Antonio Gramsci
Elementi di politica
L’indifferenza |
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[SM, p. 228]
È
invero la molla più forte della storia.
Ma, a
rovescio. Ciò che succede, il male che si abbatte su di
tutti, il possibile bene che un atto di valore generale può
generare non è tutto dovuto all’iniziativa dei pochi
che fanno, quanto all’indifferenza, all’assenteismo
dei molti. Ciò che avviene, non avviene tanto perché
alcuni vogliono che avvenga, quanto perché la massa dei
cittadini abdica alla sua volontà, e li lascia fare, e
lascia aggruppare i nodi che poi solo la spada può tagliare,
e lascia salire al potere degli uomini che poi solo un ammutinamento
può rovesciare. La fatalità che sembra dominare
la storia è appunto l’apparenza illusoria di questa
indifferenza, di questo assenteismo. Dei fati maturano nell’ombra,
perché mani non sorvegliate da nessun controllo tessono
la tela della vita collettiva, e la massa ignora. I destini di
una epoca sono manipolati seconda delle visioni ristrette, degli
scopi immediati di piccoli gruppi attivi, e la massa dei cittadini
ignora. Ma i fatti che hanno maturato vengono a sfociare, ma la
tela tessuta nell’ombra arriva a compimento, e allora sembra
che la fatalità travolga tutto e tutti, che la storia non
sia che un enorme fenomeno naturale, un’eruzione, un terremoto,
del quale rimangono vittima tutti, chi ha voluto e chi non ha
voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo, chi
indifferente. E quest’ultimo si irrita, vorrebbe sottrarsi
alle conseguenze, vorrebbe che apparisse chiaro che egli non ha
voluto, che egli è irresponsabile. E alcuni piagnucolano
pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno, o pochi,
si domandano: se avessi anch’io fato il mio dovere di uomo,
se avessi cercato di far valere la mia voce, il mio parere, la
mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo?
Ma nessuno, o pochi, si fanno una colpa della loro indifferenza,
del loro scetticismo, del non aver dato il loro appoggio morale
e materiale a quei gruppi politici ed economici, che, appunto
per evitare quel tal male, combattevano, di procurare quel tal
bene si proponevano. Costoro invece preferiscono parlare di fallimenti
di idee, di programmi definitivamente crollati e di altre simili
piacevolezze. Continuano, nella loro indifferenza, nel loro scetticismo.
Domani ricominceranno nella loro vita di assenteismo da ogni responsabilità
diretta o indiretta. E non è a dire che non vedano chiaro
nelle cose, che non siano capaci di prospettarci delle bellissime
soluzioni dei problemi più attualmente urgenti, o di quelli
che vogliono più ampia preparazione, e più tempo,
ma che sono altrettanto urgenti. Ma queste soluzioni rimangono
bellissimamente infeconde, ma questo contributo alla vita collettiva
non è animato da alcuna luce morale; è conseguenza
di una curiosità intellettuale, non di pungente senso di
responsabilità storica che vuole tutti attivi nella vita,
nell’azione, che non ammette agnosticismi ed indifferenze
di nessun genere. E bisogna perciò educare questa sensibilità
nuova, bisogna farla finita con i piagnistei inconcludenti degli
eterni innocenti. Bisogna domandar conto a ognuno di come ha svolto
il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente,
di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non
ha fatto. Bisogna che la catena sociale non pesi solo su pochi,
ma che ogni cosa che succede non sembri dovuta al caso, alla fatalità,
ma sia intelligente opera degli uomini. E perciò è
necessario che spariscano gli indifferenti, gli scettici,
quelli che usufruiscono del poco bene che l’attività
di pochi procura, e non vogliono prendersi la responsabilità
del molto male che la loro assenza dalla lotta lascia preparare
e succedere.
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