piccolo dizionario marxista

classe


Il concetto di classe giunge a Marx dalla tradizione hegeliana che, a sua volta, rimanda all'uso settecentesco di «classe» come sinonimo di uno status che riguarda la condizione di nascita, il livello sociale o economico. Su questa derivazione se ne salda, inizialmente, una che si rifà ai movimenti comunisti e socialisti dei primi anni dell'800, per cui «classe» più che un significato sociologico e classificatorio esprime una forte valenza politica, e un'altra che appare nella cultura storica dell'epoca della Restaurazione.
In questa direzione, Marx, polemizzando contro l'accusa di comunismo rivolta dalla Gazzetta di Augusta alla Gazzetta Renana di cui Marx era redattore capo sottolinea la disparità sociale tra le classi medie e quelle dei non possidenti, di cui evidenzia la pretesa a una diversa distribuzione della ricchezza. «Che la classe che oggi nulla possiede pretenda di partecipare alla ricchezza delle classi medie, questo è un fatto che anche senza i discorsi di Strasburgo e nonostante il silenzio di Augusta, balza agli occhi di ognuno per le strade di Manchester, Parigi e Lione» (Marx, Il comunismo e la «Gazzetta generale di Augusta», in RZ, 171).
Nella Critica della filosofia hegeliana del diritto (1843) Marx si riferisce alla «classe» come ad una generalità in grado di superare le parzialità della società civile. La derivazione è, senz'altro, dal linguaggio filosofico di Hegel, ma la classe generale, in questo contesto, non rappresenta come per Hegel la possibilità di ogni cittadino di divenire funzionario dello stato e, quindi, di assumere, partecipando dell'autorità statale, una superiore e astratta natura. Al contrario, in uno stato che si consideri un «vero» stato, cioè democratico e rappresentativo, Marx ritiene che non esista una condizione privilegiata che distingua i cittadini fra loro, ma che tutti, posti indistintamente sullo stesso piano, formino la «classe generale» dello stato.
Ogni cittadino, insomma, nel nuovo modello statuale pensato dal giovane Marx, verrebbe a trovarsi nella posizione di partecipe della universalità e razionalità espressa dallo stato. «Nel vero stato non si tratta della possibilità di ogni cittadino di dedicarsi alla classe generale come a uno stato particolare, ma della capacità della classe generale di essere lo stato realmente generale, cioè lo stato di ogni cittadino» ( C HP , 57) .
Strettamente connessa a questa immagine filosofica della «classe» è la critica rivolta da Marx sempre nella Critica alla filosofia hegeliana del diritto al concetto di «stati» usato da Hegel per indicare la forma politica delle differenze sociali sussistenti all'interno della società civile. Tale funzione politica degli stati verrebbe a svolgere, per la sua intrinseca duplicità da un lato, in quanto politica, appartenente allo stato, dall'altro, come espressione delle differenze sociali, appartenente alla società civile una funzione mediatrice nella divisione, posta da Hegel, tra stato e società civile. Essa sarebbe in grado di superare, nella sfera politica, la loro separazione. «Lo stato e il governo sono sempre messi dalla stessa parte come identici, e il popolo, risolto nelle sfere particolari e negli individui, dall'altra parte. Gli stati stanno tra i due, come organo mediatore. Gli stati sono il medio, in cui "il senso e la mentalità dello stato e del governo" devono incontrarsi ed unirsi con "il senso e la mentalità delle sfere particolari e dei singoli" ...Gli stati sono la sintesi di Stato e società civile.» (C HP, 76)

È tuttavia evidente che la differenza posta da Hegel tra stato e società civile non può essere risolta in maniera formale e astratta così come avviene con la concezione degli «stati». Non è quindi possibile riprodurre, nell'epoca moderna, quella coincidenza reperibile nel Medioevo, dove «...gli stati della società civile in genere e gli stati in senso politico erano identici perché la società civile era la società politica: perché il principio organico della società civile era il principio dello stato» (C HP, 81). Marx rileva infatti come, nel corso storico culminato nella Rivoluzione francese, gli stati politici medioevali si siano trasformati in stati sociali e si siano sviluppati in ragione di interessi particolari, per la cui difesa rivendicano uno spazio politico. «...l'elemento degli stati è la società civile in quanto potere legislativo, in quanto sua propria esistenza politica... La tendenza della società civile a trasformarsi in società politica, o a fare della società politica la società reale, si manifesta come la tendenza della partecipazione il più possibile generale al potere legislativo» (C HP, 133).
Gli stati, dunque, non possono porsi come sintesi di stato e società civile perché non rappresentano l'interesse generale, ma, al contrario, esprimono unicamente la parzialità della società civile che vuoI presentarsi come generalità etico-politica.
Questa critica marxiana è, del resto, coerente con l'obiettivo teorico che persegue il giovane Marx in questo scritto, dove egli rivendica la possibilità del superamento reale della divisione, posta da Hegel, tra stato e società civile. La sintesi marxiana di stato e società civile consiste in un diverso modello statale che appare come espressione dell'universalità, cioè della coincidenza tra interessi particolari e generali e del superamento delle contraddizioni della società civile. In ultima analisi, una concezione dello stato democratico che fonda ancora una volta la sua universalità sulla idealizzazione della figura del cittadino. Sarà l'uso della critica di Feuerbach alla «idealizzazione», propria del pensiero hegeliano, a favorire la critica di Marx allo stato della uguaglianza giuridica. Lo stato infatti non è in grado di superare, in una forma universale, le particolarità proprie della società civile. Solo formalmente nello stato si ricompongono, nella uguaglianza giuridica, le diseguaglianze che sono proprie della società civile. Il «cielo» dello stato non è che l'idealizzazione, nella uguaglianza formale, di quelle particolarità e interessi contrastanti che costituiscono la «terra» della società civile.
