Questo saggio è un tentativo di approccio e sviluppo
dei concetti gramsciani di stato e società civile, di
blocco storico e sua proiezione nella società, concetti
legati alla modernità e alla ristrutturazione neoliberale
dell'economia politica globale contemporanea. Al centro di questo
lavoro vi è l'idea che la struttura attuale del sistema
mondiale e le forme dominanti di stato e società civile
sono in una situazione di «crisi organica». La crisi
determina cambiamenti strutturali nelle idee, nelle istituzioni,
nelle potenzialità materiali che costituiscono l'ordine
mondiale, in un processo che si può definire di trasformazione
globale. Gran parte di questo processo è stato guidato
dalle forze delle classi dominanti che si richiamano all'utilitarismo
ottocentesco e all'economia politica classica.
Il potere e l'influenza degli Stati Uniti nella politica mondiale
implicano che la forma statuale neoliberale si è via via
tradotta, alla fine di questo secolo, in un modello emulativo,
sotto la pressione del Fondo monetario internazionale, della
Banca Mondiale e del G 7, o in senso più ampio, della
sintesi di potere pubblico e privato che io chiamo il «nesso
G 7». Si può definire questo nesso come la costellazione
di forze politiche e sociali che, esercitando una funzione di
controllo e di tutela, regolano l'ordine mondiale neoliberale.
La formula varia nei vari complessi di stato-società civile,
o, per usare le parole di Gramsci, nelle forme dello «stato
allargato»: la compenetrazione della società civile
e politica nella forma dello stato, in un processo di internazionalizzazione
della politica e della sorveglianza.[2]
Riguardo all'economia politica, l'ipotesi generale da cui prendo
le mosse è che a partire dall'Ottocento si abbia assistito
ad una progressiva accelerazione quantitativa e qualitativa nella
trasformazione delle strutture socio-politiche moderne (per esempio
lo stato nazione integrale e il sistema interstatuale, l'espansione
e la penetrazione del capitale nelle relazioni sociali, i processi
di industrializzazione e razionalizzazione) come pure si è verificato
un cambiamento nei rapporti tra i soggetti di questo processo.[4]
Possiamo, in breve, mettere in luce alcuni dei cambiamenti più significativi,
determinatisi negli ultimi tre secoli dal punto di vista sociale
e culturale, e il modo in cui simili cambiamenti abbiano potuto
alterare la realtà o il modo di rapportarci ad essa. Un
cambiamento è stato il passaggio dalla campagna alla città e
lo sviluppo di nuovi modelli urbani e di civiltà. A questo
proposito Eric Hobsbawm nota che questa forma di cambiamento
strutturale della modernità ha comportato, almeno nei
paesi dell'OCSE, la scomparsa dei contadini come classe - forse
il mutamento sociale più profondo dell'ultimo millennio.
[L'Illuminismo] fu una magnifica rivoluzione esso stesso, per la quale, come nota acutamente il De Sanctis nella Storia della letteratura italiana, si era formata in tutta l'Europa come una coscienza unitaria, una internazionale spirituale borghese sensibile in ogni sua parte ai dolori e alle disgrazie comuni e che era la preparazione migliore per la rivolta sanguinosa poi verificatasi nella Francia.
Quanto Gramsci descrive, è una autentica rivoluzione
che ha la capacità egemonica di estendersi e comprendere
gli interessi dei gruppi sociali subordinati o subalterni all'interno
di un progetto di emancipazione politica di ampio respiro, progressivo.
Gramsci parla di una magnifica rivoluzione fondata su di una «coscienza
unitaria, una internazionale spirituale borghese sensibile in
ogni sua parte ai dolori e alle disgrazie comuni».
Si può condividere o meno questo giudizio storico, resta
il fatto che il punto chiave è il metodo che Gramsci utilizza
per analizzare una trasformazione storica. Vale a dire che egli
sa che la questione di un cambiamento rivoluzionario repentino,
che appare spontaneo, è legata a radici storiche più profonde,
e che la costituzione storica della soggettività politica
e della coscienza è il punto centrale del processo. In
altri termini, le innovazioni politiche associate alla Rivoluzione
francese (ad esempio, come risulta dal repubblicanesimo di Tom
Paine) vanno analizzate sulla base delle trasformazioni della
coscienza e della soggettività politica che si sono sviluppate
durante l'Illuminismo.
