discussione
coordinata dal Prof. Domenico Losurdo LOSURDO: Sono Domenico Losurdo e insegno Storia della filosofia all'Università di Urbino. Oggi discutiamo della fine del comunismo e possiamo iniziare con una scheda introduttiva che potrà stimolare il dibattito. Lo storico inglese Eric J. Hobsbawm attribuisce all'esaurimento dell'esperienza del comunismo sovietico una paradossale conferma delle tesi di Karl Marx. "Le forme produttive - diceva infatti Marx - si trasformano in catene della produzione stessa". Secondo questa teoria, quando un sistema produttivo invecchia, intrappola l'economia e determina così la crisi del mondo sociale, che era espressione di quel modello economico. La crisi dell'economia sovietica ha prodotto la fine del mondo comunista. "Il tentativo comunista produsse - scrive Hobsbawm - risultati notevoli, ma a costi umani elevatissimi e intollerabili e al prezzo di edificare ciò che alla fine si è rivelato una economia senza sbocchi e un sistema politico sul quale non si può esprimere alcun giudizio positivo. La tragedia della Rivoluzione d'Ottobre sta nel fatto che essa poteva solo produrre quel tipo di socialismo: spietato, brutale, autoritario. [...] Nel fallimento del comunismo non si può dimenticare però che la Rivoluzione d'Ottobre produsse il più formidabile movimento rivoluzionario organizzato della storia moderna". La sua espansione mondiale non ha paragoni e, per trovare nel passato un elemento simile, bisogna risalire alle conquiste realizzate dall'Islam nel primo secolo della sua storia. Appena trenta o quarant'anni dopo l'arrivo di Lenin alla stazione Finlandia di Pietrogrado, un terzo dell'umanità si trovò a vivere sotto regimi partiti direttamente dai dieci giorni che sconvolsero il mondo. Che cosa è stato allora il comunismo per il Novecento? L'eredità di un movimento che ha coinvolto milioni di persone ad ogni latitudine del pianeta può consistere soltanto nel passato di un'illusione? STUDENTESSA: Come simbolo della trasmissione noi abbiamo scelto la falce e il martello perché maggiormente rappresentano e descrivono il comunismo e quello che era il suo ideale di una società senza classi, senza proprietà privata, nelle mani del proletariato. Questi sono tutti principi teorici perché quando il comunismo ha preso il potere ha conosciuto strumenti come la dittatura, le armi, la strage. Secondo Lei, non si è contraddetto nel tempo? Oppure non è stata proprio questa forma di degenerazione a portarne la caduta? LOSURDO: Credo che il comunismo è giunto al potere in Russia senza scegliere le condizioni in cui si trovava a vivere, cioè in realtà la dittatura c'era già, c'era una dittatura militare, c'era la strage, la strage della Prima Guerra Mondiale. E il comunismo è giunto al potere, in realtà, nel corso della lotta contro questa strage. Poi naturalmente è chiaro che la situazione è stata caratterizzata da uno stato di eccezione permanente, e quindi devo dire - poi il dibattito lo possiamo approfondire -, che sarebbe sbagliata una visione manichea, per cui da un lato ci sarebbe il comunismo, sinonimo di strage e, dall'altra parte, un liberalismo sinonimo di libertà. La Prima Guerra Mondiale, con le stragi ed il sistema totalitario che comporta, fu prodotta per l'appunto dal sistema capitalistico liberale. STUDENTE: Nell'Unione Sovietica non c'era la retribuzione del lavoro proporzionalmente alla qualità e alla quantità. Questo non può aver portato i lavoratori ad impegnarsi di meno, a lavorare poco perché erano sicuri di avere uno stipendio che non poteva né aumentare né diminuire, se non in forma minima? Questo può aver portato alla paralisi di tutto il sistema dell'Unione Sovietica e poi al disfacimento economico e poi politico sia dello Stato che del partito politico che lo governava? LOSURDO: Concordo fondamentalmente con quello che dice Lei, però intanto devo dire che dissento dalla impostazione che abbiamo visto agli inizi del grande storico inglese. Non credo che l'economia sia stato il motivo determinante del crollo dell'Unione Sovietica. Basti dire che oggi in Russia si vive senza dubbio peggio sul piano economico di quanto fosse la situazione dell'Unione Sovietica. In