Paolo Spriano
Non piegarono la sua volontà nè la sua intelligenza |
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Antonio Gramsci è condannato a vent'anni, quattro mesi e cinque giorni di reclusione, da scontarsi in un penitenziario « speciale » per detenuti malati (egli soffre di uricemia cronica), quello di Turi di Bari. Turi, però, è un luogo di pena come gli altri: né possiede particolari attrezzature sanitarie per un ospite come Gramsci, quando egli riuscirà ad avere almeno una cella per sé solo (accanto al posto di guardia), condizioni decenti. I rumori, le continue visite di controllo, anche nel cuore della notte, rendono presto più grave l'insonnia, il primo elemento che deteriora le condizioni psicofisiche del detenuto.
Quando Antonio entra in quel carcere, nel luglio del 1928 (altri dodici giorni di viaggio « col fuoco di S. Antonio » addosso), ha trentasette anni. È un uomo provato dalle grandi fatiche degli ultimi tempi, sofferente, ma non ancora un malato irrecuperabile. La sua capacità di resistenza, la sua volontà di sopravvivere, sono fortissime. Egli ha ora una famiglia sua che lo aspetta, anche se lontana, in Russia, dove Giulia è tornata nell'estate del 1926 incinta del secondogenito Giuliano, che il padre non potrà mai vedere se non in qualche sospirata fotografia. Il primo, Delio, è nato nell'agosto del 1924 e Antonio l'ha tenuto tra le braccia per breve tempo, divertendosi con lui durante qualche rara pausa di riposo. In Italia è rimasta la cognata, la sorella di Giulia, Tatiana, laureata in scienze naturali (è impiegata presso la delegazione commerciale sovietica in Italia) con cui Antonio ha stretto una amicizia fraterna. Sarà lei, mentre Giulia è lontana, ad assistere il detenuto di Turi di Bari, numero di matricola 7027, ad alleviargli le sofferenze, a soccorrerlo in tutto il decennio della cattività.
L'ottimismo della volontà come estrema risorsa
II periodo carcerario di Antonio Gramsci è consegnato alla storia d'Italia attraverso quei monumenti morali e intellettuali che sono le Lettere ormai quasi tutte reperite e pubblicate e le note dei Quaderni che egli va redigendo dal febbraio del 1929. I quaderni compilati saranno ventuno al momento del trasferimento al carcere di Civitavecchia (fine 1933). Altri dodici verranno riempiti nella cllnica di Formia, nel 1934-35, dove sarà ricoverato in stato di detenzione. Gramsci stende le sue note su normali quaderni per scuola elementare con estremo ordine, rare le cancellature; una parte dei testi vengono poi da lui ricopiati e rielaborati in altri consimili quaderni. Prende lo spunto da letture, fresche e lontane, da esperienze e ricordi di vita, da un concatenarsi di riflessioni, partendo dal primitivo disegno di una storia degli intellettuali italiani. Le pagine si riempiono della sua scrittura chiara, regolare. I temi sono i più vari: la letteratura popolare, la storia del Risorgimento e dell'Unità d'Italia, il pensiero di Machiavelli, la filosofia di Benedetto Croce, il materialismo storico, il fordismo e l'americanismo, in un intreccio continuo tra passato e presente. Sfogliare quelle pagine può dare al lettore l'illusione di un lavoro condotto in serenità, quasi all'autore come gli capiterà di dire fosse riuscito di dimenticare se stesso « in un determinato ordine di riflessioni e di trovare nelle cose in sé l'interesse per dedicarsi alla loro analisi », con una concentrazione che non sembra turbata dall'esterno. Eppure ogni pagina nasce con uno sforzo di volontà, dopo notti per lo più insonni.