I mutamenti nell'ordine mondiale a partire dal 1945Nella misura in cui si può dire sia esistita, la costruzione di una forma gramsciana di egemonia internazionale del XIX secolo ha seguito il cammino dello sviluppo economico tracciato dall'industrializzazione inglese, con un nucleo di stati concordi con le nuove regole commerciali e finanziarie della Gran Bretagna. La dimensione pubblica e privata dello stato allargato inglese si rifletteva nell'importanza della City di Londra, che aveva un ruolo di coordinamento nelle questioni di politica finanziaria e di scambio. Infatti, dopo la sconfitta di Napoleone, la leadership inglese poteva vantare, almeno riguardo ad un gruppo di stati, una certa credibilità, in parte grazie alla sua supremazia navale.Pertanto, il sistema mondiale del XIX secolo non si fondava esclusivamente su di una potenza preponderante all'interno delle relazioni tra gli stati europei (e le potenze nascenti di USA e Giappone). Il nuovo ordine mondiale rifletteva, piuttosto, un mutamento di equilibrio tra gli stati e le forze sociali (un equilibrio di forza interna ed estera), come pure la ratificazione di una gerarchia mondiale razziale. Nella configurazione di ogni ordine mondiale, infatti, come ha messo in evidenza Robert Cox, entrano in gioco diversi tipi di forze sociali, - di idee, istituzioni, risorse materiali, così come diverse forme di produzione, di stato e di ordine mondiale.[11] Così, prendendo le mosse dal sistema di stati moderno nato in Europa con la pace di Westfalia del 1648, sotto il dominio se non l'egemonia delle classi emergenti delle Province Unite, si è avuta una continuità formale consistente in un sistema di stati con i suoi principi d'azione basati sul concetto di sovranità. Dopo il 1945 si è verificato un processo di proliferazione che ha esteso il modello di Westfalia di sovranità statale alle ex colonie imperiali. Contemporaneamente, il sistema di sicurezza è stato disciplinato e dominato da un duopolio strategico di superpotenze, segnando la non ulteriore applicabilità della pace di Westfalia a rischio di una guerra totale e di un annientamento totale, ipotesi questa che avrebbe implicato non solo l'uso di armi nucleari, ma anche una produzione di massa e una politica di massa (inclusa la mobilitazione nazionale) negli stati-nazione. L'ultima fase del sistema di stati legati al modello di Westfalia è in parte connessa al venir meno delle strutture di produzione fordista e alla loro identificazione con particolari territori e giurisdizioni. Questa forma "nazionale" di sviluppo capitalistico, con metodi flessibili e una organizzazione della produzione globale, sta gradualmente cedendo il passo al post-fordismo. Per alcuni aspetti la produzione si è potentemente femminilizzata, dal momento che in gran parte del mondo più donne sono entrate nel mercato del lavoro. Una tale ridefinizione delle relazioni produttive ha determinato alcuni cambiamenti nell'identità politica (nazionale), così come nella forma dello stato. Possiamo chiamare questo processo internazionalizzazione o globalizzazione dello stato, fenomeno questo non completamente nuovo. Il sistema di Westfalia, per esempio, è stato la controparte politica nazionale rispetto all'emergere del capitalismo mondiale. In questo senso, esso è stato "internazionalizzato" sin dall' inizio, e questa internazionalizzazione ha preso diverse forme. Per di più il bipolarismo delle superpotenze durante la Guerra fredda ha implicato una internazionalizzazione delle strutture politiche e di difesa degli stati alleati. A partire dal 1945, a questo processo si è connessa una ristrutturazione globale della produzione e dell'economia. Se accettiamo l'idea di internazionalizzazione - o addirittura di globalizzazione - dello stato, andiamo al di là dell'assunto tradizionale delle relazioni internazionali, secondo il quale gli stati, indipendentemente dalle loro diversità, da un punto di vsta di politica internazionale hanno essenzialmente lo stesso carattere. É importante, piuttosto, analizzare le diverse forme di stato e i cambiamenti che subiscono nel tempo, dando vita a diversi tipi di ordine internazionale o mondiale. In termini gramsciani, è necessario analizzare lo stato allargato (stato + società civile) per interpretare la formazione della politica globale. Come interpretare, allora, la fase contemporanea di tale cambiamento globale? Un modo per farlo è mettere a fuoco la relazione tra forme di stato e politica globale, usando il concetto gramsciano di egemonia contrapposto all'uso convenzionale fatto dai cosiddetti "Realisti" nelle Relazioni internazionali, che hanno considerato l'egemonia come il dominio di uno stato sugli altri. Il concetto gramsciano suggerisce una problematica più complessa che comprende coercizione e consenso quanto guida politica, autorità e legittimazione. La base dell'egemonia va trovata nel rapporto tra stato e società civile, sia all'interno che attraverso gli stati-nazione. Il concetto gramsciano di egemonia può servire a mostrare che c'è stata una relativa conformità politica ed economica tra i maggiori stati e gli elementi dominanti emersi dalle società civili dei paesi dell'OCSE approssimativamente tra il 1950 e il 1970. Queste relazioni erano tenute insieme da vincoli di sicurezza