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piccolo dizionario marxista
prassi |
L'espressione
"filosofia della prassi" viene
dai Prolegomeni alla filosofia della storia (1838) di
A. von Cieszkowski, un'opera originale nella «dissolvenza»
hegeliana che assegna all'«avvenire della filosofia»
il compito di «sviluppare la verità nel dominio della
attività pratica». Hegel infatti aveva applicato
la legge dello sviluppo storico solo al passato.
La filosofia della prassi doveva designare, speculativamente,
le linee del futuro di modo che questa prefigurazione potesse
diventare un modello razionale per l'intervento della volontà
pratica. La linea politica di von Cieszkowski può essere
considerata come socialista, al contrario di quella dei giovani
hegeliani che avevano per scopo la reali zazione di uno stato
liberale. Tuttavia l'aura intellettuale relativa al compimento
della filosofia come Iintervento intellettuale che vuol ottenere
effetti pratici nel mondo sociale presenta alcune somiglianze.
In entrambi i casi si rimproverava alla filosofia di Hegel di
essere una filosofia del passato, ma sia von Cieszkowski che i
giovani hegeliani ricavavano da Hegel gli strumenti intellettuali
per trasformare la filosofia in un elemento di intervento operativo
nel mondo sociale. La differenza consisteva, invece, nel fatto
che il modello di von Cieszkowski è speculativo mentre
quello dei giova ni hegeliani è fondato sull'esercizio
della critica.
In ogni caso l'immagine di una prassi come «azione filosofica»
influenza in modo determinante il modo di essere filosofi dei
giovani hegeliani.
La filosofia è una pratica intellettuale e uno strumento
politico da usarsi in nome dell'idea hegeliana di stato che incarna
una universale volontà razionale, contro le istituzioni
politiche della Prussia reazionarie e arretrate. In questo quadro
il giovane Marx, liberal democratico, pensa la propria attività
critico-politica, come l'attuazione concreta della prassi trasformatrice
in vista del futuro: la realizzazione nello stato, come assoluta
razionalità, della coincidenza tra reale e razionale.
Il giovane Marx, giornalista della Gazzetta renana (1842-43)
è nell'atmosfera intellettuale della prassi filosofica.
Con il progressivo distacco di Marx dall'ideologia dei giovani
hegeliani e, soprattutto con la trasposizione della critica feuerbachiana
dell'alienazione dalla religione alla critica dell'alienazione
umana che è la conseguenza della società fondata
sulla proprietà privata, si dissolve la corrispondenza
tra prassi e critica filosofico-politica. La figura del filosofo
trova un ostacolo oggettivo troppo radicale per continuare a pensarsi
nella «prassi filosofica» dei giovani hegeliani.
Dal punto di vista concettuale la critica diventa la critica feuerbachiana
alla filosofia di Hegel, mentre la prassi sta ad indicare l'azione
politica diretta e specifica.
Nella Questione ebraica il termine «prassi»
compare genericamente per sottolineare un'azione politica nella
pratica, la Rivoluzione francese, mentre nell'Introduzione
a Per la critica della filosofia del diritto di Hegel viene usato come sinonimo per la rivoluzione che, in Germania,
dovrà restituire al popolo la sua caratteristica umana:
«Il problema è se la Germania possa pervenire
ad una prassi à la hauteur des principes, cioè
ad una rivoluzione che la innalzi non soltanto a livello ufficiale
dei popoli moderni, ma all'altezza umana che sarà il prossimo
futuro di questi popoli» (CDH, 197).
Il concetto di prassi non compare nei Manoscritti economico-filosofici del 1844 con il complesso significato che avrà nelle Tesi
su Feuerbach (1845) dove prassi significa realtà intesa
come interazione tra uomo e mondo, tra soggetto e oggetto, un
concetto che neutralizza ogni forma di ipostasi concettuale sia
idealista che materialista. Nei Manoscritti «pratico»
è un effetto materiale che agisce sul modo concreto di
oggettivazione dell'uomo. La società dominata dalla proprietà
privata ha effetti pratici (materiali, concreti, irriducibili
alla sintesi concettuale) sul lavoro dell'operaio. Egli praticamente
produce un oggetto del suo lavoro che gli si oppone come lavoro
alienato. Inoltre in questa forma di oggettivazione della sua
essenza umana aliena anche il suo lavoro, che da attività
libera diviene lavoro alienato.
