Lenin
L'imperialismo fase suprema del capitalismo
7. L'imperialismo, particolare stadio del capitalismo |
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Dobbiamo
ormai tentare di sintetizzare quanto sin qui abbiamo detto
intorno all'imperialismo e di concludere.
L'imperialismo
sorse dall'evoluzione e in diretta continuazione delle qualità
fondamentali del capitalismo in generale.
Ma il capitalismo
divenne imperialismo capitalistico soltanto a un determinato
e assai alto grado del suo sviluppo, allorché alcune
qualità
fondamentali del capitalismo cominciarono a mutarsi nel loro
opposto, quando pienamente si affermarono e si rivelarono i
sintomi del trapasso a un più elevato ordinamento economico
e sociale. In questo processo vi è di fondamentale,
nei rapporti economici, la sostituzione dei monopoli capitalistici
alla libera concorrenza.
La libera concorrenza è l'elemento
essenziale del capitalismo e della produzione mercantile in
generale; il monopolio è
il diretto contrapposto della libera concorrenza. Ma fu proprio
quest'ultima che cominciò, sotto i nostri occhi, a trasformarsi
in monopolio, creando la grande produzione, eliminando la piccola
industria, sostituendo alle grandi fabbriche altre ancor più
grandi, e spingendo tanto oltre la concentrazione della produzione
e del capitale, che da essa sorgeva e sorge il monopolio, cioè
i cartelli, i sindacati, i trust, fusi con il capitale di un
piccolo gruppo, di una decina di banche che manovrano miliardi.
Nello stesso tempo i monopoli, sorgendo dalla libera concorrenza,
non la eliminano, ma coesistono, originando così una
serie di aspre e improvvise contraddizioni, di attriti e conflitti.
Il sistema dei monopoli è il passaggio del capitalismo
a un ordinamento superiore nella economia.
Se
si volesse dare la definizione più concisa possibile
dell'imperialismo, si dovrebbe dire che l'imperialismo è lo
stadio monopolistico del capitalismo. Tale definizione conterrebbe
l'essenziale, giacché
da un lato il capitale finanziario è il capitale bancario
delle poche grandi banche monopolistiche fuso col capitale
delle unioni monopolistiche industriali, e d'altro lato la
ripartizione del mondo significa passaggio dalla politica coloniale,
estendentesi senza ostacoli ai territori non ancor dominati
da nessuna potenza capitalistica, alla politica coloniale del
possesso monopolistico della superficie terrestre definitivamente
ripartita.
Ma
tutte le definizioni troppo concise sono bensì comode,
come quelle che compendiano l'essenziale del fenomeno in
questione, ma si dimostrano tuttavia insufficienti, quando
da esse debbono dedursi i tratti più essenziali del
fenomeno da definire. Quindi noi - senza tuttavia dimenticare
il valore convenzionale e relativo di tutte le definizioni,
che non possono mai abbracciare i molteplici rapporti, in
ogni senso, del fenomeno in pieno sviluppo - dobbiamo dare
una definizione dell'imperialismo, che contenga i suoi cinque
principali contrassegni, e cioè:
1) la
concentrazione della produzione e del capitale, che ha raggiunto
un grado talmente alto di sviluppo da creare i monopoli con
funzione decisiva nella vita economica;
2) la
fusione del capitale bancario col capitale industriale e
il formarsi, sulla base di questo "capitale finanziario",
di un'oligarchia finanziaria;
3) la
grande importanza acquistata dall'esportazione di capitale
in confronto con l'esportazione di merci;
4) il
sorgere di associazioni monopolistiche internazionali di
capitalisti, che si ripartiscono il mondo;
5) la
compiuta ripartizione della terra tra le più grandi
potenze capitalistiche.
L'imperialismo
è dunque il capitalismo giunto a quella fase di sviluppo,
in cui si è formato il dominio dei monopoli e del capitale
finanziario, l'esportazione di capitale ha acquistato grande
importanza,
è cominciata la ripartizione del mondo tra i trust internazionali,
ed è già compiuta la ripartizione dell'intera
superficie terrestre tra i più grandi paesi capitalistici.
Vedremo
in seguito come dell'imperialismo possa e debba darsi una
diversa definizione, quando non si considerino soltanto i
concetti fondamentali puramente economici (ai quali si limita
la riferita definizione), ma si tenga conto anche della posizione
storica che questo stadio del capitalismo occupa rispetto
al capitalismo in generale, oppure del rapporto che corre
tra l'imperialismo e le due tendenze fondamentali del movimento
operaio.
