1. Professor Bodei, il filosofo tedesco Ernst Bloch ha lasciato un'opera monumentale, Il principio speranza, senz'altro il suo capolavoro. Come è articolata quest'opera e qual è il suo significato? Quest'opera di Bloch è una grande enciclopedia della speranza, che mostra come la speranza stessa si insinui in tutte le manifestazioni dell'uomo a partire dai sogni, che sono un'attesa di un mondo migliore. A Shakespeare, che si chiedeva di quale materia fossero fatti i sogni, Bloch risponderebbe che la materia di cui sono fatti i sogni è appunto la speranza. L'opera contiene anche un'analisi della speranza fatta a livello apparentemente più volgare, vale a dire a livello di quelli che Bloch chiama "i paradisi a prezzo scontato": il supermercato, il desiderio di avere denti bianchi e vita snella o tutto ciò che oggi è desiderio quotidiano alimentato dalla pubblicità. In particolare Bloch osserva, contro un certo snobismo della scuola di Francoforte, che la signorina che si mette il rossetto o si pettina in maniera civettuola, o l'uomo che sogna da ragazzo delle grandi imprese, in realtà sopportano la loro condizione attuale come una sorta di corteccia provvisoria. Da qui Bloch passa ad analizzare la speranza non soltanto in termini di utopia e quindi in termini di politica, anzi l'aspetto più attuale di questo libro è di non considerare la speranza soltanto in termini politici, visto che di speranze ne abbiamo perse tante per strada ed egli stesso ha perso la speranza, legata al marxismo, di una società senza classi e di un mondo migliore. Bloch scopre la speranza non soltanto nelle costruzioni politiche, ma anche e soprattutto in quelle forme di grande arte, come nella musica, nella pittura, nella filosofia ed infine il libro si conclude con la più grande sfida alla speranza che è rappresentata dalla morte: noi possiamo ragionevolmente sperare che la morte non sia la fine di tutto. Questo libro, per quanto riguarda la sua storia, è stato composto in un arco di circa vent'anni: Bloch lo inizia nel periodo dell'esilio americano, alla fine degli anni Trenta, scrive il primo volume nel 1954 ed il terzo ed ultimo nel 1959. Il punto di partenza di Bloch è il fatto che tutti abitiamo questo continente della speranza, che pur essendo affollato, è inesplorato come l'Antartide. Per questo Il principio speranza di Bloch è una grande mappa di tutti i territori della speranza. Bloch concepisce la speranza contro Heidegger, contro il principio dell'angoscia, se vogliamo chiamarlo così, in quanto, secondo Bloch, non bisogna prendere il mondo così com'è: la speranza ci mostra, infatti, il mondo in movimento ed in evoluzione. L'idea di Bloch, quindi, è che la speranza non è semplicemente un premio di consolazione per le disgrazie necessarie della vita degli individui e della storia, ma è piuttosto uno sforzo per vedere come le cose stanno in movimento, come si evolvono. La nostra mente non è simile a uno specchio che riflette una realtà ferma, ma è piuttosto qualche cosa che si inserisce nel mondo della speranza. A questo proposito possiamo rifarci a un'immagine classica della storia della filosofia: Kant parlava della candida colomba della ragione che pensa che l'aria gli possa essere di ostacolo, senza rendersi conto che è proprio essa a sostenere il suo volo. Si potrebbe dire con questa immagine che la speranza è in Bloch l'aria che sostiene la ragione, senza la speranza la ragione non potrebbe volare e senza la ragione però la speranza sarebbe cieca. Bloch non cerca una soluzione sentimentale ai problemi: la speranza per questo filosofo ha un carattere conoscitivo, un carattere veggente, cioè la speranza è quella che permette al pensiero di articolarsi al di là dell'immediatezza del vissuto. 2. Professor Bodei, la speranza è per Ernst Bloch il sostegno indispensabile della ragione umana. Da che cosa è motivata la difesa della speranza da parte dell'autore dell'opera Il principio speranza? È motivata in gran parte dal fatto che diamo troppa importanza da un lato alla razionalità pura, pensiamo che gli uomini siano mossi soltanto da ragioni di tipo intellettualistico, e dall'altra è motivata invece da coloro che ritengono che nel mondo non ci sia nessun senso delle cose e che soltanto la pura vitalità amorfa guidi il nostro agire. Bloch vuol mostrare invece come la speranza abbia un carattere concreto. La speranza prima di tutto non è certezza, anzi Bloch ricorda una formella, quindi un'immagine, della porta del battistero di Firenze scolpita da Andrea