e di tipo politico-militare sotto la guida dei vertici degli Stati Uniti. Il potenziale accordo mondiale di forze economiche era vincolato da sistemi nazionali di pianificazione economica, regole e responsabilità politica, spesso nella forma del capitalismo di stato e del corporativismo. Le relazioni economiche e la soluzione dei conflitti economici internazionali sono state istituzionalizzate sia in consigli privati informali che nelle istituzioni di Bretton Woods come negli accordi interstatali, in un'epoca di elevata crescita economica, rispetto a quella degli anni '70-80. Il risultato politico di queste intese era una "alleanza organica" relativamente flessibile (comprendente il Nord America, i paesi della Comunità Europea e il Giappone in un processo di organizzazione internazionale congiunto). Caratterizzata da forme di pluralismo istituzionale e politico, questa alleanza fu sostenuta da legami politici, militari ed economici trasversali (coinvolgendo organizzazioni come la Nato e gli accordi di sicurezza USA-Giappone). Si può interpretare questa intesa come la controparte politica all'internazionalizzazione del capitale emersa a partire dal 1945. Tali accordi, quindi, contenevano un elemento della loro stessa trasformazione e di potenziale superamento. Questa "alleanza organica" può essere paragonata con le strutture relativamente fragili, "tattiche"dell'ex Unione sovietica e i suoi alleati, crollate repentinamente alla fine degli anni '80. Tuttavia, la globalizzazione economica ha indebolito questa egemonia integrale in vari modi. C'è stato, per esempio, uno spostamento ideologico verso il neoconservatorismo in politica e il neoliberismo in economia. Si è verificato un mutamento politico che ha marginalizzato il lavoro e i partiti socialdemocratici dai centri di potere (in alcuni paesi, come la Germania, meno che in altri, come ad esempio gli USA, la Gran Bretagna, il Giappone). Ciò che io chiamo il "terreno di contestazione politica" si è spostato a destra sin dai primi anni '70 nei paesi dell'OCSE. C'è stato, quindi, un mutamento nella forma dello stato, causato dalla ristrutturazione economica e finanziaria e dallo spostamento a destra dell'asse politico neo-liberale. Il blocco di teorie e pratiche che danno identità e direzione al rapporto tra società civile e società politica, negli ultimi venti anni, è mutato in molte delle più grandi nazioni capitalistiche e nei paesi del Terzo mondo. Se le forme di sviluppo legate a questo slittamento verso il neoliberismo siano sostenibili dal punto di vista politico, economico ed ecologico, sarà una questione centrale nel prossimo decennio. L'analisi della situazione mostra l'emergere di un ordine meno consensuale, sempre più basato su una politica di supremazia e coercizione che su un ampio consenso popolare - nonostante il largo strato che beneficia dei vantaggi della ristrutturazione neoliberale (per esempio le classi medie nel Terzo mondo). Gli anni '80 e '90 si possono definire come una fase di crisi di egemonia e di declino nella coerenza dell'ordine postbellico, caratterizzati dalla rottura politica ed economica e dal caos, da modelli insostenibili di crescita demografica e di urbanizzazione, da degrado ambientale, dalla povertà e dalla fame, da fughe di massa e movimenti migratori. Globalizzazione: l' «occasionale» e il «permanente»Nell'analizzare alcuni dei modelli attuali di globalizzazione, mi servirò di concetti neogramsciani come rivoluzione e modernità, crisi organica e distinzione tra egemonia e dominio, distinzione particolarmente importante dal momento che l'attuale epoca di globalizzazione neoliberale sembra essere più vicina ad una politica di supremazia che di egemonia. A questo scopo, considerando la politica mondiale negli anni '90, possiamo utilizzare il metodo dello storicismo gramsciano e distinguere, nell'analisi di crisi che si possono prolungare per decine di anni, l'«occasionale» dal «permanente».[12] Potremmo dire, in una prospettiva di longue durée, di essere testimoni su scala mondiale di una nuova fase della rivoluzione borghese (con tutti gli elementi ad essa connessi) con le sue origini non solo nella Rivoluzione francese, nelle sue «ondate successive», ma anche nella Gloriosa Rivoluzione del 1688 in Inghilterra. È in questo senso che specifiche forme istituzionali della modernità - per esempio la società di mercato e le forme liberali dello stato - si possono dire globali. In questo contesto, l'azione politica dello stato inglese e il concerto di stati europei sono stati particolarmente importanti nel XIX secolo come quella degli USA e del G 7 negli anni '90: la globalizzazione è sia geoeconomica che geopolitica.[13]Tuttavia, a partire dagli anni '70 si è avuta una fase di incertezza, di mutamento continuo da mettere in relazione col fatto che gli aspetti chiave di tipo istituzionale della realtà storica stanno cambiando: per esempio, forme di stato, di mercato e di società civile in forme di economia politica di tipo locale, nazionale, regionale e mondiale. Ciò ha determinato cambiamenti nel modo di percepire il mondo, comprenderlo e rapportarsi ad esso: un mutamento nell'ontologia dell'ordine mondiale che esprime la forma e la natura di una crisi organica che sta influenzando la natura profonda delle nostre forme di civiltà.