3. Il 29 maggio 1849 si riunì l'Assemblea nazionale legislativa. Il 2 dicembre 1851 essa fu sciolta. Questo periodo abbraccia tutta l'esistenza della repubblica costituzionale o parlamentare. Nella prima rivoluzione francese al dominio dei costituzionali segue il dominio dei girondini, e al dominio dei girondini il dominio dei giacobini. Ognuno di questi partiti si appoggia su quello che è più avanzato di lui. Non appena ha portato la rivoluzione tanto avanti che, nonché precederla, non può più nemmeno seguirla, viene scartato dall'alleato più ardito che è dietro di lui e viene mandato alla ghigliottina. Così la rivoluzione si sviluppa secondo una linea ascendente. Il contrario succede nella rivoluzione del 1848. Il partito proletario si presenta come appendice dei partito democratico piccolo-borghese. Questo tradisce il primo e lo lascia cadere il 16 aprile, il 15 maggio e nelle giornate di giugno. Il partito democratico, a sua volta, si appoggia alle spalle del partito repubblicano borghese. Non appena i repubblicani borghesi credono di avere una base solida si sbarazzano dell'inopportuno compagno e si appoggiano a loro volta alle spalle del partito dell'ordine. Ma questo scrolla le spalle, manda a gambe all'aria i repubblicani borghesi e si appoggia alle spalle della forza armata. Crede ancora di poggiare sopra di esse quando un bel mattino si accorge che le spalle si sono cambiate in baionette. Ogni partito recalcitra contro quello che lo spinge in avanti, e si appoggia a quello che lo spinge indietro. Non fa maraviglia che in questa posizione ridicola perda l'equilibrio, e dopo inevitabili smorfie, cada al suolo con strane capriole. Così la rivoluzione si sviluppa secondo una linea discendente. Essa ha già iniziato questo movimento all'indietro prima ancora che l'ultima barricata di febbraio sia stata demolita e sia stata costituita la prima autorità rivoluzionaria. Il periodo che ci sta dinanzi presenta il miscuglio più bizzarro di contraddizioni stridenti: costituzionali che cospirano apertamente contro la Costituzione; rivoluzionari che sono, per loro confessione, costituzionali; un'Assemblea nazionale che vuol essere onnipotente e rimane esclusivamente parlamentare; una Montagna che fa della sopportazione la sua professione e mette riparo alle disfatte presenti con la profezia di vittorie future; monarchici che fanno i patres conscripti della repubblica e sono costretti dalla situazione a mantenere in esilio le avverse case reali di cui sono fautori e a conservare in Francia la repubblica che odiano; un potere esecutivo che trova la sua forza nella sua debolezza stessa, e la sua rispettabilità nel disprezzo che ispira; una repubblica che non è altro che l'infamia combinata di due monarchie, della Restaurazione e della monarchia di luglio, sotto un'etichetta imperialistica; unioni la cui prima clausola è la scissione; battaglie la cui prima legge è la mancanza di decisione; in nome dell'ordine una agitazione confusa e senza contenuto; in nome della rivoluzione la più solenne predicazione di pace; passioni senza verità, verità senza passione, eroi senza azioni eroiche, storia senza avvenimenti; una evoluzione la cui unica molla sembra essere il calendario, e che stanca per la ripetizione costante degli stessi momenti di tensione e di distensione; contrasti che sembrano acutizzarsi periodicamente soltanto per attutirsi e precipitare, senza riuscire a risolversi; sforzi presuntuosi e ostentati e paure della borghesia davanti al pericolo della fine del mondo, e da parte dei salvatori del mondo, in pari tempo, i più meschini intrighi e le commedie di palazzo più meschine, che nel loro laisser aller ricordano piuttosto i tempi della fronda che il giorno del giudizio universale; tutto il genio ufficiale della Francia messo alla gogna dalla astuta dappocaggine di un solo individuo; la volontà collettiva della nazione, ogni volta che si esprime nel suffragio universale, cerca la sua espressione adeguata nei nemici inveterati degl'interessi delle masse, sino a che la trova finalmente nell'arbitrio di un filibustiere. Se mai epoca della storia è stata dipinta in grigio su grigio, è ben questa. Uomini e avvenimenti appaiono come degli Schlemihl a rovescio, come ombre cui è stato tolto il corpo. La rivoluzione stessa paralizza i suoi fautori e riempie di violenza e di passione soltanto i suoi avversari. Quando finalmente appare lo "spettro rosso", continuamente evocato e scongiurato dai controrivoluzionari, esso non appare col berretto frigio dell'anarchia sul capo, ma nell'uniforme dell'ordine, in pantaloni rossi. Abbiamo visto che il ministero installato dal Bonaparte il 20 dicembre 1848, il giorno della sua ascensione era un ministero del partito dell'ordine, della