Antonio Gramsci
Elementi di politica
La
formazione degli intellettuali |
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[Q 12,
p. 1513 (INT, p. 3)]
Gli
intellettuali sono un gruppo sociale autonomo e indipendente,
oppure ogni gruppo sociale ha una sua propria categoria specializzata
di intellettuali? Il problema è complesso per le varie
forme che ha assunto finora il processo storico reale di formazione
delle diverse categorie intellettuali.
Le
più importanti di queste forme sono due:
1)
Ogni gruppo sociale, nascendo sul terreno originario di una funzione
essenziale nel mondo della produzione economica si crea insieme,
organicamente, uno o più ceti di intellettuali che gli
danno omogeneità e consapevolezza della propria funzione
non solo nel campo economico, ma anche in quello sociale e politico:
l’imprenditore capitalistico crea con sé il tecnico
dell’industria, lo scienziato dell’economia politica,
l’organizzatore di una nuova cultura, di un nuovo diritto,
ecc. ecc. Occorre notare il fatto che l’imprenditore rappresenta
una elaborazione sociale superiore, già caratterizzata
da una certa capacità dirigente e tecnica (cioè
intellettuale): egli deve avere una certa capacità tecnica,
oltre che nella sfera circoscritta della sua attività e
della sua iniziativa, anche in altre sfere, almeno in quelle più
vicine alla produzione economica (deve essere un organizzatore
di masse d’uomini; deve essere un organizzatore della “fiducia”
dei risparmiatori nella sua azienda, dei compratori della sua
merce, ecc.).
Se
non tutti gli imprenditori, almeno una élite di essi deve
avere una capacità di organizzatore sella società
in generale, in tutto il suo complesso organismo di servizi, fino
all’organismo statale, per la necessità di creare
le condizioni più favorevoli alla espansione della propria
classe - o deve possedere per lo meno la capacità di scegliere
i”commessi” (impiegati specializzati) cui affidare
questa attività organizzatrice dei rapporti generali esterni
all’azienda. Si può osservare che gli intellettuali
“organici” [1] che ogni nuova classe
crea con se stessa ed elabora nel suo sviluppo progressivo sono
per lo più “specializzazioni” di aspetti parziali
dell’attività primitiva del tipo sociale nuovo che
la nuova classe ha messo in luce.
Anche
i signori feudali [2] erano detentori di una
particolare capacità tecnica, quella militare, ed è
appunto dal momento in cui l’aristocrazia perde i monopolio
della capacità tecnico-militare che si inizia la crisi
del feudalIsmo. Ma la formazione degli intellettualI nel mondo
feudale e nel precedente mondo classico è una quistione
da esaminare a parte: questa formazione ed elaborazione segue
vie e modi che occorre studiare concretamente. Così è
da notare che la massa dei contadini, quantunque svolga una funzione
essenziale neI mondo della produzione, non elabora propri intellettuali
“organici” e non “assimila” nessun ceto
di intellettuali “tradizionali”, quantunque dalla
massa dei contadini altri gruppi sociali tolgano molti dei loro
intellettuali e gran parte degli intellettuali tradizionali siano
di origine contadina.
2)
Ma ogni gruppo sociale “essenziale” [3] emergendo alla storia dalla precedente struttura economica e come
espressione di un suo sviluppo (di questa struttura), ha trovato,
almeno nella storia finora svoltasi, categorie intellettuali preesistenti
e che anzi apparivano come rappresentanti una continuità
storica ininterrotta anche dai più complicati e radicali
mutamenti delle forme sociali e politiche.
La
più tipica di queste categorie intellettuali è quella
degli ecclesiastici, monopolizzatori per lungo tempo (per un’intera
fase storica [4] che anzi da questo monopolio
è in parte caratterizzata) di alcuni servizi importanti:
l’ideologia religiosa cioè la filosofia e la scienza
dell’epoca, con la scuola, l’istruzione, la morale,
la giustizia, la beneficenza, ecc. La categoria degli ecclesiastici
può essere considerata la categoria intellettuale organicamente
legata all’aristocrazia fondiaria: era equiparata giuridicamente
all’aristocrazia, con cui divideva l’esercizio della
proprietà feudale della terra e l’uso dei privilegi
statali legati alla proprietà. Ma il monopolio delle superstrutture
[5] da parte degli ecclesiastici non è
stato esercitato senza lotta e limitazioni, e quindi si è
avuto il nascere, in varie forme (da ricercare e studiare concretamente),
di altre categorie, favorite e ingrandite dal rafforzarsi del
potere centrale del monarca, fino all’assolutismo. Così
si viene formando l’aristocrazia della toga, [6]
con i suoi propri privilegi, un ceto di amministratori, ecc.;
scienziati, teorici, filosofi non ecclesiastici, ecc. [7]
Siccome
queste varie categorie di intellettuali tradizionali sentono con
“spirito di corpo” la loro ininterrotta continuità
e storica e la loro “qualifica”, così essi
pongono se stessi come autonomi e indipendenti dal gruppo sociale
dominante. Questa auto-posizione non è senza conseguenze
nel campo ideologico e politico, conseguenze di vasta portata:
tutta la filosofia idealista si può facilmente connettere
con questa posizione assunta dal complesso sociale degli intellettuali
e si può definire l’espressione di questa utopia
sociale per cui gli intellettuali si credono “indipendenti”,
autonomi, rivestiti di caratteri loro propri, ecc. [8]
Da
notare però che se il Papa e l’alta gerarchia della
Chiesa si credono più legati a Cristo e agli apostoli di
quanto non siano ai senatori Agnelli e Benni, [9] lo stesso non è per Gentile e Croce, [10]
per esempio; il Croce, specialmente, si sente legato fortemente
ad Aristotele e a Platone, ma egli non nasconde, anzi, di essere
legato ai senatori Agnelli e Benni e in ciò appunto è
da ricercare il carattere più rilevante della filosofia
del Croce.
