Nei testi marxiani, il problema del valore non compare nella forma di principio di omogeneità fra le merci fino a quando Marx non si appropria della teoria di Ricardo, nella Miseria della filosofia. Nei Manoscritti del '44, non c'è problema di omogeneità, ma nozioni come ricchezza prodotta e suo prezzo, che Marx trovava nell'economia politica di Smith. Come gli altri concetti dei fatti economici, prodotti dall'economia politica a un livello di astrazione immediata, il tema del valore viene trascritto da Marx nel discorso antropologico della comprensione e del senso. Ciò che l'economia politica pensa come valore, la ricchezza o valorizzazione del mondo delle cose che risulta dalla produzione, viene letto da Marx come oggettivazione dell'essenza dell'uomo entro la struttura del lavoro alienato, dove produzione di ricchezza significa perdita dell'uomo nel suo oggetto e deprezzamento del mondo umano. Nella Miseria della filosofia del '47 è prodotta la forma del problema del valore. Marx si appropria del percorso teorico dell'economia politica classica, che si era posto il problema del vaore di scambio delle merci dal punto di vista di un equivalente comune che non fosse il denaro o l'oro un principio di omogeneità che evitasse di rappresentare il valore di scambio raddoppiandolo mercanti listicamente in un sistema di prezzi relativi. Ricardo fornisce il linguaggio che delimita correttamente il problema, e che permette di comprendere come il valore sia elemento fondamentale nell'analisi della produzione borghese. «Ricardo ci mostra il movimento reale della produzione borghese, che produce il valore» (MF, 123). Ricardo mostra che la specificità della produzione capitalistica è il suo oggetto, la merce, in quanto prodotto che contiene un valore; e spiega che il valore contenuto nella merce è misurabile nel tempo di lavoro necessario alla sua produzione. Mentre acquisisce gli elementi teorici del valore ricardiano, Marx produce una critica importante dell'interpretazione che Proudhon dà del rapporto di causalità tra tempo di lavoro e valore. Proudhon, nella sua nozione di «valore costituito», interpretava l'unità di misura ricardiana (quantità di lavoro contenuto) come valore del lavoro o salario, e ne ricavava un progetto di giustizia sociale dei salari, una ridistribuzione sociale in cui i salari costituissero per i lavoratori la giusta appropriazione del prodotto del proprio lavoro. A Proudhon Marx risponde che il salario è esso stesso un valore, risultato della quantità di lavoro che è stata necessaria per produrlo. L'esistenza di valore dei prodotti, o merci, e il salario, sono forme economiche di un tipo sociale di struttura produttiva. Per ricostruire la relazione produttiva capitalistica, l'analisi della forma di valore si presenta come il compito teorico centrale. Nei testi immediatamente precedenti la stesura del Capitale Marx ripensa l'analisi di Ricardo del l'epoca della merce e del valore nello spazio teorico aperto dalla critica dell'economia politica, intesa nella forma di critica all'eternizzazione delle categorie economiche. Ricardo da economista ha analizzato la forma borghese di produzione del valore, ma ha considerato il lavoro capitalistico come «la forma naturale eterna del lavoro sociale» (CEP,42). Perciò nel modello di Ricardo, che pure fa emergere la causalità del lavoro in rapporto al valore, non è analizzato lo specifico storico da cui dipende la forma di valore, cioè la relazione sociale in cui avviene la produzione. «Ricardo prende le mosse dalla determinazione dei valori relativi (o valori di scambio) delle merci mediante "la quantità di lavoro". ...Il carattere di questo "lavoro" non viene ulteriormente esaminato. Se due merci sono equivalenti oppure sono equivalenti in una determinata proporzione, oppure, il che è lo stesso, sono grandi in modo ineguale, a seconda della quantità di "lavoro" che esse contengono, allora però è anche chiaro che esse, secondo la sostanza, in quanto sono valori di scambio, sono uguali. La loro sostanza è lavoro. Perciò esse sono "valore". La loro grandezza è diversa, a seconda che contengono più o meno di questa sostanza. Ora Ricardo non indaga la forma la determinazione particolare del lavoro in quanto valore di