Karl
Marx
La guerra civile in Francia 4.
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Il primo tentativo della congiura dei negrieri
per abbattere Parigi facendola occupare dai prussiani fallì
per il rifiuto di Bismarck. Il secondo tentativo, quello del 18
marzo, terminò con la sconfitta dell'esercito e con la
fuga a Versailles del governo, il quale ordinò a tutto
l'apparato amministrativo di interrompere il suo lavoro e seguire
le sue orme. Mediante una parvenza di trattative di pace con Parigi,
Thiers trovò il tempo di prepararsi a farle la guerra.
Ma dove trovare un esercito? I resti dei reggimenti di linea erano
scarsi di numero e poco sicuri; il suo appello urgente alle provincie
di soccorrere Versailles con le loro guardie nazionali e con volontari
urtò in un netto rifiuto. Solo la Bretagna mandò
un pugno di Chouans che combattevano con la bandiera
bianca, ognuno con un cuore di Gesù di stoffa bianca sul
petto e al grido di "Vive le roi!". Thiers
fu dunque costretto a mettere assieme in gran fretta un'accozzaglia
variopinta di marinai, fucilieri di marina, zuavi pontifici, gendarmi
di Valentin, sergents de ville e mouchards [informatori
della polizia] di Pietri. Questo esercito,
però, sarebbe stato importante sino al ridicolo senza l'aggiunta
dei prigionieri di guerra dell'esercito imperialista, che Bismarck
fornì in numero esattamente sufficente ad alimentare la
guerra civile e a tenere il governo di Versailles alle abbiette
dipendenze della Prussia. Durante la guerra stessa, la polizia
di Versailles dovette sorvegliare l'esercito di Versailles, mentre
i gendarmi avevano il compito di trascinarlo al combattimento
esponendosi in tutti i posti pericolosi. I forti che caddero non
furono presi, ma comprati. L'eroismo dei federati convinse Thiers
che la resistenza di Parigi non poteva essere spezzata dal suo
genio strategico e dalle baionette di cui disponeva.
Frattanto le sue relazioni con le provincie diventavano
sempre più difficili. Nemmeno un indirizzo di approvazione
venne a rallegrare Thiers e i suoi rurali. Al contrario, arrivarono
da tutte le parti deputazioni e indirizzi in cui si chiedeva,
in tono tutt'altro che rispettoso, la riconciliazione con Parigi
sulla base del riconoscimento esplicito della repubblica, della
conferma delle libertà comunali e dello scioglimento dell'Assemblea
nazionale il cui mandato era estinto; e in tale quantità
che Dufaure, ministro della giustizia di Thiers, nella sua circolare
del 23 aprile ordinava ai procuratori di considerare delitto "gli
appelli di riconciliazione"!
Tuttavia, in considerazione della prospettiva disperata della
sua campagna, Thiers decise di cambiare la sua tattica, dando
ordine che il 30 di aprile avessero luogo le elezioni municipali
in tutto il paese, sulla base della nuova legge municipale da
lui stesso dettata all'Assemblea nazionale. Tanto con gli intrighi
dei suoi prefetti, quanto con le intimidazioni poliziesche, egli
si sentiva in grado di dare all'Assemblea nazionale, mediante
il verdetto delle provincie, quel potere morale che essa non aveva
mai avuto, e di ottenere infine dalle provincie la forza materiale
necessaria per la conquista di Parigi. Alla sua guerra di brigantaggio
contro Parigi, che egli esaltava nei suoi bollettini, e ai tentativi
dei suoi ministri di instaurare in tutta la Francia il regno del
terrore, Thiers si era preoccupato sin dall'inizio di accompagnare
una piccola commedia di riconciliazione, la quale doveva servire
a più di uno scopo. Doveva ingannare le provincie, attirare
gli elementi delle classi medie di Parigi, e, sopratutto, procurare
ai sedicenti repubblicani dichiarati dall'Assemblea nazionale
l'opportunità di nascondere il loro tradimento di Parigi
dietro la loro fiducia in Thiers.
