Costanzo Preve
Centoventi anni dalla morte di Marx
1. La congiuntura storica in cui cade l’anniversario della morte di Marx
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L’impero
ideologico-militare americano-sionista
Il centenario della morte di Karl Marx avvenne nel 1983 in un
contesto storicamente molto diverso da quello di oggi, e cioè
in un contesto di bipolarismo geopolitico mondiale, con la presenza
di due superpotenze strategicamente paragonabili, gli USA e l’URSS.
Alla luce dell’arrogante unilateralismo militare odierno
degli americani e dei sionisti, si trattava di una situazione
molto migliore, perché di fatto lasciava un maggiore spazio
d’indipendenza a gran parte dei paesi del mondo. A distanza
di soli vent’anni, sembra che siano già passati dei
secoli.
Negli anni Ottanta del Novecento, e questo era particolarmente
visibile in alcuni paesi dell’Europa Occidentale (Italia,
Francia e Spagna in particolare), la tradizionale egemonia del
marxismo fra gli intellettuali, i giovani, gli studenti e le avanguardie
operaie (egemonia che caratterizzò il decennio 1966-1976)
stava sfaldandosi. Si stava rapidamente realizzando la geniale
diagnosi del pensatore cattolico Augusto Del Noce (il più
grande “marxista inconsapevole” della seconda metà
del Novecento italiano, e parlo assolutamente sul serio), per
cui la logica dello storicismo progressista a base filosoficamente
nichilistica portava irresistibilmente ad un’adesione alla
cosiddetta “società radicale” occidentalistica
dei consumi. Lo storicismo di Gramsci stava evolvendo rapidamente
nel Nietzsche post-moderno di Vattimo.
Ogni tentativo di emancipare il marxismo dall’economicismo
riduzionistico e dai miti operaistici, tentativo che personalmente
svolsi in modo patetico per un decennio (con varie proposte inutili
di rilettura di Lukács, Benjamin, Bloch, Althusser, ecc.)
cadeva nel vuoto assoluto, mentre avanzavano invece in modo inarrestabile
le tre varianti del femminismo differenzialistico, dell’ecologismo
parlamentaristico e del pacifismo moralistico, che nei confronti
dell’eredità marxista gettavano via il bambino (del
materialismo storico) con l’acqua sporca (dello storicismo
grande-narrativo e dell’economicismo riduzionistico). Sono
molto fiero di essermi comportato in modo “patetico”
in quel periodo, avendo sempre considerato Don Chisciotte un eroe
positivo, ma vent’anni dopo non posso fare a meno di valutare
in modo più “distanziato” la situazione storica.
La stessa cosa si può dire per il fenomeno Gorby, il ridicolo
mito della perestrojka e della glasnost e la comprensione esatta
dei termini della dissoluzione del comunismo storico novecentesco
(1985-1992). Da un lato, avevo assimilato nel decennio precedente
le lezioni del maoismo cinese, di Paul Sweezy e di Charles Bettelheim,
e non mi facevo illusioni teoriche sul carattere classistico delle
società comuniste, e su come la dinamica storica dei loro
gruppi dirigenti le portava irresistibilmente verso una restaurazione
del capitalismo “normale”. Dall’altro lato continuavo
ad avere delle illusioni emotive, e dunque non razionali, e speravo
(nella dimensione psicologica che gli anglosassoni chiamano wishful
thinking) nella riformabilità di questi baracconi politico-sociali
in agonia. Con la comprensibile stupidità del comunista
indipendente accolsi l’avvento del ridicolo Gorby con speranza
messianica. Da allora ritengo di aver imparato la lezione. É
giusto sperare, ma è sbagliato raccontar(si) delle storie.
Il motto dei marxisti rimasti in questo 2003 dovrebbe infatti
essere: sperare, continuare a sperare, ma senza raccontar(si)
delle storie.
Lo scenario di questo 2003 è ben diverso da quello del
1938. Oggi siamo in pieno imperialismo militare e neocoloniale,
in una situazione di completa assenza del diritto internazionale
e di unilateralismo assassino da parte degli americani e dei sionisti.
Oggi la sola discriminante seria non è certamente più
quella disegnata dalla dicotomia Sinistra/Destra, almeno a mio
parere, ma è quella disegnata dalla dicotomia ben più
importante Sostenitori dell’Impero/Avversari dell’Impero.
A suo tempo, non ricordo in che anno (ma credo intorno al 1920)
Lenin scrisse che l’emiro feudale dell’Afganistan
poteva essere più “progressista” della socialdemocrazia
tedesca. Ed infatti ora siamo nella stessa situazione di allora.
Il girotondaro americanizzato è oggi molto peggiore del
mullah fondamentalista. Entriamo in un mondo nuovo, e chi continua
ad interpretarlo con gli schemi del 1945, del 1968 o del 1983
contribuisce a protrarre la confusione ed a rimandare le necessarie
operazioni di riorientamento gestaltico radicale. Chi ritiene
di poter parlare di Marx e marxismo senza comprendere bene questo
punto è fuori a mio avviso da ogni ipotesi di ricostruzione
di una prospettiva anticapitalistica.
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