Tesi
di Lione La politica della borghesia italiana
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10.
Lo scopo che le classi dirigenti italiane si proposero di raggiungere
dalle origini dello Stato unitario in poi, fu quello di tenere
soggette le grandi masse della popolazione lavoratrice, e impedire
loro di diventare, organizzandosi intorno al proletariato industriale
e agricolo, una forza rivoluzionaria capace di attuare un completo
rivolgimento sociale e politico e dare vita a uno Stato proletario.
La debolezza intrinseca del capitalismo le costrinse però
a porre come base dell'ordinamento economico e dello Stato borghese
una unità ottenuta per via di compromessi tra gruppi non
omogenei. In una vasta prospettiva storica questo sistema si dimostra
non adeguato allo scopo cui tende. Ogni forma di compromesso fra
i diversi gruppi dirigenti della società italiana si risolve
infatti in un ostacolo posto allo sviluppo dell'una o dell'altra
parte della economia del paese. Così vengono determinati
nuovi contrasti e nuove reazioni della maggioranza della popolazione,
si rende necessario accentuare la pressione sopra le masse e si
produce una spinta sempre più decisiva alla mobilitazione
di esse per la rivolta contro lo Stato.
11.
Il primo periodo di vita dello Stato italiano (1870-1890) è
quello della maggiore debolezza. Le due parti di cui si compone
la classe dirigente, gli intellettuali borghesi da una parte e
i capitalisti dall'altra, sono uniti nel proposito di mantenere
l'unità, ma divisi circa la forma da dare allo Stato unitario.
Manca tra di esse una omogeneità positiva. I problemi che
lo Stato si propone sono limitati; essi riguardano piuttosto la
forma che la sostanza del dominio politico della borghesia; sovrasta
a tutti il problema del pareggio, che è un problema di
pura conservazione. La coscienza della necessità di allargare
la base delle classi che dirigono lo Stato si ha soltanto con
gli inizi del "trasformismo". La maggiore debolezza
dello Stato è data in questo periodo dal fatto che al di
fuori di esso il Vaticano raccoglie attorno a sé un blocco
reazionario e antistatale costruito dagli agrari e dalla grande
massa dei contadini arretrati, controllati e diretti dai ricchi
proprietari e dai preti. Il programma del Vaticano consta di due
parti: esso vuole lottare contro lo Stato borghese unitario e
"liberale" e in pari tempo si propone di costituire,
con i contadini, un esercito di riserva contro l'avanzata del
proletariato socialista, che sarà provocata dallo sviluppo
della industria. Lo Stato reagisce al sabotaggio che il Vaticano
compie ai suoi danni e si ha tutta una legislazione di contenuto
e di scopi anticlericali.
12.
Nel periodo che corre dal 1890 al 1900 la borghesia si pone risolutamente
il problema di organizzare la propria dittatura e lo risolve con
una serie di provvedimenti di carattere politico ed economico
da cui è determinata la successiva storia italiana. Anzitutto
si risolve il dissidio tra la borghesia intellettuale e gli industriali:
l'avvento al potere di Crispi ne è il segno. La borghesia
così rafforzata risolve la questione dei suoi rapporti
con l'estero (Triplice alleanza) acquistando una sicurezza che
le permette dei tentativi di piazzarsi nel campo della concorrenza
internazionale per la conquista dei mercati coloniali. All'interno
la dittatura borghese si instaura politicamente con una restrizione
del diritto di voto che riduce il corpo elettorale a poco più
di un milione di elettori su 30 milioni di abitanti. Nel campo
economico l'introduzione del protezionismo industriale-agrario
corrisponde al proposito del capitalismo di acquistare il controllo
di tutta la ricchezza nazionale. Viene a mezzo di esso saldata
una alleanza tra gli industriali e gli agrari. Questa alleanza
strappa al Vaticano una parte delle forze che esso aveva raccolto
attorno a sé, soprattutto tra i proprietari di terre del
Mezzogiorno, e le fa entrare nel quadro dello Stato borghese.
Il Vaticano stesso avverte del resto la necessità di dare
maggiore rilievo alla parte del suo programma reazionario che
riguarda la resistenza al movimento operaio e prende posizione
contro il socialismo con l'enciclica Rerum Novarum. Al pericolo
che il Vaticano continua però a rappresentare per lo Stato
le classi dirigenti reagiscono dandosi una organizzazione unitaria
con un programma anticlericale, nella massoneria. I primi progressi
reali del movimento operaio si hanno infatti in questo periodo.
L'instaurazione della dittatura industriale-agraria pone nei suoi
termini reali il problema della rivoluzione determinando i fattori
storici di essa. Sorge nel Nord un proletariato industriale e
agricolo, mentre nel Sud la popolazione agricola, sottoposta a
un sistema di sfruttamento "coloniale", deve essere
tenuta soggetta con una compressione politica sempre più
forte. I termini della "questione meridionale" vengono
posti, in questo periodo, in modo netto. E spontaneamente, senza
l'intervento di un fattore cosciente e senza nemmeno che il Partito
socialista tragga da questo fatto una indicazione per la sua strategia
di partito della classe operaia, si verifica in questo periodo
per la prima volta il confluire dei tentativi insurrezionali del
proletariato settentrionale, con una rivolta di contadini meridionali
(fasci siciliani).