Il 21 marzo, mentre non aveva ancora un esercito, egli aveva dichiarato
all'Assemblea: "Qualunque cosa avvenga, non manderò
un esercito contro Parigi". Il 27 marzo s'alzò
ancora per dire: "Ho trovato la repubblica come fatto
compiuto e sono fermamente deciso a mantenerla". In
realtà, egli schiacciò la rivoluzione a Lione e
a Marsiglia in nome della repubblica, mentre gli urli dei suoi
rurali coprivano a Versailles ogni accenno anche solo al nome
di essa. Dopo questa impresa egli attenuò il "fatto
compiuto" riducendolo a un fatto ipotetico. Ai principi
di Orléans, ch'egli aveva prudentemente avvisati di lasciare
Bordeaux, si permetteva, ora, in aperta violazione della legge,
di intrigare a Dreux. Le concessioni offerte da Thiers nelle sue
interminabili interviste coi delegati di Parigi e delle provincie,
benchè continuamente variate di tono e di colore a seconda
del tempo e delle circostanze, di fatto non andarono mai oltre
la promessa che la vendetta sarebbe stata limitata a quel "pugno
di criminali implicati nell'assassinio di Lecomte e di Clément
Thomas", con la premessa, ben inteso, che Parigi e la
Francia avrebbero accettato Thiers stesso come migliore delle
repubbliche possibili, proprio come egli, nel 1830, aveva accettato
Luigi Filippo. Ed aveva cura di render dubbie persino queste concessioni,
mediante commenti ufficiali con i quali i suoi ministri le accompagnavano
nell'Assemblea.
Per agire egli aveva il suo Dufaure. Dufaure, questo vecchio avvocato
orlealista, è sempre stato il giudice supremo dello stato
d'assedio, così ora, nel 1871, sotto Thiers, come nel 1839
sotto Luigi Filippo, e nel 1849 sotto la presidenza di Luigi Bonaparte.
Fuori del governo, si era arricchito come avvocato dei capitalisti
di Parigi e si era fatto un capitale politico combattendo in tribunale
contro leggi fatte da lui stesso. Costui ora non soltanto si affrettò
a far approvare dall'Assemblea nazionale una serie di leggi repressive,
che avrebbero dovuto, dopo la caduta di Parigi, estirpare gli
ultimi residui di libertà repubblicana in Francia, ma prefigurò
la sorte di Parigi abbreviando la procedura delle corti marziali,
secondo lui troppo lenta, e introducendo un nuovo e strano codice
draconiano di deportazione. Luigi Bonaparte non aveva osato, per
lo meno in teoria, restaurare il regime della ghigliottina. L'Assemblea
dei rurali, non ancora abbastanza impudente per sostenere che
i parigini fossero non ribelli ma assassini, doveva perciò
limitare le sue prospettive di vendetta contro Parigi al nuovo
codice di deportazione di Dufaure. In tutte queste circostanze,
Thiers stesso non avrebbe potuto continuare la sua commedia di
riconciliazione, se questa commedia - com'egli del resto voleva
- non avesse provocato gli urli di rabbia dei rurali, la cui mente
ruminante non comprendeva né il trucco, né le sue
necessità di ipocrisia, di tergiversazione, di procrastinazione.
In vista delle imminenti elezioni municipali
del 30 aprile, Thiers rappresentò il 27 aprile una delle
sue grandi scene di riconciliazione. In mezzo a un diluvio di
retorica sentimentale, egli esclamò dalla tribuna dell'assemblea:
"Non vi è nessuna congiura contro
la repubblica, fuorché quella di Parigi, che ci costringe
a versare sangue francese. L'ho detto e lo ripeto. Che le empie
armi cadano dalle mani che le impugnano, e il castigo verrà
arrestato immedietamente da un atto di clemenza da cui verrà
esluso soltanto il piccolo numero dei criminali."
Alle violente interruzioni dei rurali egli replicò:
"Signori, ditemelo, ve ne supplico,
ho torto? Vi addolora realmente il fatto che io abbia detto, il
che è vero, che i criminali non sono che un piccolo numero?