«Soltanto nel nome dei diritti universali della società una classe particolare può rivendicare a se stessa il dominio universale» (CDH, 200) è possibile, secondo Marx, raggiungere l'universalità compiendo l'emancipazione della società civile dalla sua particolarità.
Questo, per Marx, è compito di una classe sociale particolare che, ergendosi a rappresentante di tutta la società, affermi, come generali, i propri diritti. Questo obiettivo sociale è organizzato, concettualmente, in un nuovo modello hegeliano: la società è pensata secondo lo schema hegeliano di due classi antagonistiche, l'una agente dell'emancipazione, l'altra negativa ed antagonista. «Affinché un ceto divenga ceto della liberazione par excellence, bisogna, al contrario, che un altro ceto diventi manifestamente il ceto dell'assoggettamento» (ivi, 201). Questo è anche lo schema dello scontro tra borghesia e ceti aristocratico-clericali proprio della rivoluzione francese e che Marx assume come calco per ogni evento rivoluzionario di trasformazione sociale.
La storia e la società prendono cosi una struttura dialettica che fa sì che esse vengano considerate tramite la dialettica e il superamento hegeliano. Tuttavia, mentre la rivoluzione è stata possibile in Francia grazie ad una maturità politica delle classi desiderose di porsi in una funzione emancipatrice, in Germania, secondo Marx, questa prospettiva non è realizzabile perché le classi non hanno coscienza politica di sé. Il che conduce la società tedesca ad una situazione statica caratterizzata da una frammentazione delle classi in lotta fra loro senza alcuna possibilità di sviluppi storici, a meno che una necessità concreta non costringa una classe assumere una funzione egemone: «In Francia ogni classe del popolo è un idealista politico, e innanzitutto sente se stessa non come classe particolare, ma come rappresentante dei bisogni sociali in generale... In Germania invece, dove la vita pratica è altrettanto priva di spirito quanto la vita spirituale è priva di praticità, nessuna classe della società civile ha il bisogno e la capacità della emancipazione generale, finché non sia a ciò costretta dalla sua immediata situazione, dalla necessità materiale, dalle sue stesse catene» (CDH, 202). Questa classe costretta dalle stesse circostanze ad assumersi il ruolo di emancipatrice è, secondo Marx, il proletariato. A tale identificazione Marx giunge fondendo insieme due linee di pensiero, l'una politica e l'altra filosofica.
La prima si rifà all'esperienza politica della lotta di classe francese e identifica nel proletariato la classe sfruttata per eccellenza, ma nello stesso tempo, la più combattiva nella battaglia per l'emancipazione sociale e nella rivendicazione di una società egualitaria. La seconda, che si rifà a Feuerbach, rivendica la necessità di restituire all'uomo la sua essenza, cioè di recuperare quelle caratteristiche e proprietà umane che, negate nel concreto, vengono proposte nell'astrazione filosofica sotto forma di concetti. Il proletariato, per Marx, è dunque la classe che, impersonando più di ogni altra la negazione sociale dell'essenza umana, viene ad essere investita della missione universale di ristabilirne la priorità e di compiere l'emancipazione dell'umanità. «Dov'è dunque la possibilità positiva dell'emancipazione tedesca? Risposta: nella formazione di una classe con catene radicali, di una classe della società civile, la quale non sia una classe della società civile, di un ceto che sia la dissoluzione di tutti i ceti, di una sfera che per i suoi patimenti universali possieda un carattere universale e non rivendichi alcun diritto particolare, poiché contro di essa viene esercitata non una ingiustizia particolare, bensì l'ingiustizia senz'altro, la quale non può più appellarsi ad un titolo storico ma al titolo umano, che non si trova in contrasto unilaterale verso le conseguenze, ma in contrasto universale contro tutte le premesse del sistema politico tedesco, di una sfera, infine, che non può emancipare se stessa senza emanciparsi da tutte le rimanenti sfere della società, la quale, in una parola, è la perdita completa dell'uomo e può dunque guadagnare nuova mente se stessa soltanto attraverso il completo recupero dell'uomo. Questa dissoluzione della società in quanto ceto particolare è il proletariato.» (CDH, 202-203)
Il concetto di classe, per lo scenario intellettuale che lo caratterizza, è a netta predominanza filosofica. Infatti, solo connettendo la classe all'essenza umana (Feuerbach), come finalità universale intrinseca all'umanità, Marx è in grado di condurre la classe da forma della particolarità a forma della generalità. La funzione politica della classe, cioè la lotta contro lo sfruttamento, diviene, per Marx, la lotta universale di chi vuole emancipare la società dalla diseguaglianza materiale e dai rapporti sociali che essa induce. Una politica di classe acquista per Marx significato essendo collocata in una teleologia filosofica il cui fine è un concetto astratto: l'idea feuerbachiana di uomo. L'impianto feurbachiano usato da Marx rivela, a questo punto, il vizio hegeliano che continua a permanere, ponendo l'astratto come fondamento del concreto. L'essenza umana, il cui recupero è la ragion d'essere di una classe - il proletariato - trasforma la classe stessa in una categoria filosofica con una forte accentuazione etica.
Le medesime posizioni vengono mantenute nei Manoscritti economico-filosofici del 1844, dove Marx analizza il processo che conduce, con lo sviluppo della produzione e del mercato, sia all'aumento numerico della classe lavoratrice che all'abbassamento del livello della sua condizione di vita.
«Proprio col crescere della classe soltanto lavoratrice, cresce la concorrenza degli operai, e diminuisce il loro prezzo. Nell'industria questa posizione dell'operaio raggiunge il suo apice» (MEF, 258).