[14] Si può dire che questa crisi, nel suo significato immediato o «occasionale» abbia avuto le sue origini congiunturali nella crisi economica mondiale dei primi anni '70. Da quel momento ha cominciato a prendere il sopravvento nella politica di ristrutturazione mondiale un particolare modello di sviluppo capitalistico, il neoliberismo angloamericano. Questo modello, a sua volta, si basa su una serie di istituzioni ed esperienze che tendono a promuovere una riconfigurazione sociale di priorità, linee politiche e risultati del tipo detto "darwinismo sociale". La conseguenza più pervasiva - e più perversa - di questo mutamento è stato il rapido approfondirsi dell'ineguaglianza sociale in alcuni stati e società, e fra le stesse nazioni. È opinione di molti - dai vecchi disillusi thatcheriani ai leaders laici e religiosi, compreso il Papa, e persino di un rentier plurimiliardario pentito come George Soros - che il capitalismo ha portato ad una fase di brutalità e crimini, specialmente nel Terzo mondo e nell'ex Unione Sovietica, e che la riduzione della vita sociale al mercato è incompatibile non solo con la popperiana Società aperta (come desiderata da Soros) ma anche con ogni idea di società "civile". Stando così le cose, possiamo essere sicuri che non solo non c'è una "fine della storia", ma anche che non può mai emergere un mondo completamente neoliberale a causa delle contraddizioni politiche, economiche, sociali, ecologiche del neoliberalismo, per non parlare poi della sua bancarotta morale. In realtà, nell'analisi delle forme neoliberali di globalizzazione, quando parliamo della giustizia e del potere emerge una politica di supremazia, piuttosto che una politica di giustizia e di egemonia, ciò che è poi segno di precarietà di questa forma di ordine mondiale. Col termine "supremazia" voglio intendere la predominanza di un blocco di forze non egemonico che esercita in una fase determinata il dominio su popolazioni che appaiono frammentate, finché emerge una forma coerente di opposizione. Nella fase attuale il blocco dominante si può paragonare a un sistema transnazionale di libera impresa dipendente per le proprie condizioni di esistenza da una serie di complessi di stato-società civile. Esso appare nello stesso tempo "fuori" e "dentro" lo stato: determina parte delle strutture politiche "locali" e "globali" e ha come scopo centrale l'intensificazione della disciplina del capitale all'interno dello stato (il workfare neoliberale o "competizione") e della società civile. Così, da questo disegno delle strutture di potere della politica mondiale contemporanea, con le relative varianti locali, viene fuori un blocco storico transnazionale il cui nucleo comprende in larga misura elementi degli apparati statali del G 7, il capitale transnazionale (l'industria, la finanza e il settore dei servizi) ed anche i lavoratori che godono di privilegi e le imprese più piccole (piccole e medie imprese impiegate come appaltatrici o fornitrici, import-export, società di servizi come agenti di cambio, contabili, società consulenti, lobbies, impresari culturali, architetti, designers).[15] In poche parole, le pressioni finanziarie hanno spinto i governi ad una ridefinizione dell'azione ritenuta auspicabile e necessaria dagli stessi. Si sta inoltre verificando un passaggio dalla socializzazione dei fondi di previdenza contro i rischi (cure sanitarie, pensioni, assicurazione contro la disoccupazione ecc.) verso sistemi privatizzati. In questa situazione il singolo, uomo o donna che sia, deve lottare nel mercato per la sua sopravvivenza e per difendersi contro malattie di ogni sorta o le debolezze e vulnerabilità della vecchiaia. La concentrazione di capitale si è ormai realizzata su scala mondiale ed ha proceduto lungo le linee anticipate da Marx. Nel 1992, per esempio, le 300 maggiori multinazionali controllavano circa il 25% delle risorse produttive mondiali, pari a 20 mila miliardi di dollari; le 600 maggiori multinazionali con vendite annuali sopra il miliardo controllavano oltre il 20% mondiale del valore aggiunto complessivo dell'industria e dell'agricoltura.[16] La maggior parte dei lavoratori delle multinazionali sono ben pagati ed hanno condizioni di lavoro migliori di quelli delle imprese nazionali. Direttamente o indirettamente le multinazionali impiegano oltre il 5% della forza lavoro mondiale, sebbene controllano oltre il 33% delle risorse globali.[17] Nei mercati finanziari, dal 1994 il flusso giornaliero di scambi con l'estero su scala mondiale può aver superato i mille miliardi o «approssimativamente il totale degli scambi esteri in conto di tutte le banche centrali delle maggiori nazioni industrializzate».