Non è una fortuna, in mezzo alle nostre disgazie, che coloro
i quali sono stati capaci di versare il sangue di Clément
Thomas e del generale Lecomte non siano che rare eccezioni?"
La Francia, però, fece orecchi di mercante
a quello che Thiers s'immaginava fosse il canto d'una sirena parlamentare.
Su 700.000 consiglieri comunali eletti dai 35.000 comuni rimasti
alla Francia, i legittimisti, orlealisti e bonapartisti riuniti
non ne contavano che 8000. Le elezioni supplementari che seguirono
furono ancora più decisamente ostili. Così invece
di ottenere dalle provincie la forza materiale di cui aveva bisogno
assoluto, l'Assemblea nazionale, perdette anche l'ultimo diritto
alla forza morale, quello di poter dire di essere l'espressione
del suffragio universale del paese. Per completare la sconfitta,
i neoeletti consigli comunali di tutte le città della Francia
minacciarono apertamente l'assemblea usurpatrice di Versailles
di convocare una controassemblea a Bordeaux.
E finalmente arrivò per Bismarck il momento,
lungamente atteso, dell'azione decisiva. Egli ingiunse in tono
perentorio a Thiers di mandare a Francoforte plenipotenzari per
la conclusione definitiva della pace. Con umile obbedienza alla
voce del padrone, Thiers si affrettò a mandare il suo fedele
Jules Favre, accompagnato da Pouyer-Quertier, "eminente"
cotoniere di Rouen, fervente e persino servile fautore del II
Impero: non vi aveva mai trovato altro difetto che il trattato
di commercio con l'Inghilterra, il quale recava pregiudizio ai
suoi propri interessi di bottega. Appena installato a Bordeaux
come ministro delle finanze di Thiers, aveva denunciato questo
trattato "malaugurato", aveva fatto cenno alla
sua prossima abrogazione, e aveva persino avuto la sfontatezza
di tentare, sebbene invano (avendo fatto i conti senza Bismarck),
la messa in vigore immediata dei vecchi dazi protettivi contro
l'Alsazia, al che, egli diceva, non si opponeva nessun precedente
trattato internazionale. Quest'uomo, che considerava la controrivoluzione
come mezzo per ridurre i salari a Rouen e la cessione di provincie
francesi come mezzo per far salire i prezzi delle sue merci in
Francia, non era forse predestinato ad essere, proprio lui, scelto
da Thiers come compare di Jules Favre nel suo ultimo e culminante
tradimento?
All'arrivo a Francoforte di questa squisita coppia
di plenipotenziari, il brutale Bismarck li pose senz'altro davanti
a questa imperiosa alternativa: o la restaurazione dell'impero,
o l'accettazione incondizionata delle mie condizioni di pace!
Queste condizioni comprendevano una riduzione dei termini in cui
si doveva pagare l'indennità di guerra e l'occupazione
dei forti di Parigi da parte delle truppe prussiane fino a che
Bismarck non si fosse sentito soddisfatto della situazione in
Francia; la Prussia venendo così riconosciuta arbitro supremo
della politica interna francese! In cambio egli offriva di lasciar
libero, per lo sterminio di Parigi, l'esercito bonapartista prigioniero
e di dargli l'aiuto diretto delle truppe dell'imperatore Guglielmo.
Come prova della sua buona fede, egli faceva dipendere il pagamento
della prima rata dell'indennità dalla "pacificazione"
di Parigi. Una esca simile fu naturalmente ingoiata con avidità
da Thiers e dai suoi plenipotenziari. Essi firmarono il trattato
di pace il 10 maggio e lo fecero ratificare dall'Assemblea il
18.
Nell'intervallo tra la conclusione della pace
e l'arrivo dei prigionieri bonapartisti, Thiers si sentì
tanto più obbligato a riprendere la sua commedia della
riconciliazione in quanto i suoi strumenti repubblicani avevano
bisogno di un pretesto per chiudere un occhio sui preparativi
del massacro di Parigi. Ancora l'8 maggio egli rispondeva a una
deputazione di conciliatori delle classi medie: "Appena
gli insorti faranno intendere la resa, le porte di Parigi verranno
spalancate per tutti durante una settimana, eccetto che per gli
assassini dei generali Clément Thomas e Lecomte".