Sono appunto le Lettere a darci per prime il senso di una discesa agli inferi, di un vero e proprio calvario, di un processo di aggravamento via via meno sopportabile delle condizioni carcerarie. Lo stato di salute si logora con una progressione accelerata. Se nel 1928, nel 1930 ancora, le durezze del regime di prigionia, il lento esaurimento nervoso, malanni e sofferenze paiono ancora sopportabili e il prigioniero mostra nel carteggio che la fermezza stoica con cui sopporta la reclusione, l'ottimismo della volontà a cui ricorre come risorsa essenziale, restano una corazza valida, col 1931 - in agosto è colpito da una prima grave crisi, con un improvviso sbocco di sangue si avverte come un incrinarsi delle facoltà generali di resistenza. Non c'è crollo, c'è ancora, e persino con toni più aspri, un sentimento prevalente di ribellione anche alla sola idea di compiere un passo che suoni richiesta di clemenza a Mussolini, ma mentre l'insonnia lo tormenta tra il 1931 e il 1934 si palesano lesioni tubercolari polmonari, fatti di depressione cardiaca, arteriosclerosi, attacchi nefritici, piorrea alveolare. Una delle crisi più gravi subentrerà all'inizio del '33 e cercheremo di coglierne la drammatica sequenza e i riflessi sul suo status di detenuto.
La domanda di grazia sarebbe un suicidio, ripeterà anche alla cognata durante una sua visita a Turi di Bari nel 1933. Ed egli non vuole suicidarsi. Al tempo stesso, si sforza di non provocare alcun inasprimento del regime carcerario, di salvaguardare, anche con pressanti istanze dirette a Mussolini, sulla base dei regolamenti carcerari vigenti per i condannati, la possibilità di continuare a ricevere libri di studio, a stendere appunti, a vivere con l'intelletto, a concentrarsi nello studio « disinteressato ».
« La svolta » e il dibattito nel partito
Anche altri elementi concorrono a determinare questo isolamento e a intorbidare l'insieme dei suoi rapporti con il partito, sia con il collettivo di Turi di Bari sia con i dirigenti che sono nell'emigrazione.
Nel 1930 Gramsci, nelle ore di passeggio nel cortile, tiene una serie di lezioni o conversazioni politiche dietro richiesta dei compagni incarcerati con lui. Ci sono ancora quelli che sono stati arrestati e condannati tra il 1926 e il 1928, mentre arrivano le nuove recliite carcerarie, gli « sveltisti », cioè quei comunisti che si sono buttati con uno slancio straordinario nell'attività cospirativa, sorretti dalla cosiddetta « svolta » impressa dall'Internazionale e accettata dal partito. Essa ha aspetti politici e organizzativi e sulla sua natura e i suoi effetti nasce allora, tra il 1929 e il 1931, una polemica aspra che si rinfocolerà anche in sede di giudizio storico.
« La svolta » provoca subito una crisi, all'interno del ristretto gruppo dei dirigenti comunisti italiani del Centro estero. Il progetto di Luigi Longo di costituire un Centro interno, in Italia, viene contrastato da Leonetti, Tresso e Ravazzoli ed essi, che passeranno alla storia del partito come « i tre », vengono espulsi, anche per i contatti che tengono subito con l'opposizione trockista. Ma la « svolta » ha tratti e risultati contraddittori. Mentre per il Pci essa si presenta in primo luogo come un tentativo, in realtà disperato ma carico di volontà rivoluzionaria, di mantenere a tutti i costi costi che saranno altissimi ma non improduttivi una presenza cospirativa nel paese, il contatto con le fabbriche, cioè con la base del partito, puntando a suscitare agitazioni economiche e politiche contro il regime, le motivazioni generali, di previsione, sono nondimeno basate su una prospettiva (e si traducono in una linea) profondamente erronea. L'Internazionale comunista, con Stalin alla testa, proclama che è finito il secondo periodo, della relativa stabilizzazione del capitalismo, e che si è entrati nel terzo periodo, di nuova acuta situazione rivoluzionaria come alla fine della guerra; che all'ordine del giorno è la ripresa della rivoluzione proletaria, una nuova grande rottura del sistema capitalistico in Europa. In questa ottica, viene additato come il peggiore nemico dell'imminente sbocco rivoluzionario la socialdemocrazia, anche nei paesi fascisti. La socialdemocrazia sarebbe niente altro che una variante, la più pericolosa per giunta, del fascismo; sarebbe insomma, « socialfascismo ». Di qui la lotta più aspra contro di essa, sul piano politico, su quelli ideologico e sindacale, con particolare virulenza nei confronti delle tendenze di sinistra della socialdemocrazia.
