Lenin
Che fare? Problemi scottanti del nostro movimento
1. Dogmatismo e «libertà di critica»
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a)
Che cosa significa «libertà di critica»
«Libertà di critica»: questa, incontestabilmente,
è la parola d'ordine più di moda in questo periodo,
quella che più frequentemente ricorre nelle discussioni
fra socialisti e democratici di tutti i paesi. A prima vista,
non ci si può rappresentare niente di più strano
di questi solenni richiami di una delle parti in contesa alla
libertà di critica. Possibile che dalle file dei partiti
avanzati si siano levate delle voci contro quella legge costituzionale
che, nella maggior parte dei paesi europei, garantisce la libertà
della scienza e dell'investigazione scientifica? «Qui
gatta ci cova!», si dirà chi, essendo estraneo
alla discussione e sentendo ripetere ad ogni piè sospinto
questa parola d'ordine di moda, non abbia ancora penetrato l'essenza
del dissenso. «Questa parola d'ordine è evidentemente
una di quelle parole convenzionali che, al pari dei nomignoli,
sono legittimate dall'uso e diventano quasi dei nomi comuni».
In
realtà non è un mistero per nessuno che nella
moderna socialdemocrazia internazionale (1) si sono formate
due tendenze e che la lotta fra di esse ora si riaccende e arde
di fiamma vivissima, ora si calma e cova sotto la cenere di
imponenti «risoluzioni di tregua». In che cosa consista
la «nuova» tendenza che «critica» il
marxismo «vecchio, dogmatico», Bernstein lo ha detto,
e Millerand lo ha dimostrato con sufficiente precisione.
La
socialdemocrazia deve trasformarsi da partito di rivoluzione
sociale in partito democratico di riforme sociali. Bernstein
ha appoggiato questa rivendicazione politica con tutta una batteria
di "nuovi" argomenti e considerazioni abbastanza ben
concatenati. Si nega la possibilità di dare un fondamento
scientifico al socialismo e di provare che, dal punto di vista
della concezione materialistica della storia, esso è
necessario e inevitabile; si nega il fatto della miseria crescente,
della proletarizzazione, dell’inasprimento delle contraddizioni
capitalistiche; si dichiara inconsistente il concetto stesso
di "scopo finale" e si respinge categoricamente l’idea
della dittatura del proletariato; si nega l’opposizione
di principio tra liberalismo e socialismo; si nega la teoria
della lotta di classe, che sarebbe inapplicabile in una società
rigorosamente democratica, amministrata secondo la volontà
della maggioranza, ecc.
L’invocata
svolta decisiva dalla socialdemocrazia rivoluzionaria al socialriformismo
borghese è quindi accompagnata da una svolta non meno
decisiva verso la critica borghese di tutte le idee fondamentali
del marxismo. Ma poiché già da tempo si muoveva
contro il marxismo questa critica dall’alto della tribuna
politica e della cattedra universitaria, in innumerevoli opuscoli
e in una serie di dotti trattati, poiché, da decine di
anni, tutta la nuova gioventù delle classi colte è
stata educata a questa critica, non è sorprendente che
la "nuova" tendenza "critica" nella socialdemocrazia
sia sorta di colpo in una forma definitiva, come Minerva dal
cervello di Giove. Quanto al contenuto, questa tendenza non
ha dovuto né prender forma né svilupparsi; essa
è stata direttamente trasferita dalla letteratura borghese
nella letteratura socialista.
Inoltre,
se la critica teorica di Bernstein e le sue aspirazioni politiche
fossero ancora per taluni poco chiare, i francesi si sono incaricati
di dare una dimostrazione palmare del "nuovo metodo".
La Francia ha confermato ancora una volta la vecchia reputazione
di essere il "paese in cui le lotte di classe della
storia vennero combattute, più che in qualsiasi altro
luogo, sino alla soluzione decisiva" (Engels, dalla
prefazione all’opera di Marx: Der 18 Brumaire.
Invece di fare della teoria, i socialisti francesi hanno agito;
la situazione politica della Francia, più evoluta in
senso democratico, ha permesso loro di passare immediatamente
al "bernsteinismo pratico" con tutte le sue conseguenze.
Millerand ha dato un esempio brillante di questo bernsteinismo
pratico. E non per nulla Bernstein e Vollmar si sono affrettati
a difenderlo e a lodarlo con tanto zelo! Infatti, se la socialdemocrazia
in sostanza non è che il partito delle riforme - e deve
avere il coraggio di riconoscerlo francamente - un socialista
non soltanto ha il diritto di entrare in un ministero borghese,
ma deve sempre sforzarsi di entrarvi. Se democrazia significa
essenzialmente soppressione del dominio di classe, perché
un ministro socialista non dovrebbe affascinare tutto il mondo
borghese con discorsi sulla collaborazione di classe? Perché
non dovrebbe restare nel ministero anche quando gli eccidi di
operai compiuti dai gendarmi hanno dimostrato, per la centesima
e per l’ennesima volta, il vero carattere della collaborazione
democratica delle classi? Perché non dovrebbe prendere
parte personalmente al ricevimento di uno zar che i socialisti
francesi oggi non chiamano altrimenti che eroe del knut,
della forca e della deportazione (knouteur, pendeur et déportateur)?
E in compenso di questo abisso di ignominia e di autodenigrazione
del socialismo davanti al mondo, di questo pervertimento della
coscienza socialista delle masse operaie - unica base che possa
garantirci la vittoria - ci si presentano a suon di tromba progetti
di riforme miserabili, così miserabili che si è
potuto ottenere di più dai governi borghesi!
Chi
non chiude intenzionalmente gli occhi non può non vedere
che la nuova tendenza "critica" del socialismo non
è altro che una nuova varietà di opportunismo.
E se si giudica la gente non dalla brillante uniforme che ha
indosso o dal nome di parata che si è data, ma dal modo
di agire e dalle idee che effettivamente propaga, si vedrà
chiaramente che la "libertà di critica" è
la libertà della corrente opportunistica nella socialdemocrazia,
la libertà di trasformare la socialdemocrazia in un partito
democratico di riforme, la libertà di introdurre nel
socialismo le idee borghesi e gli uomini della borghesia.
La
libertà è una grande parola, ma sotto la bandiera
della libertà dell’industria si sono fatte le guerre
più brigantesche, sotto la bandiera della libertà
del lavoro i lavoratori sono stati costantemente derubati. L’impiego
che oggi si fa dell’espressione “libertà
di critica” implica lo stesso falso sostanziale. Chi fosse
effettivamente convinto di aver fatto progredire la scienza
non rivendicherebbe per le nuove concezioni la libertà
di coesistere accanto alle vecchie, ma esigerebbe la sostituzione
di queste con quelle. L’odierno strillare: "Viva
la libertà di critica!" ricorda da vicino la favola
della botte vuota.