Alcuni giorni dopo, interpellato violentemente
dai rurali su queste promesse, rifiutò di dare qualsiasi
spiegazione; non però senza aver fatto loro questo significativo
cenno: "Vi dico che vi sono tra di voi degli impazienti;
della gente che ha troppa fretta. Attendano ancora otto giorni;
alla fine di questi otto giorni non vi sarà più
nessun pericolo, e il compito sarà allora proporzionato
al loro coraggio e alle loro capacità". Non appena
Mac Mahon fu in grado di assicuragli che in breve sarebbe potuto
entrare in Parigi, Thiers dichiarò all'Assemblea che "sarebbe
entrato in Parigi brandendo la legge, e avrebbe costretto gli
scellerati che avevano sacrificato la vita dei soldati e distrutto
pubblici monumenti a espiare completamente i loro delitti".
Quando il momento decisivo fu vicino disse all'Assemblea: "Sarò
spietato"; disse a Parigi che era condannata, e ai suoi
briganti bonapartisti che lo stato permetteva loro di vendicarsi
di Parigi a loro piacimento. Infine, quando il tradimento, il
21 maggio, ebbe aperto le porte di Parigi al generale Douay, Thiers,
il 22 maggio, rivelò ai rurali lo "scopo" della
sua commedia di conciliazione, che essi così ostinatamente
avevano continuato a non capire: "Vi ho detto pochi giorni
or sono che stavamo avvicinandoci al nostro scopo; oggi vengo
a dirvi che lo scopo è raggiunto. L'ordine, la giustizia,
la civiltà, hanno finalmente riportato la vittoria!".
E così era davvero. La civiltà
e la giustizia dell'ordine borghese si mostrano nella loro luce
sinistra ogni volta che gli schiavi e gli sfruttati di quest'ordine
insorgono contro i loro padroni. Allora questa civiltà
e questa giustizia si svelano come nude barbarie e vendetta ex
lege. Ogni nuova crisi nella lotta di classe tra gli accaparratori
della ricchezza e i produttori di essa mette in luce più
chiaramente questo fatto. Persino le atrocità dei borghesi
nel giugno 1848 scompaiono davanti all'infamia indicibile del
1871. L'eroico spirito di sacrificio col quale la popolazione
di Parigi - uomini, donne e bambini - combattè per otto
giorni dopo l'entrata dei versigliesi, rispecchia la grandezza
della sua causa, quanto le azioni diaboliche della soldatesca
rispecchiano lo spirito innato di quella civiltà di cui
essa è la vendicatrice mercenaria. Gloriosa civiltà
invero, il cui problema vitale consiste nel trovare il modo di
far sparire i cadaveri da lei ammucchiati, dopo che la battaglia
è terminata!
Per trovare un parallelo alla condotta di Thiers
e dei suoi segugi, bisogna risalire fino ai tempi di Silla e dei
due triunvirati di Roma. Gli stessi eccidi in massa a sangue freddo;
la stessa noncuranza nel massacro di fronte all'età e al
sesso; lo stesso sistema di torturare i prigionieri; le stesse
prescrizioni, ma ora di una classe intera; la stessa caccia selvaggia
ai capi nascosti, per non lasciarne sfuggire nemmeno uno; le stesse
denuncie di nemici politici e privati; la stessa indifferenza
per il massacro di persone assolutamente estranee al conflitto.
La sola differenza è che i romani non avevano mitragliatrici
per ammazzare in massa i prigionieri, e non avevano "la
legge nelle loro mani", né sulle labbra il grido
di "civiltà". E dopo questi orrori guardate
l'altro aspetto, ancora più ributtante, di questa civiltà
borghese, come è stato descritto dalla sua stessa stampa!