scambio che crea o si rappresenta in valori di scambio il carattere di questo lavoro. ...Si tratta per lui fin da principio solo della grandezza di valore» (T, II, 167). Nel Capitale è prodotta la formulazione teorica adeguata della questione: il problema del valore va spostato dall'analisi del rapporto quantitativo espresso nel valore di scambio, alla domanda sul rapporto sociale che sta dietro all'esistenza di valore dei prodotti. Il valore è il risultato di relazioni sociali il cui rappresentante è la merce nel funzionamento degli scambi. Quindi la prima domanda teorica è: perché la forma di merce? «L'economia politica ha certo analizzato, sia pure incompletamente, il valore e la grandezza di valore, ed ha scoperto il contenuto nascosto diqueste forme. Ma non ha mai posto neppure il problema del perché quel contenuto assuma quella forma, e dunque del perché il lavoro rappresenti se stesso nel valore, e la misura del lavoro mediante la sua durata tempo rale rappresenti se stessa nella grandezza di valore del prodotto del lavoro» (C, I, 112). Ricardo eguagliava le merci in rapporto alla stessa sostanza presa come unità di misura, il lavoro. Ma il rapporto tra i valori è il più complesso: le merci si eguagliano in un meccanismo di rappresentazione reciproca che dipende dai rapporti sociali di produzione. In un sistema di produzione di merci, al presupposto generico che ogni bene prodotto ha nel suo corpo fisico cioè nelle sue proprietà un contenuto materiale che ne fa un valore d'uso, un oggetto utile in vista del consumo; si aggiunge la deteminazione della forma sociale che la ricchezza il bene materiale assume. «Una cosa può essere valore d'uso senza essere valore. Il caso si verifica quando la sua utilità per l'uomo non è ottenuta mediante il lavoro: aria, terreno vergine, praterie naturali, legna di boschi incolti, ecc.. Una cosa può essere utile e può essere prodotto di lavoro umano senza essere merce. Chi soddisfa con la propria produzione il proprio bisogno, crea sì valore d'uso, ma non merce. Per produrre merce, deve produrre non solo valore d'uso, ma valore d'uso per altri, valore d'uso sociale» (ivi, 73). Engels aggiunge: «E non solo per altri semplicemente. Il contadino medievale produceva il grano d'obbligo per il signore feudale, il grano della decima per il prete. Ma né il grano d'obbligo né il grano della decima diventavano merce per il fatto d'essere prodotti per altri. Per divenire merce il prodotto deve essere trasmesso all'altro, a cui serve come valore d'uso, mediante lo scambio» (ivi). Con le parole di Marx: «Nella forma di società che noi dobbiamo considerare i valori d'uso costituiscono insieme, i depositari materiali del valore di scambio» (ivi, 68). L'utilità - il rapporto dei beni coi soggetti - è solo un presupposto dello scambio. Nel rapporto di scambio in cui una quantità di merce è uguagliata a una quantità di un'altra, la forma naturale di una merce rappresenta il modo in cui il valore dell'altra esiste nello scambio, o valore di scambio. L'equazione tra i valori di scambio di merci differenti si fa sulla base di un elemento comune, in rapporto al quale le cose misurate diventano omogenee, come le varie lunghezze in rapporto all'unità di misura. Per avere la ragione di omogeneità che regola il rapporto tra i valori di scambio, dobbiamo ricostruire ciò che costituisce le merci come valori. Se in quanto utilità le merci sono ciascuna risultato di un lavoro produttivo determinato lavoro concreto come valori risultano da una comune sostanza sociale, che è «lavoro umano indistinto, cioè dispendio di forza lavorativa umana senza riguardo alla forma del suo dispendio» (ivi, 70), lavoro astrattamente umano. La grandezza di valore di una merce si misura «mediante la quantità della "sostanza valorificante", cioè del lavoro, in esso contenuta. La quantità del lavoro a sua volta si misura con la sua durata temporale» (ivi, 71). Il valore è lavoro astratto oggettivato, che negli scambi fra le merci è rappresentato nella forma relativa del valore di scambio. Dicendo che il lavoro è la sostanza sociale comune alle merci che causa il loro valore, Marx riconduce quello che appare come rapporto quantitativo tra cose, il valore di scambio, al rapporto