Piccolo
gruppo compatto, noi camminiamo per una strada ripida e difficile
tenendoci con forza per mano. Siamo da ogni parte circondati
da nemici e dobbiamo quasi sempre marciare sotto il fuoco. Ci
siamo uniti, in virtù di una decisione liberamente presa,
allo scopo di combattere i nostri nemici e di non sdrucciolare
nel vicino pantano, i cui abitanti, fin dal primo momento, ci
hanno biasimato per aver costituito un gruppo a parte e preferito
la via della lotta alla via della conciliazione. Ed ecco che
taluni dei nostri si mettono a gridare: "Andiamo
nel pantano!".
E, se si incomincia a confonderli, ribattono: "Che
gente arretrata siete! Non vi vergognate di negarci la libertà
d’invitarvi a seguire una via migliore?". Oh, sí,
signori, voi siete liberi non soltanto di invitarci, ma di andare
voi stessi dove volete, anche nel pantano; del resto pensiamo
che il vostro posto è proprio nel pantano e siamo pronti
a darvi il nostro aiuto per trasportarvi i vostri penati. Ma
lasciate la nostra mano, non aggrappatevi a noi e non insozzate
la nostra grande parola della libertà, perché
anche noi siamo "liberi" di andare dove vogliamo,
liberi di combattere non solo contro il pantano, ma anche contro
coloro che si incamminano verso di esso.
b) I nuovi difensori della «libertà di critica»
Ed é questa parola d'ordine («libertà di
critica») che il Rabotchéïé Diélo (n. 10), organo
estero dell'Unione dei socialdemocratici russI, ha lanciato
solennemente in questi ultimi tempi, non come postulato teorico,
ma come rivendicazione politica, come risposta alla domanda
«È possibile l'unione delle organizzazioni
socialdemocratiche che lavorano all'estero?» «Per
una solida unione é necessaria la libertà di
critica»
(p. 36).
Da
questa dichiarazione sgorgano due conclusioni molto ben definite:
1) il Rabotchéïé Diélo prende sotto la sua protezione
la tendenza opportunistica della socialdemocrazia internazionale
nel suo complesso; 2) il Rabotchéïé Diélo esige la libertà
dell'opportunismo nella socialdemocrazia russa. Esaminiamo queste
conclusioni. La «propensione dell'Iskra e
della Zarià a pronosticare la rottura fra la
Montagna e la Gironda della socialdemocrazia internazionale»
dispiace «particolarmente» al Rabotchéïé Diélo
(2).
«Per
noi in generale - scrive B. Kricevski, redattore
del Raboceie
Dielo - il parlare di Montagna e di Gironda nelle
file della socialdemocrazia rappresenta un'analogia storica
superficiale, ben singolare quando è dovuta alla penna
di un marxista: la Montagna e la Gironda non rappresentavano,
come può
sembrare agli storici ideologici, temperamenti o correnti intellettuali
diversi, ma differenti classi o strati sociali: media borghesia
da una parte e piccola borghesia col proletariato dall'altra.
Orbene, nel movimento socialista contemporaneo non vi é
collisione di interessi di classe; in tutte le sue varietà
- compresi i bernsteiniani più incalliti - esso è
tutto intero sul terreno degli interessi di classe del proletariato,
della sua lotta di classe per l'emancipazione politica ed
economica
(pp. 32-33)
Temeraria
affermazione! Ignora forse B. Kricevski il fatto, già
notato da molto tempo, che precisamente la larga partecipazione
dei ceti «accademici» al movimento socialista di
questi ultimi anni ha causato una così rapida diffusione
del bernsteinismo? E soprattutto, su che cosa si basa il nostro
autore per affermare che anche i «bernsteiniani
più incalliti» sono sul terreno della lotta di classe per
l'emancipazione politica ed economica del proletariato? Lo ignoriamo.
Questa difesa decisa dei bernsteiniani più incalliti
non è sostenuta assolutamente da nessun argomento, da
nessuna ragione. L'autore pensa indubbiamente che, avendo egli
ripetuto ciò che questi bernsteiniani più incalliti
dicono di se stessi, le sue affermazioni non abbiano più
bisogno di prove. Ma si può immaginare cosa più
«superficiale» di un giudizio su tutta una tendenza
basato su ciò che dicono di se stessi coloro che la rappresentano?
Si può immaginare cosa più superficiale della
successiva «morale» sulle due vie o sui due tipi
diversi e anche diametralmente opposti di sviluppo del partito
(pp. 34-35 del Rabotchéïé Diélo)? Vedete, i socialdemocratici
tedeschi riconoscono la completa libertà di critica,
i francesi non la riconoscono affatto, e il loro esempio mostra
precisamente tutto il «male dell'intolleranza».
È
precisamente l'esempio di Kricevski - rispondiamo noi -
che dimostra come talora voglia chiamarsi marxista della gente
che considera la storia letteralmente «alla
maniera di Ilovaiski». Per spiegare l'unità del partito tedesco
e lo spezzettamento del partito socialista francese é
del tutto inutile rovistare nelle particolarità della
storia dei due paesi, mettere a confronto il semiassolutismo
militare dell'uno col parlamentarismo repubblicano dell'altro;
è inutile esaminare le conseguenze della Comune in un
paese e delle leggi eccezionali contro i socialisti nell'altro;
è inutile confrontare la vita economica e lo sviluppo
economico, ricordare il fatto che «lo sviluppo senza
esempi della socialdemocrazia tedesca» è stato
accompagnato da una lotta che per energia non ha esempi nella
storia del socialismo, non solo contro gli errori teorici (Mülberger,
Dühring (3), socialisti della cattedra), ma anche contro
gli errori tattici (Lassalle), ecc. ecc. Tutto questo è
superfluo! I francesi si accapigliano perché sono intolleranti;
i tedeschi sono uniti perché sono dei bravi ragazzi.
E
osservate che, con l'aiuto di questa incomparabile, profonda
filosofia, si «respinge» un fatto che smentisce
completamente tutta la difesa dei bernsteiniani. Costoro sono,
si o no, sul terreno della lotta di classe del proletariato?
La questione può essere risolta definitivamente e inappellabilmente
solo dall'esperienza storica. Per conseguenza, ciò che
ha maggior importanza nel caso specifico é proprio (esempio
della Francia, del solo paese dove i bernsteiniani hanno tentato
di reggersi sulle gambe per conto loro, fra gli applausi calorosi
dei loro colleghi tedeschi (e, in parte, degli opportunisti
russi: vedi Rabotchéïé Diélo, n. 2-3, pp. 83-84). Il
richiamo all'intransigenza dei francesi,- indipendentemente
dal suo valore «storico» (nel senso di Nozdrev)
- é solo un tentativo di distogliere, con parole astiose,
l'attenzione da fatti molto sgradevoli.
