Tesi di Lione

Analisi della struttura sociale italiana


4. Il capitalismo è l'elemento predominante nella società italiana e la forza che prevale nel determinare lo sviluppo di essa. Da questo dato fondamentale deriva la conseguenza che non esiste in Italia possibilità di una rivoluzione che non sia la rivoluzione socialista. Nei paesi capitalistici la sola classe che può attuare una trasformazione sociale reale e profonda è la classe operaia. Soltanto la classe operaia è capace di tradurre in atto i rivolgimenti di carattere economico e politico che sono necessari perché le energie del nostro paese abbiano libertà e possibilità di sviluppo complete. Il modo come essa attuerà questa sua funzione rivoluzionaria è in relazione con il grado di sviluppo del capitalismo in Italia e con la struttura sociale che ad esso corrisponde.

5. L'industrialismo, che è la porta essenziale del capitalismo, è in Italia assai debole. Le sue possibilità di sviluppo sono limitate e per la situazione geografica e per la mancanza di materie prime. Esso non riesce quindi ad assorbire la maggioranza della popolazione italiana (4 milioni di operai industriali stanno di fronte a 3 milioni e mezzo di operai agricoli e a 4 milioni di contadini). Si oppone all'industrialismo una agricoltura la quale si presenta naturalmente come base della economia del paese. Le variatissime condizioni del suolo, e le conseguenti differenze di colture e sistemi di conduzione, provocano però una forte differenziazione dei ceti rurali, con una prevalenza degli strati poveri, più vicini alle condizioni del proletariato e più facili a subire la sua influenza e ad accettarne la guida. Tra le classi industriali ed agrarie si pone una piccola borghesia urbana abbastanza estesa e che ha importanza assai grande. Essa consta in prevalenza di artigiani, professionisti e impiegati dello Stato.

6. La debolezza intrinseca del capitalismo costringe la classe industriale ad adottare degli espedienti per garantirsi il controllo sopra tutta la economia del paese. Questi espedienti si riducono in sostanza a un sistema di compromessi economici tra una parte degli industriali e una parte delle classi agricole, e precisamente i grandi proprietari di terre. Non ha quindi luogo la tradizionale lotta economica tra industriali ed agrari, né ha luogo la rotazione di gruppi dirigenti che essa determina in altri paesi. Gli industriali non hanno d'altra parte bisogno di sostenere, contro gli agrari, una politica economica la quale assicuri il continuo afflusso di mano d'opera dalle campagne alle fabbriche, perché questo afflusso è garantito dalla esuberanza di popolazione agricola povera che è caratteristica dell'Italia. L'accordo industriale-agrario si basa sopra una solidarietà di interessi tra alcuni gruppi privilegiati, ai danni degli interessi generali della produzione e della maggioranza di chi lavora. Esso determina una accumulazione di ricchezza nelle mani dei grandi industriali, che è conseguenza di una spoliazione sistematica di intiere categorie della popolazione e di intiere regioni del paese. I risultati di questa politica economica sono infatti il deficit del bilancio economico, l'arresto dello sviluppo economico di intiere regioni (Mezzogiorno, Isole), l'impedimento al sorgere e allo sviluppo di una economia maggiormente adatta alla struttura del paese e alle sue risorse, la miseria crescente della popolazione lavoratrice, l'esistenza di una continua corrente di emigrazione e il conseguente impoverimento demografico.

7. Come non controlla naturalmente tutta la economia così la classe industriale non riesce a organizzare da sola la società intiera e lo Stato. La costruzione di uno Stato nazionale non le è resa possibile che dallo sfruttamento di fattori di politica internazionale (cosiddetto Risorgimento). Per il rafforzamento di esso e per la sua difesa è necessario il compromesso con le classi sulle quali la industria esercita una egemonia limitata, particolarmente gli agrari e la piccola borghesia. Di qui una eterogeneità e una debolezza di tutta la struttura sociale e dello Stato che ne è espressione.

7 bis. Un riflesso della debolezza della struttura sociale si ha, in modo tipico, prima della guerra, nell'esercito. Una cerchia ristretta di ufficiali, sforniti del prestigio di capi (vecchie classi dirigenti agrarie, nuove classi industriali), ha sotto di sé una casta di ufficiali subalterni burocratizzata (piccola borghesia), la quale è incapace di servire come collegamento con la massa dei soldati indisciplinata e abbandonata a se stessa. Nella guerra tutto l'esercito è costretto a riorganizzarsi dal basso, dopo una eliminazione dei gradi superiori e una trasformazione di struttura organizzativa che corrisponde all'avvento di una nuova categoria di ufficiali subalterni. Questo fenomeno precorre l'analogo rivolgimento che il fascismo compirà nei confronti dello Stato su scala più vasta.

8. I rapporti tra industria e agricoltura, che sono essenziali per la vita economica di un paese e per la determinazione delle sovrastrutture politiche, hanno in Italia una base territoriale. Nel Settentrione sono accentrate in alcuni grandi centri la produzione e la popolazione agricola. In conseguenza di ciò, tutti i contrasti inerenti alla struttura sociale del paese contengono in sé un elemento che tocca la unità dello Stato e la mette in pericolo. La soluzione del problema viene cercata dai gruppi dirigenti borghesi e agrari attraverso un compromesso. Nessuno di questi gruppi possiede naturalmente un carattere unitario e una funzione unitaria. Il compromesso col quale l'unità viene salvata è d'altra parte tale da rendere più grave la situazione. Esso dà alle popolazioni lavoratrici del Mezzogiorno una posizione analoga a quella delle popolazioni coloniali. La grande industria del Nord adempie verso di esse la funzione delle metropoli capitalistiche: i grandi proprietari di terre e la stessa media borghesia meridionale si pongono invece nella situazione delle categorie che nelle colonie si alleano alla metropoli per mantenere soggetta la massa del popolo che lavora. Lo sfruttamento economico e la oppressione politica si uniscono quindi per fare della popolazione lavoratrice del Mezzogiorno una forza continuamente mobilitata contro lo Stato.

9. Il proletariato ha in Italia una importanza superiore a quella che ha in altri paesi europei anche di capitalismo progredito, paragonabile solo a quella che aveva nella Russia prima della rivoluzione. Ciò è in relazione anzitutto con il fatto che per la scarsezza di materie prime l'industria si basa in preferenza sulla mano d'opera (maestranze specializzate), indi con la eterogeneità e con i contrasti di interessi che indeboliscono le classi dirigenti. Di fronte a questa eterogeneità il proletariato si presenta come l'unico elemento che per la sua natura ha una funzione unificatrice e coordinatrice di tutta la società. Il suo programma di classe è il solo programma "unitario", cioè il solo la cui attuazione non porta ad approfondire i contrasti tra i diversi elementi della economia e della società e non porta a spezzare l'unità dello Stato. Accanto al proletariato industriale inoltre esiste una grande massa di proletari agricoli, accentrata soprattutto nella Valle del Po, facilmente influenzata dagli operai della industria e quindi agevolmente mobilitabile nella lotta contro il capitalismo e lo Stato.
Si ha inoltre in Italia una conferma della tesi che le più favorevoli condizioni per la rivoluzione proletaria non si hanno necessariamente sempre nei paesi dove il capitalismo e l'industrialismo sono giunti al più alto grado del loro sviluppo, ma si possono invece aver là dove il tessuto del sistema capitalistico offre minori resistenze, per le sue debolezze di struttura, a un attacco della classe rivoluzionaria e dei suoi alleati.