Per costruire un nuovo « blocco storico »
È noto come la crisi economica del 1929-33 non segnerà affatto un crollo del capitalismo ed è indubbio che il settarismo comunista, come cedimenti e illusioni delia socialdemocrazia, faciliteranno l'avvento del nazismo in Germania. E per quanto riguarda l'Italia, lo sforzo eroico di centinaia di militanti non riesce sul momento neppure a scalfire la « legalità fascista » anche se i sacrifici dei militanti, dei « rivoluzionari di professione », non saranno vani. Finiti rapidamente in carcere con pesanti condanne, gli « sveltisti » mantengono tuttavia lo stesso entusiasmo che aveva caratterizzato il loro impegno: ed è ad alcuni di loro che Gramsci, a Turi, rifila un « cazzotto nell'occhio » secondo la sua stessa espressione. Egli ribatte infatti agli « sveltisti » che la loro prospettiva è campata in aria, che è necessario piuttosto puntare a una fase intermedia, che non sussistono le condizioni generali né quelle organizzative per una rivoluzione socialista immediata, anche se non pare contesti il giudizio sulla socialdemocrazia come socialfascismo.
Si è venuti a conoscere l'episodio e queste posizioni politiche di Gramsci in carcere perché e l'uno e le altre sono state riferite tre anni dopo al Centro estero del Pci da uno dei quadri comunisti che hanno preso parte a Turi alle conversazioni con Gramsci, tenute durante le ore di « aria ». La relazione, dell'operaio Athos Lisa, ha il valore e i limiti di un documento steso con la massima preoccupazione di fedeltà ma anche con grande schematismo da un interlocutore, un testimone contraddittore, che pone in evidenza soprattutto delle conversazioni gramsciane i motivi di dissenso tattico. In sostanza, vi appare che Gramsci consiglia di escogitare, come parola d'ordine transitoria, quella di una Costituente che decida della forma istituzionale, da agitare in particolare in mezzo alle masse contadine meridionali per quando siano peggiorate le condizini economiche. Bisognerà allora farne una piattaforma comune con le altre forze politiche antifasciste e utilizzarla come prima presa di coscienza politica dèi contadini poveri.
Tutta l'opera gramsciana indica, e percorre, infatti, come motivo conduttore il fitto intreccio esistente tra struttura e sovrastruttura, esalta l'influenza che la seconda ha sulla prima, offre una miniera di spunti e di indicazioni di ricerca che vanno sempre nella direzione di una più profonda presa di coscienza dei compiti spettanti al moderno Principe, alla classe operaia e al suo partito. Nelle note carcerarie viene riesaminato, dal punto di vista marxista, il grande tema dello Stato, con una visione del processo sociale nel quale acquista il massimo rilievo quanto concerne la società civile, i movimenti di idee che in essa si svolgono o possono essere suscitati dalle forze di rinnovamento. Gramsci, partendo dall'esperienza di Lenin, estende e articola il concetto di egemonia intesa non solo come dominio di una classe che ha assunto il potere ma come opera di direzione politica, ideale, culturale, agente nel vivo del tessuto sociale, sulle condizioni materiali, sulla mentalità, il modo di vivere e di pensare, delle grandi masse.
Per costruire un nuovo « blocco storico », l'obiettivo strategico della classe operaia, Gramsci considera essenziale la conquista del maggiore consenso attivo possibile al nuovo ordine e la creazione di intellettuali organici al proletariato. Per Gramsci, in sostanza, la conquista dell'apparato dello Stato non è sufficiente alla costruzione di una società socialista, in specie in quei paesi dell'Occidente capitalistico in cui lo Stato non è tutto, ma, proprio per la complessità di strati sociali intermedi, di tradizioni
intellettuali, di correnti ideologiche, di istituti giuridici, la società civile haun grande spessore di resistenza al nuovo. Di qui la sua celebre immagine dello Stato visto come una prima trincea per le vecchie classi dirigenti, dietro a cui permane un loro sistema dì fortezze e di casematte da smantellare. Di qui l'analisi concreta di tutti i nessi che esistono tra azione politica e azione culturale, l'insistere sull'importanza di conquistare prima del potere un'egemonia culturale, sulla funzione che esercitano gli intellettuali come gruppo sociale, che si configura anche come un incentivo a un'azione a lunga scadenza delle forze motrici della rivoluzione in rapporto anzitutto alla società nazionale in cui operano. Perciò il « corpus » dottrinale gramsciano appare, ormai, come una vera e propria teoria politica sullo Stato nonché sulla transizione al socialismo in paesi industriali avanzati.