Nei Manoscritti economico-filosofici, il giovane Marx usa la ricca eredità dell'economia politica, eredità sia concettuale che descrittiva. Essa viene ritrascritta nel suo linguaggio umanista e idealistico: ne deriva una «fenomenologia» della classe operaia come «classe generale» dell'alienazione umana che deriva dai rapporti privati della società.
In un'opera precedente di due anni rispetto ai Manoscritti, La situazione della classe operaia in Inghilterra (1842), Engels compie una delle analisi sociologiche più interessanti di tutta la letteratura coeva allo sviluppo e alla affermazione della rivoluzione industriale in Inghilterra. La prospettiva del giovane Engels non è la concettualizzazione, ma la descrizione sociale di un fenomeno che, nella sua espansione, caratterizza un'epoca storica.
Mostrare come nel paese più industrializzato del mondo la classe operaia vivesse in condizioni subumane significava, per Engels, disegnare il modello concreto degli esiti sociali che la rivoluzione industriale avrebbe prodotto anche nei restanti paesi europei e, particolarmente, in Germania.
«La situazione della classe operaia è il terreno reale e il punto di partenza di tutti i movimenti sociali del nostro tempo, poiché è la vetta più alta e più scoperta della nostra attuale miseria sociale» (COI, 240). Delineando, brevemente, le tappe storiche della rivoluzione industriale Engels rileva come la nuova forma della produzione, introducendo la macchinizzazione e sviluppando, in proporzioni molto rilevanti, la divisione sociale del lavoro, avesse mutato la struttura di classe della società.
«Infatti come la nuova industria acquistò importanza solo quando trasformò gli utensili in macchine, le officine in fabbriche: quindi la classe media lavoratrice in proletariato lavoratore e i grandi mercanti in fabbricanti, come dunque già qui la piccola classe media venne eliminata e la popolazione si ridusse alla contrapposizione di operai e capitalisti, così avvenne anche fuori dell'industria in senso stretto nell'artigianato e persino nel commercio.» (COI, 256) Questo progressivo processo di proletarizzazione, mentre travolge le classi medie, sospinge la classe lavoratrice verso condjzioni di vita sempre più degradanti. Assoggettati alIa legge della concorrenza e quindi assunti e licenziati a seconda delle fluttuazioni del mercato, gli operai vivono comunque con un salario così esiguo da causare morti per fame.
A ciò, per Engels, si aggiungono le condizioni sociali di esistenza, con particolare riferimento alle megalopoli industriali: è il caso di Londra dove, lontani dai sobborghi di lusso, si spiegano i quartieri popolari caratterizzati da strade strette, sporche e fangose, dove si addensano casupole prive di ogni abitabilità, ma, in compenso, affittate a caro prezzo ad una moltitudine di lavoratori. Nella descrizione di Engels si delinea un panorama di miserie materiali e morali da cui emerge come l'industrializzazione capitalistica abbia sconvolto il sistema sociale.
Malattie, alcolismo, prostituzione, delinquenza, fame caratterizzano, per Engels, una classe sfruttata sia nel luogo del lavoro, sia nella vita sociale dove è assoggettata economicamente alla classe dominante. «Non ho mai incontrato una classe così profondamente immorale, così inguaribilmente corrotta, intimamente corrosa e resa del tutto incapace di ogni progresso dall'egoismo, come la borghesia inglese...» (COI, 494).
Della classe borghese Engels mette in rilievo anche l'atteggiamento ipocritamente umanitario con cui sembra occuparsi, con istanze benefiche e legislative, delle condizioni della classe dei lavoratori. «La borghesia inglese fa la beneficenza per interesse, non regala nulla, considera le sue offerte atti di commercio, fa un affare, acquista il diritto di non essere importunata oltre, e voi in cambio vi impegnate a restarvene nelle vostre buie caverne a non ferire i miei nervi delicati con lo spettacolo della vostra miseria!» (COI, 497). L'analisi sociologica di Engels ha certamente sullo sfondo l'umanesimo filosofico di Feuerbach e quindi può essere considerata come la descrizione materiale della condizione di alienazione umana.
Tuttavia il modo come essa è condotta mette il primo piano la relazione storica tra una determinata modalità del produrre e le sue conseguenze sociali. Il concetto di classe si connota quindi con elementi economici e sociali che assumono una loro dimensione storica.
La dicotomia descritta da Engels tra classe dei lavoratori e classi medie e proprietarie ritorna nella Sacra Famiglia (1845) dove Marx ed Engels sottolineano la comune dipendenza delle due classi dalla medesima struttura sociale: sia i proprietari che i lavoratori vivono in una società alienata.
Tuttavia il discrimine fra le due classi consiste nella coscienza che ciascuna ha di sé. La classe proprietaria accetta l'alienazione perché in essa vede la possibilità di esercitare un dominio sociale che le consente di apparire come l'umanità realizzata (tramite le forme sociali, culturali, ecc.). La classe lavoratrice, al contrario, nega l'alienazione in quanto, avendo dinanzi a sé l'idea dell'essenza umana, può comprendere quanto la propria esistenza ne sia lontana. Il discrimine fra le due classi è comunque ancora di natura filosofica. «La classe proprietaria e la classe del proletariato presentano la stessa autoalienazione umana. Ma la prima classe, in questa autoalienazione, si sente a suo agio e confermata, sa che l'alienazione è la sua propria potenza e possiede in essa la parvenza di un'esistenza umana; la seconda classe, nell'alienazione, si sente annientata, vede in essa la sua impotenza e la realtà di una esistenza inumana» (SF, 37).