D'altra
parte, noi non abbiamo affatto l'intenzione di abbandonare i
tedeschi a Kricevski e agli altri innumerevoli difensori della
«libertà di critica». Se i «bernsteiniani
più incalliti » possono essere ancora tollerati
nel partito tedesco, ciò avviene soltanto nella misura
in cui essi si sottomettono e alla risoluzione di Hannover,
che respinge categoricamente gli «emendamenti» di
Bernstein, e a quella di Lubecca, che (nonostante tutta la sua
diplomazia) contiene un avvertimento formale a Bernstein. Si
può discutere, dal punto di vista degli interessi del
partito tedesco, quanto fosse opportuna la diplomazia; se, in
questo caso, un cattivo accomodamento fosse cosa migliore di
una buona rissa; si può, in una parola, essere di diverso
parere nel giudicare dell'opportunità di questo o quel
mezzo per respingere il bernsteinismo, ma é innegabile
il fatto che il partito tedesco ha per ben due volte respinto
il bernsteinismo. Credere dunque che l'esempio dei tedeschi
confermi la tesi che «i bernsteiniani più incalliti
restano sul terreno della lotta di classe del proletariato per
la sua emancipazione economica e politica», significa
non comprendere niente di quanto avviene sotto gli occhi di
tutti (4).
Peggio
ancora. Come abbiamo già segnalato, il Rabotchéïé Diélo scende in campo davanti alla socialdemocrazia russa per reclamare
la «libertà di critica» e difendere il bernsteinismo.
A quanto pare, si è convinto che i nostri e critici»
ed i nostri bernsteiniani sono stati ingiustamente offesi. Ma
quali precisamente? Da chi, dove e quando? E in che cosa è
consistita l'ingiustizia? Su questo il Rabotchéïé Diélo tace e non cita neppure una volta un critico o un bernsteiniano
russo. Non ci resta che scegliere fra le due ipotesi possibili.
O la parte ingiustamente offesa non è altro che lo stesso Rabotchéïé Diélo (il che è confermato dal fatto
che nei due articoli del n. 10 si parla unicamente delle offese
recate dalla Zarià e dall'Iskra al
Rabotchéïé Diélo), e allora come spiegare questa stranezza
che il Rabotchéïé Diélo, il quale ha sempre ostinatamente
respinto ogni solidarietà con il bernsteinismo, non abbia
potuto difendersi se non prendendo la parola in difesa dei «più
incalliti bernsteiniani» è della libertà
di critica? Oppure sono stati ingiustamente offesi dei terzi,
e allora quali possono essere i motivi per cui essi non vengono
nominati?
Noi
vediamo, dunque, che il Rabotchéïé Diélo continua il
giuoco a rimpiattino che gli è abituale (come dimostreremo
più avanti) da quando esiste. Notate inoltre questa prima
applicazione pratica della famosa «libertà di critica».
Praticamente, questa libertà si riduce non soltanto all'assenza
di ogni critica, ma all'assenza di ogni giudizio indipendente.
Lo stesso Rabotchéïé Diélo che tace, come di una malattia
segreta (secondo la giusta espressione di Starover), del bernsteinismo
russo, propone di guarire questa malattia ricopiando puramente
e semplicemente l'ultima ricetta tedesca contro la varietà
tedesca di questa malattia! Invece della libertà di critica,
l'imitazione servile... peggio ancora, l'imitazione scimmiesca!
L'unitario contenuto politico-sociale dell'odierno opportunismo
internazionale si manifesta in un modo o nell'altro, a seconda
delle particolarità nazionali. In un paese, il gruppo
degli opportunisti si è raccolto da molto tempo intorno
ad una sua bandiera particolare; nell'altro, gli opportunisti,
sdegnosi della teoria, fanno praticamente la politica dei radicalsocialisti;
in un terzo, alcuni membri del partito rivoluzionario sono passati
nel campo dell'opportunismo e si sforzano di raggiungere i loro
fini non già attraverso una lotta aperta per i principi
e la nuova tattica, ma attraverso una corruzione graduale, impercettibile
e, per tosi dire, impunibile, del loro partito; in un quarto,
transfughi dello stesso genere adoperano gli stessi metodi nelle
tenebre della schiavitù politica e quando esistono rapporti
reciproci assolutamente originali fra l'azione «legale»
e l'azione «illegale», ecc.. Parlare della «libertà
di critica» e della libertà del bernsteinismo come
della condizione per l'unione dei socialdemocratici russi, senza
esaminare come precisamente si é manifestato e quali
frutti particolari ha dato il bernsteinismo russo, significa
parlare per non dir niente.
Cercheremo
noi stessi di dire brevemente ciò che il Raboceie
Dielo non ha voluto dire (o forse non ha saputo nemmeno
comprendere).
c)
La critica in Russia
La particolarità fondamentale della Russia, quanto al
problema che ci interessa, sta nel fatto che l'inizio stesso
del movimento operaio spontaneo da un lato e della svolta del
pensiero sociale d'avanguardia verso il marxismo dall'altro
lato sono stati contrassegnati dall'anione di elementi manifestamente
eterogenei sotto una bandiera comune e per la lotta contro un
comune nemico (concezioni politiche e sociali superate). Vogliamo
parlare della luna di miele del «marxismo legale».
Fu questo un fenomeno assolutamente originale, alla possibilità
stessa del quale nessuno avrebbe potuto credere negli anni ottanta
o all'inizio degli anni novanta. In un paese autocratico, dove
la stampa é completamente asservita, in un'epoca di reazione
politica spietata, la quale reprime anche le minime manifestazioni
di malcontento e di protesta politica, improvvisamente si fa
strada, in una letteratura sottoposta a censura, la teoria del
marxismo rivoluzionario, esposta in linguaggio esopico, ma comprensibile
a tutti gli «interessati». Il governo si era abituato
a considerare come pericolosa soltanto la teoria dei seguaci
della «Volontà del popolo» (rivoluzionari),
senza osservarne, come abitualmente avviene, l'evoluzione interna
e rallegrandosi di ogni critica diretta contro di essa. Prima
che il governo se ne fosse accorto, prima che il pesante esercito
dei censori e dei gendarmi avesse scoperto il nuovo nemico e
gli si fosse precipitato addosso, passò non poco tempo
(non poco per noi russi). E durante questo tempo si pubblicarono,
una dopo l'altra, opere marxiste, si fondarono riviste e i giornali
marxisti, contagiosamente tutti diventavano marxisti, i marxisti
venivano adulati, ai marxisti si faceva la corte, gli editori
erano entusiasti dello smercio straordinariamente rapido dei
libri marxisti. È ben comprensibile che fra i neofiti
marxisti, circonfusi da questa aureola, si trovasse più
di uno «scrittore montato in superbia»...