Occorre subito rilevare come l'imperialismo, concepito
in tal senso, rappresenti un particolare stadi o di sviluppo
del capitalismo. Per dare al lettore una rappresentazione
più saldamente fondata dell'imperialismo, abbiamo
appositamente cercato di citare quanto più giudizi
si potevano di economisti borghesi, che si vedono
costretti a riconoscere i fatti ineccepibili della nuovissima
economia capitalistica. Allo stesso fine abbiamo prodotto
dati statistici circostanziati, che mostrano fino a qual
punto si sia accresciuto il capitale bancario, ecc. e in
che cosa si sia manifestato il trapasso dalla quantità
alla qualità, dal capitalismo altamente sviluppato all'imperialismo.
Senza dubbio, tanto nella natura quanto nella società ogni
limite è convenzionale e mobile, cosicché non
avrebbe senso discutere, per esempio, sulla questione dell'anno
e del decennio in cui l'imperialismo si sia "definitivamente" costituito.
Nondimeno
bisogna discutere sulla definizione dell'imperialismo, innanzi
tutto col maggiore teorico marxista del periodo della cosiddetta
II Internazionale, cioè dei 25 anni dal 1889 al 1914,
con Karl Kautsky.
Già
nel 1915, e perfino dal novembre 1914, Kautsky si schierò
risolutamente contro il concetto fondamentale espresso nella
nostra definizione, allorché dichiarò non doversi
intendere per imperialismo una "fase" o stadio dell'economia,
bensì
una politica, ben definita, una certa politica "preferita" dal
capitale finanziario, e non doversi "identificare" l'imperialismo
col "moderno capitalismo", sostenendo che la questione della
necessità
dell'imperialismo per il capitalismo si riduce ad una "piatta
tautologia", allorché s'intendano sotto il nome di imperialismo
"tutti i fenomeni del capitalismo moderno" - i cartelli,
i dazi protettivi, il dominio dei finanzieri e la politica
coloniale - giacché in tal caso "naturalmente
l'imperialismo è,
per il capitalismo, una necessità vitale", ecc. Per
esprimere con la massima esattezza il pensiero di Kautsky è meglio
riportarne la definizione, la quale è diretta proprio
contro la sostanza delle idee da noi svolte (giacché le
obiezioni sollevate dai marxisti tedeschi, che da anni propugnavano
idee simili, sono note da lungo tempo a Kautsky come obiezioni
di una determinata corrente del marxismo).
Ecco
la definizione kautskiana:
"L'imperialismo
è il prodotto del capitalismo industriale, altamente
sviluppato. Esso consiste nella tendenza di ciascuna nazione
capitalistica industriale ad assoggettarsi e ad annettersi
un sempre più vasto territorio agrario senza
preoccupazioni delle nazioni che lo abitano."(1)
Questa
definizione non vale un'acca, poiché è unilaterale,
arbitrariamente discerne soltanto la questione nazionale (la
quale del resto è della massima importanza sia in sé,
che in relazione all'imperialismo), arbitrariamente ed erroneamente connette
tale questione soltanto col capitale industriale dei
paesi che annettono altre nazioni, e altrettanto arbitrariamente
ed erroneamente mette in rilievo l'annessione di territori
agrari.
L'imperialismo
è la tendenza alle annessioni: a questo si riduce la
parte politica della definizione kautskiana. È esatta,
ma molto incompleta, poiché, politicamente, imperialismo
significa, in generale, tendenza alla violenza e alla reazione.
Ma qui noi ci preoccupiamo specialmente del lato economico della
questione, incluso da Kautsky stesso nella sua definizione.
Gli errori della definizione kautskiana saltano agli occhi.
Per l'imperialismo non è caratteristico il
capitale industriale, ma quello finanziario. Non per
caso in Francia, in particolare il rapido incremento del capitale finanziario,
mentre il capitale industriale decadeva dal 1880 in poi, ha,
determinato un grande intensificarsi della politica annessionista
(coloniale). È caratteristica dell'imperialismo appunto
la sua smania non soltanto di conquistare territori
agrari, ma di metter mano anche su paesi fortemente industriali
(bramosie della Germania sul Belgio, della Francia sulla Lorena),
giacché in primo luogo il fatto che la terra è già
spartita costringe, quando è in corso una nuova
spartizione, ad allungare le mani su paesi di qualsiasi
genere, e, in secondo luogo, per l'imperialismo è caratteristica
la gara di alcune grandi potenze in lotta per l'egemonia, cioè
per la conquista di terre, diretta non tanto al proprio beneficio
quanto a indebolire l'avversario e a minare la sua egemonia
(per la Germania, il Belgio ha particolare importanza come
punto d'appoggio contro l'Inghilterra; per questa a sua volta è
importante Bagdad come punto d'appoggio contro la Germania,
ecc.).