certi paesi, che sono nati dalla dissoluzione dell'Unione Sovietica, ad esempio la Georgia, la produzione è semplicemente una piccola, una minima parte di quello che era al tempo in cui c'era il comunismo al potere. Però, detto questo, è indubbio che il comunismo ha posto troppo l'accento sull'entusiasmo volontario. E quindi da questo punto di vista certamente ha trascurato la necessità degli incentivi materiali che dovevano sviluppare la produzione. Si può dire che forse, facendo riferimento a questo bilancio, in paesi in cui ancora oggi ci sono al potere partiti che si definiscono comunisti, ad esempio in Cina, in realtà si tenda ad un'organizzazione dell'economia di tipo diverso. Loro parlano di socialismo di mercato, cercando di combinare pianificazione statale e incentivi economici e materiali nell'ambito dell'industria. STUDENTE: Fino a che punto gli aspetti dell'economia sovietica - e mi riferisco in particolare alle conseguenze negative che portò il comunismo di guerra e la stessa NEP. La Nuova politica economica è un complesso di misure adottate dallo Stato sovietico tra il 1921 e il 1929 per porre fine al comunismo di guerra, caratterizzato da requisizioni forzate di prodotti agricoli e da assenza di circolazione monetaria) e creare condizioni favorevoli allo scambio tra prodotti industriali e agricoli; la NEP portò ad una certa differenziazione sociale, provocando il riemergere del ceto dei contadini più ricchi e la classe di trafficanti la cui ricchezza contrastava con il tenore di gran parte della popolazione urbana - hanno potuto contribuire al processo di sgretolamento dello stesso comunismo sovietico? LOSURDO: Io credo che la NEP sia stata invece un elemento molto positivo. E, per capire questo elemento positivo, noi dobbiamo tener presente che inizialmente la rivoluzione suscita sempre entusiasmi eccessivi. Questo non vale soltanto per la Rivoluzione d'Ottobre. Da questo punto di vista si potrebbe dire che ogni rivoluzione, si pensi alla Rivoluzione Francese, tende a presentarsi come la fine della storia, come la fine di tutte le contraddizioni. E così, inizialmente, è successo per l'Unione Sovietica. Questo è stato il comunismo di guerra, in parte imposto dalla guerra, in parte imposto in realtà da una visione meccanica, messianica anzi, utopistica. Ecco la NEP invece sotto certi punti di vista fa pensare ai tentativi odierni di una sorta di socialismo di mercato. La tragedia se mai è stata che il sistema della NEP è stato abbandonato abbastanza presto. STUDENTE: Rifacendomi anche a un Suo libro, Lei ha posto il comunismo come la fine delle rivolte razziali, etniche e sociali. Lei crede che - usando un paradosso - sia proprio perché in un certo senso il comunismo è l'espressione maggiormente democratica che si è avuta finora come esperienza politica, che ha causato la sua fine, cioè la sua troppa democraticità? LOSURDO: Direi, sempre contrapponendomi al grande storico inglese, che è sbagliato parlare di fallimento del comunismo. La categoria del fallimento, secondo me, è una categoria sempre fuorviante, non soltanto per la Rivoluzione d'Ottobre, ma per tutte le rivoluzioni. Perché certamente, ad esempio, i Giacobini in Francia volevano reintrodurre una sorta di polis antica, ma hanno prodotto qualcosa di radicalmente diverso. Oppure prendiamo la Rivoluzione Americana. Se noi leggiamo Jefferson, uno dei grandi protagonisti di questa Rivoluzione, vediamo che pensa ad una società senza polarizzazione di ricchezza e di povertà, costituita da piccoli produttori agricoli, senza esercito permanente, senza forte potere centrale. Oggi tutto sono gli Stati Uniti, tranne che la società immaginata da Jefferson. In realtà gli Stati Uniti sono caratterizzati da un esercito permanente, professionale, formidabile, capace di imporre la sua volontà in ogni angolo del mondo. Dobbiamo parlare anche di fallimento della Rivoluzione Americana? Ecco perché ho scelto come oggetto simbolico la Caravella di Colombo, perché la vicenda di Cristoforo Colombo, che va alla ricerca delle Indie e scopre l'America, è in realtà una metafora che può spiegare il processo rivoluzionario in quanto tale. C'è sempre uno scarto