coalizione legittimista e orleanista. Questo ministero Barrot-Falloux era sopravvissuto alla Costituente repubblicana, di cui aveva più o meno violentemente abbreviato l'esistenza, e si trovava ancora al potere. Changarnier, il generale dei monarchici coalizzati, continuava a riunire nella sua persona il comanda generale della prima divisione militare e quello della Guardia nazionale di Parigi. Le elezioni generali avevano finalmente assicurato al partito dell'ordine una grande maggioranza nell'Assemblea nazionale. I deputati e i pari di Luigi Filippo s'imbatterono in una sacra falange di legittimisti, per i quali le numerose schede elettorali della nazione erano diventate biglietti d'ingresso alla scena politica. I rappresentanti del popolo bonapartisti erano troppi rari, per poter formare un partito parlamentare indipendente. Essi apparivano soltanto come mauvaise queue del partito dell'ordine. In questo modo il partita dell'ordine si trovava in possesso del potere governativo, dell'esercito e dei corpo legislativo, in una parola di tutto il potere dello Stato; ed era stato rafforzato moralmente dalle elezioni generali, che facevano apparir il sui dominio come espressione della volontà dei popolo, e dalla contemporanea vittoria della controrivoluzione su tutto il continente europeo. Mai partito era entrato in campagna con mezzi più rilevanti e sotto più favorevoli auspici. I repubblicani puri, superstiti dal naufragio, si trovarono ridotti nell'Assemblea nazionale legislativa a una cricca di circa cinquanta uomini, con a capo i generali africani Cavaignac, Lamoricière, Bedeau. Ma il grande partito d'opposizione era costituito dalla Montagna. Con questo nome si era battezzato il partito socialdemocratico. Esso disponeva di più di duecento dei settecentocinquanta voti dell'Assemblea nazionale ed era quindi per lo meno altrettanto forte quanto una qualsiasi delle tre frazioni del partito dell'ordine prese separatamente. La sua posizione di minoranza relativa rispetto all'assieme della coalizione monarchica appariva compensata da circostanze particolari. Non soltanto le elezioni dipartimentali avevano dimostrato ch'esso si era conquistato un'influenza considerevole tra la popolazione delle campagne, ma contava nel suo seno quasi tutti i deputati di Parigi. L'esercito aveva fatto una dichiarazione di fede democratica eleggendo tre sottufficiali; e il capo della Montagna, Ledru-Rollin, a differenza di tutti i rappresentanti del partito dell'ordine, era stato elevato alla dignità parlamentare da cinque dipartimenti i quali avevano raccolto i loro suffragi sul suo nome. Il 29 maggio 1849, dunque, dato che era inevitabile che le diverse frazioni monarchiche venissero tra di loro a conflitto, e che il partito dell'ordine come tale venisse a conflitto con Bonaparte, la Montagna sembrava aver davanti a sé tutti gli elementi del successo. Quindici giorni dopo aveva perduto tutto. Compreso l'onore. Prima di procedere nella storia parlamentare sono necessarie alcune osservazioni, per evitare le consuete illusioni circa il carattere dell'epoca che ci sta davanti. Secondo il modo di vedere dei democratici, durante tutto il periodo dell'Assemblea nazionale legislativa, si trattava, come nel periodo della Costituente, della semplice lotta tra repubblicani e monarchici Ma il movimento stesso essi lo riassumono in una sola parola: "reazione", notte in cui tutti i gatti sono grigi, e che permette loro di ripetere i loro luoghi comuni da guardiani notturni. Non vi è dubbio che a prima vista il partito dell'ordine presenta un groviglio di varie frazioni monarchiche, che non solo intrigano l'una contro l'altra per elevare al trono ciascuna il proprio pretendente e dare scacco al pretendente del partito avverso, ma sono pure tutte unite nell'odio comune e nei comuni attacchi contro la "repubblica". La Montagna invece, in opposizione a questa cospirazione monarchica. appare come il rappresentante della "repubblica". Il Partito dell'ordine sembra continuamente occupato a un'opera di "reazione" che si dirige, né più né meno che in Prussia, contro la stampa, il diritto di associazione, e simili e si traduce, come in Prussia, in brutali inframmettenze poliziesche della burocrazia, della gendarmeria e dell'autorità giudiziaria. La Montagna, dal canto suo, è continuamente occupata a respingere questi attacchi e a difendere, quindi, i "diritti eterni dell'uomo", come più o meno hanno fatto da circa un secolo e mezzo tutti i partiti cosiddetti popolari. Ma se si considerino la situazione e i partiti più da vicino, questa apparenza superficiale, che nasconde la lotta di classe e la peculiare fisionomia di questo periodo, scompare. Legittimisti e orleanisti costituivano, come s'è detto, le due