d'uso diventa mezzo di scambio. Per il possessore la merce, è ormai valore d'uso soltanto in quanto valore di scambio. Valore d'uso essa deve quindi cominciar a divenire, in primo luogo per altri. Siccome non è valore per il suo possessore, è valore d'uso per i possessori di altre merci. Se non lo è, il lavoro del possessore è stato inutile, il suo risultato quindi non è merce. D'altra parte, deve diventare valore d'uso per lui stesso, poiché al di fuori di essa, nei valori d'uso di merci altrui, esistono i suoi mezzi di sussistenza. Per diventare valore d'uso la merce deve trovarsi di fronte quel particolare bisogno pel quale essa è oggetto di soddisfacimento. I valori d'uso delle merci diventano quindi valori d'uso cambiando posto in tutte le direzioni, passando dalla mano in cui sono mezzi di scambio alla mano in cui sono oggetti d'uso. Solo mediante questa generale alienazione delle merci, il lavoro in esse contenuto diventa lavoro utile. In questo progressivo riferirsi delle merci l'una all'altra in quanto valori d'uso, esse non acquisiscono alcuna nuova determinazione di forma economica. Scompare, anzi, la determinazione formale che le caratterizzava come merci. Il pane, ad esempio, passando dalla mano del fornaio in quella del consumatore, non muta la propria esistenza come pane. Viceversa, il consumatore è il primo che vi si riferisca come a valore d'uso, come a quel determinato mezzo alimentare, mentre nella mano del fornaio il pane era l'espressione di un rapporto economico, una cosa sensibilmente extrasensibile. L'unico mutamento formale, che le merci subiscono nel loro divenire come valori d'uso, è dunque l'abolizione della loro esistenza formale, in cui erano non valore d'uso per il loro possessore, valore d'uso per il loro non-possessore. Il divenire delle merci come valori d'uso presuppone la loro generale alienazione, il loro entrare nel processo di scambio, ma la loro esistenza per lo scambio è la loro esistenza come valori di scambio. Per attuarsi quindi come valori d'uso, devono attuarsi come valori di scambio. Se, dal punto di vista del valore d'uso, la singola merce in origine ci appariva come cosa autonoma, come valore di scambio era invece considerata fin da principio in relazione a tutte le altre merci. Questa relazione era però solo una relazione teorica, ideale. Solo nel processo di scambio essa si attua. D'altra parte, la merce è bensì valore di scambio in quanto in essa è consumata una determinata quantità di tempo di lavoro ed in quanto essa è quindi tempo di lavoro oggettivato. Ma, in modo immediato, è soltanto tempo di lavoro oggettivato individuale, di contenuto particolare, non è tempo di lavoro generale. Perciò non è valore di scambio in modo immediato, bensì deve divenire tale. In un primo tempo non può essere che oggettivazione del tempo di lavoro generale, alla maniera in cui esprime il tempo di lavoro in una determinata applicazione utile, dunque in un valore d'uso. Era questa la condizione materiale alla quale soltanto il tempo di lavoro contenuto nelle merci era presupposto come tempo di lavoro generale, sociale. Se dunque la merce può divenire, come valore d'uso, soltanto attuandosi come valore di scambio, d'altra parte può attuarsi come valore di scambio soltanto affermandosi come valore d'uso al momento della sua alienazione. Una merce può essere ceduta come valore d'uso solo a colui pel quale essa è valore d'uso, ossia oggetto di un particolare bisogno. D'altra parte la merce viene ceduta solo in cambio di un'altra merce, ossia, ponendoci dalla parte del possessore dell'altra merce, anche costui può alienare la sua merce, realizzata, soltanto mettendola in contatto con il particolare bisogno di cui essa sia l'oggetto. Nell'alienazione generale delle merci come valori d'uso, esse vengono riferite l'una all'altra a seconda della loro disparità materiale, in quanto cose particolari, le quali in virtù delle loro qualità specifiche soddisfano particolari bisogni. Ma in quanto tali semplici valori d'uso, le merci sono esistenze indifferenti l'una per l'altra, sono anzi prive di reciproche relazioni. In quanto valori d'uso possono essere scambiate soltanto in relazione a particolari bisogni. Ma sono scambiabili solo come equivalenti, e sono equivalenti solo come uguali quantitativi di tempo di lavoro oggettivato, cosicché ogni considerazione delle loro qualità naturali come