La nuova linea e il gruppo dirigente
Fino al 1930, e ancora in occasione del decimo anniversario della fondazione del Pcd'I, il nome di Gramsci compare spesso sulla stampa del partito che esce in Francia. Togliatti da il posto d'onore su « Lo Stato operaio » al famoso saggio gramsciano sulla questione meridionale e sta preparando, con la collaborazione di Giuseppe Berti (che è a Mosca nel 1930), una raccolta di scritti gramsciani del periodo ordinovista. Ma la pubblicazione non si farà né si darà spiegazione alcuna alla rinuncia: è diventata cosa inopportuna? Togliatti sa che Gramsci non è d'accordo con la « svolta »? Non è affatto certo, per quel momento, ma non è neppure escluso. Senonché il punto essenziale pare essere un altro, al di là di un dissenso immediato (che, intanto non si vorrebbe certo, da parte di Togliatti, pubblicizzare: analogo contegno di riserbo e di sdrammatizzazione viene tenuto per il dissenso, questo sì noto, di Terracini). Il punto concerne lo stesso rapporto di continuità, pieno d'insidie e di remore esterne, che intercorre tra la nuova linea, il nuovo assestamento del gruppo dirigente comunista, e la formazione del partito espressosi negli « anni di ferro e di fuoco », il periodo di direzione gramsciana, e quello del 1927-28 in cui si era fatto luce, da parte di Togliatti, un tentativo di apertura politica ai temi della ««rivoluzione popolare » e delle alleanze con le altre forze antifasciste, e vi era stato uri giudizio più realistico sulla situazione italiana.
Una drammatica vicenda familiare
Quando si esamina la situazione carceraria di Gramsci bisogna sempre pensare che egli di anno in anno penetra in un tunnel più scuro e fondo. Se, dei « vari regimi carcerari » a cui è sottoposto quello fondamentale resta l'incarceramento vero e proprio da parte del nemico che egli è pronto a fronteggiare come un combattente che non ha avuto fortuna, anche gli altri ne minano ulteriormente la capacità di resistenza: l'isolamento dalla sua famiglia e l'isolamento dai suoi compagni. Drammatica, anzi sempre più tragica, è la vicenda dei suoi rapporti con la moglie malata. Gramsci sente che il legame si va spezzando e non solo per un distacco forzato imposto dalla lontananza reciproca bensì, non meno, per una sottile ma via via più misurabile metamorfosi. Giulia soffre di una grave malattia di nervi e gli stessi medici sono divisi nella diagnosi, tra l'epilessia e l'isteria. Ha frequenti amnesie. Il prigioniero sta a volte mesi e mesi senza a avere notizie dirette dalla moglie, la rimprovera e la invoca, passa, a mano a mano che gli anni si consumano nel carcere, da un atteggiamento di ansia protettiva a scatti nei quali vuole che sia chiara, esplicita, una rottura tra di loro, a strazianti appelli a Giulia affinchè essa lo raggiunga in Italia, gli faccia almeno visita. Tutto concorre ad aggravare questa tensione: le perplessità sull'efficacia della cura psicanalitica a cui la moglie si sottopone, il fatto che Giulia non è in grado di venire in Italia, le lunghe pause che essa intervalla nel suo epistolario anche per il susseguirsi dei ricoveri in cllnica e l'aggravarsi del suo male.