Pisano, in cui si mostra la Spes, la Speranza, con le braccia tese verso l'alto come Tantalo che cerca di afferrare qualche cosa. Quindi la speranza non solo non è certezza, ma è un tendere, un andare verso. Bloch parla di speranza concreta o di utopia concreta volendo dire due cose: da un lato che l'utopia, la speranza, l'attesa di un mondo migliore, non possono essere affidate soltanto alla "corrente fredda", cioè all'idea che la razionalità si faccia spazio da sola. Non basta, infatti, enunciare una cosa vera perché questa cosa vera penetri nella testa degli uomini. D'altro lato Bloch cerca di temperare questa "corrente fredda" con una "corrente calda", cioè non basta mobilitare gli uomini per raggiungere certi effetti, per credere che questa mobilitazione vada in una direzione accettabile. 3. Può spiegare la differenza tra la "corrente calda" e la "corrente fredda", anche in relazione al marxismo? L'esempio che fa è quello del nazionalsocialismo, che Bloch definisce un "giacobinismo del mito". È importante un aneddoto che Bloch racconta: nel 1933, poco prima dell'avvento del nazionalsocialismo, ci fu una discussione nel palazzetto dello sport a Berlino tra un rappresentante del partito comunista tedesco e un rappresentante nazista. Il comunista entra e comincia a spiegare la caduta tendenziale del saggio di profitto secondo Marx, la gente non capisce niente, e queste verità non fanno presa. Arriva invece il nazista che comincia a parlare in termini mitici della pugnalata alle spalle che gli ebrei e i demoplutocrati hanno dato al popolo tedesco, fa dei discorsi che hanno una grande presa emotiva, usa termini come patria, casa, quelle forme cioè di richiamo all'identità delle persone ed esce tra le ovazioni di tutti. Ora, per Bloch il punto, e forse anche per noi, è quello di capire che non si può staccare la razionalità dagli affetti, ma che non si può avere una pura razionalità, un socratismo, per cui basti enunciare il vero perché il vero si raggiunga, né si può avere, come nel caso del nazionalsocialismo, una pura mobilitazione basata su problematiche irrazionali. Il tentativo di Bloch rispetto alla storia del marxismo va controcorrente. Lenin aveva scritto molto su questa capacità di mobilitare le masse e, attraverso il culto per esempio della mummia di Lenin, anche Stalin aveva usato una certa sua mitologia, se vogliamo rozza e contadina, mentre Engels aveva parlato, in un famoso libro, del passaggio del socialismo dall'utopia alla scienza. Ora per Bloch questo passaggio è stato fin troppo radicale e rapido. Si è creduto che il marxismo avesse più successo diventando scientifico e cioè dogmatico, ma in questo modo ha lasciato, per così dire, "in mezzo ai rovi", quelle che sono le tendenze degli uomini verso una vita migliore, quello che Marx stesso chiamava il sogno di una cosa. Per questo la rivendicazione della speranza in Bloch non è la rivendicazione di una mobilitazione cieca degli uomini verso una vita migliore che non sanno dove stia, ma è il tentativo di innervare di queste energie umane, che altrimenti si disperdono e si dissipano, un progetto che ha una base razionale, analitica. È vero che in Bloch non c'è lo stesso snobismo di Adorno e degli altri studiosi della Scuola di Francoforte quando disprezzano i desideri della gente comune, e quindi anche le cose apparentemente banali che la pubblicità ci porta, ma è anche vero che per Bloch questo non è il livello più soddisfacente. Ciò che il filosofo cerca di fare è di mostrare come nella speranza ci sia una sorta di crescendo, cioè gli uomini devono essere addestrati, in qualche modo, attraverso la lettura di questo libro, a desiderare delle cose e a sperare delle cose che gli diano sempre maggiori soddisfazioni, che diano sempre più densità di senso all'esistenza. 4. Professor Bodei, è corretto affermare che lo scopo dell'opera di Bloch Il principio speranza è quello di aiutare gli uomini a riscoprire nuovamente la realtà in movimento, affinché imparino a vivere intensamente ogni istante? Si, perché paradossalmente l'utopia di Bloch, o la speranza di Bloch, non riguarda tanto il futuro quanto il presente, nel senso che per Bloch ogni istante può diventare significativo, noi dobbiamo imparare a vivere ogni momento come se fosse eterno: "Cogli l'eternità nell'istante" è un principio fondamentale di Bloch. Naturalmente per "eternità" non si intende un tempo lungo, gonfiato oltre ogni dimensione finita, per "eternità" si intende la pienezza dell'esistere, l'eternità riguarda quei