Kautsky
si riferisce specialmente - e replicatamente - agli inglesi,
i quali avrebbero fissato il significato puramente politico
del concetto di imperialismo appunto nel senso sostenuto
dallo stesso Kautsky. Apriamo l'Imperialismo dell'inglese
Hobson, pubblicato nel 1902:
"Il
nuovo imperialismo si distingue dall'antico in primo
luogo per il fatto di aver sostituito alle tendenze di
un solo impero in continua espansione la teoria e la
prassi di imperi gareggianti, ciascuno dei quali è mosso
dagli stessi avidi desideri di espansione politica e
di vantaggi commerciali; in secondo luogo per il dominio
degli interessi finanziari, ossia degli interessi che
si riferiscono al collocamento di capitale, sugli interessi
commerciali."(2)
Kautsky,
come si vede, non ha alcun diritto di richiamarsi agli inglesi
in generale, o almeno avrebbe dovuto chiamare in suo aiuto
soltanto gli imperialisti inglesi più volgari o i diretti
panegiristi dell'imperialismo. Kautsky, che pretende di continuare
nella difesa del marxismo, di fatto fa un passo indietro in
confronto del social-liberale Hobson, il quale molto più giustamente prende
in considerazione due concrete peculiarità "storiche" (Kautsky
invece, con la sua definizione, si beffa della concretezza
storica!) del moderno imperialismo, e cioè: 1) la concorrenza
di diversi imperialismi;
2) la prevalenza del finanziere
sul commerciante.
Mentre se si trattasse soprattutto della
annessione di territori agricoli per opera di Stati industriali
il commerciante avrebbe la funzione più importante.
La
definizione di Kautsky non soltanto è erronea e non
marxista, ma serve di base a tutto un sistema di concezioni
che sono in aperto contrasto con la teoria e la prassi marxista.
Di ciò
riparleremo in seguito.
È priva di qualunque serietà
la disputa sollevata da Kautsky la quale ha per oggetto soltanto
delle parole: se il recentissimo stadio del capitalismo debba
denominarsi "imperialismo" oppure "fase del capitalismo
finanziario". Comunque lo si voglia denominare, è lo
stesso. L'essenziale
è che Kautsky separa la politica dell'imperialismo dalla
sua economia interpretando le annessioni come la politica "preferita"
del capitale finanziario, e contrapponendo ad essa un'altra
politica borghese, senza annessioni, che sarebbe, secondo lui,
possibile sulla stessa base del capitale finanziario. Si avrebbe
che i monopoli nella vita economica sarebbero compatibili con
una politica non monopolistica, senza violenza, non annessionista;
che la ripartizione territoriale del mondo, ultimata appunto
nell'epoca del capitale finanziario e costituente la base della
originalità delle odierne forme di gara tra i maggiori
Stati capitalistici, sarebbe compatibile con una politica non
imperialista. In tal guisa si velano e si attutiscono i fondamentali
contrasti che esistono in seno al recentissimo stadio del capitalismo,
in luogo di svelarne la profondità. Invece del marxismo
si ha del riformismo borghese.
Kautsky
polemizza contro i ragionamenti, altrettanto goffi quanto
cinici, del panegirista tedesco dell'imperialismo, Cunow,
il quale argomenta così: l'imperialismo è il
moderno capitalismo; lo sviluppo del capitalismo è inevitabile
e progressivo; dunque l'imperialismo è progressivo,
e si deve strisciare servilmente davanti ad esso ed esaltarlo.
Ciò ricorda la caricatura che i populisti nel 1894-1895
facevano dei marxisti russi, dicendo che poiché questi
ultimi ritenevano inevitabile e progressivo il capitalismo
in Russia, dovevano aprir bottega e dedicarsi ad impiantarvelo.
Kautsky "obietta" a Cunow: no, l'imperialismo non
è il capitalismo moderno, ma semplicemente una forma
della politica del moderno capitalismo, e noi possiamo e dobbiamo
combattere tale politica, dobbiamo combattere contro l'imperialismo,
contro le annessioni, ecc. .