Quali
sono i limiti “massimi” dell’accezione di “intellettuale”?
Si può trovare un criterio unitario per caratterizzare
ugualmente tutte le diverse e disparate attività intellettuali
e per distinguere queste nello stesso tempo e in modo essenziale
dalle attività degli altri raggruppamenti sociali? L’errore
metodico più diffuso mi pare quello di aver cercato questo
criterio di distinzione nell’intrinseco delle attività
intellettuali e non invece nell’insieme del sistema di rapporti
in cui esse (e quindi i gruppi che le impersonano) vengono a trovarsi
nel complesso generale dei rapporti sociali. E invero l’operaio
o proletario, per esempio, non è specificatamente caratterizzato
dal lavoro manuale o strumentale ma da questo lavoro in determinate
condizioni e in determinati rapporti sociali (a parte la considerazione
che non esiste lavoro puramente fisico e che anche l’espressione
del Taylor [11] di “gorilla ammaestrato”
è una metafora per indicare un limite in una certa direzione:
in qualsiasi lavoro fisico, anche il più meccanico e degradato,
esiste un minimo di qualifica tecnica, cioè un minimo di
attività intellettuale creatrice). Ed è stato già
osservato che l’imprenditore, per la sua stessa funzione,
deve avere in una certa misura un certo numero di qualifiche di
carattere intellettuale, sebbene la sua figura sociale sia determinata
non da esse ma dai rapporti generali sociali che appunto caratterizzano
la posizione dell’imprenditore nell’industria.
Tutti
gli uomini sono intellettuali, si potrebbe dire perciò;
ma non tutti gli uomini hanno nella società la funzione
di intellettuali (così, perché può capitare
che ognuno in qualche momento si frigga due uova o si cucisca
uno strappo della giacca, non si dirà che tutti sono cuochi
o sarti). […]
Si
formano così storicamente delle categorie specializzate
per l’esercizio della funzione intellettuale, si formano
in connessione con tutti i gruppi sociali ma specialmente in connessione
coi gruppi sociali più importanti e subiscono elaborazioni
più estese e complesse in connessione col gruppo sociale
dominante. Una delle caratteristiche più rilevanti di ogni
gruppo che si sviluppa vero il dominio è la sua lotta per
l’assimilazione e la conquista “ideologica”
degli intellettuali tradizionali, assimilazione e conquista che
è tanto più rapida ed efficace quanto più
il gruppo dato elabora simultaneamente i propri intellettuali
organici.
L’enorme
sviluppo preso dall’attività e dall’organizzazione
scolastica (in senso largo) nelle società sorte dal mondo
medioevale indica quale importanza abbiano assunto nel mondo
moderno le categorie e le funzioni intellettuali: come si è
cercato di approfondire e dilatare l’“intellettualità”
di ogni individuo, così si è anche cercato di moltiplicare
le specializzazioni e di affinarle. Ciò risulta dalle istituzioni
scolastiche di diverso grado, fino agli organismi per promuovere
la così detta “alta cultura”, in ogni campo
della scienza e della tecnica.