Oggi
si può parlare di questo periodo con serenità,
come di una cosa passata. Nessuno ignora che l'effimera fioritura
del marxismo alla superficie della nostra letteratura provenne
dall'alleanza di elementi estremisti con elementi molto moderati.
Questi ultimi erano, in fondo, dei democratici borghesi, e a
questa conclusione (che fu confermata all'evidenza dalla loro
ulteriore evoluzione «critica») qualcuno era giunto
fin da quando l’«alleanza» era ancora intatta
(5).
Ma
se é così, su chi ricade la responsabilità
principale dell'ulteriore «confusione», se non precisamente
sui socialdemocratici rivoluzionari che hanno concluso quest'alleanza
coi futuri «critici»? Questa domanda, seguita da
una risposta affermativa, si sente talora formulare da gente
che considera le cose in modo eccessivamente rigido. Questa
gente ha assolutamente torto. Soltanto chi non ha fiducia in
se stesso può aver paura di stringere alleanze temporanee
anche con elementi incerti. Nessun partito politico potrebbe
esistere senza tali alleanze. Orbene, l’alleanza coi marxisti
legali fu in certo qual modo la prima alleanza veramente politica
della socialdemocrazia russa. Grazie a quell'alleanza si ottenne
una vittoria straordinariamente rapida sul populismo e una diffusione
prodigiosa delle idee marxiste (per quanto in forma volgarizzata).
Inoltre, quell'alleanza non fu affatto conclusa senza «condizioni».
Prova ne sia la raccolta marxista Documenti sullo sviluppo
economico della Russia, data alle fiamme nel 1895 dalla
censura. Se l'accordo coi marxisti legali per la letteratura
può essere paragonato a, un'alleanza politica, questa
raccolta può essere paragonata a un contratto politico.
La
rottura naturalmente non avvenne per il fatto che gli «alleati»
dimostrarono di essere dei democratici borghesi. Al contrario,
i rappresentanti di questa corrente sono per la socialdemocrazia
degli alleati naturali e desiderabili quando si tratta dei suoi
obiettivi democratici, che vengono messi in primo piano dalla
presente situazione della Russia. Ma condizione necessaria di
tale alleanza é per i socialisti la piena possibilità
di svelare alla classe operaia che i suoi interessi e quelli
della borghesia sono opposti, ostili. Il bernsteinismo, invece,
e la tendenza «critica» a cui si è contagiosamente
convertita la maggioranza dei marxisti legali eliminavano questa
possibilità e pervertivano la coscienza socialista, svilendo
il marxismo, predicando la teoria dell'attenuazione degli antagonismi
sociali, dichiarando che l'idea della rivoluzione sociale e
della dittatura del proletariato è insensata, riducendo
il movimento operaio e la lotta di classe a un gretto tradunionismo
e alla lotta «realista» per piccole riforme graduali.
Ciò equivaleva, da parte della democrazia borghese, a
negare il diritto all'indipendenza del socialismo e, quindi,
il suo diritto all'esistenza; ciò significava, in pratica,
sforzarsi di trasformare il movimento operaio, ai suoi albori,
in un'appendice del movimento liberale.
Naturalmente,
in queste condizioni la rottura era necessaria. Ma la particolarità
«originale» della Russia si espresse nel fatto che
questa rottura significò l'esclusione pura e semplice
dei socialdemocratici dal campo della letteratura «legale»,
la più accessibile a tutti e la più largamente
diffusa. Di essa fecero la loro fortezza gli «ex marxisti»,
raggruppati sotto la «bandiera della critica», che
avevano quasi ottenuto il monopolio della «denigrazione»
del marxismo. Le parole d'ordine «contro l'ortodossia»
e «viva la libertà di critica» (ripetute
ora dal Rabotchéïé Diélo) diventarono subito di moda
e s'imposero persino alla censura ed ai gendarmi, come dimostrano,
fra l'altro, le tre edizioni russe del libro del famoso Bernstein
(famoso alla maniera di Erostrato) e il fatto che le opere di
Bernstein, del signor Prokopovic, ecc. sono raccomandate da
Zubatov (Iskra, n. 10). I socialdemocratici avevano
allora il compito di combattere la nuova corrente, compito già
di per sé difficile e reso incredibilmente più
difficile dagli ostacoli puramente esteriori. Ma questa corrente
non si limitava alla letteratura. La svolta verso la «critica»
coincideva con la propensione dei militanti socialdemocratici
per l'«economismo».
Il
modo come sorsero e si rafforzarono i rapporti e l'interdipendenza
fra la critica legale e l'economismo illegale é una questione
interessante, che potrebbe costituire argomento di un articolo
apposito. Basterà notare qui la incontestabile esistenza
del legame che li unisce. Il famoso «Credo»
non acquistò tanta e tosi meritata celebrità se
non perché esprimeva apertamente questo legame e metteva
in rilievo la tendenza politica fondamentale dell'«economismo»:
gli operai debbono condurre una lotta economica (o più
esattamente tradunionista, che abbraccia anche la politica specificamente
operaia), gli intellettuali marxisti debbono fondersi coi liberali
per la «lotta» politica. L'attività tradunionista
«fra il popolo» serviva ad assolvere la prima metà
del compito; la critica legale ne realizzava la seconda metà.
Questa dichiarazione fu un'arma così preziosa contro
l'economismo, che se il «Credo» non fosse
esistito, sarebbe valsa la pena di inventarlo.
Il
«Credo» non fu inventato, ma fu pubblicato
senza il consenso e fors'anche contro la volontà dei
suoi autori. In ogni caso, l'autore di queste righe, il quale
contribuì a portare alla luce il nuovo «programma»
(6), subì proteste e rimproveri perché un riassunto
delle loro opinioni, abbozzato da qualche oratore, era stato
copiosamente diffuso, aveva ricevuto il titolo di «Credo»
ed era stato persino stampato unitamente alla protesta contro
di esso. Ci riferiamo a questo episodio perché svela
un curioso tratto caratteristico del nostro economismo: la paura
della pubblicità. E questa è una caratteristica
dell'economismo in generale e non soltanto degli autori del
«Credo» : essa si é manifestata
nella Rabociaia Mysl, la più schietta e onesta
partigiana dell'economismo, nel Rabotchéïé Diélo (il
quale si é indignato della pubblicazione dei documenti
«economici» nel Vademecum), nel Comitato
di Kiev, che due anni or sono non ha voluto autorizzare la pubblicazione
della sua Profession de foi insieme con la confutazione
di essa (7), e in un grande numero di singoli rappresentanti
dell'economismo.