Gramsci comincia intorno al 1932, quando più serie si fanno anche le sue condizioni di salute, ad avvertire che si producono modificazioni radicali nel suo stato: teme di perdere presto ogni capacità di resistere, teme di diventare indifferente. « Mi riesce sempre più difficile scriverti - ha già confessato alla moglie il 30 novembre del 1931 - e anche più penoso... Tu hai contribuito ad aggravare il mio isolamento. Una volta, molto tempo fa, mi è stato scritto che la tua borsetta era piena di lettere tue a me, incominciate e non terminate: questo fatto mi ha colpito più di ogni altra cosa ». E Giulia stessa confiderà alla sorella Tatiana: « Ho delle difficoltà a scrivere ad Antonio non perché le circostanze ci hanno separati. L'essere come frenata è la maggiore difficoltà che offre il mio stato, oggi, agli effetti della cura ». Tenerezza e sollecitudine non scompaiono ma la tragedia famigliare si fa più grave di anno in anno.
La profonda, angosciosa umanità del suo epistolario
L'insieme dei rapporti di Gramsci con la famiglia d'acquisto traluce come complesso anche dal carteggio, e forse perciò si è prestato alle più varie illazioni. Tentazioni letterarie sulle « tre sorelle » che quasi rivaleggiano nella protezione dello sposo di Julca e dei suoi figli, motivazioni psicanalitiche e chiavi femministe sono state largamente adoperate e consumate. La verità, almeno quella rintracciabile, che a snodare nel fondo degli animi non bastano certo lettere e documenti è più semplice. Il grande dramma, anche dramma d'amore, è quello che riguarda Antonio e Julca. Tatiana vi si inserisce nella misura stessa in cui lo vive appassionatamente per attutirlo, sanarlo, e a volte finisce, con la sua sollecitudine, per acuirlo. Non che la figura della cognata non sia essa stessa tragica. In effetti, la chiave migliore per intenderne il carattere e la funzione assolta ci è fornita da lei quando confessa in una lettera a Sraffa di sapere solo vivere per gli altri; e sublima, nel decennio carcerario di Gramsci, la sua vocazione altruistica. Gracile di salute, non più giovane, vive magari mesi interi a Turi di Bari, in un alloggio a pochi metri dal penitenziario, per potere assistere più da vicino il prigioniero e ottenere qualche colloquio più frequente. Pare voler spiare ogni suo desiderio e ogni bisogno, svolge con pazienza infinita il suo ruolo di tramite, per ritessere la tela di contatti così spesso strappata, tra Antonio e Julca, come per attuare o secondare ogni possibile iniziativa per la liberazione del detenuto.
Il carteggio di Tatiana con Antonio come quello con Sraffa, è angoscioso. Ci si muove in un universo di malattie, di diagnosi e prognosi, con lunghe minuziose descrizioni delle condizioni di salute, sue, di Antonio e di Julca, degli stessi ragazzi, dei genitori. Tatania cerca di giustificare silenzi e contraddizioni della sorella lontana, raccoglie tutti i particolari comunicatile dai parenti, per dare ad Antonio il senso dell'esistere dei figli, della loro giornata, in asilo, a scuola o in vacanza. E corrisponde con domande e osservazioni puntuali, che riflettono una discreta cultura e una grande curiosità intellettuale, a quanto Gramsci le comunica sul proprio lavoro di ricerca. Tatiana sopporta - sempre ben consigliata, seguita e aiutata da Sraffa a cui manda tutte le lettere di Antonio, e questi le fa avere a Togliatti anche gli sfoghi, le intemperanze, i veri e propri scatti d'ira del cognato.
Certo, il rigore esigente e spazientito di Gramsci, la sua insofferenza per tutto quello che sa di abboracciato che ben conoscono i suoi collaboratori, quelli che hanno lavorato con lui in un giornale o nell'Esecutivo del partito, spesso bistrattati sino alla crudeltà - si scontrano violentemente con le romanticherie, le esitazioni, lo zelo, le disperazioni di questa amica, sola, sorvegliata dalla polizia, costretta a salire spesso le scale degli uffici della direzione degli Istituti di pena per sollecitare un permesso o l'inoltro di un pratica, a compiere missioni delicate - è ad essa, non si dimentichi, che dobbiamo l'avere messo in salvo i Quaderni dopo la morte di Antonio a diventare infermiera e recapito clandestino insieme.