Scrive il corrispondente parigino di un giornale conservatore
di Londra:
"Mentre echeggiano in lontananza spari
dispersi, e digraziati feriti muoiono senza cure fra le pietre
sepolcrali del Père Lachaise, mentre 6000 insorti terrorizzati
erano in un agonia disperata nel labirinto delle catacombe, e
poveri sciagurati sono cacciati per le strade per essere abbattuti
a mucchi dalle mitragliatrici, è cosa rivoltante vedere
i caffè zeppi di devoti dell'assenzio, del bigliardo e
del domino; vedere la sfrontatezza femminile passeggiare in lungo
e in largo sui boulevards, e il chiasso delle orge provenienti
dai cabinets particuliers dei ristoranti di lusso turbare la quiete
notturna."
Il signor Edouard Hervé scrive nel Journal
de Paris, organo versigliese soppresso dalla Comune:
"Il modo come la popolazione di Parigi
ha manifestato ieri la sua soddisfazione era peggio che frivolo,
e noi temiamo che le cose peggiorino col tempo. Parigi ha adesso
un aspetto di giorno di fete che è tristemente fuori posto;
e a meno che non vogliamo essere chiamati i parisiens de la décadence,
bisogna mettere un termine a queste cose."
In seguito cita il passo di Tacito:
"Eppure il giorno dopo quella lotta
terribile, anche prima che essa fosse del tutto finita, Roma,
degenerata e corrotta, ricominciò ancora una volta a gettarsi
in quel fango di voluttà che distruggeva il suo corpo e
insozzava il suo animo: alibi proelia et vulnera, alibi balneae
popinseque (qua combattimenti e ferite, là bagni e taverne)."
Il signor Hervé dimentica soltanto di
dire che la "popolazione di Parigi" di cui
parla non è che la popolazione della Parigi del signor
Thiers, i francs-fileurs di ritorno in folla da Versailles,
Saint-Denis, Rueil e Saint-Germain: la Parigi della "decadenza".
In tutti i suoi trionfi sanguinosi sui combattimenti
che si sacrificavano per una nuova e migliore società questa
civiltà scellerata, fondata sull'asservimento del lavoro,
soffoca il gemito delle sue vittime, sotto uno strepito di calunnie
che trovano un'eco mondiale. La serena Parigi operaia della Comune
viene improvvisamente trasformata in un inferno dai segugi dell'
"ordine". E che cosa prova questa terribile
trasformazione agli spiriti borghesi di tutti i paesi? Null'altro
se non che la Comune ha cospirato contro la civiltà! Il
popolo di Parigi muore con l'entusiasmo per la Comune, in numero
superiore a quello dei morti di qualunque battaglia della storia.
Che cosa prova ciò? Null'altro se non che la Comune non
era il governo del popolo stesso, ma la usurpazione di un pugno
di criminali. Le donne di Parigi sacrificarono con gioia la loro
vita sulle barricate e sul luogo del supplizio. Che cosa prova
ciò? Null'altro se non che il demone della Comune le ha
cambiate in Megere e Ecati! La moderazione della Comune durante
due mesi di dominio incontrastato è uguagliata solo dall'eroismo
della sua difesa. Che cosa prova ciò? Null'altro se non
che la Comune per mesi ha nascosto con cura sotto la maschera
di moderazione e di umanità la sete di sangue dei suoi
istinti infernali, che si dovevano scatenare solo nell'ora della
sua agonia!
Parigi operaia, nell'atto del suo eroico sacrificio,
ha travolto nelle sue fiamme case e monumenti. Quando fanno a
pezzi il corpo vivente del proletariato, i suoi dominatori non
debbono più contare di fare un ritorno trionfale in mezzo
all'architettura intatta delle loro dimore. Il governo di Versailles
grida: "Incendiari!" e sussurra a tutti i suoi
sgherri, fino nell'ultimo villaggio, la parola d'ordine di dare
dappertutto la caccia ai suoi nemici come sospetti di essere incendiari
professionali. La borghesia di tutto il mondo, che assiste con
compiacimento al massacro dopo la battaglia, rabbrividisce d'orrore
al veder profanati la calce e i mattoni!