sociale secondo cui avviene l'erogazione di lavoro. La merce in quanto prodotto di lavoro - cioè in quanto risultato di un processo produttivo che avviene in condizioni sociali in cui il capitalista proprietario dei mezzi di produzione controlla l'erogazione della forza-lavoro da parte dell'operaio ed ha la proprietà dei prodotti - è prima di tutto un valore che possiede «la qualità di essere lavoro umano» (p. 77). L'analisi del valore fa emergere un contenuto sociale, poiché il valore è la forma specifica di esistenza dei prodotti nella società capitalistica. Infatti è nella situazione sociale dei rapporti di produzione capitalistici che le condizioni di erogazione del lavoro si connotano come dispendio di forza-lavoro nel tempo astratto della produzione, in cui ogni lavoro è uguale all'altro. Il lavoro capitalistico che causa i valori in quanto lavoro astratto è quantitativizzabile poiché è ridotto a lavoro semplice e misurato come lavoro socialmente necessario. Nella teoria del valore c'è quindi anche la risoluzione del problema quantitativo. Il problema della misurabilità non va bloccato nell'analisi esteriore della forma valore di scambio, cioè del rapporto in cui si pongono le merci all'interno di tutti gli scambi possibili. Smith e Ricardo avevano spostato la domanda a un campo di misurazione in cui la relatività dei valori fosse controllata: Smith cercava una «misura reale» del valore, Ricardo un'unità di misura che non variasse. La nozione di lavoro astratto, lavoro umano in generale misurabile in unità temporali, è la chiave della quantitativizzazione, cioè della possibilità di analizzare la composizione di valore delle merci riducendole a quantità di lavoro. Il tempo di lavoro diventa calcolabile se si considera che i differenti tipi di lavoro vengono ridotti socialmente dalla disponibilità di forza-Iavoro a lavoro semplice; inoltre per ogni merce il tempo di lavoro erogato è definito socialmente, è il lavoro socialmente necessario. «La natura positiva del lavoro oggettivato... è la riduzione di tutti i lavori effettivi al carattere a tutti comune di lavoro umano, a dispendio di forza-Iavoro umana. La forma generale di valore rivela che... il carattere generalmente umano del lavoro costituisce carattere specificamente sociale di questo» (C, I, 99). «Potrebbe sembrare che, se il valore di una merce è determinato dalla quantità di lavoro spesa durante la produzione di essa, quanto più pigro o quanto meno abile fosse un uomo, tanto più di valore dovrebbe essere la sua merce, poiché egli avrebbe bisogno di tanto più tempo per finirla. Però il lavoro che forma la sostanza dei valori è lavoro umano eguale, dispendio della medesima forza lavoro umana. La forza-Iavoro complessiva della società che si presenta nei valori del mondo delle merci, vale qui come unica e identica forza-Iavoro umana, benché consista di innumerevoli forze-Iavoro individuali. Ognuna di queste forze-Iavoro individuali è una forza-Iavoro umana identica alle altre, in quanto possiede il carattere di una forza-lavoro sociale media e in quanto opera come tale forza-Iavoro sociale media, e dunque abbisogna, nella produzione di una merce, soltanto del tempo di lavoro necessario in media, ossia socialmente necessario. Tempo di lavoro socialmente necessario è il tempo di lavoro richiesto per rappresentare un qualsiasi valore d'uso nelle esistenti condizioni di produzione socialmente normali, e col grado sociale medio di abilità e intensità di lavoro» (ivi, 71). Il tempo di lavoro richiesto per la produzione di una merce varia col variare della zona produttiva, del lavoro; la grandezza di valore di una merce varia perciò inversamente col variare della forza produttiva del lavoro che in essa si oggettiva La circolazione delle merci avviene in base alla legge dello scambio di valori equivalenti. Ma lo scambio di equivalenti sembra subire un'eccezione nella circolazione capitalistica delle merci, dove si verificano scambi che danno luogo a valorizzazione, cioè a produzione di valore in più. L'apparente eccezione si spiega esplicitando le condizioni in cui avviene lo scambio capitalistico. Nel capitalismo, la produzione presuppone lo scambio tra lavoro e capitale, uno scambio che rispetta la legge dello