Prassi e pratico quindi hanno un significato oppositivo rispetto
alla autosufficienza della dialettica idealista. L'alienazione
non può essere soppressa con la dialettica del pensiero
perche è pratica. Tuttavia il concetto di prassi può
essere considerato nei Manoscritti come sinonimo di attività
lavorativa. L'uomo è ente generico che si esplica nella
continua trasformazione della natura: un rapporto che, a sua volta,
crea le condizioni del rapporto che l'uomo ha con se stesso e
con la sua specie.
Sono questi i concetti fondamentali che renderanno possibile,
nelle Tesi su Feuerbach, pensare la realtà come
prassi: un concetto che rompe con i lessici delle metafisiche
contemplative e che indica la realtà come il complesso
sistema interattivo tra uomo e natura e tra uomo e uomo come società.
Già nei Manoscritti, del resto, la negazione dell'alienazione
è fondamentale perche possa esistere una dialettica, tra
uomo e natura e tra uomo e uomo, che sia propria dell'ente generico:
cioè una prassi non alienata.
Nella Sacra Famiglia (1844) - dove vale più l'esigenza
polemica che quella filosofica - il concetto di prassi compare
contrapposto alla teoria come concetto astratto.
Marx, criticando Bruno Bauer e i critici-critici, sottolinea come
la caratteristica del movimento comunista sia l'opposizione della
prassi a qualsiasi tipo di teoria: «Il vero movimento
però non va a finire nella teoria pura, cioè
astratta, come vorrebbe la critica-critica, ma in una prassi
totalmente pratica, la quale non si curerà in
alcun modo delle categorie categoriche della critica.»
(SF, 170).
Con le Tesi su Feuerbach il concetto di prassi ha una
utilizzazione filosofica molto rilevante che è la conclusione
teorica dei risultati filosofici già presenti nei Manoscritti.
Prassi è la concreta attività sensibile umana che
trasforma il mondo. Quindi prassi è la realtà pensata
come essa è costruita dalla dialettica del lavoro, fuori
dai concetti filosofici che ne fanno una astratta ipostasi concettuale.
Appartengono alla prassi la conoscenza e l'azione: prassi è
quindi un concetto che consuma una rottura radicale con la tradizione
contemplativa della filosofia. Se ci si può porre il problema
di trasformare il mondo è perche esso è un insieme
interattivo, una prassi che può essere orientata: una realtà
statica riflessa nel pensiero o dedotta dal pensiero non è
modificabile, è solo realizzabile e repetibile. Anche
l'umanesimo di Feuerbach appartiene, da questo punto di vista,
alle forme dell'astrazione filosofica che non considera mai il
pensiero interno a una prassi, condizionato ad una forma determinata
dell'esistenza storica e sociale.
«La questione se al pensiero umano spetti una verità oggettiva,
non è questione teoretica bensì una questione pratica.
Nella prassi l'uomo deve provare la verità, cioè
la realtà e il potere, il carattere immanente del suo pensiero.
La disputa sulla realtà e non realtà del pensiero
- isolato dalla prassi - è una questione meramente scolastica»
(TF, 3).
L'oggettività è oggettività umana che va
letta nella storia delle trasfornmzioni del mondo e la prassi
rivoluzionaria è una forma cosciente di azione nel mondo
che corrisponde al carattere «pratico» del
mondo. Il concetto di prassi rende attuale la concezione di una
prassi rivoluzionaria. Con questo la prassi si storicizza come
pratica reale, cioè come ricerca dell'oggettività
umana nella storia delle sue trasformazioni, cioè come
prassi rivoluzionaria.
«La
coincidenza del variare delle circostanze dell'attività
umana, o autotrasformazione, può essere concepita o compresa
razionalmente solo come prassi rivoluzionaria»
(TF, 4) (C.B.). |