Questa
paura della critica che si manifesta nei partigiani della libertà
di critica non può essere spiegata come un semplice artificio
(benché a volte dell'artificio non possa fare a meno;
sarebbe ingenuo presentare all'attacco dell'avversario i primi
ancor fragili germi di una nuova tendenza!). No, la maggioranza
degli economisti, con perfetta sincerità, non vede di
buon occhio (e, data la sostanza stessa dell'economismo, non
può che vedere malvolentieri) ogni discussione teorica,
ogni dissenso di frazione, ogni vasta questione politica, ogni
progetto di organizzare i rivoluzionari, ecc. «Lasciamo
tutto ciò all'estero!», mi diceva un giorno un
economista abbastanza conseguente, e in questo modo egli esprimeva
la seguente opinione molto diffusa (e puramente tradunionista):
quel che ci interessa é il movimento operaio, sono le
organizzazioni operaie del nostro paese, tutto il resto non
é che invenzione di dottrinari, «sopravvalutazione
dell'ideologia», come si esprimevano gli autori della
lettera pubblicata nel n. 12 dell'Iskra, all'unisono
col n. 10 del Rabotchéïé Diélo. Ci si chiede ora: date
queste particolarità della «critica» e del
bernsteinismo russi, in che doveva consistere il compito di
chi voleva combattere l'opportunismo a fatti e non soltanto
a parole? Bisognava, prima di tutto, preoccuparsi di riprendere
quel lavoro teorico che era stato appena incominciato all'epoca
del marxismo legale e che ricadeva di nuovo sui militanti illegali;
senza questo lavoro uno sviluppo reale del movimento era impossibile.
In secondo luogo, era necessario impegnare una lotta attiva
contro la «critica» legale, che pervertiva gli spiriti.
In terzo luogo, era necessario insorgere vigorosamente contro
la confusione e le esitazioni nel movimento pratico, smascherando
e respingendo tutti i tentativi di svilire coscientemente o
inconsciamente il nostro programma e la nostra tattica.
Il
Rabotchéïé Diélo, come é noto, non ha assolto
né il primo, né il secondo, né il terzo
di questi compiti, e avremo più innanzi l'occasione di
chiarire particolareggiatamente questa verità sotto i
diversi aspetti. Per ora vogliamo semplicemente dimostrare che
esiste una flagrante contraddizione tra la rivendicazione della
«libertà di critica» e le particolarità
della critica di casa nostra e dell'economismo russo. Si dia,
infatti, uno sguardo alla risoluzione con la quale l'Unione
dei socialdemocratici russi all'estero ha confermato il punto
di vista del Rabotchéïé Diélo.
«Nell'interesse dell'ulteriore sviluppo ideologico
della socialdemocrazia noi pensiamo che la libertà di
criticare la teoria socialdemocratica nella letteratura di partito
é cosa assolutamente necessaria, nella misura in cui
questa critica non contraddice al carattere dì classe
e al carattere rivoluzionario della teoria» (Due
congressi, p. 10). Si motiva questa risoluzione col fatto
che «nella prima parte essa coincide con la risoluzione
del Congresso di Lubecca su Bernstein...» Nella semplicità
del loro cuore i membri dell'«Unione» non vedono
nemmeno quale testimonium paupertatis (certificato
di povertà) essi stessi si rilasciano con questo plagio;
«ma... nella seconda parte, essa pone alla libertà
di critica limiti più angusti di quelli posti dal Congresso
di Lubecca».
La
risoluzione dell'Unione sarebbe, dunque, rivolta contro i bernsteiniani
russi? Altrimenti, sarebbe un'assurdità riferirsi a Lubecca!
Ma è falso che essa «ponga
limiti angusti alla libertà di critica». Con la risoluzione di Hannover
i tedeschi hanno respinto punto per punto proprio quegli emendamenti
che Bernstein aveva presentato, e con quella di Lubecca hanno
dato un avvertimento a Bernstein personalmente, facendone chiaramente
il nome. I nostri «liberi» imitatori, invece, non
indicano, neppure con un accenno, nessuna delle particolari
manifestazioni della «critica» russa e dell'«economismo»
russo. Cosicché la semplice allusione al carattere di
classe e al carattere rivoluzionario della teoria lascia un
posto molto più ampio alle interpretazioni sbagliate,
soprattutto se l’Unione si rifiuta di considerare opportunismo
il «cosiddetto economismo» (Due congressi, p. 8). Ma ciò sia detto di sfuggita. L'essenziale è
che le posizioni degli opportunisti rispetto ai socialdemocratici
rivoluzionari sono in Germania e in Russia diametralmente opposte.
In Germania i socialdemocratici rivoluzionari sono, com'è
noto, per la conservazione di ciò che esiste: per il
vecchio programma, la vecchia tattica, conosciuti da tutti e
messi alla prova in tutti i particolari dall'esperienza di parecchi
decenni. I «critici» vogliono invece introdurvi
delle modificazioni, e poiché sono un'infima minoranza
e le loro tendenze revisioniste sono molto timide, i motivi
per cui la maggioranza si limita a respingere seccamente le
loro «innovazioni» sono comprensibili. Da noi, in
Russia, «critici» ed economisti sono per la conservazione
di ciò che esiste: i «critici» vogliono continuare
ad essere considerati come dei marxisti e a godere della «libertà
di critica» della quale hanno approfittato nel senso più
ampio (perché in fondo essi non hanno mai riconosciuto
nessun legame di partito (8) e d'altra parte non avevamo un
organo riconosciuto da tutto il partito il quale potesse «limitare»,
almeno con dei consigli, la libertà di critica); gli
economisti vogliono che i rivoluzionari riconoscano il «pieno
diritto del movimento nell'ora presente» (Raboceie
Dielo, n. 10, p. 25), Cioè la «legittimità»
dell'esistenza di ciò che esiste; che gli «ideologi»
non cerchino di «far deviare» il movimento dalla
strada «determinata dal giunco reciproco
degli elementi materiali e dell'ambiente materiale» (Lettera nel n. 72
dell' Iskra); che si riconosca come desiderabile condurre
quella lotta «che gli operai possono condurre soltanto
in circostanze determinate» e come possibile «quella
che essi conducono effettivamente nel momento presente»
(Supplemento alla «Rabociaia Mysl», p.