L'obiezione
si presenta bene, e tuttavia essa non è che una più
raffinata e coperta (e perciò più pericolosa)
propaganda per la conciliazione con l'imperialismo, giacché una "lotta"
contro la politica dei trust e delle banche che non colpisca
le basi economiche dei trust e delle banche si riduce ad un
pacifismo e riformismo borghese condito di quieti quanto pii
desideri. Un saltare a píè pari gli antagonismi
esistenti, un dimenticare i più importanti contrasti,
invece di svelarli in tutta la loro profondità; ecco
la teoria di Kautsky, la quale non ha niente in comune col
marxismo. Ed è comprensibile che una tal "teoria" non
può servire che a difendere l'accordo con Cunow.
"Dal
punto di vista strettamente economico - scrive Kautsky
- non può escludersi che il capitalismo attraverserà
ancora una nuova fase: quella cioè dello spostamento
della politica dei cartelli nella politica estera. Si avrebbe
allora la fase dell'ultra-imperialismo."(3)
cioè
del superimperialismo, della unione degli imperialismi di tutto
il mondo e non della guerra tra essi, la fase della fine
della guerra in regime capitalista, la fase "dello sfruttamento
collettivo del mondo ad opera del capitale finanziario internazionalmente
coalizzato."(4)
Dovremo
occuparci più avanti di questa "teoria dell'ultra-imperialismo"
per dimostrare esattamente sino a qual punto, come decisamente
e irrimediabilmente, essa sia in contrasto con il marxismo.
Per rimanere fedeli a tutta l'impostazione del presente saggio,
anzitutto vogliamo esporre i precisi dati economici della questione.
È
possibile un "ultra-imperialismo" dal "punto di
vista strettamente economico", oppure esso non rappresenta
che un'ultra-stupidità?
Se
con l'espressione "puramente economico" s'intende una "pura" astrazione,
allora tutto ciò che si può dire si riduce
alla tesi seguente: l'evoluzione si muove nella direzione
dei monopoli, e quindi verso un unico monopolio mondiale,
un unico trust mondiale. Ciò è indubbiamente
esatto, ma senza significato, come sarebbe l'affermazione
che "l'evoluzione procede"
verso la produzione delle derrate alimentari nei laboratori.
In questo senso, la "teoria" dell'ultra-imperialismo è una
sciocchezza come sarebbe quella dell'ultra-agricoltura.
Se
invece si parla delle condizioni "puramente economiche"
dell'epoca del capitale finanziario come epoca storicamente
concreta, che coincide cogli inizi del secolo XX, allora si
ottiene la migliore risposta alla morta astrazione dell'"ultra-imperialismo" (la
quale serve soltanto allo scopo reazionario di distogliere
l'attenzione dalla gravità delle contraddizioni esistenti),
contrapponendole la concreta realtà economica dell'economia
mondiale contemporanea. Le chiacchiere di Kautsky sull'ultra-imperialismo
favoriscono, tra l'altro, una idea profondamente falsa e atta
soltanto a portare acqua al mulino degli apologeti dell'imperialismo,
cioè la concezione secondo cui il dominio del capitale
finanziario attutirebbe le sperequazioni e le contraddizioni
in seno all'economia mondiale, mentre, in realtà, le acuisce.
R.
Calwer, nella sua breve Introduzione all'economia mondiale(5),
ha fatto il tentativo di raccogliere i dati più importanti,
puramente economici, che ci consentono un'idea concreta dei
rapporti reciproci in seno all'economia mondiale sul limitare
del XX secolo. Egli suddivide il mondo in cinque
"principali sfere economiche": 1) l'Europa centrale
(tutta l'Europa tranne la Russia e l'Inghilterra); 2) la britannica;
3) la russa; 4) l'orientale-asiatica; 5) l'America. Inoltre
le colonie sono incluse nelle "sfere" degli Stati cui esse
appartengono, e sono "lasciati fuori dal calcolo" alcuni pochi
paesi, per esempio la Persia, l'Afganistan, l'Arabia, in Asia;
il Marocco, l'Abissinia, in Africa, ecc.
Ecco,
informa riassuntiva, i dati economici forniti dal Calwer
sulle dette sfere:
|
|
|
mezzi
di comunicazione |
commercio |
industria |
Principali
sfere economiche del mondo |
superficie
(milioni di Km2) |
abitanti
(milioni) |
linee
ferrov.