[18] Ciò nonostante il fatto che probabilmente non più del 10% delle transazioni finanziarie totali sono connesse all'attività economica reale (cioè ai flussi commerciali finanziari o ai movimenti di capitale). La maggior parte, è legata all'attività speculativa, al riciclaggio di denaro, all'evasione fiscale e alla compensazione del rischio. Il livello di globalizzazione e centralizzazione del capitale raggiunto significa che l'azione politica su scala mondiale deve non solo via via riprodurre ed estendere i modelli di accumulazione esistenti, ma anche aprirsi democraticamente alla sinistra e alle altre forze progressive e su di esse concentrare il proprio controllo. Una manifestazione concreta dell'insieme delle forme dirette del potere del capitale è il rapporto tra l'elevato grado di speculazione e penetrazione del capitale mondiale e quello che chiamo «nuove strutture costituzionali» che hanno fatto del libero accesso ai paesi dell'OCSE e ai paesi emergenti una condizione di politiche governative, favorendo l'isolamento dei processi economici e delle istituzioni di rappresentanza democratica (per esempio gli statuti e la prassi dell'Organizzazione mondiale del commercio). Una tale struttura di potere configura le condizioni politiche e costituzionali dei Programmi di Adattamento Strutturale e di altre forme di assistenza tecnico-finanziaria agli stati meno sviluppati (il Terzo mondo e l'ex blocco dell'Est), come, per esempio, le istituzioni finanziarie internazionali e l'Unione Europea. In questo contesto, di estensione e penetrazione del capitale come rapporto sociale, c'è l'intensificazione di un mutamento individuato da Marx nei Grundrisse nel passaggio dalla subordinazione formale del lavoro al capitale alla subordinazione reale (che corrisponde al passaggio dal lavoro per il capitale a quello come parte del capitale). Come è stato notato, ciò è legato anche ad una mercificazione diffusa della vita sociale (l'adattamento dei rapporti sociali alla dimensione del lavoro e alla natura delle merci). Il concetto marxiano di feticismo delle merci (il fatto che lo scambio nella forma del denaro maschera le condizioni reali e la lotta legata alla loro produzione) può essere visto in relazione al concetto espresso dalle posizioni culturali dominanti che hanno accompagnato questa trasformazione, nella misura in cui siamo in grado di identificare la forma sociale di base che esso presuppone: il modo in cui il sistema di mercato plasma prospettive, identità, aspettative e concezioni dello spazio sociale. Kees van der Pijl aggiunge che il capitale per eccellenza nell'attuale configurazione storica è costituito dalle forme istituzionali del capitale monetario, laddove questo si presenta come una massa concentrata, soggetta al controllo dei banchieri.[19] Come tale, confronta il lavoro come un «potere dominante e astratto». Tuttavia, lo stato deve anche intervenire per far fronte alla domanda di lavoro, per svolgere una funzione di controllo e di protezione del territorio, per sostenere il valore del denaro, ecc. Il che significa che è lo stato, col suo potere, a trovarsi nella posizione di principale responsabile: è infatti attraverso l'impiego del potere statale che i rappresentanti del capitalismo globale esercitano gran parte della loro influenza - cioè il potere del capitale è nello stesso tempo diretto e strutturale. Pertanto, la formazione sociale dominante del nostro tempo è data dal concetto neoliberale di "globalizzazione". In tale contesto, privatizzazione e transnazionalizzazione del capitale procedono insieme e, da un punto di vista sociale generale, sono insieme inevitabili o desiderabili. In questo senso, il concetto di globalizzazione assume aspetti ideologici positivi e al tempo stesso negativi. Un aspetto positivo è l'equazione di libera competizione e libero scambio (la mobilità del capitale totale) e l'efficienza economica, welfare e democrazia e un mito del progresso sociale potenzialmente illimitato, come mostrano gli spot pubblicitari televisivi o altri media, e i rapporti della Banca Mondiale e del Fondo monetario internazionale. L'aspetto negativo consiste nel fatto che le forze del mercato neoliberale hanno reso marginali ogni alternativa al sistema non incentrato sul mercato, in particolare quelle delle forze politiche di sinistra. Pertanto, alcuni vedono la globalizzazione come il dispiegarsi di un commerciale mito hegeliano del mercato capitalistico ("il modello di informazione globale"), come l'Idea Assoluta: i mercati finanziari mondiali, seppur forze enormi e implacabili, sembrano le sole in grado di "civilizzare" e governare positivamente.[20] Mentre alcuni eguagliano la globalizzazione neoliberale alla "fine della storia", altri sono meno ottimisti, come è implicito nell'invocazione dell'avvilito e patetico "Ultimo Uomo" di Nietzsche, per Fukuyama la vittoria del liberalismo è vittoria assoluta, ma anche vuota, dato che l'ultimo Uomo post-comunista (dove il liberalismo è la sola alternativa globale) è addirittura condannato alla noia: una ripetitività morbosa simula la morte, condizione che può essere alleviata dal satellite televisivo che manda in onda la Coppa mondiale di calcio.[21] Naturalmente, il processo di globalizzazione non è passibile di spiegazioni riduttive, poiché ha molti aspetti e dimensioni e coinvolge idee, immagini, simboli, musica, moda e una varietà di gusti e rappresentazioni di identità e comunità. Nelle sue attuali rappresentazioni ideologiche e mitiche, tuttavia, il concetto serve a reificare un sistema economico globale dominato da molti investitori istituzionali e società transnazionali che controllano il volume delle risorse produttive mondiali e che costituiscono i principali flussi nel commercio mondiale e nei mercati finanziari. Da una prospettiva storico-sociologica, allora, una caratteristica che contraddistingue la società mondiale contemporanea è il modo in cui sempre più aspetti della vita quotidiana nei paesi dell'OCSE vengono pervasi dai valori del mercato, dalle rappresentazioni e dai simboli, così come il tempo e la distanza appaiono ridotti dall'innovazione tecnologico-scientifica, dalla supermobilità del capitale finanziario e da vari tipi di flussi di informazione. Questo fenomeno ha caratterizzato molteplici aspetti della vita familiare, la pratica religiosa, l'impiego del tempo libero e la natura stessa. I processi di mercificazione hanno progressivamente circondato aspetti della vita fino a poco fa considerati inalienabili.