L'opera di Marx ed Engels in cui il tema della classe sociale assume una dimensione che lo ingloba in una «complessiva concezione della storia» è l'Ideologia tedesca (1845/46). Nell'Ideologia tedesca Marx ed Engels collegano il sorgere di una determinata classe - il proletariato - con lo sviluppo storico delle forze produttive. Viene meno, di conseguenza, l'apparato filosofico hegeliano espresso feuerbachianamente per cui la classe (il concreto) trovava la sua ragion d'essere nella funzionalità ad una idea astratta (l'essenza dell'uomo) la cui realizzazione l'avrebbe negata come forma sociale del l'alienazione. La classe si connotava così come una figura fenomenologica in una teleologia storica.
Ora, invece, la classe rappresenta, per Marx ed Engels, il risultato dello sviluppo storico delle forme sociali della produzione materiale della vita giunto ad un determinato stadio: la società capitalista. È la forma sociale della produzione che conduce alla formazione di una classe sociale che ha il proprio riconoscimento non in un concetto antropologico, ma in una dimensione storica. «Nello sviluppo delle forze produttive si presenta uno stadio nel quale vengono fatte sorgere forze produttive e mezzi di produzione, che nella situazione esistente fanno solo del male, che non sono più forze produttive ma forze distruttive (macchine e denaro), e in connessione con tutto ciò viene fatta sorgere una classe che deve sopportare tutti i pesi della società, forzata al più deciso antagonismo contro le altre classi; una classe che forma la maggioranza di tutti i membri della società e dalla quale prende le mosse la coscienza della necessità di una rivoluzione che vada al fondo...» (IT, 37).
Da ciò deriva la chiara connotazione della classe borghese antagonista del proletariato in quanto posta dai rapporti produttivi esistenti in una condizione politica e sociale di egemonia. «... Le condizioni entro le quali possono essere impiegate determinate forze produttive sono le condizioni del dominio di una determinata classe della società, la cui potenza sociale, che scaturisce dal possesso di quelle forze, ha la sua espressione pratico-idealistica nella forma di stato che si ha di volta in volta, e perciò ogni lotta rivoluzionaria si rivolge contro una classe che fino allora ha dominato» (IT, 37 38).
Connesso con il nuovo concetto di classe correlato alla forma storica della produzione economica, anche il senso stesso di rivoluzione muta radicalmente. Per Marx ed Engels la rivoluzione - ed è chiaro il riferimento alla Rivoluzione francese - non deve rappresentare un mutamento di distribuzione di ruoli sociali e produttivi e di forme sociali esteriori. Proprio perché la produzione è l'asse portante della struttura sociale divisa in classi, solo modificando le modalità produttive è possibile giungere alla soppressione delle classi: al comunismo. «In tutte le rivoluzioni sinora avvenute non è mai stato toccato il tipo dell'attività e si è trattato soltanto di un'altra distribuzione di questa attività, di una nuova distribuzione del lavoro ad altre persone, mentre la rivoluzione comunista si rivolge contro il modo dell'attività che si è avuto finora, sopprime il lavoro e abolisce il dominio di tutte le classi insieme con le classi stesse...» (IT, 38).
Servendosi dei concetti di produzione e di rapporti sociali di produzione come strumenti prioritari per l'analisi della classe nella complessità delle sue articolazioni sociali, Marx ed Engels, sempre nell'Ideologia tedesca, rilevano un doppio effetto di potere esercitato dalla classe dominante. Da un lato, infatti, la borghesia detiene il potere materiale esercitato sia tramite la proprietà privata dei mezzi di produzione che le istituzioni politiche, ma, dall'altro, detiene anche un potere più sottile ed indiretto: quello spirituale ed ideologico. «Esso, trasferendo a livello dell'intelletto e delle idee i rapporti materiali di dominio di una classe, ne accredita l'indispensabile esistenza e la necessità. Le idee di una determinata classe dominante divengono cosi le idee dominanti su cui plasmare i membri della stessa classe dominante e con cui convincere i membri delle altre classi della loro subalternità. Le idee della classe dominante sono in ogni epoca le idee dominanti; cioè, la classe che è la potenza materiale dominante della società è in pari tempo la sua potenza spirituale dominante. La classe che dispone dei mezzi della produzione materiale dispone con ciò, in pari tempo, dei mezzi della produzione intellettuale, cosicché ad essa in complesso sono assoggettate le idee di coloro ai quali mancano i mezzi della produzione intellettuale. Le idee dominanti non sono altro che l'espressione ideale dei rapporti materiali dominanti, sono i rapporti materiali dominanti presi come idee: sono dunque l'espressione dei rapporti che appunto fanno di una classe la classe dominante, e dunque sono le idee del suo dominio» (IT, 44).
In questo contesto Marx ed Engels analizzano il meccanismo ideologico che caratterizza tutte le classi dominanti mettendo in luce la necessità intrinseca al dominio e alla sua conservazione che la classe, giunta al potere, giustifichi il proprio ruolo e la propria funzione, trasferendo, a livello dell'universalità ideale, interessi particolari che le ineriscono direttamente. «Infatti ogni classe che prende il posto di un'altra che ha dominato prima è costretta, non fosse che per raggiungere il suo scopo, a rappresentare il suo interesse come interesse comune di tutti i membri della società, ossia, per esprimerci in forma idealista, a dare alle proprie idee la forma della universalità, a rappresentarle come le sole razionali e universalmente valide.» (IT, 46)

Il luogo privilegiato di queste operazioni di dominio è la cultura e gli esecutori sono gli intellettuali. La figura sociale dell'intellettuale è derivata dalla divisione sociale del lavoro lavoro manuale e lavoro intellettuale che è un effetto diretto della divisione sociale in classi. In questo quadro gli intellettuali acquisiscono uno statuto particolare di privilegio che li rende funzionali alla classe dominante da cui dipendono e che, perciò, difendono e celebrano a livello letterario, filosofico e artistico. Gli intellettuali sviluppano, insomma, una produzione ideologica di fatto loro demandata dagli altri membri della classe dominante che, impegnati materialmente nella perpetuazione del potere di classe, desiderano comunque che venga prodotta una immagine di se e della società in cui potersi riconoscere e nobilitarsi socialmente: «La divisione del lavoro, che abbiamo già visto come una delle forze principali della storia finora trascorsa, si manifesta anche nella classe dominante come divisione del lavoro intellettuale e manuale, cosicché all'interno di questa classe una parte si presenta costituita dai pensatori della classe (i suoi ideologi attivi, concettivi, i quali dell'elaborazione dell'illusione di questa classe su se stessa fanno il Ioro mestiere principale), mentre gli altri nei confronti di queste idee e di queste illusioni hanno un atteggiamento più passivo e più recettivo, giacché in realtà sono membri attivi di questa classe e hanno meno tempo di farsi delle idee e delle illusioni su se stessi» (IT, 45).
