Silvio Pons

I dubbi di Gramsci sull'URSS


Relazione al Convegno "Gramsci e il '900
" (Cagliari, aprile 1997)

Ci proponiamo di mostrare il rilievo e il significato della presenza dell'Unione Sovietica nella riflessione di Gramsci in carcere. Nelle prime note, punto di riferimento per Gramsci è il confronto rivoluzione francese-rivoluzione russa. In altri termini, è evidente la ripresa di una tematica che Gramsci aveva fatto propria sin dal 1921, raccogliendo la suggestione dell'analogia instaurata da Albert Mathiez tra bolscevichi e giacobini.
Nello stesso tempo, l'analogia tra rivoluzione francese e rivoluzione russa si arricchisce di altri filoni di riflessione, oltre a quello della pqlitica giacobina. Crediamo di poter indicare almeno due.

II primo è rappresentato da una visione delle conseguenze di lungo periodo della rivoluzione francese e dai suoi influssi intemazionali, che rimanda alla "forma politica" costituita dalla Restaurazione e che, come è noto, è quella.della "rivoluzione passiva."

Il secondo aspetto è rappresentato dalla rivendicazione della necessità della dittatura: "Anche la Costituzione più radicale poteva essere sfruttata dai nemici della Rivoluzione e perciò (era) necessaria la dittatura, cioè un potere non limitato da leggi fisse e scritte."
Questo secondo aspetto introduce alla più ampia questione dell'adesione di Gramsci ad elementi fondanti della rivoluzione bolscevica e dell'esperienza sovietica. Tale adesione non è evidentemente delimitata dal parallelo con la rivoluzione francese, e fa emergere in alcuni casi una diretta apologia di specifiche dimensioni della realtà sovietica. Anzitutto, relativamente alla peculiare forma statuale della rivoluzione e alla sua dimensione monopartitica.
Gramsci vede svolgersi l'attività del partito sovietico soprattutto nella società civile: "Solo nella società in cui l'unità storica di società civile e società politica è intesa dialetticamente ...il partito dominante non si confonde organicamente con il govemo, ma è strumento per il passaggio dalla società politica alla società regolata."
Non si può fare a meno di osservare che la visione dell'assetto politico sovietico qui espressa rivela una fondamentale incomprensione della natura del partito-Stato bolscevico, che sin dagli anni della guerra civile si presentava come una fusione immediata tra i due enti. C'è qui probabilmente un'identificazione illusoria quale emergeva dall'immagine che esso stesso dava di sé, e la sua operatività reale.
La medesima visione idealizzata può essere trovata addirittura molto più tardi, nel giugno-luglio 1933, allorché Gramsci si domanda retoricamente:

"...teoricamente può esistere un gruppo, relativamente piccolo, ma sempre notevole, per esempio di qualche migliaio di persone, omogeneo socialmente e ideologicamente, senza che la sua stessa esistenza dimostri una vasta condizione di cose e di stati d'animo corrispondenti che non possono esprimersi solo per cause estranee e perciò transitorie?"

Dell'agosto 1932 è inoltre una nota che ci appare rilevare un analogo fenomeno di idealizzazione del sistema sovietico. Ancora una volta, Gramsci polemizza con scrittori occidentali,. probabilmente italiani e fascisti, che vedono nel parlamentarismo un ingiusto elemento di egualitarismo. Gramsci sostiene che ciò non è vero e che le elezioni parlamentari servono, in realtà, per verificare e selezionare l'adeguadezza storico - politica delle idee e dei programmi di ristretti e qualificati gruppi politici, quelli che governeranno realmente.
A conferma di ciò, Gramsci indica anche il sistema sovietico: esso farebbe assolvere alle elezioni una funzione sostanzialmente analoga a quelle dei regimi parlamentari. In particolare, le elezioni sovietiche sono una scuola di spirito civico e attuano il principio del "self-government".

Un secondo argomento di giustificazione storica della compagine statuale sovietica emerge dalle prime osservazioni di Gramsci sulla definizione della "politica totalitaria". Essa si verifica quando un partito "tende... a rompere tuti i fili che legano (i propri) membri ad organismi culturali estranei" e "a distruggere tutte le altre organizzazioni o incorporate in un sistema di cui il partito sia il solo regolatore. Ciò può accadere non solo come conseguenza di una fase progressiva". Ma già nel primo quaderno troviamo l'aggettivo "totalitario" applicato alla realtà sovietica, intesa come l'espressione di un monismo sodale, politico e ideale: "Se in uno Stato le classi lavoratrici non subiscono più la pressione violenta di un'altra classe (:..) si forma una situazione di grande ideologia sociale totalitaria. Perché totalitaria? Non esistendo il dualismo di classe, la "virtù" viene affermata, ma non osservata né per convinzione, né per coercizione... è una crisi in "permanenza" che solo la coercizione può troncare, una coercizione di nuovo tipo, perché, essendoci una nuova classe, sarà autodisciplina (Alfieri che si fa legare alla sedia!)".
Questo concetto di "autodisciplina" rimanda ad un più generale principio di organizzazione politica: "Come deve essere intesa la disciplina, e si intende con questa parola un rapporto continuato e permanente tra governanti e governati che realizza una volontà collettiva? Non certo come passivo e supino accoglimento di ordini, come meccanica esecuzione di una consegna... ma come consapevole e lucida assimilazione della direttiva da realizzare."