grandi frazioni del partito dell'ordine. Ma ciò che univa queste frazioni ai loro pretendenti e le opponeva l'una all'altra non era forse qualcos'altro che il giglio e il tricolore la casa di Borbone e la casa di Orléans, una diversa sfumatura nello spirito monarchico e, in generale, la professione di fede nella monarchia? Sotto i Borboni aveva regnato la grande proprietà terriera, coi suoi preti e i suoi lacchè; sotto gli Orléans l'alta finanza, la grande industria, il grande commercio, cioè il capitale, col suo seguito di avvocati, professori e retori. La monarchia legittima era soltanto l'espressione politica del dominio ereditario dei grandi proprietari fondiari, mentre la monarchia di luglio non era altro che l'espressione politica del dominio usurpato dei parvenus borghesi. Dunque ciò che opponeva l'una all'altra queste frazioni non erano dei cosiddetti princìpi, erano le condizioni materiali d'esistenza, due diverse specie della proprietà; era il vecchio contrasto tra la città e la campagna, la rivalità tra il capitale e la proprietà fondiaria. Che in pari tempo vecchi ricordi, ostilità personali, timori e speranze, pregiudizi e illusioni, simpatie e antipatie, convinzioni, articoli di fede e principi legassero all'una o all'altra delle case reali, non lo si può negare. Al di sopra delle differenti norme di proprietà e delle condizioni sociali di esistenza si eleva tutta una sovrastruttura di impressioni, di illusioni, di particolari modi di pensare e di particolari concezioni della vita. La classe intiera crea questa sovrastruttura e le dà una forma sulla base delle sue proprie condizioni materiali e delle corrispondenti relazioni sociali. L'individuo singolo, cui queste cose pervengono attraverso la tradizione e l'educazione, può immaginarsi che esse costituiscano i veri motivi determinanti e il punto di partenza della sua attività. Benché gli orleanisti, i legittimisti, ogni frazione, cercasse di persuadere se stessa e di persuadere la frazione avversa che ciò che le divideva era il fatto che ciascuna di esse sosteneva la propria casa regnante, la realtà doveva provare in seguito che era piuttosto la divergenza dei loro interessi a impedire l'unione delle due case. E come nella vita privata si fa distinzione tra ciò che un uomo pensa e dice di sé e ciò che dice e fa in realtà, tanto più nelle lotte della storia si deve far distinzione fra le frasi e le pretese dei partiti e il loro organismo reale e i loro reali interessi, tra ciò che essi si immaginano di essere e ciò che in realtà sono. Orleanisti e legittimisti si trovano gli uni accanto agli altri nella repubblica con eguali pretese. Se ognuna delle due frazioni voleva conseguire, contro l'altra, la restaurazione della propria casa reale, ciò non significava altro se non che i due grandi interessi che dividono la borghesia - la proprietà fondiaria e il capitale - cercavano, ognuno per conto suo, di restaurare la propria supremazia e la subordinazione dell'interesse opposto. E parliamo di due interessi della borghesia perché la grande proprietà fondiaria, malgrado civettasse col feudalismo e malgrado il suo orgoglio di razza, era, in conseguenza dello sviluppo della società moderna, completamente imborghesita. Così in Inghilterra i tories si immaginarono per molto tempo di essere entusiasti della monarchia, della Chiesa e delle bellezze della vecchia costituzione inglese, sino a che il pericolo strappò loro la confessione che erano entusiasti soltanto della rendita fondiaria. I monarchici coalizzati intrigavano gli uni contro gli altri nella stampa, a Ems, a Claremont, fuori del Parlamento. Dietro le quinte tornavano a indossare le loro vecchie livree orleaniste e legittimiste e riprendevano i loro vecchi tornei. Ma sulla pubblica scena, nelle loro azioni capitali e statali, come grande partito parlamentare, facevano alle loro rispettive case reali delle semplici riverenze e rinviavano in infinitum la restaurazione della monarchia. Essi adempivano la loro vera funzione come partito dell'ordine, cioè sotto una bandiera sociale, non sotto una bandiera politica; come rappresentanti dell'ordinamento borghese e non come cavalieri serventi di principesse erranti; come classe borghese contro altre classi e non come monarchici contro i repubblicani. E come partito dell'ordine essi hanno esercitato sulle altre classi della società un dominio più illimitato e più duro di quello che avevano esercitato sotto la Restaurazione o sotto la monarchia di luglio, un dominio che era possibile, in generale, soltanto nella forma della repubblica parlamentare, perché soltanto sotto questo regime le due grandi frazioni della borghesia francese potevano unirsi e porre quindi all'ordine dei giorno il dominio della loro