valori d'uso, e quindi del rapporto delle merci con particolari bisogni, è cancellata. Come valore di scambio una merce funziona invece sostituendo come equivalente una quantità comunque determinata di qualsiasi altra merce, non importa se pel possessore dell'altra merce essa sia valore d'uso o no. Ma per il possessore dell'altra merce essa diventa merce solo in quanto per lui è valore d'uso, e per il proprio possessore diventa valore di scambio solo in quanto è merce per l'altro. Questa relazione sarà quindi relazione delle merci in quanto grandezze essenzialmente uguali, differenti solo quantitativamente, sarà la loro equiparazione come materializzazione del tempo di lavoro generale e sarà allo stesso tempo la loro relazione come cose differenti qualitativamente, come valori d'uso particolari per bisogni particolari, in breve sarà la relazione che le differenzia come reali valori d'uso. Ma questa equiparazione e differenziazione si escludono a vicenda. Così appare non soltanto un circolo vizioso di problemi, presupponendo la soluzione dell'uno la soluzione dell'altro, bensì una somma di esigenze contraddittorie, essendo l'adempimento di una condizione vincolato immediatamente all'adempimento della condizione opposta. Il processo di scambio delle merci deve essere sia lo svolgimento sia la soluzione di queste contraddizioni che in esso non possono tuttavia essere espresse in questo modo semplice. Abbiamo solo osservato come le merci stesse sono riferite reciprocamente l'una all'altra come valori d'uso, cioè come le merci entro il processo di scambio si presentano come valori d'uso. Il valore di scambio invece, come lo abbiamo considerato sin qui, era presente nella nostra astrazione soltanto, o, se si vuole, nell'astrazione del singolo possessore di merce che ha in magazzino la merce come valore d'uso e l'ha sulla coscienza come valore di scambio. Ma le merci stesse entro il processo di scambio devono esistere l'una per l'altra non soltanto come valori d'uso, bensì come valori di scambio, e questa loro esistenza apparirà come la loro propria relazione reciproca. La difficoltà in cui subito abbiamo inciampato era questa: per potersi esprimere come valore d'uso, come lavoro oggettivato, la merce deve prima essere alienata come valore d'uso, dev'essere spacciata a qualcuno, mentre la sua alienazione come valore d'uso presuppone viceversa la sua esistenza come valore di scambio. Ma poniamo che questa difficoltà sia risolta. Poniamo che la merce si sia disfatta del proprio particolare valore d'uso e alienandolo abbia adempiuto la condizione materiale di essere lavoro socialmente utile invece che lavoro particolare di un uomo singolo per se stesso. Così dovrà poi, nel processo di scambio, come valore di scambio diventare equivalente generale, tempo di lavoro generale oggettivato, per le altre merci ed in tal modo acquisire non più soltanto l'effetto limitato di un particolare valore d'uso, bensì l'immediata capacità di essere espressa in tutti i valori d'uso quali suoi equivalenti. Ma ogni merce è la merce che in questo modo, mediante l'alienazione del proprio particolare valore d'uso, deve presentarsi come materializzazione diretta del tempo di lavoro generale. Ma d'altra parte nel processo di scambio si trovano di fronte soltanto merci particolari, lavori di individui privati, incarnati in particolari valori d'uso. Lo stesso tempo di lavoro generale è un'astrazione che come tale non esiste per le merci. Se consideriamo la somma delle equazioni in cui il valore di scambio di una merce trova la sua espressione reale, ad esempio:
1 braccio di tela = 1/2 libbra di tè, 1 braccio di tela = 8 libbre di pane, ecc. queste equazioni enunziano soltanto, è vero, che un tempo di lavoro sociale generale di uguale grandezza si oggettiva in un braccio di tela, 2 libbre di caffè, 1/2 libbra di tè, ecc. Ma in realtà i lavori individuali che si esprimono in questi particolari valori d'uso, diventano lavoro generale e, in questa forma, lavoro sociale, soltanto scambiandosi realmente reciprocamente in proporzione della durata del lavoro in essi contenuto. Il tempo di lavoro sociale esiste per così dire solo allo stato latente in queste merci e si manifesta soltanto nel processo del loro scambio. Non si parte dal lavoro degli individui in quanto lavoro comune, ma, viceversa, da lavori particolari di individui privati, lavori che soltanto