[Q 6, p. 771 (PP, p. 84)] Può esistere politica, cioè storia in atto, senza ambizione? “L’ambizione” ha assunto un significato deteriore e spregevole per due ragioni principali: 1) perché è stata confusa l’ambizione (grande) con le piccole ambizioni; 2) perché l’ambizione ha troppo spesso condotto al più basso opportunismo, al tradimento dei vecchi principi e delle vecchie formazioni sociali che avevano dato all’ambizioso le condizioni per passare a servizio più lucrativo e di più pronto rendimento. In fondo, anche questo secondo motivo si può ridurre al primo: si tratta di piccole ambizioni, poiché hanno fretta e non vogliono aver da superare soverchie difficoltà o troppo grandi difficoltà, o correre troppo grandi pericoli. È nel carattere di ogni capo di essere ambizioso, cioè di aspirare con ogni sua forza all’esercizio del potere statale. Un capo non ambizioso non è un capo, ed è un elemento pericoloso per i suoi seguaci: egli è un inetto o un vigliacco. Ricordare l’affermazione di Arturo Vella: [1] “Il nostro partito non sarà mai partito di governo”, cioè sarà sempre partito di opposizione: ma che significa proporsi di stare sempre all’opposizione? Significa preparare i peggiori disastri, perché, se l’essere alla opposizione è comodo per gli oppositori, non è “comodo” (a seconda, naturalmente, delle forze oppositrici e della loro natura) per i dirigenti del governo, i quali a un certo punto dovranno porsi il problema di spezzare l’opposizione. La grande ambizione, oltre che necessaria per la lotta, non è neanche spregevole moralmente, tutt’altro: tutto sta a vedere se l’“ambizioso” si eleva dopo aver fatto il deserto intorno a sé, o se il suo elevarsi è condizionato consapevolmente dall’elevarsi di tutto uno strato sociale e se l’ambizioso vede appunto la propria elevazione come elemento dell’elevazione generale. Di solito, si vede la lotta delle piccole ambizioni (del proprio particulare) [2] contro la grande ambizione (che è indissolubile dal bene collettivo). Queste osservazioni sull’ambizione possono e devono essere collegate con altre sulla così detta demagogia. “Demagogia” vuoI dire parecchie cose: nel senso deteriore, significa servirsi delle masse popolari, delle loro passioni sapientemente eccitate e nutrite, per i propri fini particolari, per le proprie piccole ambizioni (il parlamentarismo e l’elezionismo offrono un terreno propizio per questa forma particolare di demagogia, che culmina nel cesarismo e nel bonapartismo [3] coi suoi regimi plebiscitari. Ma se il capo non considera le masse umane come uno strumento servile, buono per raggiungere i propri scopi e poi da buttar via, ma tende a raggiungere fini politici organici di cui queste masse sono il necessario protagonista storico, se il capo svolge opera “costituente” costruttiva, allora si ha una “demagogia” superiore; le masse non possono non essere aiutate a elevarsi attraverso l’elevarsi di singoli individui e di intieri strati “culturali”. Il “demagogo” deteriore pone se stesso come insostituibile, crea il deserto intorno a sé, sistematicamente schiaccia ed elimina i possibili concorrenti, vuole entrare in rapporto con le masse direttamente (plebiscito, ecc.; grande oratoria, colpi di scena, apparato coreografico fantasmagorico: si tratta di ciò che Michels [4] ha chiamato “capo carismatico”). Il capo politico dalla grande ambizione, invece, tende a suscitare uno stato intermedio tra se e la massa, a suscitare possibili “concorrenti” ed uguali, ad elevare il livello di capacità delle masse, a creare elementi che possano sostituirlo nella funzione di capo. Egli pensa secondo gli interessi della massa, e questi vogliono che un apparecchio di conquista e di dominio non si sfasci per la morte o il venir meno del singolo capo, ripiombando la massa nel caos e nell’impotenza primitiva, Se è vero che ogni partito è partito di una sola classe, il capo deve poggiare su di questa ed elaborarne uno stato maggIore e tutta una gerarchia; se il capo è di origine “carismatica”, deve rinnegare la sua origine e lavorare a rendere organica la funzione della direzione, organica e coi caratteri della permanenza e continuità.[1]
A. Vella (1886-1943), dirigente del PSI. |