Quando i governi danno licenza ufficiale alle
loro marine di "uccidere, bruciare, e distruggere"
questa è o non è una licenza di incendiare? Quando
le truppe inglesi dettero deliberatamente fuoco al Campidoglio
di Washington e al palazzo d'estate dell'imperatore della Cina,
si trattava o no di atti da icendiari? Quando i prussiani, non
per ragioni militari, ma per puro spirito di vendetta, dettero
fuoco, con l'aiuto del petrolio, a città come Chateaudun
e a innumerevoli villaggi, erano o no incendiari? Quando Thiers
per sei settimane bombardò Parigi, col pretesto che voleva
metter fuoco solo alle case abitate, era o no un incendiario?
In guerra, il fuoco è un'arma legittima come tutte le altre.
Gli edifici occupati dal nemico vengono bombardati per appiccarvi
il fuoco. Se i difensori si devono ritirare, appiccano essi stessi
il fuoco per impedire all'attaccante di fare uso degli edifici.
L'essere distrutti dalle fiamme è sempre stato l'inevitabile
destino di tutti gli edifici situati sul fronte di combattimento
di tutti gli eserciti regolari del mondo.
Ma nella guerra degli schiavi contro i loro asservitori, la sola
guerra giustificabile nella storia, ciò non dovrebbe più
essere vero! La Comune fece uso del fuoco esclusivamente come
mezzo di difesa. Ne fece uso per sbarrare alle truppe versigliesi
quei viali lunghi e rettilinei che Haussmann aveva aperto appositamente
per il fuoco dell'artiglieria; ne fece uso per coprire la ritirata,
allo stesso modo che i versigliesi, nella loro avanzata, fecero
uso delle cannonate che distrussero per lo meno altrettanti edifici
quanti ne distrusse il fuoco della Comune. Ancora oggi si discute
quali edifici vennero incendiati dai difensori e quali dagli attaccanti.
E i difensori non fecero ricorso al fuoco se non quando le truppe
versigliesi avevano già incominciato l'assassinio in massa
dei prigionieri. D'altra parte, la Comune aveva già da
molto tempo annunciato pubblicamente che, se fosse stata spinta
agli estremi, avrebbe sepolto se stessa sotto le rovine di Parigi,
e fatto di Parigi una seconda Mosca, come aveva promesso di fare,
ma solo per coprire il suo tradimento, anche il governo della
difesa. A questo scopo Trochou aveva procurato il petrolio. La
Comune sapeva che ai suoi nemici non importava nulla della vita
del popolo di Parigi, ma che stavano loro a cuore gli edifici
da essi posseduti a Parigi. E Thiers, inoltre, li aveva avvertiti
che sarebbe stata implacabile nella vendetta. Non appena ebbe
pronti da un lato il suo esercito dall'altro i prussiani che chiudevano
la trappola, proclamò: "Sarò senza pietà!
L'espiazione sarà completa e la giustizia sarà inflessibile!".
Se gli atti degli operai di Parigi sono stati vandalismo, è
stato il vandalismo di una difesa disperata, non il vandalismo
del trionfo, come quello che i cristiani perpetrarono a danno
dei tesori d'arte veramente inapprezzabili dell'antichità
pagana; e persino questo vandalismo dei cristiani è stato
giustificato dagli storici come elemento concomitante inevitabile
e relativamente insignificante della lotta titanica tra la società
nuova in sul nascere e una vecchia società al tramonto.
Gli atti degli operai di Parigi furono ancora meno del vandalismo
di Haussmann, il quale distrusse la Parigi storica per far posto
alla Parigi dei bighelloni!
Ma l'esecuzione da parte della Comune dei sessantaquattro
ostaggi con l'arcivescovo di Parigi alla testa! La borghesia e
il suo esercito nel giugno 1848 ristabilirono una consuetudine
che da molto tempo era scomparsa dalla pratica della guerra, quella
di uccidere i loro prigionieri indifesi. Da allora questa consuetudine
brutale è stata seguita più o meno fedelmente da
coloro che hanno represso tutti i movimenti popolari in Europa
e in India. In questo modo essi hanno fornito la prova che questa
consuetudine costituisce veramente un "progresso della
civiltà"! D'altra parte i prussiani, in Francia,
avevano ristabilito la pratica di prendere ostaggi, uomini innocenti
che dovevano rispondere a loro con la propria vita delle azioni
degli altri.