tra quello che soggettivamente pensano di produrre i rivoluzionari e quello che poi ne scaturisce. Questa stessa domanda ce la possiamo porre per il comunismo. Una prima risposta adesso posso darla, cioè secondo me non si può comprendere nulla della democrazia contemporanea senza la vicenda iniziata con la Rivoluzione d'Ottobre. Pensate alla democrazia sociale. Ma come si può ignorare il contributo che il movimento comunista ha dato alla realizzazione della democrazia sociale? Ma pensiamo anche alla democrazia politica. Faccio semplicemente una considerazione: ancora negli anni Cinquanta e Sessanta di questo secolo, nel Sud degli USA i neri erano privati dei diritti politici. Se la discriminazione razziale è caduta, o è fondamentalmente caduta negli USA è stato anche in seguito a questa grande sfida rappresentata dalla Rivoluzione d'Ottobre e dal movimento di emancipazione dei popoli coloniali, che è iniziato con la Rivoluzione d'Ottobre. STUDENTESSA: Professore, quella cosa che è morta si può definire comunismo? LOSURDO: Intanto non sono sicuro del tutto che sia morta. È un dato di fatto che noi abbiamo un paese come la Cina; qualunque sia il giudizio che noi vogliamo formulare su questo paese, rappresenta un quinto dell'umanità ed è diretto da un partito che ancora continua a considerarsi comunista. Certamente dice di voler rinnovarsi profondamente. Ecco di questo dato di fatto dobbiamo tener conto. Per quanto riguarda l'altro aspetto della Sua domanda: cos'era il regime politico-sociale che si è sviluppato a partire dalla Rivoluzione d'Ottobre, noi dobbiamo tener presente l'indicazione di Marx, che gli uomini fanno la storia non in circostanze da loro scelte, ma in circostanze che sono oggettivamente date. E allora, secondo me, si è trattato di un tentativo di costruire una società post-capitalistica. Questo tentativo è avvenuto in circostanze tragiche, tra errori ed orrori, però dobbiamo tener presente che, in realtà, ogni processo di costruzione di una società nuova è caratterizzato anche dalla fase dell'apprendimento. [filmato con interviste] "Se guardo dietro agli anni Cinquanta - con il tempo e con l'età si vedono le cose con maggiore chiarezza, devo dire che allora c'era un grande entusiasmo. Giovani che costruivano strade in luoghi inaccessibili, intellettuali che volevano creare cose mai esistite prima. Una società nuova, un uomo nuovo. L'edificazione del socialismo significava l'avverarsi dell'eterno sogno dell'umanità, quello di Cristo, di Spartaco, de La Comune francese. E quell'entusiasmo, mi creda, era sincero". LOSURDO: Vedete dunque che le rappresentazioni consuete, secondo cui il comunismo sarebbe stato sinonimo di oppressione, di dittatura e basta, sono rappresentazioni semplicemente ideologiche, non corrispondono alla realtà. Da questa testimonianza noi vediamo un entusiasmo sincero, un entusiasmo corale nel produrre una nuova società; certamente questo entusiasmo nasceva anche dall'orrore che aveva prodotto la Prima Guerra Mondiale - il fascismo, il nazismo e la Seconda Guerra Mondiale -, questo entusiasmo poi certamente è andato via via declinando, fino a scomparire del tutto. Per quali ragioni? In parte per il fatto che in ogni rivoluzione, come dire, al momento poetico succede poi la fase prosaica, in cui bisogna affrontare problemi concreti, utili alla vita quotidiana, in parte perché - non lo dimentichiamo - c'è stata una terribile guerra fredda, che ha fatto sì che le difficoltà di quei paesi sono aumentate - non semplicemente per una dinamica interna, ma anche per una dinamica esterna. È chiaro che la guerra fredda mirava anche a rendere sempre più difficile, addirittura impossibile, il tentativo di costruzione di una società nuova. STUDENTESSA: la Rivoluzione d'Ottobre aveva portato ad uno stadio precedente alla dittatura del proletariato in quanto c'era ancora, nella macchina statale dell'Unione Sovietica, un simulacro di Stato. Questa forma di comunismo storico era ben diversa dal pensiero che aveva Marx riguardo al comunismo. Vorrei sapere: quanto nell'opinione dei più la fine del comunismo storico ha trascinato con sé anche il pensiero marxista? LOSURDO: Oggi si sostiene