Gramsci si esaspera per i silenzi della donna amata, gli mancano i figli di cui solo le frequenti fotografie gli annunciano la crescita, i lineamenti del volto. Non sa come rivolgersi a loro, in specie a Giuliano, anche se alcune delle lettere del carcere più toccanti sono proprio indirizzate a Delio e al secondogenito, che si domandano quando tornerà a casa quello strano padre. Persino il fatto che
egli sia recluso, che sia un; prigioniero politico, non viene detto ai figli
per non turbarli, ma Gramsci vorrebbe invece che non fosse taciuto. « Per
loro devo essere come una specie di Olandese volante che per ragioni imperscrutabili non posso occuparmi di
loro ». « Papà, raggiungici », gli scrive
Delio nel febbraio del 1932. E Gramsci
deve invece limitarsi a raccontargli
bellissime favole, storie della propria
infanzia sul « ballo delle lepri » e sulla
caccia che i ricci davano alle bisce.
Il padre soffre dell'impossibilità di
imprimere un suo segno educativo
ai figli.
Anche nei confronti della moglie la sua premura pedagogica, un senso affettuoso di protezione, cozzano con un'impossibilità « di presa » dinanzi a una donna che è rimasta « ai margini del flusso di vita », come egli le scrive. Col 1933 arriva la convinzione, o meglio, l'esasperata sensazione di essere stato come emarginato da lei, messo da parte.
« Liberare Gramsci » è la parola d'ordine di tutti gli antifascisti
II 1933 è stato un anno cruciale, fatale, per il corso della prigionia gramsciana. Sin da gennaio Tatiana si è trasferita a Turi. Comincia una lotta contro il tempo, affannosa, piena di tentativi, che falliranno, di ottenere per Antonio la libertà. In seguito ai provvedimenti di amnistia e di condono per il « decennale » del regime fascista, la condanna di Gramsci risulta ridotta a dodici anni e quattro mesi. Sraffa si adopera attraverso i buoni uffici dello zio, primo presidente della Cassazione, a sondare il terreno per sapere se avrebbe esito positivo una domanda di libertà condizionale, e a quali condizioni. Non debbono essere tali da offendere la dignità del prigioniero. Intanto il fratello di Antonio, Carlo, presenta istanza a che il detenuto possa essere visitato da un medico di fiducia, indicato nel professor Umberto Arcangeli, direttore della prima clinica medica dell'Università di Roma. Ma le condizioni di salute di Antonio precipitano. Il 7 marzo 1933 ha una grave crisi, « Mentre mi levavo dal letto caddi a terra senza riuscire più a levarmi con mezzi miei ». Soffre di allucinazioni, di frequenti perdite della coscienza. In cella lo viene ad assistere giorno e notte
un compagno, Gustavo Trombetti. Tatiana telegrafa a Sraffa il 18 marzo
che lo stato di Gramsci è disperato.
Il 20 marzo giunge a Turi il professor
Arcangeli, e, dopo la visita, stila una
dichiarazione che Tatiana fa conosce
re a Sraffa, e questi al partito, nella
quale si afferma: « Gramsci non potrà
lungamente sopravvivere nelle condizioni attuali; io considero come necessario il suo trasferimento in un ospedale civile o in una clinica, a meno
che non sia possibile accordargli la
libertà condizionale ». In aprile il detenuto è visitato da un ispettore sanitario.
La strada della liberazione è ancora lunga. La polizia fascista ha avuto in mano una direttiva del Centro estero del Pci, della fine del 1932, inviata ai compagni incarcerati, nella quale si invita quelli che a termini del codice possono usufruirne (cioè che abbiano espiata più di metà della pena a rivolgere istanza per la libertà condizionale. Le disposizioni di Mussolini sono di non consentire questo esodo, tanto meno per i dirigenti. Per Gramsci le pressioni delle autorità perché chieda un provvedimento di clemenza aumentano, a tutti i livelli. Glielo consiglia il secondino conterraneo, lo fa capire il dirigente degli Istituti di pena, lo dice allo zio di Sraffa il presidente del Tribunale speciale, lo ripete Arcangeli al malato, durante la visita, e Gramsci se ne indigna (lo testimonierà Sraffa). Questa è una strada che Gramsci non imboccherà mai. Tatiana che lo va trovare in carcere quasi tutte le domeniche, nel gennaio del 1933 lo ha descritto così: « Si ha l'impressione di trovarsi di fronte a una creatura, un bambino, tanto egli è dimagrito, molto pallido, coi tratti tirati ».
