Antonio Gramsci
Elementi di politica
Essere e dover essere |
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[Q 13,
p. 1576 (MAC, p. 46)]
Altro
punto da fissare e da svolgere è quello della “doppia
prospettiva” nell’azione politica e nella vita statale.
[1] Vari gradi in cui può presentarsi
la doppia prospettiva, dai più elementari ai più
complessi, ma che possono ridursi teoricamente a due gradi fondamentali,
corrispondenti alla doppia natura del Centauro machiavellico,
[2] ferina ed umana, della forza e del consenso,
dell’autorità e dell’egemonia, della violenza
e della civiltà, del momento individuale e di quello universale
(della “Chiesa” e dello “Stato”), dell’agitazione
e della propaganda, della tattica e della strategia, ecc.. Alcuni
hanno ridotto la teoria della “doppia prospettiva”
a qualcosa di meschino e di banale, a niente altro cioè
che a due forme di “immediatezza” che si succedono
meccanicamente nel tempo con maggiore o minore “prossimità”.
Può invece avvenire che quanto più la prima “prospettiva”
è “immediatissima”, elementarissima, tanto
più la seconda debba essere “lontana” (non
nel tempo, ma come rapporto dialettico), complessa, elevata, cioè
può avvenire come nella vita umana, che quanto più
un individuo è costretto a difendere la propria esistenza
fisica immediata, tanto più sostiene e si pone dal punto
di vista di tutti i complessi e più elevati valori della
civiltà e dell’umanità.
Il
“troppo” (e quindi superficiale e meccanico) realismo
politico porta spesso ad affermare che l’uomo di Stato deve
operare solo nell’ambito della “realtà effettuale”,
non interessarsi dei “dover essere”, ma solo dell’“essere”.
Ciò significherebbe che l’uomo di Stato non deve
avere prospettive oltre la lunghezza del proprio naso. Questo
errore ha condotto Paolo Treves a trovare nel Guicciardini, e
non nel Machiavelli, il “vero politico”. [3]
Bisogna
distinguere oltre che tra “diplomatico” e “politico”,
anche tra scienziato della politica e politico in atto. Il diplomatico
non può non muoversi solo nella realtà effettuale,
perché la sua attività specifica non è quella
di creare nuovi equilibri, ma di conservare entro certi quadri
giuridici un equilibrio esistente. Così anche lo scienziato
deve muoversi solo nella realtà effettuale in quanto mero
scienziato. Ma il Machiavelli non è un mero scienziato;
egli è un uomo di parte, di passioni poderose, un politico
in atto, che vuol creare nuovi rapporti di forze e perciò
non può non occuparsi del “dover essere”, certo
non inteso in senso moralistico. La quistione non è quindi
da porre in questi termini, è più complessa: si
tratta cioè di vedere se il “dover essere”
è un atto arbitrario o necessario, è volontà
concreta, o velleità, desiderio, amore con le nuvole. Il
politico in atto è un creatore, un suscitatore, ma né
crea dal nulla, né si muove nel vuoto torbido dei suoi
desideri e sogni. Si fonda sulla realtà effettuale, ma
cos’è questa realtà effettuale? È forse
qualcosa di statico e immobile o non piuttosto un rapporto di
forze in continuo movimento e mutamento di equilibrio? Applicare
la volontà alla creazione di un nuovo equilibrio delle
forze realmente esistenti ed operanti, fondandosi su quella determinata
forza che si ritiene progressiva, e potenziandola per farla trionfare
è sempre muoversi nel terreno della realtà effettuale,
ma, per dominarla e superarla (o contribuire a ciò). Il
“dover essere” è quindi concretezza, anzi è
la sola interpretazione realistica e storicistica della realtà,
è sola storia in atto e filosofia in atto, sola politica.
L’opposizione Savonarola-Machiavelli [4]
non è l’opposizione tra essere e dover essere (tutto
il paragrafo del Russo su questo punto è pura bellettristica)
[5] ma tra due dover essere, quello astratto
e fumoso del Savonarola e quello realistico del Machiavelli, realistico
anche se non diventato realtà immediata, poiché
non si può attendere che un individuo o un libro mutino
la realtà ma solo la interpretino e indichino la linea
possibile dell’azione. […] Il limite e l’angustia
del Machiavelli consistono solo nell’essere egli stato una
“persona privata”, uno scrittore, e non il capo di
uno Stato o di un esercito, che è pure una singola persona,
ma avente a sua disposizione le forze di uno Stato o di un esercito
e non solo eserciti di parole. Né perciò si può
dire che il Machiavelli sia stato anche egli un “profeta
disarmato”: sarebbe fare dello spirito a troppo a buon mercato.