Una classe sociale ha quindi sempre il suo luogo d'origine nei rapporti sociali attraverso cui avviene la produzione. Una classe sociale, in questo quadro, è sempre e solo pensabile in relazione ad una classe ad essa antagonistica. Ma una classe sociale ha anche la sua indispensabile connotazione culturale. Come si è già detto una classe sociale è dominante anche perché i valori ideali che essa produce sono dominanti.
Marx ed Engels nella Ideologia tedesca mostrano come la formazione di una classe sociale sia il risultato di un complesso processo storico in cui le stesse forze sociali che confluiranno in una classe sociale dominante (la borghesia) hanno spesso tra loro ragioni conflittuali che vengono meno quando prevale la conflittualità comune nei confronti di un'altra classe sociale.
Chiarificate, dunque, le modalità che conducono alla formazione di una struttura sociale organizzata in classi di cui una dominante (la borghesia) ed una dominata (il proletariato) si pone, per Marx ed Engels, il problema del loro superamento. Ma, in questo caso, la vittoria del proletariato sulla borghesia non ha il medesimo significato storico della risoluzione degli altri conflitti di classe nella storia. Ciò che muta è il senso stesso della storia che realizza, nella sua realtà, l'idea stessa di libertà. La classe proletaria, per il suo carattere rappresentativo degli interessi generali di tutta la società, supera il concetto di classe come rappresentante di particolari interessi sociali. «La classe rivoluzionaria si presenta senz'altro, per il solo fatto che si contrappone ad una classe, non come classe ma come rappresentante della intera società, appare come l'intera massa della società di contro all'unica classe dominante.» (IT, 46). Per questo il proletariato congloba e riassume in sé tutte le altre classi non dominanti presenti nella società, ponendosi, perciò, secondo Marx ed Engels, come alternativa radicale alla borghesia.
Questa radicalizzazione deriva dai rapporti produttivi stessi che, in questa fase dello sviluppo capitalistico, portano ad una bipolarizzazione della società (sfruttati e sfruttatori) senza la quale verrebbe ad incepparsi il meccanismo della massimizzazione del profitto. Ciò significa collocare il superamento della divisione sociale in classi nel mutamento stesso del modo di produzione e dei rapporti sociali ad esso sottesi. «Una classe oppressa» dice Marx nella Miseria della filosofia «è la condizione vitale di ogni società fondata sull'antagonismo delle classi. L'affrancamento della classe oppressa implica dunque di necessità la creazione di una società nuova. Perché la classe oppressa possa affrancarsi, bisogna che le forze produttive già acquisite e i rapporti sociali esistenti non possano più esistere le une a fianco degi altri.» (MF, 224)
La contraddizione tra sviluppo delle forze produttive e rapporti sociali di produzione è infatti l'elemento oggettivo che è alla base della dialettica storica di una classe sociale emergente. Va detto che questo modello è una realtà che, in astratto, vale per ogni epoca storica, ma che, poi, caratterizza solo il passaggio analizzato dalla Ideologia tedesca tra l'epoca feudale e la nascita del capitalismo moderno.
Nel Manifesto del partito comunista del 1848 Marx ed Engels pensano la lotta delle classi sociali sullo sfondo di una generale interpretazione della storia. Non bisogna inoltre dimenticare, nel considerare il significato di questa analisi, la destinazione pratica e propagandistica dello scritto. «La storia di ogni società sinora esistita è storia di lotte di classi» (M, 486). Partendo dai primordi della storia si dipana, dunque, l'opposizione tra oppressi e oppressori divisi in raggruppamenti sociali, caste e corporazioni, il cui esito obbligato o è la trasformazione della società oppure la scomparsa degli antagonisti. Questa dinamica storica, secondo Marx ed Engels, va tuttavia nella direzione di una progressiva semplificazione che culmina nell'epoca borghese: «L'epoca nostra, l'epoca della borghesia, si distingue tuttavia perché ha semplificato i contrasti fra le classi. La società intera si va sempre più scindendo in due grandi campi nemici, in due classi direttamente opposte l'una all'altra: borghesia e proletariato» (M, 487).