momenti d'essere in cui a me sembra di scoprire il senso delle cose e questo senso delle cose io lo scopro andando al di là dell'oscurità dell'attimo vissuto. Il principio che Bloch ritiene più originale di tutta la sua filosofia è quello di aver scoperto che la nostra coscienza del presente, che a noi sembra così cristallina, così trasparente, è in realtà opaca, e che quindi il presente in effetti è oscuro, o, usando un proverbio cinese che usava Bloch: "Alla base del faro non c'è luce". Questo significa allora che noi non dobbiamo proiettarci nel futuro in quanto tale, ma illuminare, attraverso la conoscenza e attraverso la conoscenza della speranza, quello che è il centro del nostro essere, cioè dobbiamo buttare luce, dare senso a ogni momento della nostra esistenza. Questo accade ad esempio attraverso l'arte, attraverso la musica in particolare, dove si ha il massimo di esattezza matematica e il massimo di pathos: questa è una bella illustrazione del principio speranza, la speranza non è soltanto pathos, ma è anche misura e quindi la speranza è una forma che mobilita gli animi, come la musica ci può dare un senso di esaltazione, di tristezza, ma nello stesso tempo questo senso di esaltazione o di tristezza è retto da una struttura matematica rigorosa. 5. Professor Bodei, oltre che nell'esperienza del quotidiano la speranza, secondo Ernst Bloch, si manifesta nelle opere d'arte? Sì, appunto, le opere d'arte sono per Bloch una esperienza raffinata e condensata, cioè Bloch non contrappone l'arte alla vita, non scarica tutto sui musei o sui libri per trovare il senso dell'esistenza, anzi le cose più banali, più piccole, più quotidiane, hanno un carattere importante. Bloch appunto si sforza di renderci nuovamente importante ciò che appare ovvio, però le opere d'arte hanno questo vantaggio: sono un distillato di esperienza e di grande esperienza, quindi l'opera d'arte ci mette in contatto con questo elemento di mistero e di indecidibilità. Bloch ad esempio amava molto la pittura metafisica di De Chirico e ricorda come De Chirico firmasse i suoi quadri attorno al 1908 aggiungendovi un motto latino: "Et quid amabo nisi quod enigma est", "E che cosa amerò se non ciò che è enigmatico?". In Bloch non c'è il gusto, per così dire, illuministico di rendere tutto chiaro e trasparente. Bloch sa appunto che il nucleo di oscurità che è interno a noi stessi non si potrà mai dissipare; nello stesso tempo però Bloch non cade nel ricatto dell'oscuro, dell'enigma per l'enigma. Per dirla con Montale "cercano la chiarità le cose oscure", cioè Bloch cerca di passare dall'oscuro al chiaro senza cancellare gli elementi di oscurità. E questo riguarda eventualmente anche la morte. La morte, per Bloch, non ci è ignota, noi sperimentiamo la morte già mentre siamo vivi: sono quegli attimi di densa opacità, di sogno opaco ed oscuro, di nero, di intermittenze oscure, di cui la nostra vita stessa è costellata. Così come viviamo la morte in ogni istante di opacità, noi viviamo l'eterno in ogni istante di pienezza. Se volessimo usare una formula, si potrebbe dire che Bloch, col suo insegnamento, vuole ridurre queste intermittenze dell'intelletto e del cuore, questa opacità a noi stessi, moltiplicando gli attimi in cui, invece, noi incontriamo noi stessi. Infatti il principio speranza ruota attorno a quello che Bloch chiama "incontro con noi stessi", Selbstbegegnung, perché la cosa più strana è che noi siamo in compagnia di noi stessi, ma in realtà è come se non ci incontrassimo mai, siamo sottoposti a tutti questi messaggi, che vengono dall'inconscio ad esempio, del mondo dei sogni e dei desideri, ma questi messaggi non sono chiari nella nostra coscienza. Scopo del principio speranza è quello di cercare di dare un senso a questo nostro vivere a distanza da noi stessi, quindi l'ideale utopico per eccellenza è di ritrovare noi stessi, di ritrovare il senso di noi stessi in una collettività, non un senso solitario. Noi viviamo assieme agli altri e quindi è anche attraverso gli altri che conosciamo parte di noi stessi. Il noi è più ospitale dell'io. L'io però è più proprio a noi stessi, quindi quando noi incontriamo l'io incontriamo anche il noi e quando incontriamo il noi incontriamo l'io, cioè è soltanto vivendo in questa comunità di tutti gli uomini che l'opera d'arte, ci mette in contatto con ciò che è più proprio. Se ascolto una musica di Mozart o di Bach, se guardo un quadro di Raffaello o di Michelangelo, se vedo l'architettura del Partenone, ecco in questo momento ciò che è diventato proprietà comune del noi, del genere umano, mi parla e mi fa incontrare me stesso. 