classe, anziché il regime di una sua frazione privilegiata. E se, ciò malgrado, anche come partito dell'ordine, essi insultano la repubblica e danno libero corso alla loro avversione per essa, questo avviene soltanto grazie alle reminiscenze monarchiche. Il loro istinto li avvertiva che, se era vero che la repubblica rendeva completo il loro dominio politico, essa minava però in pari tempo la loro base sociale, perché ora erano costretti ad affrontarsi con le classi oppresse e a lottare contro di esse senza intermediari, senza lo schermo della corona, senza poter sviare l'interesse della nazione con le loro lotte reciproche secondarie e con le lotte contro la monarchia. Era un senso di debolezza che li faceva arretrare tremando davanti alle condizioni pure del loro proprio dominio di classe e faceva loro rimpiangere le forme meno complete, meno sviluppate, e quindi prive di pericoli, di questo stesso dominio. Al contrario, ogni volta che i monarchici coalizzati entrano in conflitto col pretendente che sta loro di fronte, con Bonaparte, ogni volta che credono la loro onnipotenza parlamentare minacciata dal potere esecutivo, ogni volta, dunque, che debbono presentare il titolo politico del loro dominio, essi si presentano come repubblicani e non come monarchici, a partire dall'orleanista Thiers, il quale ammonisce l'Assemblea nazionale che la repubblica è il regime che meno li divide, sino al legittimista Berryer, che il 2 dicembre 1851, cinta la sciarpa tricolore e fattosi tribuno, arringa il popolo davanti al palazzo municipale del 10° mandamento, in nome della repubblica. Ma la eco beffarda gli risponde: "Enrico V! Enrico V!". Di fronte alla borghesia coalizzata si era formata una coalizione di piccoli borghesi e di operai, il cosiddetto partito socialdemocratico. I piccoli borghesi si erano visti mal ricompensati dopo le giornate del giugno 1848; i loro interessi materiali erano minacciati, e le garanzie democratiche, che avrebbero dovuto permetter loro di far valere questi interessi, erano messe in forse dalla controrivoluzione. Perciò si avvicinavano agli operai. La loro rappresentanza parlamentare, d'altra parte, la Montagna, messa in disparte sotto la dittatura dei repubblicani borghesi durante la seconda metà della vita della Costituente aveva riconquistato la sua popolarità lottando contro Bonaparte e contro i ministri monarchici. Essa aveva concluso un'alleanza coi capi socialisti. Nel febbraio 1849 si organizzarono dei banchetti di riconciliazione. Venne abbozzato un programma comune, vennero formati dei comitati elettorali comuni e vennero presentati dei candidati comuni. Alle rivendicazioni sociali del proletariato venne smussata la punta rivoluzionaria e data una piega democratica. Alle pretese democratiche della piccola borghesia venne tolto il carattere puramente politico e dato rilievo alla loro punta socialista. Così sorse la Socialdemocrazia. La nuova Montagna, che fu il risultato di questa combinazione, tolti alcuni elementi della classe operaia che facevano da comparse, e alcuni membri delle sètte socialiste conteneva gli stessi elementi della vecchia Montagna, ma era numericamente più forte. Nel corso degli avvenimenti, però, si era mutata, al pari della classe che essa rappresentava. Il carattere proprio della socialdemocrazia si riassume nel fatto che vengono richieste istituzioni democratiche repubblicane non come mezzi per eliminare entrambi gli estremi, il capitale e il lavoro salariato, ma come mezzi per attenuare il loro contrasto e trasformarlo in armonia. Ma per quanto diverse siano le misure che possono venir proposte per raggiungere questo scopo, per quanto queste misure si possano adornare di rappresentazioni più o meno rivoluzionarie, il contenuto rimane lo stesso. Questo contenuto è la trasformazione della società per via democratica, ma una trasformazione che non oltrepassa il quadro della piccola borghesia. Non ci si deve rappresentare le cose in modo ristretto, come se la piccola borghesia intendesse difendere per principio un interesse di classe egoistico. Essa crede, il contrario, che le condizioni particolari della sua liberazione siano le condizioni generali, entro alle quali soltanto la società moderna può essere salvata e la lotta di classe evitata. Tanto meno si deve credere che i rappresentanti democratici siano tutti shopkrepers o che nutrano per questi un'eccessiva tenerezza. Possono essere lontani dai bottegai, per cultura e situazione personale, tanto quanto il cielo è lontano dalla terra. Ciò che fa di essi i rappresentanti del piccolo borghese è il fatto che la loro intelligenza non va al di là dei limiti che il piccolo borghese stesso non oltrepassa nella sua vita, e perciò essi tendono, nel campo della teoria, agli