[22] Sempre più spesso alle aziende agricole e farmaceutiche sono accordati i diritti sui geni umani e sui tessuti, su piante, semi e ibridi animali, incluso il DNA di "gente a rischio". Questi diritti di proprietà privata "intellettuale" stanno per essere internazionalizzati ed estesi nei regimi legali di tutto il mondo dalla nuova Organizzazione mondiale del commercio. Simili sviluppi si sono avuti, in molti dei paesi dell'OCSE, in occasione di qualche ridotto dibattito politico sull'impatto dell'ingegneria genetica e biotecnologica, per non dire della privatizzazione delle forme di vita.[23] Nello stesso tempo una vasta massa è praticamente esclusa dal godimento dei frutti della produzione mondiale. Possiamo, quindi, dire che la globalizzazione del XX secolo è forse compresa meglio come parte di un percorso storico più ampio di cambiamento strutturale della modernità. Le questioni legate a questo processo contribuiscono a dare forma e significato a un tipo di ordine mondiale che assume le vesti del dominio piuttosto che dell'egemonia, vale a dire che esso esercita forme di dominio su popolazioni che appaiono frammentate e su forme di resistenza localizzate. Però, l'apparente vittoria delle forze neoliberali legate al potere e alla ricchezza delle multinazionali non è né permanente né semplicemente occasionale. Il passaggio ad un sistema mondiale più globale non è completo, né è una trasformazione politica e sociale pienamente realizzata. Ma rimane vero che, come nota Kees van der Pijl, in una fase di globalizzazione neoliberale, e di «fatale inversione», il capitale appare come una forza che dà vita - o viviamo nel mercato mondiale o periamo - ; questo mentre circa il 30% della forza lavoro mondiale è disoccupata. Tuttavia Pijl ci ricorda che la tendenza di lungo termine verso la disparità tra le classi e il pauperismo è stata considerata da Marx come un segno di vecchiaia del capitale. Egli cita il rapporto del UNDP Human Development Report 1996, che metteva in evidenza come 358 plurimiliardari hanno concentrato risorse che oltrepassano le entrate annuali totali del 45% della popolazione mondiale, che è di 3,2 miliardi di persone, una concentrazione stupefacente di ricchezza che riflette il potere crescente del capitale nella lotta contro il lavoro su scala mondiale.[24] Resistenza ed egemonia: emergerà un nuovo mito-principe?Per rendere l'idea di questa lotta si può dire che quanto
ha cominciato ad emergere nella politica mondiale durante gli
anni '90 è qualcosa di simile al «doppio movimento» di
cui parla Polanyi. Il movimento in questione è il tentativo
dei movimenti storici antagonisti di riaffermare il controllo
sociale sul movimento di liberazione delle forze produttive del
capitale, determinando così scelte sociali alternative.
I due casi di cui parla Polanyi si riferiscono il primo alla
fine dell'Ottocento e l'altro al periodo tra le due guerre, dopo
i tentativi falliti negli anni '20 di restaurare un ordine economico
liberale sotto il predominio angloamericano.
[1] Ringrazio
Greg Chin per i preziosi suggerimenti e l'aiuto nella preparazione
di questo saggio, e Scott Redding con il quale ho discusso
il lavoro. Inoltre, sono molto grato a Donatella Di Benedetto
per la traduzione di questo saggio, e a Stephen Hellman per
i suoi utili consigli. [2] Le
associazioni private e le istittzioni sociali come la famiglia,
la scuola e la chiesa sono costituite e compenetrate dalla "società politica" e
insieme formano lo "stato allargato". Per un approfondimento
di questi rapporti in cui sono coinvolti ciò che chiamo "private
international relations councils", nonché multinazionali,
apparati di stato, sindacati, università, comitati di
esperti, ecc., operanti a livello transnazionale nella fase
compresa tra il 1945 al 1989, si veda Stephen Gill, AmericanHegemony
and Trilateral Commission, Cambridge University Press,
1990. [3] Antonio
Gramsci, Selections from the Prison Notebooks of Antonio
Gramsci, a cura di Q. Hoare e G. Nowell Smith, International
Publishers, New York, 1971, v. p. 210. [4] Tuttavia,
la rapida crescita della popolazione e il degrado dell'ambiente
su scala mondiale sono senza precedenti - ancora una volta
la fase di svolta sembra aver coinciso con l'emergere del capitalismo
industriale di fine Ottocento. A partire dal 1950 che si è avuta
un'accelerazione tale nell'espansione e nella portata di questo
processo, da poter affermare che quasi ogni mutamento ecologico
determinato dall'intervento umano si è prodotto a partire
da quella data, e la velocità di questo cambiamento è aumentata,
se pure con effetti diversi nelle varie regioni del pianeta. [5] Cfr. E.