La
scuola è lo strumento per elaborare gli intellettuali di
vario grado. La complessità della funzione intellettuale
nei diversi Stati si può misurare obiettivamente dalla
quantità delle scuole specializzate e dalla loro gerarchizzazione:
quanto più è estesa l’“area” scolastica
e quanto più numerosi i “gradi verticali” della
scuola, tanto più è complesso il mondo culturale,
la civiltà, di un determinato Stato. Si può avere
un termine di paragone nella sfera della tecnica industriale:
l’industrializzazione di un paese si misura alla sua attrezzatura
nella costruzione di macchine per costruire macchine e nella fabbricazione
di strumenti sempre più precisi per costruire macchine
e strumenti per costruire macchine ecc. Il paese che ha la migliore
attrezzatura per costruire strumenti per i gabinetti sperimentali
degli scienziati e per costruire strumenti per collaudare questi
strumenti, si può dire il più complesso pel campo
tecnico-industriale, il più civile ecc. Così è
nella preparazione degli intellettuali e nelle scuole dedicate
a questa preparazione; scuole e istituti di alta cultura sono
assimilabili. Anche in questo campo la quantità non può
scindersi dalla qualità. Alla più raffinata specializzazione
tecnico-culturale non può non corrispondere la maggiore
estensione possibile della diffusione dell’istruzione primaria
e la maggiore sollecitudine per favorire i gradi intermedi al
più gran numero. Naturalmente questa necessità di
creare la più larga base possibile per la selezione e l’elaborazione
delle più alte qualifiche intellettuali - di dare cioè
all’alta cultura e alla tecnica superiore una struttura
democratica - non è senza inconvenienti: si crea così
la possibilità di vaste crisi di disoccupazione degli strati
intermedi intellettuali come avviene di fatto in tutte le società
moderne.
Da
notare che l’elaborazione dei ceti intellettuali nella realtà
concreta non avviene su un terreno democratico astratto, ma secondo
processi storici tradizionali molto concreti. Si sono formati
dei ceti che tradizionalmente “producono” intellettuali
e sono quelli stessi che di solito sono specializzati nel “risparmio”,
cioè la piccola e media borghesia terriera e alcuni strati
della piccola e media borghesia cittadina. La diversa distribuzione
dei diversi tipi di scuole (classiche e professionali) nel territorio
“economico” e le diverse aspirazioni delle varie categorie
di questi ceti determinano o danno forma alla produzione dei diversi
rami di specializzazione intellettuale. Così in Italia
la borghesia rurale produce specialmente funzionari statali e
professionisti liberi, mentre la borghesia cittadina produce tecnici
per l’industria: e perciò l’Italia settentrionale
produce specialmente tecnici e l’Italia meridionale specialmente
funzionari e professionisti.
Il
rapporto tra gli intellettuali e il mondo della produzione non
è immediato, come avviene per i gruppi sociali fondamentali,
ma è “mediato”, in diverso grado, da tutto
il tessuto sociale, dal complesso delle superstrutture, di cui
appunto gli intellettuali sono i ”funzionari”. Si
potrebbe misurare l’“organicità”
dei diversi strati intellettuali, la loro più o meno stretta
connessione con un gruppo sociale fondamentale, fissando una gradazione
delle funzioni e delle soprastrutture dal basso in alto (dalla
base strutturale in su). Si possono, per ora, fissare due grandi
“piani” superstrutturali, quello che si può
chiamare della “società civile”, cioè
dell’insieme di organismi volgarmente detti “privati”
e quello della “società politica o Stato” e
che corrispondono alla funzione di “egemonia” che
il gruppo dominante esercita in tutta la società e a quella
di “dominio diretto” e di comando che si esprime nello
Stato e nel governo “giuridico”. Queste funzioni sono
precisamente organizzative e connettive. Gli intellettuali sono
i ”commessi” del gruppo dominante per l’esercizio
delle funzioni subalterne dell’egemonia sociale e del governo
politico, cioè: 1) del consenso “spontaneo”
dato dalle grandi masse della popolazione all’indirizzo
impresso alla vita sociale dal gruppo fondamentale dominante,
consenso che nasce “storicamente” dal prestigio (e
quindi dalla fiducia) derivante al gruppo dominante, dalla sua
posizione e dalla sua funzione nel mondo della produzione; 2)
dell’ apparato di coercizione statale che assicura “legalmente”
la disciplina di quei gruppi che non “consentono”
né attivamente né passivamente, ma è costituito
per tutta la società in previsione dei momenti di crisi
nel comando e nella direzione in cui il consenso spontaneo viene
meno.
Questa
impostazione del problema dà come risultato una estensione
molto grande del concetto di intellettuale, ma solo così
è possibile giungere a una approssimazione concreta della
realtà. Questo modo di impostare la quistione urta contro
preconcetti di casta: è vero che la stessa funzione organizzativa
dell’egemonia sociale e del dominio statale dà luogo
a una certa divisione del lavoro e quindi a tutta una gradazione
di qualifiche, in alcune delle quali non appare più alcuna
attribuzione direttiva e organizzativa: nell’apparato di
direzione sociale e statale esiste una serie di impieghi di carattere
manuale e strumentale (di ordine e non di concetto, di agente
e non di ufficiale o funzionario, ecc.); ma evidentemente occorre
fare questa distinzione, come occorrerà farne anche qualche
altra. Infatti l’attività intellettuale deve essere
distinta in gradi anche dal punto di vista intrinseco, gradi che
nei momenti di estrema opposizione danno una vera e propria differenza
qualitativa: nel più alto gradino saranno da porre i creatori
delle varie scienze, della filosofia, dell’arte, ecc.; nel
più basso, i più umili “amministratori”
divulgatori della ricchezza intellettuale già esistente,
tradizionale, accumulata. L’organismo militare anche in
questo caso appare un modello di queste complesse graduazioni:
ufficiali subalterni, ufficiali superiori, stato maggiore, e non
bisogna dimenticare i graduati di truppa, la cui importanza reale
è superiore a quanto di solito si pensi. È
interessante notare che tutte queste parti si sentono solidali.