stessi compiti e ,alle stesse soluzioni a cui l'interesse materiale e la situazione sociale spingono il piccolo borghese nella pratica. Tale è, in generale, il rapporto che passa tra i rappresentanti politici e letterari di una classe e la classe che essi rappresentano. Da quanto si è detto è ovvio che se la Montagna lotta continuamente contro il partito dell'ordine per la repubblica e per i cosiddetti diritti dell'uomo, né la repubblica né i diritti dell'uomo sono il suo scopo supremo: così come un esercito che si cerca di disarmare, e che resiste, non entra in campo solo per restare in possesso delle proprie armi. Il partito dell'ordine provocò la Montagna sin dall'apertura dell'Assemblea nazionale. La borghesia sentiva ora la necessità di finirla con i piccoli borghesi democratici, come un anno prima aveva compreso la necessità di finirla col proletariato rivoluzionario. Ma la situazione dei nemico era diversa. La forza del partito proletario era nella strada, quella dei piccoli borghesi nell'Assemblea nazionale stessa. Si trattava quindi di attirarlo dall'Assemblea nazionale nella strada e di spingerlo a spezzare da sé la propria forza parlamentare, prima che il tempo e le occasioni potessero consolidarla. La Montagna si precipitò a occhi chiusi nella trappola. Il bombardamento di Roma da parte delle truppe francesi fu l'esca che le venne lanciata. Esso costituiva una violazione dell'articolo V della Costituzione, che proibiva alla repubblica francese di impiegare le sue forze militari contro le libertà di un altro popolo. Inoltre l'articolo 54 proibiva pure ogni dichiarazione di guerra da parte del potere esecutivo senza il consenso dell'Assemblea nazionale; e la Costituente, colla sua decisione dell'8 maggio, aveva disapprovato la spedizione romana. Fondandosi su questi fatti, l’11 giugno 1849 Ledru-Rollin depose un atto d'accusa contro Bonaparte e i suoi ministri. Irritato dalle punture di spillo di Thiers, egli si lasciò trascinare a minacciare di voler difendere la Costituzione con tutti i mezzi, e anche con le armi alla mano. La Montagna si levò come un sol uomo e ripeté questo appello alle armi. Il 12 giugno l'Assemblea nazionale respinse l'atto di accusa, e la Montagna abbandonò il Parlamento. Gli avvenimenti del 13 giugno sono conosciuti: il proclama di una parte della Montagna, secondo cui Bonaparte e i suoi ministri erano dichiarati "fuori della Costituzione"; la pacifica dimostrazione di strada delle guardie nazionali democratiche che, disarmate come erano, si dispersero al primo incontro con le truppe di Changarnier, ecc., ecc. Una parte della Montagna fuggi all'estero, un'altra parte venne deferita all'Alta Corte di Bourges, e un regolamento parlamentare sottopose il resto alla sorveglianza pedantesca del presidente dell'Assemblea nazionale. Parigi venne di nuovo dichiarata in stato di assedio, e la parte democratica della sua Guardia nazionale venne sciolta. Così vennero spezzate l'influenza della Montagna nel Parlamento e la forza dei piccoli borghesi a Parigi. Lione, che il 13 giugno aveva dato il segnale di una sanguinosa insurrezione operaia, venne pure dichiarata in stato di assedio insieme ai cinque dipartimenti circonvicini, e questo stato d'assedio dura tuttora. Il grosso della Montagna aveva lasciato in asso la propria avanguardia, negando le firme al suo proclama. La stampa aveva disertato, perché solo due giornali avevano osato rendere pubblico il pronunciamento. I piccoli borghesi tradirono i loro rappresentanti, perché le guardie nazionali rimasero a casa e, dove apparvero, impedirono la costruzione di barricate. I rappresentanti avevano ingannato i piccoli borghesi perché non fu possibile vedere da nessuna parte i cosiddetti affiliati ch'essi avevano nell'esercito. Infine, invece di trarre dal proletariato nuove forze, il partito democratico aveva trasmesso al proletariato la propria debolezza e, come avviene di solito nelle grandi azioni democratiche, i capi avevano la soddisfazione di poter accusare il loro "popolo" di diserzione e il popolo aveva la soddisfazione di poter accusare i suoi capi di averlo gabbato. Raramente un'azione era stata annunciata con maggior fracasso dell'imminente campagna della Montagna, raramente un avvenimento era stato lanciato a suon di tromba con maggior sicurezza e più tempo prima come una vittoria inevitabile della democrazia. Non vi è dubbio: i democratici credono alle trombe, agli squilli delle quali crollarono le mura di Gerico, e ogni volta che si trovano di fronte alle mura del dispotismo cercano di ripetere il miracolo. Se la Montagna voleva vincere nel Parlamento, non doveva fare appello alle armi. Se faceva appello alle armi nel Parlamento, non doveva però comportarsi in modo parlamentare