Quando Thiers, come abbiamo visto, rimise in vigore sin dall'inizio
del conflitto la consuetudine umanitaria di uccidere i prigionieri
comunardi, la Comune, per proteggere la loro vita, fu costretta
a far ricorso alla pratica prussiana di prendere ostaggi. La vita
degli ostaggi era stata condannata più di una volta dalle
continue uccisioni di prigionieri perpetrate dai versigliesi.
Come potevano essere risparmiati più a lungo dopo il massacro
con cui i pretoriani di Mac Mahon celebrarono il loro ingresso
a Parigi? Si doveva dunque far diventare una semplice burla anche
la presa degli ostaggi, ultima garanzia contro la ferocia senza
scrupoli dei governi borghesi?Il vero assassino dell'arcivescovo
Darboy è Thiers. La Comune aveva offerto ripetute volte
di scambiare l'arcivescovo, e molti sacerdoti per giunta, col
solo Blanqui, allora nelle mani di Thiers. Thiers rifiutò
ostinatamente. Sapeva che con Blanqui avrebbe dato alla Comune
una testa, mentre l'arcivescovo gli sarebbe stato più utile
come cadavere. Thiers agì secondo il precedente di Cavaignac.
Quali grida d'orrore non gettarono Cavaignac e i suoi uomini dell'ordine
nel giugno 1848 per infamare gli insorti come assassini dell'arcivescovo
Essi sapevano perfettamente che l'arcivescovo era stato ucciso
dai soldati dell'ordine. Il signor Jacquemet, vicario generale
dell'arcivescovo, testimone oculare della cosa, ne aveva fornito
loro le prove subito dopo il fatto.
Tutto questo coro di calunnie che il partito
dell'ordine, nelle sue orge di sangue, non manca mai di lanciare
contro le sue vittime, prova soltanto che i borghesi dei nostri
giorni si considerano successori leggittimi del barone di un tempo,
che trovava legittima nelle sue mani ogni arma contro il plebeo,
mentre nelle mani del plebeo ogni arma era per sé un delitto.
La cospirazione della classe dirigente per abbattere
la rivoluzione mediante una guerra civile combattuta con l'aiuto
di un invasore straniero - cospirazione che abbiamo seguìto
fin dal 4 settembre sino all'ingresso dei pretoriani di Mac Mahon
per la porta di St. Cloud - culminò nel macello di Parigi.
Bismarck rimira con soddisfazione le rovine di Parigi, in cui
egli vede forse il primo passo di quella distruzione generale
delle grandi città per la quale aveva pregato il cielo
quando era ancora un semplice rurale nella Chambre introuvable
prussiana del 1849. Egli rimira compiaciuto i cadaveri del proletariato
di Parigi. Per lui ciò non è solo lo sterminio della
rivoluzione, ma l'estinzione della Francia, oggi in realtà
decapitata, e per opera dello stesso governo francese. Con la
superficialità caratteristica di tutti gli uomini di stato
fortunati, egli non vede che l'apparenza esteriore di questo tremendo
avvenimento storico.
Quando mai prima d'ora nella storia ha offerto lo spettacolo di
un vincitore che corona la sua vittoria trasformandosi non soltanto
in gendarme, ma in bravo prezzolato del governo vinto? Non vi
era stato di guerra tra la Prussia e la Comune di Parigi. Al contrario,
la Comune aveva accettato i preliminari di pace, e la Prussia
aveva dichiarato la sua neutralità. La Prussia non era
dunque parte belligerante, essa faceva la parte del bravo, e di
un bravo vile, perchè non correva nessun pericolo; di un
bravo prezzolato, perchè aveva stipulato in anticipo il
pagamento di 500 milioni, prezzo del sangue, alla caduta di Parigi.