che, siccome in Marx c'è la teorizzazione di una fase transitoria di dittatura del proletariato, il crollo dell'Unione Sovietica significherebbe anche il crollo della teoria di Marx. Ma Voi riflettete su questo fatto: in realtà una teorizzazione di una dittatura transitoria in una fase rivoluzionaria, questo si trova in tutta una serie di altri autori, per esempio Mazzini. Mazzini parla di una dittatura transitoria, fino alla conclusione della Rivoluzione Nazionale. Sostituite a Rivoluzione Nazionale Rivoluzione Sociale e vedrete che l'impostazione di Marx non è diversa. Quindi, in realtà, la teorizzazione di una dittatura transitoria si trova non solo in Marx, si trova in Mazzini, ma si trova anche nei classici della tradizione liberale. Allora, detto questo, non c'è dubbio che quello che è avvenuto in Unione Sovietica, in parte ha a che fare con Marx, nel senso che la rivoluzione, iniziata con l'ottobre, cercava di tener presenti certi ideali incorporati nelle tesi di Marx e di Engels, in parte naturalmente non ha nulla a che fare. Non ha nulla a che fare per il fatto che Marx non poteva prevedere nulla di quello che è successo nel Novecento. Ma sarebbe sbagliato - ripeto - assumere un atteggiamento dottrinario nei confronti di qualsiasi rivoluzione. I giacobini si sono richiamati a Rousseau e noi ci possiamo chiedere che rapporto c'è tra il terrore giacobino e Rousseau. E così ci possiamo porre la stessa domanda per quanto riguarda l'Unione Sovietica. Ma non dimentichiamo mai le circostanze oggettive, perché, sia detto una volta per sempre, contro le semplificazioni manichee - riflettete soltanto su questo fatto - il campo di concentramento, nel corso del Novecento non è apparso soltanto nell'Unione Sovietica o nella Germania nazista. Per esempio, nel corso della Seconda Guerra Mondiale, Franklin Delano Roosevelt fece rinchiudere in campi di concentramento tutti i cittadini americani di origine giapponese, comprese donne e bambini. Quindi noi dobbiamo senz'altro avere una visione anche spietata della vicenda iniziata con la Rivoluzione d'Ottobre, ma il manicheismo serve semplicemente ai vincitori, all'ideologia dominante e non promette nulla di buono. STUDENTESSA: Allora, alla luce di quanto afferma Engels, che cioè molti movimenti e capi politici hanno avuto nella storia una funzione oggettiva ben diversa da quella che si sono prefigurati a livello soggettivo, allora quanto peso può aver avuto il fatto che i bolscevichi non siano stati consapevoli della natura effettiva del loro ruolo reale, nel senso che mentre hanno tentato di creare una società di eguali, in moto verso l'autogoverno, hanno poi invece creato uno Stato, una società di fortemente gerarchizzata, autoritaria e comunque centralizzata. LOSURDO: Come dicevo prima: noi dobbiamo sempre tener presente le condizioni oggettive. Se noi consideriamo il periodo storico che va dal 1917 - anno della Rivoluzione d'Ottobre - al 1953 - anno della morte di Stalin - noi vediamo che la vita dell'URSS è caratterizzata da uno stato d'eccezione permanente. Ci sono quattro, cinque guerre - se le consideriamo bene tutte assieme -, due rivoluzioni, c'è quella di ottobre e poi la collettivizzazione forzata dell'agricoltura. Queste rivoluzioni vengono poi seguite da guerre civili. È chiaro che c'è uno stato d'eccezione permanente. La domanda ce la possiamo adesso riformulare in quest'altro modo: perché, dopo il 1953 o negli anni Settanta l'Unione Sovietica non è riuscita a passare da uno Stato d'eccezione alla normalità? Allora certamente in questo caso conta molto l'aspetto soggettivo al quale Lei faceva riferimento. Credo che Lei abbia fatto molto bene a richiamare Engels, che appunto enuncia una regola di carattere generale. Dice: perché una rivoluzione - pensa alla Rivoluzione Francese o Inglese - consegua gli obiettivi che in qualche modo storicamente è chiamata a conseguire, in un certo senso per un certo periodo di tempo si fa delle illusioni che vanno molto al di là degli obiettivi poi conseguiti. Ecco così è successo anche per la vicenda iniziata con la Rivoluzione d'Ottobre, cioè per qualche tempo si è pensato ad una società, non solo senza classi, ma