(migliaia di Km) |
navi
mercantili
(milioni di tonnellate) |
esportazioni
e importazioni
(miilardi Mk) |
carbone
(milioni di tonnellate) |
ghisa
(milioni di tonnellate) |
fusi
in industria
(milioni) |
1.
Europa centrale |
27,6
(23,6) |
388
(146) |
204 |
8 |
41 |
251 |
15 |
26 |
2.
britannica |
28,9
(28,6) |
398
(355) |
140 |
11 |
25 |
249 |
9 |
51 |
3.
russa |
22 |
131 |
63 |
1 |
3 |
16 |
3 |
7 |
4.
orientale-asiatica |
12 |
389 |
8 |
1 |
2 |
8 |
0,02 |
2 |
5.
americana |
30 |
148 |
379 |
6 |
14 |
245 |
14 |
19 |
Le
cifre fra parentesi si riferiscono alla superficie e alla
popolazione delle colonie
Abbiamo
qui tre sfere di elevato sviluppo capitalistico (forte sviluppo
tanto dei trasporti quanto del commercio e dell'industria):
quella dell'Europa centrale, la britannica e l'americana; e
in esse tre Stati che dominano il mondo; la Germania, l'Inghilterra
e gli Stati Uniti.
La gara imperialistica e la lotta tra di
essi è
inasprita in modo particolare dal fatto che la Germania possiede
un ristretto territorio e poche colonie; l'"Europa centrale" (Mitteleuropa)
appartiene all'avvenire e sta nascendo in mezzo a lotte disperate.
Per il momento la caratteristica di tutta l'Europa è il
frazionamento politico. Invece tanto nel territorio britannico
quanto nell'americano è assai forte la concentrazione
politica; ma v'è enorme sproporzione tra le estese colonie
del territorio britannico e le insignificanti dell'americano.
Frattanto, nelle colonie il capitalismo è appena sul nascere.
La lotta per l'America meridionale diventa sempre più aspra.
In
due sfere è debole lo sviluppo capitalista, la russa
e l'orientale-asiatica. Nella prima si ha scarsa densità
di popolazione; nella seconda, densità altissima; nella
prima è grande la concentrazione politica, che manca
interamente nella seconda.
Si incomincia appena la spartizione
della Cina, che diventa oggetto di lotte sempre più aspre
tra il Giappone, gli Stati Uniti, ecc.
Si
metta ora questa realtà, con le sue immense varietà
di condizioni politiche ed economiche, con la sua sproporzione
estrema tra la rapidità di sviluppo dei vari paesi,
ecc., con la lotta furiosa tra gli Stati imperialisti, a raffronto
con la stupida favola kautskiana del "pacifico" ultra-imperialismo!
Questo non è forse il tentativo reazionario di un piccolo
borghese impaurito per sfuggire alla tempestosa realtà?
I cartelli internazionali, considerati da Kautsky come germi
dell'"ultra-imperialismo"
(così come la produzione delle pastiglie nutritive nei
laboratori può essere proclamata il germe dell'ultra-agricoltura!),
non ci offrono forse l'esempio della spartizione e nuova
ripartizione del mondo, del passaggio dalla ripartizione
pacifica alla non pacifica e viceversa? Forse il capitale finanziario
americano e d'altra nazionalità, che ripartì già il
mondo in via pacifica con la partecipazione della Germania
- per esempio col sindacato internazionale delle rotaie e col
trust internazionale della marina mercantile- non ripartisce ora di
bel nuovo il mondo intero sulla base di nuovi rapporti
di forza che vanno modificandosi in maniera nient'affatto pacifica?