14). Per contro, noi, socialdemocratici rivoluzionari, non siamo
soddisfatti di questa sottomissione alla spontaneità,
ossia a ciò che esiste «nel momento presente».
Noi esigiamo la modificazione della tattica prevalsa in questi
ultimi anni; dichiariamo che «prima di unirsi, e per
unirsi, è necessario innanzi tutto definirsi risolutamente
e nettamente» (annunzio della pubblicazione dell'Iskra).
In una parola, i tedeschi rimangono sulle posizioni esistenti
e respingono ogni modificazione; noi esigiamo la modificazione
dell'attuale stato di cose respingendo la sottomissione e la
rassegnazione a ciò che esiste nel momento presente.
Ecco
la «piccola» differenza di cui i nostri «liberi»
copiatori di risoluzioni tedesche non si sono neppure accorti.
d)
Engels e l’importanza della lotta teorica
"Il dogmatismo, il dottrinarismo", "la
fossilizzazione del partito sono il castigo inevitabile della
violenta compressione del pensiero": ecco i nemici contro i quali scendono in
lizza i campioni della "libertà di critica"
del Rabotchéïé Diélo. Siamo felicissimi che tale questione
sia stata posta all’ordine del giorno; ma proporremmo
di completarla con la seguente:
Chi sono
i giudici?
Abbiamo
innanzi a noi due annunzi di pubblicazioni: il programma del
Rabotchéïé Diélo, organo del periodico della Unione dei
socialdemocratici russi (tiratura speciale del n.1 del Raboceie
Dielo) e l’annuncio della ripresa delle edizioni
del gruppo Emancipazione del lavoro. Entrambi hanno la data
del 1899, epoca nella quale la "crisi del marxismo"
era all’ordine del giorno da molto tempo. Eppure nella
prima di queste pubblicazioni si cercherebbero invano indicazioni
sulla crisi stessa e un’esposizione precisa della posizione
che conta di prendere il nuovo organo a questo riguardo. Dell’attività
teorica e dei suoi compiti vitali nel momento attuale non dicono
una parola né questo programma, né le aggiunte
approvate dal III Congresso dell’Unione nel 1901 (Due
congressi, pp. 15-18). In tutto questo periodo, la redazione
del Rabotchéïé Diélo ha lasciato da parte le questioni
teoriche, benché esse appassionassero i socialdemocratici
di tutto il mondo.
L’altra
pubblicazione, al contrario, segnala innanzi tutto l’indebolimento
dell’interesse per la teoria durante questi ultimi anni,
esige imperiosamente che sia data una "vigile
attenzione al lato teorico del movimento rivoluzionario del
proletariato"
ed esorta a una "critica spietata delle tendenze bernsteiniane
e delle altre tendenze antirivoluzionarie" esistenti
nel nostro movimento. I numeri della Zarià finora
pubblicati dimostrano come sia stato eseguito questo programma.
Vediamo,
dunque, che le grandi frasi contro la fossilizzazione del pensiero,
ecc. dissimulano in realtà l’indifferenza e l’impotenza
nei riguardi dello sviluppo del pensiero teorico. L’esempio
dei socialdemocratici russi illustra in modo particolarmente
chiaro il fenomeno, generale in Europa (e da molto tempo segnalato
anche dai marxisti tedeschi), che la famosa libertà di
critica non significa la sostituzione di una teoria con un’altra,
ma significa libertà da ogni teoria coerente e ponderata,
eclettismo e mancanza di princípi. Chiunque abbia una
conoscenza anche limitata della situazione di fatto del nostro
movimento non può non vedere che la grande diffusione
del marxismo è stata accompagnata da un certo abbassamento
del livello teorico. Molta gente, la cui preparazione teorica
era infima e persino inesistente, ha aderito al movimento grazie
alla sua importanza pratica e ai suoi progressi pratici. Ognuno
può dunque vedere quanto manchi di tatto il Raboceie
Dielo quando agita trionfalmente la frase di Marx: "Ogni
passo del movimento reale è più importante di
una dozzina di programmi". Ripetere queste parole
in un momento di sbandamento teorico, è come "fare
dello spirito a un funerale". Queste parole, d’altra
parte, sono estratte dalla lettera sul programma di Gotha, nella
quale Marx condanna categoricamente l’eclettismo nell’enunciazione
dei princípi. Se è necessario unirsi - scriveva
Marx ai capi del partito - fate accordi allo scopo di raggiungere
i fini pratici del movimento, ma non fate commercio dei princípi
e non fate "concessioni" teoriche. Questo era il pensiero
di Marx, e fra noi si trova della gente che nel suo nome tenta
di sminuire l’importanza della teoria!
Senza
teoria rivoluzionaria non vi può essere movimento rivoluzionario.
Non si insisterà mai troppo su questo concetto in un
periodo in cui la predicazione opportunistica venuta di moda
è accompagnata dall’esaltazione delle forme più
anguste di azione pratica. Ma per la socialdemocrazia russa,
in particolare, la teoria acquista un’importanza ancora
maggiore per le tre considerazioni seguenti, che sono spesso
dimenticate. Innanzi tutto, il nostro partito è ancora
in via di formazione, sta ancora definendo la sua fisionomia
ed è ben lungi dall’aver saldato i conti con le
altre correnti del pensiero rivoluzionario, che minacciano di
far deviare il movimento dalla giusta via. Anzi, proprio in
questi ultimi anni (come Axelrod già da molto tempo aveva
predetto agli economisti) ci troviamo di fronte ad una reviviscenza
delle tendenze rivoluzionarie non socialdemocratiche. In siffatte
condizioni, un errore, che a prima vista sembra "senza
importanza", può avere le più deplorevoli
conseguenze; e bisogna essere ben miopi per giudicare inopportune
e superflue le discussioni di frazione e la rigorosa definizione
delle varie tendenze. Dal consolidarsi dell’una piuttosto
che dell’altra "tendenza" può dipendere
per lunghi anni l’avvenire della socialdemocrazia russa.
In
secondo luogo, il movimento socialdemocratico è per la
sua stessa sostanza internazionale. Ciò non significa
soltanto che dobbiamo combattere lo sciovinismo nazionale. Significa
anche che in un paese giovane un movimento appena nato può
avere successo solo se applica l’esperienza degli altri
paesi. Ma per applicarla non basta conoscerla o limitarsi a
copiare le ultime risoluzioni. Bisogna saper valutare criticamente
e verificare da se stessi questa esperienza. Basta pensare quali
passi giganteschi ha fatto il movimento operaio contemporaneo
e come si è articolato per comprendere quale riserva
di forze teoriche e di esperienza politica (ed anche rivoluzionaria)
sia necessaria per adempiere questo compito.