Hobsbawm, Age of Extremes. The Short Twentieth Century
1914-1991, Michael Joseph, London, 1994. (Per l'edizione
italiana, E. Hobsbawm, Il secolo breve. 1914-1991: l'era
dei grandi cataclismi, Rizzoli, Milano, 1995). [6] L'ontologia
riguarda la conoscenza dell'universo, l'ordine cosmico e le
sue origini; la conoscenza del tempo e dello spazio, l'interazione
di forze sociali e natura. L'ontologia è connessa
ai principali modelli di riproduzione sociale, all'economia
politica di produzione e consumo, alla cultura e ai modelli
di civilizzazione. Essa comprende le nostre speranze, i dubbi,
le paure e le aspettative, la valutazione dei limiti e delle
potenzialità umane. Da un punto di vista gramsciano,
dunque, una trasformazione ontologica comprende un cambiamento
nella coscienza e nei processi di oggettivazione: le forme
di auto-creazione collettiva e il loro rapporto con la struttura.
Per una elaborazione di questo concetto si veda S. Gill, “Innovation
and Transformation in the Study of World Order,” in S.
Gill e J. H. Mittelman, Innovation and Transformation in
International Studies, Cambridge, University Press, 1997,
pp. 4-25. [7] A. Gramsci, Selections
from the Political Writings, 1910-20, a cura di Q. Hoare,
traduzione di J. Matthews, New York, International Publishers,
1977, p. 12. (Per l'edizione italiana, si veda A. Gramsci, Socialismo
e cutura, in Scritti giovanili 1914-1918, Einaudi, Torino,
1975, p. 25) [8] A proposito
delle idee o invenzioni di Bentham mai praticamente realizzate
(per esempio, il suo progetto di prigione perfetta/fabbrica/casa
dei poveri, il cosiddetto «Panopticon») e di altre
(per esempio le sue idee sulla pubblica amministrazione premesse
al concetto centrale di "sorveglianza") si veda K. Polanyi, The
Great Transformation: the Political and Economic Origins of
Our Times, Boston, Beacon Press, 1957. [9] Come nota
Ellen Wood, l'Economia politica inglese è stata un sistema
epistemologicamente fondato non sul razionalismo cartesiano
e sulla pianificazione razionale francese come tali, ma piuttosto
sulla «mano invisibile» dell'Economia politica
classica e la filosofia dell'empirismo con la sua ideologia
del "miglioramento", che sanciscono la supremazia della proprietà legata
all'etica e alla scienza della produttività e del profitto,
l'etica del recinto e dell'espropriazione, tutte elaborate
nell'opera di Locke e Petty. Per la Wood è qui l'origine
di ciò che chiama «modernità distruttiva» -
cioè la tendenza a subordinare i valori umani alla produttività e
al profitto. Cfr. E. Meiksins Wood, “Modernity, Postmodernity
or Capitalism?,” in Monthly review, vol. 48,
3, 1996, p. 34. [10] Seguendo
la "Gloriosa rivoluzione" del 1688 in Inghilterra, mentre i
crimini contro la proprietà erano sempre più severamente
puniti, a partire dal 1714 fu tollerato il dissenso protestante:
gli eretici non erano più messi al rogo. Come ironizza
Christopher Hill, «la Chiesa e il Sovrano cessarono di
dipendere, per affermare il loro potere, dal boia». Ci
fu un mutamento generale nella letteratura, come l'"assillante
dubbio" delle tragedie shakespeariane mentre i poemi di John
Donne erano superate dalle "superficiali certezze" di Alexander
Pope. Si profusero impegno ed energie sulla società e
l'universo, per esempio la meccanica newtoniana e la teoria
della gravitazione universale interpretarono l'universo come
una macchina che si auto-regola, mentre cominciavano ad emergere
le categorie di tempo, spazio, materia, moto, associati alla
scienza moderna. [11] Cfr. Robert
W. Cox, Production, Power and World Order: Social Forces
in the Making of History, New York, Columbia University
Press, 1987. [12] A. Gramsci,
Notebook 4, § 38, “Relations Between Structure
and Superstructures,” p. 177 sgg, in Prison Notebooks,
vol. II, New York, Columbia University Press, 1996. Traduzione
a cura di J. A. Buttigieg. Gramsci analizza gli avvenimenti
che si svolsero in Francia dal 1789 al 1870. Egli mette in
evidenza che è solo nel 1870-71, col tentativo comunalistico, «si
esauriscono storicamente» tutti i germi nati nel 1789,
cioè, quando la nuova classe «che lotta per il
potere» dimostra di essere vitale in confronto «al
vecchio e al nuovissimo». In realtà, le contraddizioni
interne della struttura sociale francese che si sviluppa dopo
il 1789 trovano la loro relativa composizione solo con la Terza
Repubblica, dopo diversi «rivolgimenti a ondate».