senza Stati, senza conflitti nazionali, senza religioni, senza mercato. Si è pensato, in ultima analisi, ad una sorta di fine della storia. Questa è un'illusione messianica, ma un'illusione messianica che nasce dallo sviluppo stesso della dialettica rivoluzionaria. E l'ulteriore sviluppo che noi possiamo vedere è appunto quando la rivoluzione supera questo stadio messianico, che è in qualche modo inevitabile, e riesce a calibrare in modo più realistico gli obiettivi da perseguire. STUDENTE: Dicevamo che c'è sempre differenza fra i progetti di una rivoluzione e quello che poi si riesce ad attuare. Credo - e questo penso che non riguardi solo il comunismo, ma riguardi tutti i tipi di rivoluzioni, soprattutto tutti i partiti politici e le ideologie politiche - ci sia sempre una netta differenza, non tra quello che si propongono i rivoluzionari e quello che poi riescono ad attuare, ma tra il pensare a una società comune, come il caso del comunismo, e poi avere il potere. Cioè nel senso che il potere logora gli animi. Questo è risaputo. Non pensa che sia proprio questo il punto, cioè che è difficile, non attuare una società comunista, ma è difficile governare una società comunista? LOSURDO: Lei fa bene a sollevare la questione del potere. Il potere corrompe e, da questo punto di vista, la teoria scaturita da Marx per cui con la fine del capitalismo ci sarebbe stata l'estinzione dello Stato, ha giocato un ruolo nefasto, perché se lo Stato è destinato a estinguersi non c'è più la preoccupazione di costruire uno Stato democratico, non c'è più la preoccupazione di produrre una limitazione del potere. Quindi, da questo punto di vista, certamente le debolezze della teoria di Marx hanno giocato un ruolo negativo nella vicenda storica. Però non assolutizzerei questo elemento. Io dicevo che noi non possiamo comprendere la democrazia contemporanea senza il contributo scaturito dalla Rivoluzione d'Ottobre. Pensate qual'era la situazione alla vigilia della Rivoluzione d'Ottobre: avevamo il pianeta dominato semplicemente da un pugno di grandi potenze, che, nell'ambito delle colonie, non realizzavano certo la democrazia, anzi imponevano alla popolazione indigena locale forme di lavoro coatte, servili o semiservili. E la vicenda della decolonizzazione è iniziata nel 1917. La vicenda della fine del razzismo è iniziata nel 1917, perché ancora in quel momento, razzismo aveva talvolta persino una connotazione positiva, cioè il termine "razzismo" veniva usato persino con una connotazione positiva. Ci possiamo chiedere persino se la democrazia, come si è realizzata nel Novecento, possa resistere al venir meno della sfida costituita dalla Rivoluzione d'Ottobre e dai paesi che si richiamavano alla Rivoluzione d'Ottobre. Cioè io credo che si assiste effettivamente ad una sorta di ricolonizzazione del Terzo Mondo, dei Balcani. Forse oggi noi stiamo assistendo alla Seconda grande Guerra Coloniale, che si è sviluppata dopo il 1991, dopo il trionfo degli Stati Uniti nel corso della Guerra Fredda. E la Prima Guerra Coloniale è stata la Guerra del Golfo. Secondo me la Seconda grande Guerra Coloniale è quella in atto nei Balcani. E da questo punto di vista mi chiedo se effettivamente non assistiamo ad una crisi della democrazia, se per democrazia intendiamo anche l'uguaglianza tra le nazioni che costituiscono il mondo. STUDENTESSA: Se il comunismo è quello che Lei dice, come possiamo spiegare dunque lo stalinismo e il fatto che sul piano della politica estera la Russia continuò comunque una politica di tipo imperialista, diciamo come quella del periodo zarista, con l'invasione di territori vicini? LOSURDO: Intanto noi dobbiamo tener presente che i comunisti sono andati al potere in un paese appunto come la Russia, che non aveva nessuna tradizione democratica e liberale alle spalle. Il Partito Comunista in Russia è andato al potere in una situazione tragica, come ho già detto. Quindi le circostanze oggettive non vanno dimenticate. Io comunque non credo all'utilità di applicare la categoria di imperialismo alla politica estera dell'Unione Sovietica. Sa perché? Perché, se Voi riflettete, per esempio, su quello che oggi i dirigenti americani dicono