Nei colloqui si è parlato con insistenza di altre strade: Tatiana riferisce a Sraffa che Antonio lo prega di esperire un « tentativo grande », quello di un intervento sovietico presso Mussolini, da governo che ottenga attraverso uno scambio di prigionieri politici o con altre concessioni la liberazione di Gramsci e un passaporto per andare in Urss presso
i suoi cari. Gramsci fa anche il nome
di un diplomatico sovietico, Platon
M. Kergentsev, che è già stato in Italia nel 1925-26, un vecchio bolscevico che evidentemente egli conosce
bene. Kergentsev potrebbe propone occuparsi personalmente
della questione. Né Sraffa né Tatiana, che parla con l'ambasciatore sovietico a Roma, risparmiano sforzi.
Il « tentativo grande » non riuscirà;
anche se pare ma nessun documento è possibile sinora rinvenire né da
fonte& sovietica né da fonte italiana che il governo dell'Urss, i cui rapporti con l'Italia in questo periodo,
dal 1933 al 1936 almeno, sono buoni,
si sia adoperato attivamente in questo
senso. Così suonano varie testimonianze personali, da quella di Ambrogio Donini a quella che appare in
una biografia sovietica del diolomatico Potiemkin dove si riferisce, con
molta enfasi, di un colloquio tra Mussolini e lo stesso diplomatico (ma della fine del 1934), senza esito.
Mentre Gramsci sopporta la grave crisi del marzo del 1933 si riaccende proprio per le allarmanti notizie trapelate, che destano grande emozione nell'emigrazione antifascista in Francia - una campagna intensissima per strapparlo dal carcere: è una campagna a cui partecipano distinti prima, e quasi in concorrenza gli uni con gli altri, i maggiori esponenti di varie correnti e gruppi politici. Togliatti propone ai suoi compagni (riunione di segreteria del 27 marzo) che la campagna dei comunisti abbia come parola d'ordine la libertà condizionale anticipata. « L'Humanité » parla, il 30 marzo, di un Gramsci morente, il giornale della concentrazione antifascista, « La libertà », si chiede se egli non sia già morto. Leonetti, sul giornale trockista « La verité », lancia in aprile un drammatico appello per la sua salvezza. Il giornale del Pci scrive: « il capo più amato del partito, compagno Gramsci, è in imminente pericolo di vita », l'« Avanti! » si associa alla campagna. Nenni, in un comizio tenuto a Parigi, esclama: « Si faccia sapere a Roma che il proletariato tiene Mussolini come responsabile del lento ed infame assassinio dì Gramsci ». La campagna pare raggiungere il suo culmine ma continuerà invece intensa per un anno quando « L'Humanité » pubblica, il 19 maggio, il testo della dichiarazione del professor Arcangeli.
Intanto si avvia almeno al successo la richiesta di trasferimento nell'infermeria di un altro carcere, o in luogo di cura, in stato di detenzione, che pure prende mesi ad essere accolta: lo è in settembre e si sceglie, essenzialmente per ragioni di sicurezza, da parte della direzione di polizia, la clinica del dottor Cusumano a Formia. La campagna per la liberazione di Gramsci si è intanto sviluppata ed ampliata: essa, del resto, è legata a tutta la nuova situazione internazionale nata coll'avvento di Hitler al potere, allo « choc » che esso provoca nel movimento socialista e comunista, alla repressione spietata di cui in Germania i militanti della classe operaia sono vittime, allo stesso clamore che fa la provocazione dell'incendio del Reichstag con l'arresto di Dimitrov.
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