Gramsci sottolinea che solo attraverso lo studio accurato di
queste ondate (1789-1794; 1794-1815; 1815-1830; 1830-1848;
1848-1870) a oscillazioni più o meno lunghe, è possibile «fissare
i rapporti tra struttura e superstrutture da una parte» e
dall'altra «il permanente e l'occasionale». [13] Ellen
Wood afferma che il più importante modello storico dell'
economia politica del moderno e del capitalismo del XIX secolo è stata
l'Inghilterra e non gli stati continentali. Fa anche notare
che gran parte del progetto illuministico fu non solo pre-capitalista,
ma non capitalista, per esempio lo Stato assoluto è stato «uno
strumento centralizzato di estrazione di surplus extraeconomico.
In questo contesto, lo stato è una forma di proprietà che
dà accesso ai suoi possessori al sovrappiù prodotto
dai contadini», Ellen Meiksins Wood, “Modernity,
Postmodernity or Capitalism?,” in Monthly Review,
vol. 48, n. 3, 1996, pp. 29-30. [14] Cfr.,
E. Hobsbawm mette in evidenza che superati gli "anni d'oro",
tra il 1950 e il 1970, siamo ora al centro di una nuova età di
incertezze, di decomposizione e crisi mondiale a livello economico,
politico e sociale. Ciò implica un mutamento dell' auto-coscienza
dell'epoca presente. Evidenza di tutto questo si trova in tanti
scritti del passato ventennio, contrassegnato dal prefisso "post-".
E. Hobsbawm, op. cit. [15] Per una
prima elaborazione di questo concetto di blocco storico, si
veda Stephen Gill e David Law, “Global Hegemony and the
Structural Power of Capital,” in International Studies
Quarterly, 1989, vol. 36, pp. 475-99. [16] Cfr. “A
Survey of Multinationals,” The Economist, 27
marzo 1993. [17] Cfr.
UN Research Institute for Social Development, States of
Disarray. The Social Effects of Globalization, UNRISD,
Ginevra, 1995, p. 154. [18] Cfr.
Morris Miller, “Where is Global Interdipendence Taking
Us?,” Futures, vol. 27, n. 2, 1995, pp. 125-144.
Miller cita le statistiche della Bank for International Settlements. [19] Cfr.
Kees van der Pijl, Transnational Historical Materialism,
University of Amsterdam, Mimeo, 1996, pp. 27-30. [20] Cfr.
Walter Wriston, The Twilight of Sovereignty. How the Information
Revolution is Transforming Our World, New York, Scribner's,
1992. [21] Francis
Fukyama, The End of History and the Last Man, New
York, Avon Books, 1992, p. 319. [22] Herbert
Gottweis, “Genetic Engineering, Democracy, and the Politics
of Identity,” in Social Text, 1995, vol. 13,
pp. 127-52. [23] John
Vidal e John Carvel, “Like Lambs to the Gene Market,” in Guardian
Weekly, 1 gennaio 1995, p. 17. Sulla mercificazione del
corpo umano che coivolge la vendita di ovuli, sperma, reni
e brevetti di geni, si veda Andrew Kimbrell, “The Body
Enclosed. The Commodification of Human 'Parts',” in The
Ecologist, vol. 25n. 4, luglio-agosto 1995, pp. 134-40.
Ringrazio David Law per questo riferimento. [24] Cfr.
Kees van der Pijl, Transnational Historical Materialism:
an Outline, University of Amsterdam, Mimeo, 1996, p. 52. [25] Cfr.
Giovanni Arrighi, “The Three Hegemonies of Historical
Capitalism,” in Gramsci, Historical Materialism and
International Relations, a cura di Stephen Gill, Cambridge,
Cambridge University Press, 1993, pp. 148-65. [26] Cfr.
Kees Van der Pijl, Transnational Historical Materialism,
University of Amsterdam, Mimeo, 1996, p. 55. [27] Un murale
di Quinta del Sordo poi trasferito in tela , 1819-23, ora al
Museo del Prado. Si veda J. F. Chalbrun, Goya, Londra, Thames
and Hudson, 1965, p. 228. [28] Antonio
Gramsci, Selections from the Prison Notebooks of Antonio
Gramsci, a cura di Q. Hoare e G. Nowell Smith, New York,
International Publishers, 1971, p. 129. (Per la traduzione
italiana si veda A. Gramsci, Quaderni del carcere,
edizione critica dell'Istituto Gramsci, a cura di V. Gerratana,
cit. p. 1558). [29] Cfr.
Enrico Augelli e Craig Murphy, Consciousness, “Mith and
Collective Action: Gramsci, Sorel and the Ethical State,” in Innovation
and Tranformation in International Studies, a cura di
Stephen Gill e James H. Mittelman, Cambridge, Cambridge University
Press, 1997, pp. 25-38. [30] Si veda
Susan Buck-Morss, The Dialectics of Seeing: Walter Benjamin
and the Arcades Project, Cambridge, Mass, MIT Press, 1989,
pp. 253-343. [31] Cfr.
Raymond Williams, “Advertising: the Magic System" in
Simon During, ed. The Cultural Studies Reader, London,
Routledge, 1993, pp. 320-36. Stephen
Gill è Professor of Political Science
at York University, Toronto, ON, Canada |