Nel
mondo moderno, la categoria degli intellettuali, così intesa,
si è ampliata in modo inaudito. Sono state elaborate dal
sistema sociale democratico-burocratico masse imponenti, non tutte
giustificate dalle necessità sociali della produzione,
anche se giustificate dalle necessità politiche del gruppo
fondamentale dominante. Quindi la concezione loriana del “lavoratore”
improduttivo [12] (ma improduttivo per riferimento
a chi e a quale modo di produzione?), che potrebbe in parte giustificarsi
se si tiene conto che queste masse sfruttano la loro posizione
per farsi assegnare taglie ingenti sul reddito nazionale. La formazione
di massa ha standardizzato gli individui e come qualifica individuale
e come psicologia, determinando gli stessi fenomeni che in tutte
le altre masse standardizzate: concorrenza che pone la necessità
dell’organizzazione professionale di difesa, disoccupazione,
superproduzione scolastica, emigrazione, ecc..
[1] L’intellettuale organico (uno dei concetti fondamentali
elaborati da G.) nasce “sul terreno originario di una
funzione essenziale nel mondo della produzione economica.”
[2] I feudi erano “privilegi” (in
genere dei terreni) concessi dal re in cambio di servizi, soprattutto
di tipo militare, a un signore locale, che di fatto esercitava
tutti i poteri. All’interno del feudo si cercava di produrre
tutto ciò che era necessario: molto limitati erano così
gli scambi e i contadini erano indissolubilmente legati alla terra
che coltivavano. Il feudalesimo si diffuse in Europa con i Franchi
nel secolo VIII e fu definitivamente spazzato via solo dalle rivoluzioni
borghesi (con la nota eccezione della Russia, dove la servitù
della gleba fu abolita dallo zar Alessandro II solo nel 1861).
[3] “Essenziali” sono i gruppi sociali
(classi), come la borghesia e il proletariato, storicamente in
grado di assumere il potere e la direzione delle altre classi.
[4] Il medioevo.
[5] Vedi note in Analisi delle situazioni:
rapporti di forza.
[6] I giuristi e gli avvocati.
[7] La cultura laica che andò formandosi
nelle monarchie assolute europee e nelle Signorie in Italia, per
le necessità amministrative e diplomatiche, e per le esigenze
di prestigio culturale delle corti.
[8] Il rapporto fra l’“utopia”
che fa credere agli intellettuali di essere indipendenti dalle
classi dominanti, e le concezioni “idealistiche”,
sta nel fatto che secondo tali opinioni è il pensiero,
l’Idea, che crea la realtà, e non viceversa.
[9] Due tra i maggiori esponenti del capitalismo
italiano, primi azionisti rispettivamente di FIAT e Montecatini.
[10] Benedetto Croce (1866-1952) e Giovanni Gentile
(1875-1944), i due principali esponenti della filosofia idealistica
italiana: essi, e in particolare Croce, hanno esercitato una fortissima
influenza sulla cultura italiana. G. se ne occupò diffusamente
in Il materialismo storico e la filosofia di Benedetto Croce.
Croce smentì di aver conosciuto i due, ma G. allude non
a un legame materiale, bensì al fatto che Croce si sarebbe
fatto interprete, nell’ambito culturale, degli orientamenti
della grande borghesia italiana.
[11] Cfr. nota in L’uomo individuo
e l’uomo massa.
[12] La nozione di “lavoratore improduttivo”
è svolta nel Corso di economia politica di Achille
Loria (1909): improduttivi sarebbero “i poeti, i filosofi,
gli scrittori di ogni genere, i medici, gli avvocati, i professori,
ecc.”: essi sarebbero in contrasto con i “proprietari”
(capitalisti) perché i proprietari vorrebbero aumentarne
il numero per pagare di meno i loro servizi, mentre il loro interesse
sarebbe l’opposto. Loria (1857-1943), economista cui si
devono alcune delle più stravaganti deformazioni delle
teorie marxiane, fu bersaglio dell’ironia di G. che lo assunse
a simbolo dell’ignoranza paludata dei pseudomarxisti.
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