nel processo di scambio, con l'abolizione dell'oro carattere originale, si affermano come lavoro sociale generale. Il lavoro generalmente sociale non è quindi il presupposto bell'e pronto, è bensì risultato in divenire. E così risulta la nuova difficoltà: da un lato le merci devono entrare nel processo di scambio come tempo di lavoro generale oggettivato, dall'altro lato l'oggettivazione del tempo di lavoro degli individui, come tempo di lavoro generale, è essa stessa null'altro che il prodotto del processo di scambio. Mediante l'alienazione del proprio valore d'uso, quindi della originale esistenza, ogni merce deve acquisire la sua corrispondente esistenza come valore di scambio. Nel processo di scambio la merce deve dunque raddoppiare la propria esistenza. D'altra parte la sua seconda esistenza come valore di scambio, a sua volta, non può essere che un'altra merce, poiché nel processo di scambio si stanno di fronte soltanto merci. Come rappresentare una merce particolare quale tempo di lavoro generale oggettivato o, il che è la stessa cosa, come dare direttamente al tempo di lavoro individuale, oggettivato in una merce particolare, il carattere della generalità? L'espressione reale del valore di scambio di una merce, vale a dire di ogni merce in quanto equivalente generale, appare in una somma infinita di equazioni, come:
1 braccio di tela = 1/2 libbra di tè, 1 braccio di tela = 8 libbre di pane, 1 braccio di tela = 6 braccia di cotone, 1 braccio di tela = ecc. Questa espressione era teorica in quanto la merce era soltanto pensata come un quantitativo determinato di tempo di lavoro generale oggettivato. L'esistenza di una merce particolare come equivalente generale diventa per mera astrazione risultato sociale del processo di scambio stesso, mediante la semplice inversione della serie di equazioni sopra annotata. Quindi p. es.:
1/2 libbra di tè = 1 braccio di tela, 8 libbre di pane = 1 braccio di tela, 6 braccia di cotone = 1 braccio di tela Mentre caffè, tè, pane, cotone, in breve tutte le merci, esprimono in tela il lavoro contenuto in esse, il valore di scambio della tela si manifesta, viceversa, in tutte le altre merci in quanto suoi equivalenti, e il tempo di lavoro oggettivato nella tela diventa immediatamente il tempo di lavoro generale che si esprime uniformemente in volumi differenti di tutte le altre merci. La tela diventa in questo caso equivalente generale in virtù dell'azione generale esercitata su di essa da tutte le altre merci. Come valore di scambio ogni merce è diventata misura dei valori di tutte le altre merci. Qui viceversa, misurando tutte le merci il proprio valore di scambio in una merce particolare, la merce esclusa diventa esistenza adeguata del valore di scambio, diventa l'esistenza di quest'ultimo quale equivalente generale. Per contro, la serie infinita ossia le equazioni infinite di numero, in cui si esprime il valore di scambio di ogni merce, si riducono a un'equazione unica di sole due componenti. 2 libbre di caffè = 1 braccio di tela, è ora l'espressione esauriente di valore di scambio del caffè, poiché la tela in questo momento appare direttamente come equivalente di un determinato quantitativo di ogni altra merce. Entro il processo di scambio le merci esistono dunque ora l'una per l'altra, o appaiono l'una all'altra come valori di scambio, nella forma della tela. Il fatto che tutte le merci siano riferite l'una all'altra come valori di scambio, semplicemente come quantità differenti di tempo di lavoro generale oggettivato, si presenta ora nel modo seguente: le merci, come valori di scambio, non rappresentano che quantità differenti di uno stesso oggetto, della tela. Il tempo di lavoro generale a sua volta quindi si esprime come una cosa particolare, una merce accanto e al di fuori di tutte le altre merci. Ma allo stesso tempo l'equazione, in cui una merce si rappresenta come valore di scambio di un'altra merce, p. es. 2 libbre di caffè = 1 braccio di tela, è ancora un'equiparazione da realizzarsi. Solo mediante la propria alienazione come valore d'uso, la quale dipende dal suo affermarsi come oggetto di un bisogno nel processo di scambio, la merce si trasforma realmente dalla sua esistenza come caffè nella sua esistenza come tela, assumendo così la forma di equivalente generale e diventando realmente valore di scambio per tutte le altre merci. Viceversa, trasformandosi tutte