È chiaro che Gramsci non attribuisce al concetto di totalitarismo la connotazione negativa... Egli impiega questo termine per definire una nuova realtà politica e sociale, con le sue particolarità e le sue aporie. A comprova di ciò, secondo un modulo di pensiero che, come vedremo, si incontra frequentemente nei "Quaderni" nel primo dei tre passi sopra citati Gramsci ritiene che una tale politica possa presentare una duplice valenza, a seconda del suo carattere storico progressivo o regressivo. Ciò fonda evidentemente un principio di comparabilità tra socialismo sovietico e fascismo italiano. Con molta probabilità, Gramsci pensa che il fascismo si sia limitato a imitare i bolscevicho: già nel 1923 Gramsci aveva osservato che, liquidando gli altri partiti, il fascismo "vuole calcare le orme dei grandi uomini politici del proletariato russo." Ciononostante, tale principio di comparazione introduce inevitabilmente un elemento di ambivalenza nel giudizio sullo stesso totalitarismo sovietico, che avrà un seguito importante.

Un terzo elemento che rivela l'adesione di Gramsci all'esperienza storica del bolscevismo è costituito dall'esaltazione della sua funzione al tempo stesso nazionale e industrializzatrice.
Anche in questo caso, tuttavia, va rilevata sin d'ora un'ambivalenza nell'atteggiamento di Gramsci. Egli non si limita infatti a stabilire un rapporto necessario tra la rivoluzione socialista e l'industrializzazione, ma segnala anche un rischio connaturato a questo rapporto.

Gramsci così conclude le osservazioni svolte nella nota su "animalità" e industrialismo:

"E se non si crea l'autodisciplina, nascerà una qualche forma di bonapartismo, o ci sarà un'invasione straniera, cioè si creerà la condizione di una coazione esterna che faccia cessare d'autorità la crisi."

Facciamo notare che questa frase conclude il passo, sopra citato, che illustra le aporie di una situazione "totalitaria" nel campo della politica del lavoro.
In altre parole, Gramsci ritiene che l'eventualità dello sviluppo di un regime autoritario non sia soltanto il portato di tendenze soggettive, ma sia immanente in un sistema monistico sul piano politico.

Ci sembra evidente in tutti i "Quaderni" che l'evoluzione dell'Urss si debba svolgere in forme graduali e non violente. Come si è visto, sin dall'inizio c'è nei "Quaderni" un punto fermo circa l'azione dei moderni giacobini e le alleanze di classe.
Esso viene più compiutamente esposto in questa riflessione dell'ottobre 1930:

"Il fatto dell'egemonia presuppone che si tenga conto degli interessi e delle tendenze dei raggruppamenti su cui l'egemonia verrà esercitata, che si formi un certo equilibrio, che cioè il raggruppamento egemone faccia dei sacrifici di ordine economico-corporativo."
Gramsci avverte che questi sacrifici incontrano il loro limite nel fatto che essi "non possono riguardare l'essenziale, poiché l'egemonia è politica, ma anche e specialmente economica, ha la sua base materiale nella funzione decisiva che il raggruppamento egemone esercita sul nucleo decisivo dell'attività economica." Ma senza dubbio, l'accento di Gramsci cade sul momento della moderazione e del compromesso.

A questo punto, è necessario riportare il passo nel quale, a nostro parere, il legame di Gramsci con la Nep finisce per esprimere una seria critica sulle forme della sua dissoluzione nella Rivoluzione dall'alto. Si è visto in esso una velata denuncia dell' "industrializzazione dall'alto". Crediamo che sia possibile dire di più. Gramsci vi delinea una critica aperta della collettivizzazione intesa come rottura del sistema delle "due classi".
L'argomentazione di Gramsci parte da una critica del "finalismo di carattere simile a quello religioso", secondo cui l'avvento di "avvenimenti palingenetici" non deve essere preparato da "un'iniziativa liberatoria tendente a predisporre questa situazione secondo un piano" (conformemente, cioè, all'idea che Gramsci ha dell'egemonia). Stabilendo una consonanza terminologica e concettuale con la sua stessa critica del "Saggio popolare" di Bucharin, Gramsci osserva che si tratta di una mentalità "economicistica" che avversa in linea di principio i "compromessi."
L'unica forma di intervento soggettivo che una siffatta mentalità contempla è di "affidarsi in seguito ciecamente e scriteriatamente alla virtù regolatrice delle armi". Gramsci osserva come le "due forze simili" (operai e contadini) che devono costruire "un nuovo, omogeneo, senza contraddizioni interne blocco storico economico-politico", possano essere indotte a farlo o "attraverso una serie di compromessi" (la Nep) o "con la forza delle armi" (la collettivizzazione), cioè "alleandole su un piano di alleanza e subordinandole l'una a all'altra con la coercizione."
Il commento di Gramsci pare a noi assai significativo:
"Se l'unione di due forze è necessaria per vincere una terza, il ricorso alle armi e alla coercizione (dato che se ne abbia la disponibilità) è una pura ipotesi metodica e l'unica possibilità concreta è il compromesso, perché la forza può essere impiegata contro i nemici, non contro una parte di essi che si vuole rapidamente assimilare e di cui occorre la "buona volontà" e l'entusiasmo."

L'attacco di Gramsci alla collettivizzazione ci appare senza riserve.