a proposito di Cuba, dicono che Cuba è caduta in crisi perché è venuto a mancare l'aiuto dell'Unione Sovietica. L'aiuto dell'Unione Sovietica non è una politica di tipo imperialistico, mentre invece certamente l'Unione Sovietica ha condotto con Stalin, ma anche dopo Stalin, fino alla fine dei suoi giorni, ha condotto una politica sciovinistica e di grande potenza. E lì per un verso in effetti, è vero, ha ereditato la tradizione zarista in Europa Orientale, non c'è dubbio. Per un altro verso ha giocato ancora una volta un ruolo negativo l'illusione messianica che con il comunismo sarebbero scomparsi tutti i conflitti nazionali. Invece i conflitti nazionali si sono ripresentati. Prima la Jugoslavia nel 1948 ha rotto con l'Unione Sovietica, poi c'è stata l'invasione dell'Ungheria, l'invasione della Cecoslovacchia. I conflitti nazionali esistevano e l'illusione che fossero scomparsi, certamente non ha contribuito a trattare questi conflitti nazionali in modo adeguato. STUDENTE: Il comunismo è stato considerato da molti un ideale. E come tale è stato portato avanti da molti giovani. Secondo Lei come mai oggi non c'è più questo impegno e questa passione? LOSURDO: Per il fatto che coloro che si sono opposti al comunismo, hanno conseguito una vittoria strategica. Non c'è dubbio, hanno conseguito una vittoria strategica. Però noi ci dobbiamo interrogare se effettivamente questa vittoria strategica abbia un significato univocamente positivo, se non ha invece anche un significato negativo. Noi assistiamo ai tentativi di smantellamento dello stato sociale. Un autore come Friedrich August von Hayek, Premio Nobel dell'Economia, è stato anche l'esperto economico del Presidente americano Regan, dichiara esplicitamente che i diritti economici e sociali sanciti dall'O.N.U. sono il risultato dell'esistenza rovinosa - così la considera - della Rivoluzione marxista russa. E quindi, da questo punto di vista, ci troviamo in una situazione radicalmente nuova. Dobbiamo attendere gli sviluppi della storia e non considerare la storia già finita. STUDENTE: Il rapporto tra Marx e la rivoluzione deve comunque essere preso con il contagocce, in quanto Marx dal canto suo non ammetteva quel modo di fare rivoluzione, come è successo appunto in Russia, considerando che una fase democratico-liberale e uno sviluppo del capitalismo in Russia non c'era stato fino in fondo. Infatti la società russa Marx se la considerava come società asiatica, non una società capitalistica. Per Marx la stessa rivoluzione doveva appunto svolgersi in funzione di una messa in crisi del sistema capitalistico. Quindi per molti aspetti Marx e la rivoluzione non sono tanto conciliabili tra loro; penso che bisogna vedere fino a che punto questo rapporto può coesistere. LOSURDO: Non c'è dubbio che Marx non ha pensato ad una rivoluzione come quella che si è svolta in Russia, perché pensava, in modo particolare, ai paesi capitalistici avanzati e non pensava neppure ad una rivoluzione che si sarebbe svolta nel corso di una guerra totale, di una guerra terribile, di una carneficina, come è stata la Prima Guerra Mondiale. Però starei anche attento a non assolutizzare questo aspetto. In realtà in Marx ci sono anche oscillazioni. Noi potremmo dire che ci sono due teorie della rivoluzione in Marx. Una è quella consegnata ne Il capitale, dove dice che a un certo punto nei paesi capitalistici avanzati, con il processo di concentrazione capitalistica, tutto si concentra nelle mani di pochi grandi monopolisti e "suona - così si esprime - l'ora dell'espropriazione degli espropriatori." Ecco, quindi, da questo punto di vista, la rivoluzione è come un processo meccanico, che discende meccanicamente dallo stesso processo di concentrazione monopolistica, capitalistica e monopolistica. Però, se Voi avete presente Il manifesto del Partito Comunista, lì Marx sviluppa una diversa teoria della rivoluzione. Proprio alla fine de Il manifesto Marx dice: "I comunisti concentrano il loro sguardo soprattutto in Germania". E perché? Non perché la Germania sia particolarmente sviluppata. No, al contrario - dicono Marx ed Engels - per il fatto che la Germania è ancora al di qua della rivoluzione