Il
capitale finanziario e i trust acuiscono, non attenuano,
le differenze nella rapidità di sviluppo dei diversi
elementi dell'economia mondiale. Ma non appena i rapporti
di forza sono modificati, in quale altro modo in regime
capitalistico si possono risolvere i contrasti se non
con la forza? Nelle statistiche sulle ferrovie troviamo
dati eccezionalmente precisi indicanti la diversa rapidità di
sviluppo del capitalismo e del capitale finanziario nell'economia
mondiale. (6)
Negli ultimi decenni
di sviluppo imperialistico la lunghezza delle linee ferroviarie
si modificò nel modo seguente:
Lunghezza
delle linee ferroviarie
(milioni di Km) |
|
1890 |
1913 |
aumento |
Europa |
224 |
346 |
122 |
Stati
Uniti |
268 |
411 |
143 |
tutte
le colonie |
82 |
210 |
128 |
Stati
indipendenti e semi-indipendenti
d'Asia e d'America |
43 |
137 |
94 |
Totale |
617 |
1.104 |
|
Come
si vede, lo sviluppo della rete ferroviaria fu più rapido
nelle colonie e negli Stati indipendenti (e semindipendenti)
d'Asia e d'America. È noto che ivi domina illimitatamente
il capitale finanziario dei quattro o cinque maggiori Stati
capitalistici. Duecentomila chilometri di nuove ferrovie
nelle colonie e negli altri paesi d'Asia e d'America vogliono
dire un nuovo investimento di oltre 40 miliardi di marchi
impiegati in guisa particolarmente vantaggiosa, con speciali
garanzie di reddito, di proficue ordinazioni alle acciaierie,
ecc..
Il
più rapido sviluppo capitalistico si verifica nelle
colonie e nei paesi transoceanici. Tra essi sorgono nuove potenze
imperialistiche (il Giappone). La lotta degli imperialisti
mondiali diventa più aspra. Le imprese coloniali e
transoceaniche particolarmente redditizie pagano sempre maggiori
tributi al capitale finanziario. Nella ripartizione del "bottino" la
parte di gran lunga maggiore spetta a paesi che non sempre
hanno i primi posti per la rapidità di sviluppo delle
forze produttive. La lunghezza delle linee ferroviarie delle
maggiori potenze, comprese le loro colonie, ammonta a (migliaia
di Km.):
|
1890 |
1913 |
aumento |
Stati
Uniti |
268 |
413 |
145 |
Impero
Britannico |
107 |
208 |
101 |
Russia |
32 |
78 |
46 |
Germania |
43 |
68 |
25 |
Francia |
41 |
63 |
22 |
Totale |
491 |
830 |
339 |
Circa
l'80% della lunghezza totale delle linee ferroviarie si concentra
nelle cinque maggiori potenze. Ma assai più considerevole
è la concentrazione della proprietà di
queste ferrovie, la concentrazione del capitale finanziario,
giacché
per esempio gran parte delle azioni e obbligazioni delle ferrovie
americane, russe e altre, appartiene ai milionari inglesi e
francesi.
L'Inghilterra,
grazie alle sue colonie, ha aumentato la "sua" rete ferroviaria
di 100 mila Km., cioè quattro volte più della
Germania. E tuttavia in questo stesso periodo di tempo lo
sviluppo delle forze produttive e specialmente dell'industria
mineraria e siderurgica fu notoriamente assai più rapido
in Germania che in Inghilterra, per tacere della Francia
e della Russia. Nel 1892, la Germania produceva 4,9 milioni
di tonnellate di ghisa. L'Inghilterra 6,8; ma già nel
1912 rispettivamente 17,6 contro 9,0: vale a dire un poderoso
sopravvento della Germania! (7)
Si
domanda: quale altro mezzo esisteva, in regime capitalista,
per eliminare la sproporzione tra lo sviluppo delle forze
produttive e l'accumulazione di capitale da un lato, e dall'altro
la ripartizione delle colonie e "sfere"
d'influenza, all'infuori della guerra?
Note
1. Die
Neue Zeit, anno XXXII, 1913-1914, 11, p. 909 (11 settembre
1914). Si veda pure 1915-1916, 11, p. 107 e sgg.
2. Hobson, op.
cit., Londra, 1902, p. 324.
3. Die
Neue Zeit, anno XXXII, 1913-1914, 11, p. 921 (11 settembre
1914). Si veda pure 1915-1916, Il, p. 107 e sgg.
4. Die
Neue Zeit, anno XXXIII, I, p. 144 (30 aprile 1915).
5. R.
Calwer, Einfübrung in die Weltwirtschaft, Berlino,
1906.
6. Statistisches
Jahrbuch für das Deutsche Reick, 1915, appendice,
pp. 46-47; Archiv für Eisenbahnwesen, 1892.
Per l'anno 1890, per quel che concerne piccoli particolari
circa la ripartizione delle ferrovie nelle colonie abbiamo
dovuto accontentarci di dati approssimativi.
7. Si
veda pure Edgar Crummond, The Economic Relations of the
British and German Empires, nel Journal of the Royal
Statistical Society, luglio 1914, p. 777 e sgg.
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