Analizzando borghesia e proletariato, Marx ed Engels assegnano alla borghesia il ruolo di totalità negativa. Essa detiene il controllo assoluto dello stato rappresentativo. «II potere politico dello stato moderno non è che un comitato, il quale amministra gli affari comuni di tutta la classe borghese» (M, 488) e «...al posto dello sfruttamento velato da illusioni religiose e politiche, ha messo lo sfruttamento aperto, senza pudori, diretto e arido» (ivi, 489). La borghesia è la classe imputata di aver provocato un generale impoverimento umano nel mondo sociale. In nome del profitto la classe borghese sacrificherebbe ogni sentimento di affetto: la famiglia stessa è «un semplice rapporto di denari» (M, 489). Allo stesso modo avrebbe ridotto alla pura funzionalità professioni nobilitate da uno spirito di servizio o dalla creatività: «Ha trasformato il medico, il giurista, il prete, il poeta, lo scienziato, in suoi operai salariati» (ivi). Nella descrizione la borghesia, forte del suo carattere internazionale e simile ad una piovra, penetra ovunque assoggettando e piegando alle proprie modalità produttive e sociali popoli, usi, costumi, tradizioni. La borghesia, insomma, per Marx ed Engels, ha rivoluzionato il mondo promuovendo l'urbanizzazione: «Ha creato città enormi, ha grandemente accresciuto la popolazione urbana...» (M, 490), creando gli stati nazionali. «Province indipendenti, quasi appena collegate fra loro da vincoli federali, province con interessi, leggi, governi e dogane diversi, sono state strette in una sola nazione, con un solo governo, una sola legge, un solo interesse nazionale di classe, un solo confine doganale.» (ivi, 490-491)
Tuttavia questo enorme potere della borghesia appare, nell'analisi marxengelsiana, incrinato dall'interno: le periodiche crisi commerciali e la conseguente sovrapproduzione inceppano una macchina apparentemente perfetta. Per Marx ed Engels la borghesia si distrugge con le proprie mani. «Ma la borghesia non ha soltanto fabbricato le armi che le recano la morte; essa ha anche creato gli uomini che useranno quelle armi i moderni operai, i proletari.» (M, 492)

Strettamente connesso allo sviluppo della borghesia, si colloca, per Marx ed Engels, lo sviluppo del proletariato. La classe proletaria è, nel suo sorgere, un insieme disaggregato, spesso utilizzato dalla borghesia come massa di manovra per le sue lotte contro l'aristocrazia.
È il progressivo estendersi dell'egemonia borghese con tutte le sue conseguenze che, nell'analisi di Marx ed Engels, conduce ad un rafforzamento della classe proletaria, ma soprattutto alla sua presa di coscienza come classe: «...i conflitti fra i singoli operai e i borghesi singoli vanno sempre più assumendo il carattere di conflitti fra due classi» (M, 494). La coscienza di sé come classe viene, però, implicitamente a significare coscienza del proprio ruolo politico: «Ma ogni lotta di classe è lotta politica» (ivi, 495). Partito politico e classe si fondono dunque insieme, motivati dal fine di realizzare la trasformazione rivoluzionaria della società. La classe, così consolidata, è in grado di attaccare in maniera diretta la borghesia, al cui interno causa defezioni di piccoli gruppi che passàno alla classe antagonista.
Si delinea così, nell'analisi di Marx ed Engels, una forte caratterizzazione della classe come soggetto agente della storia. La classe tende, nel Manifesto del partito comunista, ad assumere un alone da filosofia della storia di tipo romantico. La sua realtà oggettiva diviene tutt'uno con la coscienza che essa ha di sé e del proprio compito storico. La classe proletaria incarna il momento decisivo della storia che conduce al superamento della realtà di classe e segna il sorgere di un mondo e di una società completamente rinnovata. L'intero processo si presenta così come uno schema che segue il modello dialettico hegeliano, che semplifica nella tensione verso la finalità (il superamento delle classi) la complessità del procedere stesso, sottolineandone la necessità storica.
«Se il proletariato, nella lotta contro la borghesia, si costituisce necessariamente in classe, e per mezzo della rivoluzione trasforma se stesso in classe dominante e come tale distrugge violentemente i vecchi rapporti di produzione, esso abolisce, insieme con questi rapporti di produzione, anche le condizioni d'esistenza dell'antagonismo di classe e le classi in generale, e quindi anche il suo proprio dominio di classe.» (M, 506)
Il punto di vista del «superamento» della società di classi conduce Marx ed Engels ad aprire vasti squarci sull'assetto della società postclassista. Con risvolti fortemente utopici. Viene così ipotizzata:
1) la sparizione del potere politico: «Quando nel corso dell'evoluzione, le differenze di classe saranno sparite e tutta la produzione sarà concentrata nelle mani degli individui associati, il potere pubblico perderà il carattere politico» (ivi);
2) la scomparsa dei nazionalismi: «Con lo sparire dell'antagonismo fra le classi nell'interno delle nazioni scompare l'ostilità fra le nazioni stesse» (M, 504);
3) la costituzione di una società democratica: «Abbiamo già visto sopra come il primo passo nella rivoluzione operaia sia l'elevarsi del proletariato a classe dominante, la conquista della democrazia» (M, 505).
Nella situazione storica in cui sarà del proletariato il ruolo di classe dominante, lo stato acquisterà quella funzione di universale razionalità che, nel dominio borghese di classe, è solo una mistificazione. Attraverso la struttura dello stato il proletariato costruirà il modello di società che abolirà il potere politico: «Il proletariato si servirà della sua supremazia politica per strappare alla borghesia, a poco a poco, tutto il capitale, per accentrare tutti gli strumenti di produzione nelle mani dello stato, vale a dire del proletariato stesso organizzato come classe dominante, e per aumentare, con la massima rapidità possibile, la massa delle forze produttive.» (ivi)

L'atmosfera da «storia del mondo» che caratterizza l'uso del concetto di classe nel Manifesto, muta radicalmente negli scritti successivi di Marx negli anni cinquanta: Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850 (1850) e il Diciotto Brumaio di Luigi Bonaparte (1852). Sullo sfondo agisce, anche in questi scritti, l'immagine di una «essenza» della storia contemporanea polarizzata sull'antagonismo delle due classi fondamentali. Tuttavia l'analisi di Marx, rivolta ad una concreta situazione sociale e i ai suoi conflitti, fa ricorso a numerose distinzioni all'interno della medesima classe in strati e gruppi. I criteri che presiedono alla distinzione sono dati dall'intreccio di due elementi: per un verso la specifica relazione che ogni gruppo omogeneo intrattiene o con una dimensione della struttura economica o con il potere pubblico istituzionale; peraltro verso la capacità e la direzione d'intervento politico che ogni gruppo cosi caratterizzato è in grado di realizzare. L'analisi della situazione sociale e politica mostra, quindi, una pluralità di posizioni interattive, talora più eccentriche e talora più concentriche, rispetto alla divisione fondamentale della società nelle classi antagonistiche.
In Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850 Marx mostra infatti come, dopo la Rivoluzione di luglio, in Francia dominasse una frazione della borghesia (fondiaria e finanziaria) in netta opposizione con la borghesia industriale, la piccola borghesia e la borghesia intellettuale. Questa situazione conduceva ad una politica di indebitamento pubblico che favoriva i banchieri a danno della borghesia industriale che, in concomitanza con la crisi commerciale inglese del 1847, e con l'appoggio della piccola borghesia operò la caduta della monarchia di Luigi Filippo. Alla borghesia in lotta si unì il proletariato, indispensabile supporto, che impose la proclamazione della repubblica. Questa, secondo Marx, era una tappa inevitabile verso l'egemonia totale della borghesia sulla società francese: «Era necessario, invece, che la repubblica di febbraio, innanzitutto, portasse a compimento il dominio della borghesia, facendo entrare accanto all'aristocrazia finanziaria, tutte le classi possidenti nella cerchia del potere politico.» (LCF, 50) Bisognava dunque che tutta la borghesia conquistasse il potere in Francia perché, tramite lo sviluppo della borghesia industriale, la classe proletaria acquistasse le condizioni per la sua emancipazione. Non essendovi in Francia queste condizioni, Marx rileva come non si dessero le condizioni per una rivoluzione di classe vittoriosa: «La classe operaia francese non si trovava a questa altezza: era ancora incapace di fare la sua propria rivoluzione.» (L CF, 52) Senza una bipolarizzazione delle classi diventava dunque inutile, se non pericoloso, per la classe proletaria rivendicare un ruolo di cui non si davano le condizioni.
Rispetto a un'unità politica di superficie che a livello ideologico rivendichi l'unità delle classi sociali, Marx rivendica sempre la necessità, per una corretta lotta di classe, di una analisi dei rapporti sociali esistenti ad un dato livello di sviluppo delle forze produttive. Nel caso francese del 1848, il nuovo governo repubblicano-borghese, dinanzi allo sfacelo economico del paese, non colpisce la speculazione finanziaria, ma al contrario ricorre, nuovamente, ai banchieri, rinsaldando, contro la classe proletaria, i rapporti tra borghesia finanziaria e borghesia industriale e arruolando un esercito di sottoproletari. A questi si aggiunge l'elezione a suffragio universale dell'assemblea nazionale che rivela, contro ogni ideologia egualitaria, le alleanze di classe: «Il suffragio universale... possedeva il merito incomparabilmente più grande di scatenare la lotta di classe, di costringere i differenti strati medi della società borghese a superare rapidamente le loro illusioni e le loro delusioni, di spingere di un colpo tutte le frazioni delle classi sfruttatrici alla sommità dello stato e cosi strappar loro la maschera dell'ipocrisia...» (L CF, 62) L'esito fu lo scontro aperto. «Essi risposero il 22 giugno con la terribile insurrezione in cui venne combattuta la prima grande battaglia tra le due classi in cui è divisa la società moderna.» (L CF, 54) Ma la sanguinosa vittoria della borghesia del 1848 creò un crescente disagio economico che, secondo Marx, segnò la fine dell'alleanza fra le varie fazioni borghesi. Correttamente l'analisi marxiana mostra la classe borghese nella sua articolata complessità e in preda a spinte contrastanti, che vedono la borghesia finanziaria opporsi a quella industriale vincente di cui teme lo strapotere e il disagio della piccola borghesia (artigiani, commercianti, bottegai) duramente colpita dagli eventi rivoluzionari.
Sarà quest'ultima frazione della borghesia che, unendosi ai contadini fiscalmente tartassati determinerà, con l'apporto del proletariato, la riuscita del colpo di stato di Luigi Napoleone.
Sono le condizioni oggettive dei conflitti di classe che selezionano gli spazi d'intervento politico e quindi il ruolo dei personaggi politici. È il caso di Luigi Napoleone. «lo mostro» scrive Marx «come in Francia la lotta di classe creò delle circostanze ed una situazione che resero possibile ad un personaggio mediocre e grottesco di fare la parte dell'eroe.» (18 E, 4) Era la risposta di Marx a chi invocava, in situazione di tensioni di classe, un «salvatore della patria» che si sarebbe poi mostrato lo strumento politico più efficiente per lo sviluppo capitalistico in Francia.
Questa inclinazione di Luigi Bonaparte non fu chiara all'opposizione democratico-borghese che non comprese il proprio ruolo, sottovalutando il fronte di classe degli avversari e sopravvalutando, idealisticamente, il proprio. Essa non riuscìi, così, a coagulare, a livello di opposizione parlamentare e pubblica, tutte quelle forze che intendevano contrastare sia la politica di aggressione militare del governo (spedizione romana), sia la svolta reazionaria che si stava profilando. «Il democratico poiché rappresenta la piccola borghesia, cioè una classe intermedia, in seno alla quale si smussano in pari tempo gli interessi di due classi si immagina di essere superiore, in generale, ai contrasti di classe» (ivi, 46).