scambio di equivalenti in quanto il salario paga il valore della forza-lavoro. Ma la merce forza-Iavoro ha, per il capitalista che l'ha acquistata per applicarla ai mezzi di produzione, il valore d'uso di poter essere impiegata per un tempo più lungo di quello necessario a riprodurre il salario, cioè il valore che è costata. La valorizzazione non avviene per uno scambio di non equivalenti, ma per l'uso della forza-Iavoro nella produzione. Il concetto marxiano di plusvalore come consumo produttivo della forza-Iavoro è un altro risultato teorico dell'analisi del valore. Il processo di produzione capitalistico è insieme trasferimento di valore e valorizzazione. Il valore del prodotto capitalistico una merce «il cui valore sia più alto della somma dei valori delle merci necessarie alla sua produzione» (C, I, 220) è scomponibile nel valore dei suoi componenti. Parti costitutive del valore del prodotto sono anzitutto i valori dei mezzi di produzione consumati. L'operaio, attraverso la forma produttiva specifica del suo lavoro, conserva i valori dei mezzi consumati trasferendoli nel prodotto: trasferisce per intero il valore della materia prima, e in parte il valore di scambio dei mezzi di lavoro, che si logorano a poco a poco. Nello stesso periodo di tempo, l'operaio conserva il valore del capitale costante (strumenti e materia prima) trasferendolo nel prodotto, riproduce il proprio equivalente (capitale variabile), e in più aggiunge nuovo valore all'oggetto: «Con la messa in atto della forza-lavoro, non viene riprodotto solo il suo proprio valore, ma viene anche prodotto un valore eccedente. Questo plusvalore costituisce l'eccedenza del valore del prodotto sul valore dei fattori del prodotto consumati, cioè dei mezzi di produzione e della forza-lavoro» (ivi, 242). L'analisi del valore in componenti opera così una «scomposizione del prodotto... in una quantità di prodotto che rappresenta soltanto il lavoro contenuto nei mezzi di produzione, ossia la parte costante del capitale, in un'altra quantità che rappresenta solo il lavoro necessario aggiunto nel processo di produzione, ossia la parte variabile del capitale, in un'ultima quantità di prodotto che rappresenta solo il pluslavoro aggiunto nello stesso processo, ossia il plusvalore» (ivi, 256). Il capo teorico dell'analisi del valore è prodotto da Marx nel Primo libro del Capitale a livello del funzionamento di un capitale individuale, da cui è fatta emergere la relazione sociale della valorizzazione. Nel valore di ogni merce prodotta capitalisticamente dato nella formula c+ v+ pv: capitale costante + capitale variabile + plusvalore c'è il segno di un rapporto sociale di sfruttamento. L'analisi della forma di valore, nella discontinuità che la segna rispetto all'impostazione degli economisti classici, mostra la necessità che il valore stesso della merce si esprima nel valore d'uso di una merce speciale, l'equivalente generale, per assumere così la forma di prezzo. Il prezzo vale qui come determinazione in denaro del valore, come «espressione monetaria del valore». Le merci si scambiano sul mercato sulla base dei loro prezzi, «parlano il linguaggio dei prezzi». Calcolando sulla base dei prezzi emerge una situazione distributiva, di cui però non si comprendono le ragioni, ragioni che sono da ricostruire nella produzione, nell'analisi del valore. Rispetto al valore, il prezzo è indipendenza teorica e, insieme, metodologica. La ricostruzione del funzionamento del modo di produzione capitalistico è possibile infatti solo sulla base dell'ipotesi della corrispondenza tra valori e prezzi. Nei libri successivi del Capitale, il campo teorico del valore si complica e si articola per registrare gli effetti dello spostamento dell'analisi dal capitale in generale alla molteplicità dei capitali, ai risultati del processo complessivo della riproduzione capita listica. In particolare, il valore, come centro regolatore delle fluttuazioni dei prezzi di mercato si rivela essere solo un'assunzione provvisoria. Il calcolo capitalistico sull'insieme del capitale investito e la ripartizione del plusvalore erogato sulla base del saggio medio del profitto impongono la sostituzione del valore con la sua «forma trasformata», il prezzo di produzione. |