Il Machiavelli non dice mai di pensare o di proporsi egli stesso
di mutare la realtà ma solo e concretamente di mostrare
come avrebbero dovuto operare le forze storiche per essere efficienti.
È
certo che prevedere significa solo veder bene il presente e il
passato in quanto movimento; veder bene, cioè identificare
con esattezza gli elementi fondamentali e permanenti del processo.
Ma è assurdo pensare a una previsione puramente “oggettiva”.
Chi fa la previsione in realtà ha un “programma”
da far trionfare e la previsione è appunto un elemento
di tale trionfo. Ciò non significa che la previsione debba
sempre essere arbitraria e gratuita o puramente tendenziosa. Si
può anzi dire che solo nella misura in cui l’aspetto
oggettivo della previsione è connesso con un programma,
esso aspetto acquista oggettività: 1) perché solo
la passione aguzza l’intelletto e coopera a rendere più
chiara l’intuizione; 2) perché essendo la realtà
il risultato di una applicazione della volontà umana alla
società delle cose (del macchinista alla macchina), prescindere
da ogni elemento volontario o calcolare solo l’intervento
delle altrui volontà come elemento oggettivo del giuoco
generale mutila la realtà stessa. Solo chi fortemente vuole
identifica gli elementi necessari alla realizzazione della sua
volontà.
Perciò
ritenere che una determinata concezione del mondo e della vita
abbia in se stessa una superiorità di capacità di
previsione è un errore di grossolana fatuità e superficialità.
[6] Certo una concezione del mondo è implicita
in ogni previsione e pertanto che essa sia una sconnessione di
atti arbitrari del pensiero o una rigorosa e coerente visione
non è senza importanza, ma l’importanza appunto l’acquista
nel cervello vivente di chi fa la previsione e la vivifica con
la sua forte volontà. Ciò si vede dalle previsioni
fatte dai così detti “spassionati”: esse abbondano
di oziosità, di minuzie sottili, di eleganze congetturali.
Solo l’esistenza nel “previsore” di un programma
da realizzare fa sì che egli si attenga all’essenziale,
a quegli elementi, che essendo, “organizzabili” suscettibili
di essere diretti o deviati, in realtà sono essi soli prevedibili.
Ciò va contro il comune modo di considerare la quistione.
Si pensa generalmente che ogni atto di previsione presupponga
la determinazione di leggi di regolarità del tipo di quelle
delle scienze naturali. Ma siccome queste leggi non esistono nel
senso assoluto o meccanico che si suppone, non si tiene conto
delle altrui volontà e non si “prevede” la
loro applicazione. Pertanto si costruisce su una ipotesi arbitraria
e non sulla realtà.
[1] Critica al “meccanicismo” (schematismo, semplificazione
della realtà) di chi in politica separa il momento della
forza da quello del consenso: i due aspetti, invece, configurano
una “unità dialettica”, nella quale ognuno
dei due contiene l’altro.
[2] Rinvio a un passo di Machiavelli (Il Principe,
cap. XVIII): “Dovete dunque sapere come sono dua generazione
di combattere: l’uno con le leggi, l’altro, con la
forza: quel primo scrivono come Achille, e molti altri di quelli
principi antichi, furono dati a nutrire a Chirone centauro, che
sotto la sua disciplina li costudissi. Il che non vuol dire altro,
avere per precettore uno mezzo bestia et mezzo uomo, se non che
bisogna a uno principe sapere usare l’una e l’altra
natura; e l’una senza l’altra non è durabile
è proprio dell’uomo, quel secondo delle bestie: ma
perché el primo molte volte non basta, conviene ricorrete
al secondo. Per tanto a uno principe è necessario sapere
bene usare la bestia e lo uomo.” Nella mitologia greca
i Centauri avevano il busto e la testa umani, ed il corpo di cavallo.
[3] Francesco Guicciardini (1483-1540), grande
storico, contemporaneo e amico di Machiavelli.
[4] Girolamo Savonarola (1452-1498), frate domenicano,
fu per breve tempo alla guida della Repubblica fiorentina; colpito
da scomunica, fu bruciato sul rogo. Luigi Russo (1892-1961), critico
letterario.
[5] Studio astratto, puramente letterario (les
belles lettres).
[6] G. polemizza con la tendenza (purtroppo poi
divenuta dominante nei regimi guidati dai partiti comunisti) a
considerare come assoluta la “Verità” acquisita
mediante la superiore arma conoscitiva del marxismo: esso infatti
è solo uno strumento d’indagine, per quanto sofisticato,
che richiede analisi molto accurate della realtà per rivelare
tutta la sua validità.
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