le merci, mediante la loro alienazione in quanto valori d'uso, in tela, quest'ultima diventa la esistenza trasformata di tutte le altre merci; e solo come risultato di questa trasformazione di tutte le altre merci in essa tela, quest'ultima diventa direttamente oggettivazione del tempo di lavoro generale, ossia prodotto dell'alienazione generale, superamento dei lavori individuali. Se in questo modo le merci raddoppiano la propria esistenza per apparire come reciproci valori di scambio, la merce esclusa in quanto equivalente generale raddoppia il proprio valore d'uso. Oltre al proprio valore d'uso particolare come merce particolare, acquisisce un valore d'uso generale. Quest'ultimo suo valore d'uso è esso stesso una determinatezza formale, vale a dire risulta dalla funzione specifica che essa esercita nel processo di scambio in virtù dell'azione generale esercitata su di essa dalle altre merci. Il valore d'uso di ogni merce, quale oggetto di un particolare bisogno, ha un valore differente in mani differenti, ad esempio ha valore differente in mano di colui che l'aliena da quello che ha in mano a colui che l'acquista. La merce esclusa in qualità di equivalente generale è ora oggetto di un bisogno generale derivante dallo stesso processo di scambio, e ha per ognuno il medesimo valore d'uso, di essere rappresentante del valore di scambio, cioè mezzo di scambio generale. Così, in quest'unica merce, è risolta la contraddizione racchiusa dalla merce come tale, di essere, come valore d'uso particolare, contemporaneamente equivalente generale e quindi valore d'uso per ognuno, di essere valore d'uso generale. Mentre dunque tutte le altre merci esprimono in un primo tempo il proprio valore di scambio come equazione ideale, non ancora realizzata, con la merce esclusa, in questa merce esclusa il valore d'uso, benché reale, nel processo stesso appare come una esistenza meramente formale, la quale è da realizzarsi appena compiuta la trasformazione in valori d'uso reali. In origine la merce si presentava come merce in genere, come tempo di lavoro generale, oggettivato in un particolare valore d'uso. Nel processo di scambio tutte le merci si riferiscono alla merce esclusiva come merce in genere, come la merce, esistenza del tempo di lavoro generale in un valore d'uso particolare. Come merci particolari sono quindi in un rapporto antitetico con una merce particolare in qualità di merce generale. Il fatto che i possessori di merci si riferiscono a vicenda ai propri lavori come lavoro sociale generale, appare quindi così: essi si riferiscono alle proprie merci come valori di scambio, la reciproca relazione fra le merci, l'una con l'altra come valori di scambio nel processo di scambio, appare come la loro generale relazione con una merce particolare quale espressione adeguata del loro valore di scambio, il che, viceversa, appare a sua volta come relazione specifica di questa merce particolare con tutte le altre merci, e quindi come carattere sociale di una cosa, determinato e per così dire naturale e spontaneo. La merce particolare che in tal modo rappresenta l'esistenza adeguata del valore di scambio di tutte le merci, ossia il valore di scambio delle merci quale merce particolare, esclusiva, è il denaro. È una cristallizzazione del valore di scambio delle merci che esse determinano nello stesso processo di scambio. Quindi, mentre le merci, entro il processo di scambio, diventano l'una per l'altra, in quanto valori d'uso, liberandosi da ogni determinatezza di forma e riferendosi l'una all'altra nella loro figura materiale immediata, devono assumere una nuova determinatezza formale, devono procedere alla formazione di denaro per presentarsi reciprocamente come valori di scambio. Come non è un simbolo la esistenza di un valore d'uso come merce, così non è simbolo il denaro. Il fatto che un rapporto di produzione sociale si presenti come un oggetto presente al di fuori degli individui, e che le determinate relazioni che questi allacciano nel processo di produzione della loro vita sociale si presentino come qualità specifiche di una cosa, questo rovesciamento, questa mistificazione non immaginaria, bensì prosaicamente reale, caratterizza tutte le forme sociali del lavoro creatore di valore di scambio. Nel denaro questa mistificazione appare semplicemente più evidente che nella merce.
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