democratico-borghese, e in condizioni di proletariato sviluppato - sto sempre recitando Il manifesto - questa rivoluzione democratico-borghese può trasformarsi in qualcosa di qualitativamente diverso, perché il proletariato può poi procedere ad un ulteriore sviluppo della rivoluzione. Ecco, secondo me, qualcosa del genere in realtà si è verificato, non in Europa, ma nei grandi paesi coloniali, pensate, per esempio, alla Cina. Il Partito Comunista ha diretto una rivoluzione anti-feudale e anti-coloniale, però nell'onda di questa rivoluzione anti-feudale e anti-coloniale ha pensato in realtà di conseguire obiettivi ulteriori, che vanno al di là anche del sistema capitalistico. STUDENTESSA: Fino a che punto pensa che i principi su cui si fondava la Prima Costituzione Russa, principi che appartenevano all'ideologia comunista, fossero giusti, e fino a che punto e perché questi principi non sono stati poi realizzati, tant'è vero che la stessa costituzione fu modificata? LOSURDO: Come accennavo prima, a me non piace la categoria di fallimento della rivoluzione, e non soltanto per la Rivoluzione d'Ottobre. Un'altra categoria che non mi piace è la categoria di tradimento. Mentre, secondo me, per capire le grandi rivoluzioni, tutti noi dobbiamo tener presente una diversa categoria, che è quella dell'apprendimento. Cioè per un verso si sa che cosa si vuole abbattere; si vuole abbattere l'antico regime, un ordinamento che viene considerato intollerabile. Per un altro verso si procede a tentoni, nel tentativo di costruire una società nuova. E allora, da questo punto di vista, non c'è dubbio che i primi testi costituzionali della Russia sovietica sono permeati da tutta una serie di illusioni. C'è questa visione messianica della rivoluzione, cui ho fatto riferimento, che fino alla fine l'Unione Sovietica non è riuscita a superare. E da questo punto di vista - ripeto - ciò ha pesato nettamente nella sconfitta dell'Unione Sovietica. Però voglio ancora richiamare l'attenzione che per comprendere le grandi rivoluzioni, noi dobbiamo tener presenti due punti: la differenza tra progetto soggettivo e risultati oggettivi, differenza che si spiega anche con la concreta situazione storica. E la categoria dell'apprendimento. Questo vale anche per la Rivoluzione Francese. Per esempio: quand'è che la Rivoluzione Francese si è espressa effettivamente con una democrazia parlamentare? Soltanto dopo la fine della Comune di Parigi, dopo il 1871, con la cosiddetta Terza Repubblica. La Rivoluzione Francese, per produrre il suo regime politico, in un certo senso ci ha messo quasi un secolo, che va dal 1879 al 1871. STUDENTE: Noi siamo qui per chiederci come mai è fallito il comunismo, una ideologia che ha cercato di trasformare l'economia, l'antica impostazione zarista, richiedendo forse alle persone qualcosa che va contro la natura stessa dell'uomo. Forse è impensabile pensare che dei contadini, dei lavoratori, possano lavorare per il bene altrui, ricavandone poco, senza neanche poter avere l'aspirazione, un domani, di poter gestire un'azienda propria, di crescere. Per esempio, so che i contadini avevano un appezzamento di terra su cui lavoravano per il paese, per il popolo russo, e un altro appezzamento su cui lavoravano per loro. Cosa succedeva? Che al contadino conveniva lavorare sul proprio piccolo appezzamento dove ricavava il nutrimento, più che lavorare e affaticarsi sul grande appezzamento destinato al pubblico, da cui poi avrebbe potuto ricavarne poco. Mi rendo conto che si cercava un nuovo metodo, ma forse andava contro la stessa natura umana, che è un po' egoista, del tipo: "Ora prima mangio io e poi faccio mangiare gli altri". Penso che anche per questo sia caduto il comunismo. LOSURDO: Su questo concordo con Lei. Dicevo che effettivamente inizialmente il processo rivoluzionario - in questo caso il processo rivoluzionario comunista - si presenta come una carica messianica. E la carica messianica qual'è? Facciamo scomparire ogni forma di proprietà privata, tanto più che il regime fondato sulla proprietà privata aveva prodotto l'orrore della Prima Guerra Mondiale. Non c'è dubbio, il capitalismo aveva svolto un ruolo decisivo nello