Il nuovo assetto politico può, dunque, consolidarsi in piena sintonia con la borghesia finanziaria e con l'appoggio della burocrazia di stato pronte da un Iato a sventolare lo spettro del socialismo e, dall'altro, inclini ad acconsentire alla politica demagogico-populista di Luigi Napoleone rivolta al sottoproletariato o alla classe contadina. La borghesia, rotta in diverse fazioni ed incapace persino di difendere le proprie conquiste politiche, si lascia abbagliare dalla prospettiva di un governo forte.
Contemporaneamente la crisi economica accentua il malumore dei contadini che, stanchi del governo borghese degli ultimi anni, abbandonati a sé senza alcun legame con la borghesia progressista, appoggiano Luigi Napoleone nella sua avventura autoritaria. «Bonaparte si considera rappresentante dei contadini e del popolo in generale contro la borghesia, e vuole, entro la società borghese, rendere felici le sottostanti classi popolari.» (ivi, 118)
L'uso analitico del concetto di classe applicato ad una società politica complessa come quella francese mostra la sua efficacia euristica e politica.
Nel Capitale il tentativo di Marx rimasto peraltro largamente incompiuto è quello di trovare una teoria delle classi sociali partendo dal processo capitalistico di produzione. Nella tradizione dell'economia classica vi era, in Ricardo, una concezione delle classi sociali che veniva derivata dal processo di distribuzione della ricchezza: proprietari fondiari (rendita), capitalisti (profitto), operai (salario) .Marx mostra come la divisione in classi sociali che si ritrova a livello della ripartizione del reddito sia spiegabile soltanto se si possiede una teoria del processo capitalistico di produzione. Ciò che appare a livello della domanda ha qui il suo fondamento strutturale. «Procedendo nell'analisi, si trova che domanda ed offerta presuppongono l'esistenza di diverse classi e categorie che si ripartiscono il reddito progressivo della società consumandolo tra loro come reddito e che in tal modo danno origine alla domanda corrispondente a tale reddito, mentre d'altro Iato, per poter comprendere la domanda e l'offerta cui danno origine tra i produttori come tali, si richiede la conoscenza della struttura completa del processo capitalistico di produzione» (C, III, 239).
Il modo di produzione capitalistico non produce soltanto merci, ma proprio perché produce merci, produce e riproduce anche rapporti sociali
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«La produzione capitalistica ...non produce soltanto merce e plusvalore; riproduce, e in dimensioni sempre maggiori, la classe degli operai salariati e trasforma salariati la stragrande maggioranza dei produttori diretti» (C, II, 38).
Il processo di riproduzione allargata del capitale e quindi di accumulazione poggia nell'analisi marxiana sul rapporto esistente tra il valore di scambio necessario alla riproduzione della forza lavoro e la quantità di valore di scambio che viene prodotto dalla forza lavoro.
La differenza quantitativa pensata a livello del tempo di lavoro è il pluslavoro, pensata a livello del processo di valorizzazione del capitale è il plusvalore. Pluslavoro e plusvalore sono elementi strutturali del modo di produzione capitalistico e quindi attraverso questa analisi è possibile reperire il sistema fondamentale dei rapporti sociali e delle loro condizioni materiali. «L'accumulazione di ricchezza all'uno dei poli è dunque al tempo stesso accumulazione di miseria, tormento di lavoro, schiavitù, ignoranza, brutalizzazione e degradazione morale al polo opposto ossia dalla parte della classe che produce il proprio prodotto come capitale» (C, I, 706).
Da questo punto di vista persino il consumo dell'operaio, cioè la forma sociale della riproduzione della sua vita può essere considerato come un momento del processo di riproduzione del capitale.
«Dal punto di vista sociale la classe operaia, anche al di fuori dell'immediato processo lavorativo, è un accessorio del capitale quanto il morto strumento di lavoro. Perfino il suo consumo individuale è entro certi limiti solo un momento del processo di riproduzione del capitale» (C, I, 629).
D'altro canto questo tipo di analisi delle classi sociali, prodotta all'interno del meccanismo della produzione, sottolinea come la riproduzione del capitale è anche riproduzione di rapporti sociali, ma è molto lontana dall'offrire una morfologia approfondita delle classi sociali medesime. «Che cosa costituisce una classe? E la risposta risulterà automaticamente da quella data all'altra domanda: che cosa fa sì che gli operai salariati, i capitalisti e i proprietari fondiari formino le tre classi sociali?» (C, III, 1003-1004).
Questa è la domanda che Marx si pone nel Terzo libro del Capitale laddove iniziava ad affrontare una teoria organica delle classi rimasta incompiuta. Sotto il profilo della morfologia sociale e ideologica delle classi sociali ritorna importante la considerazione relativa alla modalità di appropriazione della ricchezza. Sotto questo profilo è interessante notare le considerazioni di Marx relative alla classe dei proprietari fondiari. Essa è estranea alle relazioni produttive che coinvolgono la classe operaia e la classe dei capitalisti limitandosi a sfruttarne, standosene fuori dai rischi, i vantaggi. Ciò avviene tramite l'obbligo, esercitato sugli affittuari dai grandi proprietari terrieri, ad aumentare gli investimenti prottivi e tramite una politica protezionistico-doganale esercitata dallo stato. «Nessuna classe sociale vive sontuosamente e nessuna, al pari di questa, avanza il diritto ad un lusso tradizionale "conforme al suo stato" senza riguardo alcuno all'origine del denaro che le serve per tal fine: nessuna altra classe ammassa debiti su debiti con tanta leggerezza. E tuttavia questa classe cade sempre in piedi, grazie a capitale investito da altra gente nel terreno, che Ie frutta delle rendite assolutamente sproporzionate ai profitti che ne trae il capitalista.» (C, III, 830)