6. Professor Bodei, si può affermare che l'opera di Bloch contiene una speranza di vittoria sulla morte? Sí, forse qui è un po' troppo ottimistico, nel senso che, mentre in Heidegger di Essere e tempo c'è quasi un'apologia della morte, dell'essere per la morte, del prepararsi alla morte - tra l'altro questa posizione di Heidegger è erede di una lunga storia, perché è Platone il primo a far dire a Socrate che compito del filosofo è riflettere sulla morte ed imparare a morire - Bloch cerca, invece, di liberare tutta la tradizione filosofica, da Platone a Heidegger, da questa tanatofilia, da questa sorta di amore per la morte, cercando di mostrare come coloro che pretendono non solo che dopo la morte ci sia una vita ultraterrena, ma anche quelli che pretendono che dopo la morte ci sia soltanto il nulla non hanno ragioni dimostrabili più forti di quelli che invece ritengono che ci possa essere qualche altra cosa. Bloch ha una sorta di fiducia, che vorrei definire "congetturale", una fiducia appena accennata, che si può spiegare attraverso un passo del grande scrittore svizzero Gottfried Keller, che egli cita. L'argomento non è molto allegro, ma il testo è bellissimo. Gottfried Keller vede una volta un obitorio in cui sono stesi i cadaveri di gente di tutte le età, di tutte le condizioni sociali, di entrambi i sessi, e gli sembrano degli emigranti, che dormono nel porto vicino alle loro misere cose in attesa che sorga l'alba. È questa speranza di un sorgere di un'alba che guida il pensiero di Bloch, e quindi la possibilità di una vittoria sulla "lampada funebre", come la chiama lui. Questa sarebbe per Bloch la speranza più piena, ma Bloch è anche abbastanza realistico da sapere che questa speranza resta speranza, però è altrettanto realistico quando pensa che in fondo l'evoluzione dell'umanità, del passaggio dalla scimmia all'uomo darwinianamente, è andata verso il meglio, guidata in fondo da forze invisibili che noi non controlliamo e che la tradizione ha chiamato Dio. 7. Qual è la posizione di Bloch nei confronti della religione? Ora Bloch non crede nel Dio personale, anzi espone in un libro che si chiama Ateismo nel cristianesimo una tesi radicale: "Il miglior cristiano è l'ateo". L'ateo infatti toglie alla religione l'aspetto esteriore di tipo immaginifico, legato a delle persone e a dei fatti, a Gesù e ai miracoli, a Buddha, e lascia nella religione il nucleo più potente, lascia nella religione quello che è l'aspetto determinante e cioè che la religione contiene in sé i desideri più profondi degli uomini. Per certi aspetti la religione è più importante della filosofia, o, per dirla in termini marxiani in riferimento ad Hegel: la ricerca del nucleo razionale dentro il guscio mistico si può dire che per Bloch diventa la valorizzazione proprio del guscio mistico delle religioni. È importante che lo stesso nucleo razionale sia riferito a desideri e ad aspettative, anche perché il nucleo razionale vive soltanto se c'è la spinta della speranza. Forse Bloch semplifica troppo, bisognerebbe prendere più sul serio Heidegger. Heidegger è più radicale, ma certamente è anche vero che in Bloch c'è questa attesa di un qualcosa che mantiene vive le energie vitali invece che deprimerle nel sacrificio e nell'essere-per-la-morte. Senza ritornare alle vecchie questioni su Heidegger e il nazismo, va anche ricordato che nel 1944, questo "essere-per-la-morte", enunciato in Essere e Tempo, diventa il sacrificio dei soldati tedeschi, della popolazione civile tedesca, un sacrificio, di cui non si deve chiedere il perché, nei confronti di un regime che chiede agli uomini soltanto di "credere, obbedire e combattere" e non di pensare e non di sperare in qualcosa di meglio, soprattutto un meglio che sia emancipatorio di tutto il genere umano. Infatti la speranza di Bloch non è la speranza di un singolo popolo o di un singolo individuo. In Bloch c'è questo elemento corale e collettivo per cui la speranza viene paragonata a una fuga musicale, cioè alla ripresa di un tema che ogni individuo e ogni popolo ripropongono attraverso variazioni nel tempo e in cui, come in certi corali di Bach, tutti gli individui e tutti i popoli entrano alternativamente o insieme a cantare questa polifonia, questo accordo che cerca l'unisono. Queste voci che cercano di trovare l'unità sono per Bloch la rappresentazione stessa della storia umana e del processo della speranza nella storia umana. |