nella strada. Se si pensava seriamente a una dimostrazione pacifica, era però sciocco non prevedere che essa sarebbe stata accolta in modo bellicoso. Se si prevedeva una vera battaglia, era strano deporre le armi con cui la battaglia doveva essere condotta. Ma le minacce rivoluzionarie dei piccoli borghesi e dei loro rappresentanti democratici sono semplici tentativi di intimidire l'avversario. E quando si sono cacciati in un vicolo cieco, quando si sono compromessi a un punto tale che sono costretti a tradurre in atto le loro minacce, ciò viene fatto in modo equivoco, che non evita altro che i mezzi adatti allo scopo e cerca avidamente dei pretesti di disfatta. Il rimbombante preludio che annunciava la battaglia si perde in un debole mormorio non appena questa dovrebbe incominciare; gli attori cessano di prendersi au sérieux e l'azione fallisce in modo lamentevole, come un pallone forato con uno spillo. Nessun partito più del democratico esagera a se stesso i propri mezzi, nessuno s'inganna con maggior leggerezza circa la situazione. Poiché una parte dell'esercito le aveva dato i suoi voti, la Montagna era convinta che l'esercito sarebbe insorto in suo favore. E in che occasione? In un'occasione che, secondo il modo di vedere delle truppe, non aveva altro senso se non che i rivoluzionari prendevano partito per i soldati romani contro i soldati francesi. D'altra parte i ricordi dei giugno 1848 erano ancora troppo freschi, perché non dovesse esistere una profonda avversione del proletariato contro la Guardia nazionale e una profonda diffidenza dei capi delle società segrete per i capi democratici. Perché queste divergenze venissero appianate era necessario che fossero in gioco dei grandi interessi comuni. La violazione di un astratto paragrafo della Costituzione non poteva presentare questo intesse. La Costituzione non era stata violata ripetutamente, secondo quanto confessavano i democratici stessi? I giornali più popolari non avevano ballato la Costituzione come un ordigno controrivoluzionario? Ma il democratico, poiché rappresenta la piccola borghesia, cioè una classe intermedia, in seno alla quale si smussano in pari tempo gli interessi di due classi, si immagina di essere superiore, in generale, ai contrasti di classe. I democratici riconoscono di aver davanti a sé una classe privilegiata, ma essi, con tutto il resto della nazione che li circonda, costituiscono il popolo. Ciò che essi rappresentano è il diritto del popolo; ciò che li interessa è l'interesse del popolo. Essi non hanno dunque bisogno, prima di impegnare una lotta, di saggiare gli interessi e le posizioni delle diverse classi. Non hanno bisogno di ponderare troppo accuratamente i propri mezzi. Non hanno che da lanciare il segnale, perché il popolo, con tutte le sue inesauribili risorse, si scagli sugli oppressori. Se poi, all'atto pratico, i loro interessi si rivelano non interessanti e la loro forza un'impotenza, la colpa o è di quegli sciagurati sofisti che dividono il popolo indivisibile in diversi campi nemici; o dell'esercito, troppo abbrutito e troppo accecato per comprendere che i puri scopi della democrazia sono il proprio bene; o di un particolare dell'esecuzione che ha fatto fallire l'assieme; o di un caso imprevisto che, per quella volta, ha fatto andare a monte tutto l'affare. Ad ogni modo, il democratico esce sempre senza macchia dalla più grave sconfitta, come senza colpa vi è entrato, e ne esce con la rinnovata convinzione che egli deve vincere, non che egli stesso e il suo partito dovranno cambiare il loro vecchio modo di vedere, ma, al contrario, che gli avvenimenti, maturando, gli dovranno venire incontro. Non ci si deve dunque immaginare che la Montagna, decimata, spezzata, umiliata dal nuovo regolamento parlamentare, fosse troppa infelice. Se il 13 giugno aveva eliminato i suoi capi, esso aveva però fatto posto a uomini di second'ordine, che la nuova situazione lusingava. Se la loro impotenza in Parlamento non poteva più venir messa in dubbio, essi erano dunque in diritto di limitare la loro attività a scoppi di indignazione morale e declamazioni rumorose. Se il partito dell'ordine fingeva di vedere in essi, ultimi rappresentanti .ufficiali della rivoluzione, l'incarnazione di tutti gli orrori dell'anarchia, essi potevano quindi essere in realtà altrettanto più banali e moderati. Del 13 giugno essi si consolarono con questa frase profonda: Ma che non si osi metter mano sul suffragio universale! Allora mostreremo quello che siamo! Nous verrons. Quanto ai Montagnardi fuggiti all'estero, basterà osservare qui che Ledru-Rollin, poiché era riuscito a rovinare senza via di scampo, in appena due settimane, il potente partito alla testa del quale si trovava, per questo si credette