scatenamento della guerra. Ed ecco, in questa situazione tragica, che effettivamente le stesse tesi di Marx vengono ulteriormente radicalizzate. Deve scomparire la proprietà privata, ogni forma di proprietà privata. Viene radicalizzata anche la tesi di Marx dell'estinzione dello Stato. Perché? La Prima Guerra Mondiale aveva dimostrato in modo concreto che lo Stato funzionava come un moloch, costringeva milioni e milioni di cittadini a morire e ad uccidere. Ecco allora che, effettivamente, la carica messianica si potenzia ulteriormente, fine anche dello Stato. Naturalmente tutta questa carica messianica, se inizialmente ha prodotto anche l'entusiasmo, ha funzionato poi come una droga. Finito l'effetto di questa droga, in realtà c'è una sorta di rilassamento, una sorta di fiacca. Questo è avvenuto. Da questo punto di vista concordo con Lei. Certamente si trattava in realtà di combinare diverse forme di proprietà. Come dicevo è un tentativo, che poi è stato portato avanti con la NEP, la combinazione di diverse forme di proprietà. Oggi paesi che ancora si richiamano al socialismo - facevo l'esempio della Cina - cercano, anche loro, di combinare diversi tipi di proprietà. Ma non c'è dubbio che questa carica messianica, che faceva mancare ogni incentivo materiale, ha giocato un ruolo nettamente negativo. STUDENTESSA: Il progetto dei padri fondatori era ciò che è finito con il crollo dell'Unione Sovietica? LOSURDO: "Padri fondatori" è un'espressione che usano soprattutto gli Americani per parlare, appunto, dei protagonisti della loro rivoluzione. Ecco, come dicevo prima, tra i padri fondatori della Rivoluzione Americana c'è Jefferson, ma certamente gli Stati Uniti di oggi non rassomigliano per nulla all'America a cui pensava Jefferson. Cioè "Padri fondatori" è un'espressione che richiama chiaramente la religione. Cioè il testo di Marx e di Engels non è un Vangelo. Il testo di Marx e di Engels nasce in una determinata costellazione storica, intende rispondere a determinati problemi. Nel frattempo, è chiaro, il mondo si è sviluppato. Io credo che coloro che si richiamano a Marx ed Engels farebbero un torto proprio a Marx ed Engels se assolutizzasero la loro dottrina. Certamente, per esempio, - Marx ed Engels hanno dichiarato più volte di aver appreso molto da La Comune di Parigi. Credo che coloro che si richiamano a Marx ed Engels - credo di essere tra questi - hanno il compito di pensare in profondità anche tutta la storia che è iniziata con il 1917, senza assumere né un atteggiamento acritico, ma neppure l'atteggiamento di demonizzazione, che è proprio dell'ideologia dominante. STUDENTESSA: Su Internet abbiamo trovato un sito su Marx, proprio per rifarci alla sua opera, Il capitale, nella quale l'autore non delineò il volto nuovo della società, però indicò alcune idee guida che comunque comprendevano l'abolizione della proprietà privata, l'abolizione della divisione della società in classi. Solo che lo Stato totalitario accentratore, che doveva rappresentare una fase di passaggio, divenne il fine ultimo della rivoluzione. Quindi, di conseguenza, non ci fu più l'abolizione dello Stato, che Marx prefigurava nella sua opera. LOSURDO: Dell'illusione dell'estinzione dello Stato di Marx, ho già detto che si è trattato di un'illusione che ha svolto un ruolo senza dubbio negativo. Però stiamo attenti ancora una volta alle storie manichee, come se la storia del comunismo fosse identificabile con quella del totalitarismo. Ho già detto, in realtà, che l'universo totalitario si è manifestato anche negli Stati Uniti nel corso della Seconda Guerra Mondiale e potrei concludere - e concludo - con una domanda: ma siamo sicuri, ad esempio, che l'embargo non sia un forma post-moderna di campo di concentramento? Che in realtà non ci sia più bisogno di chiudere un intero popolo in un campo di concentramento, ma che basti tagliare l'afflusso di viveri, di medicinali, soprattutto se poi una guerra ha distrutto le infrastrutture civili di questo paese? Quindi, ripeto, è giusto tener presente la svolta che si è verificata nel 1991, ma anche sul piano storico dobbiamo guardarci dall'applaudire, in modo acritico, l'ideologia dei vincitori. |