13.
Spezzati i primi tentativi del proletariato e dei contadini di
insorgere contro lo Stato, la borghesia italiana consolidata può
adottare, per ostacolare i progressi del movimento operaio, i
metodi esteriori della democrazia e quelli della corruzione politica
verso la parte più avanzata della popolazione lavoratrice
(aristocrazia operaia) per renderla complice della dittatura reazionaria
che essa continua ad esercitare, e impedirle di diventare il centro
insurrezionale popolare contro lo Stato (giolittismo). Si ha però,
tra il 1900 e il 1910, una fase di concentrazione industriale
ed agraria. Il proletariato agricolo cresce del 50 per cento a
danno delle categorie degli obbligati, mezzadri e fittavoli. Di
qui una ondata di movimenti agricoli, e un nuovo orientamento
dei contadini che costringe lo stesso Vaticano a reagire con la
fondazione dell' "Azione Cattolica" e con un movimento
"sociale" che giunge, nelle sue forme estreme, fino
ad assumere le parvenze di una riforma religiosa (modernismo).
A questa reazione del Vaticano per non lasciarsi sfuggire le masse
corrisponde l'accordo dei cattolici con le forze dirigenti per
dare allo Stato una base più sicura (abolizione del non
exspedit, patto Gentiloni). Anche verso la fine di questo
terzo periodo (1914) i diversi movimenti parziali del proletariato
e dei contadini culminano in un nuovo inconscio tentativo di saldatura
delle diverse forze di massa antistatali, in una insurrezione
contro lo Stato reazionario. Da questo tentativo viene già
posto con sufficiente rilievo il problema della necessità
che il proletariato organizzi, nel suo seno, un partito di classe
che gli dia la capacità di porsi a capo della insurrezione
e di guidarla.
14.
Il massimo di concentrazione economica nel campo industriale si
ha nel dopoguerra. Il proletariato raggiunge il più alto
grado di organizzazione e ad esso corrisponde il massimo di disgregazione
delle classi dirigenti dello Stato. Tutte le contraddizioni insite
nell'organismo sociale italiano affiorano con la massima crudezza
per il risveglio delle masse anche le più arretrate alla
vita politica provocato dalla guerra e dalle sue conseguenze immediate.
E, come sempre, l'avanzata degli operai dell'industria e dell'agricoltura
si accompagna a una agitazione profonda delle masse dei contadini,
sia del Mezzogiorno che delle altre regioni. I grandi scioperi
e la occupazione delle fabbriche che si svolgono contemporaneamente
alla occupazione delle terre. La resistenza delle forze reazionarie
si esercita ancora secondo la direzione tradizionale. Il Vaticano
consente che accanto all' "Azione Cattolica" si formi
un vero e proprio partito, il quale si propone di inserire le
masse contadine entro il quadro dello Stato borghese apparentemente
accontentando le loro aspirazioni di redenzione economica e di
democrazia politica. Le classi dirigenti a loro volta attuano
in grande stile il piano di corruzione e di disgregazione interna
del movimento operaio, facendo apparire ai capi opportunisti la
possibilità che una aristocrazia operaia collabori al governo
in un tentativo di soluzione "riformista" del problema
dello Stato (governo di sinistra). Ma in un paese povero e disunito
come l'Italia, l'affacciarsi di una soluzione "riformista"
del problema dello Stato provoca inevitabilmente la disgregazione
della compagine statale e sociale, la quale non resiste all'urto
dei numerosi gruppi in cui le stesse classi dirigenti e le classi
intermedie si polverizzano.
Ogni gruppo ha esigenze di protezione
economica e di autonomia politica sue proprie, e, nell'assenza
di un omogeneo nucleo di classe che sappia imporre, con la sua
dittatura, una disciplina di lavoro e di produzione a tutto il
paese, sbaragliando ed eliminando gli sfruttatori capitalistici
ed agrari, il governo viene reso impossibile e la crisi del potere
è continuamente aperta. La sconfitta del proletariato rivoluzionario
è dovuta, in questo periodo decisivo, alle deficienze politiche,
organizzative, tattiche e strategiche del partito dei lavoratori.
In conseguenza di queste deficienze il proletariato non riesce
a mettersi a capo della insurrezione della grande maggioranza
della popolazione e a farla sboccare nella creazione di uno Stato
operaio; esso stesso subisce invece l'influenza di altre classi
sociali che ne paralizzano l'azione. La vittoria del fascismo
nel 1922 deve essere considerata quindi non come una vittoria
riportata sulla rivoluzione, ma come la conseguenza della sconfitta
toccata alle forze rivoluzionarie per loro intrinseco difetto.
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