designato a fondare un governo francese in partibus; che la sua figura, nella lontananza, fuori del terreno dell'azione, sembrò ingrandirsi, a misura che il livello della rivoluzione cadeva e le grandezze ufficiali della Francia ufficiale si facevano più minuscole; che egli poté presentarsi come pretendente repubblicano per il 1852, e mandare circolari periodiche ai Valacchi e ad altri popoli, minacciando i despoti del Continente delle gesta sue e dei suoi alleati. Non aveva del tutto torto Proudhon, quando gridava a questi signori: "Vous n'étes que des blagueurs"? Il 13 giugno il partito dell'ordine non aveva soltanto abbattuto la Montagna; aveva pure realizzata la subordinazione della Costituzione alle decisioni della maggioranza dell'Assemblea nazionale. Ed intendeva la repubblica in questo modo: la borghesia governa nelle forme parlamentari, senza trovare un limite al suo dominio, come sotto la monarchia, nel veto del potere esecutivo o nella possibilità che il Parlamento venga sciolto. Tale era la repubblica parlamentare, come la chiamava Thiers. Ma se la borghesia aveva assicurato il 13 giugno la propria onnipotenza all'interno dell'edificio parlamentare, non aveva essa colpito il Parlamento di inguaribile debolezza, agli occhi del potere esecutivo e del popolo, scacciandone la parte più popolare? Abbandonando numerosi deputati, senz'altre cerimonie, alle richieste dell'autorità giudiziaria, essa soppresse la propria immunità parlamentare. Il regolamento umiliante a cui essa sottopose la Montagna, elevava il presidente della repubblica nella stessa misura in cui abbassava i singoli rappresentanti del popolo. Bollando come anarchica e sovversiva l'insurrezione in difesa della Costituzione, la Montagna interdiceva a se stessa l'appello all'insurrezione nel caso che il potere esecutivo volesse violare la Costituzione ai suoi danni. E l'ironia della storia vuole che il generale che aveva bombardato Roma per incarico di Bonaparte, e in questo modo aveva offerto il pretesto immediato alla sommossa del 13 giugno, che Oudinot, il 2 dicembre 1851, venga presentato al popolo dal partito dell'ordine, con insistenza e invano, come generale della Costituzione contro Bonaparte. Un altro eroe del 13 giugno, Vieyra, che aveva avuto felicitazioni dall'alto della tribuna dell'Assemblea nazionale per le brutalità da lui compiute nei locali di giornali democratici, a capo di una banda di guardie nazionali devote all'alta finanza, questo stesso Vieyra fu iniziato alla congiura di Bonaparte e contribuì efficacemente a privare l'Assemblea nazionale, nell'ora della sua morte, di ogni appoggio della Guardia nazionale. Il 13 giugno ebbe anche un altro significato. La Montagna aveva voluto strappare la messa in stato d'accusa di Bonaparte. La sua sconfitta fu quindi una vittoria diretta di Bonaparte, un suo trionfo personale sui suoi nemici democratici. Il partito dell'ordine combatté per ottenere la vittoria; Bonaparte non ebbe che da riscuoterla. È ciò ch'egli fece. Il 14 giugno si poté leggere sul muri di Parigi un proclama in cui il presidente, come se la cosa non dipendesse da lui, suo malgrado, costretto dalla pura forza degli avvenimenti, usciva dal suo isolamento claustrale, si doleva, come virtù misconosciuta, delle calunnie dei suoi avversari, e mentre sembrava identificare la sua persona con la causa dell'ordine, identificava invece la causa dell'ordine con la sua persona. Inoltre, se l'Assemblea nazionale aveva ratificato, sebbene con ritardo, la spedizione contro Roma, l'iniziativa era stata presa da Bonaparte. Dopo aver di nuovo insediato in Vaticano il sommo sacerdote Samuele, egli poteva sperare di insediare se stesso, come re Davide, nelle Tuileries. Aveva conquistato i preti. La sommossa del 13 giugno si limitò, come abbiamo visto, a una dimostrazione pacifica di strada. Non vi erano dunque stati allori guerrieri da conquistare contro di essa. Ciò non pertanto, in questo periodo povero di eroi e di avvenimenti, il partito dell'ordine trasformò questa battaglia senza spargimento di sangue in una seconda Austerlitz. La tribuna e la stampa celebrarono l'esercito come la potenza dell'ordine, in opposizione alle masse popolari rappresentanti l'impotenza dell'anarchia, e glorificarono Changarnier come il "baluardo della società". Mistificazione alla quale finì per credere egli stesso. Ma i corpi che sembravano di dubbia fedeltà venivano intanto allontanati da Parigi alla chetichella; i reggimenti nei quali le elezioni avevano dato i risultati più democratici venivano deportati dalla Francia in Algeria; le teste calde fra la truppa inviate alle compagnie di disciplina; e infine, la stampa veniva bandita sistematicamente dalla caserma e la caserma isolata dalla società