E così, alla fine, appariva il vero carattere della guerra
ordinata dalla Provvidenza come castigo della Francia atea e corrotta
per mano della pia e morale Germania! E questa violazione senza
precedenti del diritto delle genti, anche se inteso al modo dei
giuristi del vecchio mondo, invece di spingere i governi "civili"
d'Europa a dichiarare fuori legge il governo fellone della Prussia,
semplice strumento del gabinetto di Pietroburgo, li incita solamente
a discutere se le poche vittime sfuggite al duplice cordone che
circonda Parigi non devono essere consegnate al carnefice di Versailles!
Il fatto che dopo la guerra più terribile
dei tempi moderni l'esercito vincitore e l'esercito vinto fraternizzano
per massacrare in comune il proletariato, questo fatto senza precedenti
non indica, come pensa Bismarck, lo schiacciamento finale di una
nuova società al suo sorgere, ma la decomposizione completa
della società borghese. Il più alto slancio di eroismo
di cui la vecchia società è ancora capace è
la guerra nazionale; e oggi è dimostrato che questa è
una semplice mistificazione governativa, la quale tende a ritardare
la lotta delle classi e viene messa in disparte non appena la
lotta di classe divampa in guerra civile. Il dominio di classe
non è più capace di travestirsi come una uniforme
nazionale; contro il proletariato i governi nazionali sono uniti.
Dopo la Pentecoste del 1871 non vi può
essere né pace né guerra tra gli operai francesi
e gli appropriatori del prodotto del loro lavoro. La mano di ferro
di una soldatesca mercenaria potrà per un certo tempo tenere
le due classi legate sotto una stessa oppressione; ma la battaglia
tra di loro dovrà scoppiare di nuovo in proporzioni sempre
più grandi, e non può essere dubbio chi sarà
alla fine il vincitore: se i pochi appropriatori o l'immensa maggioranza
lavoratrice. E la classe operaia francese non è altro che
l'avanguardia del proletariato moderno.
Mentre i governi europei attestano così,
davanti a Parigi, il carattere internazionale del dominio di classe,
essi si scagliano addosso all'Associazione internazionale degli
operai - controrganizzazione internazionale del lavoro contro
la cospirazione cosmopolita del capitale - accusandola di essere
la fonte prima di tutti questi disastri. Thiers accusò
di essere il despota del lavoro, pretendendo di esserne il liberatore.
Picard dette l'ordine di tagliare tutti i collegamenti dei membri
francesi dell'Internazionale con quelli dell'estero; il conte
Jaubert, il mummificato complice di Thiers del 1835, dichiara
che il grande problema di tutti i governi civili è di sdradicarla.
I rurali urlano contro di essa, e tutta la stampa europea fa coro
alle loro urla. Uno scrittore francese stimato, completamente
estraneo alla nostra Associazione, si esprime in questo modo:
"I membri del Comitato centrale della
Guardia nazionale e così pure la maggior parte dei membri
della Comune, sono le menti più attive, intelligenti ed
energiche dell'Associazione internazionale degli operai... uomini
profondamente onesti, siceri, intelligenti, devoti, puri e fanatici
nel senso buono della parola."
Lo spirito borghese, imbevuto di pregiudizi polizieschi,
si figura naturalmente che l'Associazione internazionale degli
operai funzioni al modo di una cospirazione segreta, con il suo
organismo centrale che ordina, di quando in quando, esplosioni
in diversi paesi. La nostra associazione in realtà, non
è altro che il legame internazionale tra gli operai più
avanzati dei differenti paesi del mondo civile. Dovunque, in qualsiasi
forma e in qualsiasi condizione, la lotta di classe prenda una
certa consistenza, è semplicemente ovvio che i membri della
nostra associazione siano al primo posto. Il terreno su cui essa
sorge è la stessa società moderna. Essa non può
venire sradicata da nessun massacro, per quanto grande. Per sradicarla,
i governi dovrebbero sradicare il dispotismo del capitale del
lavoro, condizione della loro stessa esistenza di parassiti.
Parigi operaia, con la sua Comune, sarà
celebrata in eterno, come l'araldo glorioso di una nuova società.
I suoi martiri sterminatori, la storia li ha già inchiodati
a quella gogna eterna dalla quale non riusciranno a riscattarli
tutte le preghiere dei loro preti.
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