In
terzo luogo, i compiti nazionali della socialdemocrazia russa
sono tali, quali non si sono mai presentati a nessun altro partito
socialista del mondo. Vedremo in seguito quali doveri politici
ed organizzativi ci impone il compito di liberare tutto il popolo
dal giogo dell’autocrazia. Per il momento ci limiteremo
a rilevare che solo un partito guidato da una teoria di avanguardia
può adempiere la funzione di combattente di avanguardia.
Ma per raffigurarsi un po’ più concretamente che
cosa questo significhi, ricordi il lettore quei precursori della
socialdemocrazia russa, che si chiamano Herzen, Belinski, Cernyscevski
e la brillante pleiade dei rivoluzionari degli anni settanta;
rifletta all’importanza mondiale che la letteratura russa
acquista presentemente; pensi... ma basta così!
Ricordiamo
le osservazioni di Engels (1874) sull’importanza della
teoria nel movimento socialdemocratico. Secondo Engels, esistono
non due forme della grande lotta socialdemocratica (politica
ed economica) - come si pensa abitualmente fra noi -, ma tre,
ponendosi accanto a queste anche la lotta teorica. La raccomandazione
che egli fa al movimento operaio tedesco, già rafforzatosi
praticamente e politicamente, è talmente istruttiva,
dal punto di vista delle questioni e discussioni attuali, che
il lettore ci scuserà se riportiamo il lungo brano seguente
della prefazione all’opuscolo Der deutsche Bauernkríeg (9) che è diventato da molto tempo una rarità
bibliografica eccezionale:
«Gli operai tedeschi hanno due vantaggi essenziali
sugli operai del resto dell’Europa. In primo luogo essi
appartengono al popolo dell’Europa più portato
alla teoria ed hanno conservato il senso teorico, che i cosiddetti
"uomini colti" della Germania hanno totalmente perduto.
Senza il precedente della filosofia tedesca e precisamente della
filosofia di Hegel, il socialismo scientifico tedesco - l’unico
socialismo scientifico che sia mai esistito - non sarebbe mai
nato. Se tra gli operai non ci fosse stato questo senso teorico,
il socialismo scientifico non si sarebbe mai cambiato in sangue
e carne in così grande misura come è effettivamente
accaduto. E quale incommensurabile vantaggio sia questo si rileva,
da una parte, se si tenga presente l’indifferenza verso
tutte le teorie, che è una delle cause principali per
cui il movimento operaio inglese, malgrado tutta la notevole
organizzazione dei singoli sindacati, avanza così lentamente,
e, dall’altra parte, se si tengano presenti la confusione
e le storture che il proudhonismo ha provocato, nella sua forma
originaria, nei francesi e nei belgi, e, più tardi, nella
caricatura che ne fece Bakunin, negli spagnoli e negli italiani.
Il secondo vantaggio è costituito dal fatto che i
tedeschi sono arrivati quasi ultimi nel movimento operaio dell’epoca.
Come il socialismo tedesco non dimenticherà mai che esso,
diremo, poggia sulle spalle di Saínt-Simon, Fourier e
Owen, tre uomini che, con tutta la loro fantasticheria e tutto
il loro utopismo, sono tra le teste più fini di tutti
i tempi e hanno anticipato infinite cose che noi oggi dimostriamo
scientificamente, così il movimento operaio pratico tedesco
non può mai dimenticare che esso si è sviluppato
sulle spalle dei movimenti inglese e francese, e può
con tutta semplicità trarre profitto dalle loro esperienze
acquistate a così caro prezzo ed evitare oggi i loro
errori che erano allora inevitabili. Senza il gigantesco impulso
dato specialmente dalla Comune di Parigi, dallo sviluppo precedente
delle trade-unions inglesi e dalle lotte politiche degli operai
francesi, a che punto saremmo noi ora?
Si
deve riconoscere che gli operai tedeschi hanno sfruttato con
rara intelligenza la loro vantaggiosa posizione. Infatti, per
la prima volta dacché esiste il movimento operaio, la
lotta viene condotta unitariamente, coerentemente e secondo
un piano che si svolge su tre linee: teorica, politica e pratico-economica
(resistenza ai capitalisti). La forza e l’invincibilità
del movimento tedesco sta precisamente in questo attacco che
potremmo dire concentrico.
Da
una parte per questa loro privilegiata posizione, dall’altra
per le particolarità insulari del movimento inglese e
la violenta repressione del movimento francese, gli operai tedeschi
sono per il momento all’avanguardia della lotta proletaria.
Per quanto tempo gli avvenimenti lasceranno loro questo posto
d’onore, non si può dire. Ma sino a quando lo occuperanno,
è sperabile che essi eseguiranno il loro compito come
si conviene. Per questo occorre che gli sforzi siano raddoppiati
in ogni campo della lotta e dell’agitazione. Precisamente
sarà dovere di tutti i dirigenti chiarire sempre più
tutte le questioni teoriche, liberarsi sempre più completamente
dall’influsso delle frasi fatte proprie della vecchia
concezione del mondo, e tener sempre presente che il socialismo,
da quando è diventato una scienza, va trattato come una
scienza, cioè va studiato. Ma l’importante sarà
poi diffondere tra le masse, con zelo accresciuto, la concezione
che così si è acquisita e che sempre più
si è chiarita, e rinsaldare sempre più fermamente
l’organizzazione del partito e dei sindacati...
Se
gli operai tedeschi così andranno avanti, non perciò
marceranno alla testa del movimento - anzi non è affatto
nell’interesse del movimento che gli operai di una singola
nazione, quale che essa sia, marcino alla testa del movimento
- ma tuttavia occuperanno un posto degno di onore nella linea
del combattimento; e saranno pronti in armi, se dure prove inattese
o grandi avvenimenti esigeranno maggiore coraggio, maggiore
decisione ed energia.»
Il
proletariato russo dovrà subire delle prove infinitamente
più gravi, dovrà combattere un mostro in confronto
del quale una legge eccezionale in un paese costituzionale sembrerà
un pigmeo. La storia ci pone oggi un compito immediato, il più
rivoluzionario di tutti i compiti immediati del proletariato
di qualsiasi altro paese. L’adempimento di questo compito,
la distruzione del baluardo più potente della reazione,
non soltanto europea, ma anche (oggi possiamo dirlo) asiatica,
farebbe del proletariato russo l’avanguardia del proletariato
rivoluzionario internazionale. Siamo in diritto di credere che
ci meriteremo questo titolo onorevole, come già lo meritarono
i nostri precursori, i rivoluzionari degli anni settanta, se
sapremo animare dello stesso spirito di illimitata risolutezza
e della stessa energia il nostro movimento, mille volte più
vasto e più profondo.