civile. Siamo arrivati alla svolta decisiva nella storia della Guardia nazionale francese. Nel 1830 essa aveva deciso della caduta della Restaurazione. Sotto Luigi Filippo tutte le sommosse in cui la Guardia nazionale si era messa dalla parte dell'esercito erano fallite. Quando nelle giornate di febbraio del 1848 essa aveva avuto un atteggiamento di passività verso l'insurrezione, ed equivoco verso Luigi Filippo, questi si era considerato perduto, e lo era. In questo modo si era radicata la convinzione che la rivoluzione non poteva vincere senza la Guardia nazionale e che l'esercito non poteva vincere contro di essa. Si manifestava così la fede superstiziosa dell'esercito nell'onnipotenza dei borghesi. Le giornate del giugno 1848, in cui l'intiera Guardia nazionale, insieme con le truppe di linea, aveva schiacciato l'insurrezione, aveva rafforzato la superstizione. Dopo l'andata al potere di Bonaparte la posizione della Guardia nazionale era però stata indebolita, in conseguenza del fatto che, contrariamente alla Costituzione, il suo comando era stato riunito, nella persona di Changarnier, al comando della prima divisione militare. Come il comando della Guardia nazionale appariva qui come un attributo del comandante militare supremo, così la Guardia nazionale stessa appariva soltanto come un'appendice delle truppe di linea. Il 13 giugno, infine, essa venne spezzata, e non soltanto in conseguenza dei suo scioglimento parziale, che da quel momento si ripeté periodicamente in tutti i punti della Francia e non ne lasciò sussistere che i frantumi. La dimostrazione dei 13 giugno era stata anzitutto una dimostrazione delle guardie nazionali democratiche. È vero che esse avevano opposto all'esercito non le loro armi, ma le loro uniformi; ma proprio in quell'uniforme stava il talismano. L'esercito si convinse che quell'uniforme era uno straccio di lana come tutti gli altri. L'incanto era rotto. Nelle giornate di giugno 1848 borghesia e piccola borghesia, come Guardia nazionale, si erano unite con l'esercito contro il proletariato; il 13 giugno 1849 la borghesia fece disperdere dall'esercito la Guardia nazionale piccolo-borghese; il 2 dicembre 1851 scomparve anche la Guardia nazionale della borghesia, e Bonaparte, quando più tardi ne firmò il decreto di scioglimento, non fece altro che prender atto del fatto compiuto. Così la borghesia aveva spezzato essa stessa la sua ultima arma contro l'esercito, e l'aveva dovuta spezzare a partire dal momento in cui la piccola borghesia, invece di continuare ad essere sottomessa come un vassallo, si era levata contro di essa in atteggiamento di ribelle. Allo stesso modo la borghesia, dal momento che essa stessa era diventata assolutista, doveva spezzare con le proprie mani, in generale, tutti i suoi mezzi di difesa contro l'assolutismo. Frattanto il partito dell'ordine celebrava la riconquista di un potere che sembrava aver perduto nel 1848 solo per ritrovarlo nel 1849 liberato da tutte le pastoie, e lo celebrava con invettive contro la Repubblica e contro la Costituzione, maledicendo tutte le rivoluzioni passate, presenti e future, compresa quella che era stata fatta dai suoi propri capi, e promulgando leggi che imbavagliavano la stampa, sopprimevano il diritto di associazione e facevano della stato d'assedio un'istituzione organica di governo. L'Assemblea nazionale si aggiornò quindi dalla metà di agosto alla metà di ottobre, dopo aver nominato, per il periodo delle sue vacanze, una commissione permanente. Durante queste ferie i legittimisti intrigarono a Ems, gli orleanisti a Claremont, Bonaparte facendo dei viaggi principeschi, e i consigli dipartimentali discutendo della revisione della Costituzione, fatti che si riproducono regolarmente nel periodi di vacanza dell'Assemblea nazionale e di cui mi occuperò quando assumeranno il valore di avvenimenti. Per ora basti notare che l'Assemblea nazionale agiva poco politicamente disparendo dalla scena durante periodi di tempo abbastanza lunghi e lasciando che si vedesse a capo della repubblica una sola figura, fosse pure meschina, quella di Luigi Bonaparte e ciò mentre il partito dell'ordine, con scandalo dei pubblico, si divideva nei suoi differenti elementi monarchici e si abbandonava alle proprie contrastanti velleità di restaurazione. Ogniqualvolta, durante queste vacanze, i rumori assordanti del Parlamento si estinguevano, e il suo corpo si dissolveva nella nazione, appariva in modo incontrovertibile che mancava ormai soltanto una cosa per rendere completa la vera immagine di questa repubblica: rendere permanenti le vacanze del Parlamento e sostituire al motto della repubblica: Liberté, égalité, fraternité, le parole di significato non equivoco: Fanteria, cavalleria, artiglieria. |