NOTE
1. A proposito. Nella storia del socialismo moderno è
forse un fenomeno unico e, nel suo genere, molto consolante,
che l'urto delle diverse tendenze in seno al socialismo si sia
per la prima volta trasformato da nazionale in internazionale.
Nei tempi passati le dispute tra i lassalliani e gli eisenachiani,
tra i guesdisti e i possibilisti, tra i fabiani e i socialdemocratici,
tra i seguaci della «Libertà del popolo»
e i socialdemocratici rimanevano dispute puramente nazionali,
riflettevano particolarità puramente nazionali, si svolgevano,
per così dire, su piani diversi. Ai nostri giorni (questo
è già evidente) i fabiani inglesi, i ministeriali
francesi, i bernsteiniani tedeschi, i critici russi sono tutti
una sola famiglia, si lodano reciprocamente, imparano gli uni
dagli altri e si armano insieme contro il marxismo «dogmatico».
In questa prima battaglia, veramente internazionale, contro
l'opportunismo socialista riuscirà la socialdemocrazia
rivoluzionaria internazionale a rafforzarsi al punto da mettere
fine alla reazione politica che scià da molto tempo impera
in Europa?
2.
Un confronto fra le due correnti del proletariato rivoluzionario
(rivoluzionaria e opportunistica) e le due correnti della borghesia
rivoluzionaria del secolo XVIII (giacobina - «Montagna»
- e girondina) venne fatto nell'articolo di fondo del n. 2 dell'Iskra (febbraio 1901). L'autore dell'articolo è Plekhanov.
I cadetti, i «biezsaglavzy» e i menscevichi
si compiacciono molto di parlare tuttora di «giacobinismo»
all’interno della socialdemocrazia russa. Però
oggi preferiscono tacere... o dimenticare che Plekhanov adoperò
per la prima volta questo concetto contro l'ala destra della
socialdemocrazia.
3.
Quando Engels attaccò Dühring, molti rappresentanti
della socialdemocrazia tedesca accettavano le opinioni di quest'ultimo
ed Engels fu ripetutamente accusato di violenza, di intolleranza,
di polemica non da compagni, ecc., persino pubblicamente al
congresso del partito. Most e consorti proposero (al congresso
del 1877) di non pubblicare sul Vorwärts gli articoli
di Engels perché «non offrivano interesse per l'enorme
maggioranza dei lettori», e Vahlteich dichiarò
che la pubblicazione di questi articoli aveva recato gran danno
al partito, che anche Dühring aveva reso dei servizi alla
socialdemocrazia: «Dobbiamo utilizzare tutti nell'interesse
del partito, e se i professori discutono fra di loro, il Vorwärts
non deve essere l'arena di queste dispute» (Vorwärts,
n. 65, 6 giugno 1877). Come vedete, anche questo è un
esempio della difesa della «libertà di critica»,
e i nostri critici legali, nonché gli opportunisti illegali
che si richiamano così volentieri all'esempio dei tedeschi,
non farebbero male a meditare su questo esempio.
4.
Bisogna notare che sul problema dei bernsteiniani nel partito
tedesco, il Rabotchéïé Diélo si é sempre limitato
alla nuda esposizione dei fatti «astenendosi» completamente
dal dare su di essi un giudizio proprio. Cfr., ad esempio il
n. 2-3, p. 66, sul Congresso di Stoccarda; tutte le divergenze
si riducono alla «tattica», e si costata solamente
che l'enorme maggioranza é fedele alla tattica rivoluzionaria
precedente. Oppure il n. 4-5, p. 25 e sgg.: una semplice esposizione
dei discorsi pronunciati al Congresso di Hannover con la citazione
della risoluzione di Bebel; l'esposizione e la critica delle
idee di Bernstein sono nuovamente rinviate (come nel n. 2-3)
a un «articolo apposito». Fatto curioso é
che a p. 33 del n. 4-5 leggiamo: «... le tendenze
esposte da Bebel sono seguite dall'enorme maggioranza del congresso»
e un po' più avanti: «David ha difeso le idee
di Bernstein... Prima di tutto ha tentato di dimostrare che...
Bernstein e i suoi amici restano tuttavia [sic!] sul terreno
della lotta di classe»... Ciò é stato
scritto nel dicembre 1899, e nel settembre 1901 il Raboceie
Dielo probabilmente non crede più che Bebel abbia
ragione e ripete l'opinione di David come fosse sua!
5.
Alludo qui all'articolo di Tulin contro Struve, scritto sulla
traccia di una conferenza intitolata Riflessi del marxismo
nella letteratura borghese.
6.
Si tratta della protesta dei diciassette contro il «Credo».
L'autore di queste righe prese parte alla redazione di questa
protesta (fine del 1899). La protesta fu pubblicata all'estero
insieme col «Credo» nella primavera del
1900. Oggi si é appreso da un articolo della signora
Kuskova (sul Byloie, se non erro) che essa fu l'autrice
del «Credo» e che il signor Prokopovic
aveva una funzione molto notevole tra gli economisti che allora
erano all'estero.
7.
A quanto ci consta, la composizione del Comitato di Kiev da
allora è cambiata.
8.
Questa mancanza di un legame di partito aperto e riconosciuto
e di una tradizione di partito rappresenta in sé una
differenza così radicale tra la Russia e la Germania,
che avrebbe dovuto mettere in guardia ogni socialista sensato
contro 1'imitazione cieca. Ma ecco un esempio che mostra fin
dove arriva la libertà di critica in Russia. Un russo,
il signor Bulgakov, fa una partaccia al critico austriaco Hertz:
«Malgrado tutta l'indipendenza delle sue conclusioni,
Hertz su questo punto [sulla cooperazione] resta evidentemente
troppo attaccato alle opinioni del proprio partito, e, pur dissentendo
nei particolari, non si decide ad abbandonare il principio generale»
(Capitalismo e agricoltura, v. II, p. 287). Un suddito
di uno Stato politicamente asservito, dove il 999 per 1000 della
popolazione é corrotto fino alle midolla dalla servitù
politica e dalla totale incomprensione dell'onore di partito
e del legame di partito, rimprovera superbamente a un cittadino
di uno Stato costituzionale l'eccessivo «attaccamento
alle opinioni del partito»! Alle nostre organizzazioni
illegali non resta che incominciare a scrivere delle risoluzioni
sulla libertà di critica...
9.
Dritter Abdruck, Leipzig, 1875, Verlag der Genossenschaftsbuchdruckerei.