"Una parte sempre crescente del capitale dell'industria non appartiene agli industriali, che lo utilizzano. Essi riescono a disporne solo attraverso le banche, le quali, nei loro riguardi, rappresentano i proprietari del denaro. Gli istituti bancari devono d'altronde fissare nell'industria una parte sempre crescente dei loro capitali, trasformandosi quindi vieppiù in capitalisti industriali. Chiamo capitale finanziario quel capitale bancario, e cioè quel capitale sotto forma di denaro che viene, in tal modo, effettivamente trasformato in capitale industriale." (1) Questa definizione è incompleta, in quanto vi manca l'accenno a uno dei fatti più importanti, cioè alla crescente concentrazione della produzione e del capitale in misura tale da condurre al monopolio. Tuttavia la funzione dei monopoli capitalistici è, in generale, messa in rilievo in tutto il libro di Hilferding, e particolarmente nei due capitoli precedenti a quello da cui è stata tratta la precedente definizione. Concentrazione della produzione; conseguenti monopoli; fusione e simbiosi delle banche con l'industria: in ciò si compendia la storia della formazione del capitale finanziario e il contenuto del relativo concetto. Ora dovremo esporre come lo "spadroneggiare" dei monopoli capitalistici, nell'ambito generale della produzione di merci e della proprietà privata, metta inevitabilmente capo al dominio dell'oligarchia finanziaria. È da osservare che i rappresentanti della scienza borghese tedesca - e non di quella sola - come Riesser, Schulze-Gaevernitz, Liefmann, ecc., sono, senza eccezione, apologeti dell'imperialismo e del c apitale finanziario. Essi non svelano, anzi occultano e abbelliscono il "meccanismo" della formazione dell'oligarchia, i suoi metodi, l'entità delle sue entrate (così "lecite" come "illecite"), la sua collusione con i parlamenti, ecc. Essi sfuggono alle "questioni maledette" con frasi ampollose quanto oscure, richiamandosi al "senso di responsabilità" dei direttori di banche, levando alle stelle il "senso del dovere" dei funzionari prussiani e occupandosi con grande serietà dei particolari di progetti di legge poco seri su... "sorveglianza" e sulla "regolamentazione" e di frascherie teoriche, quale la seguente "scientifica" definizione alla quale è pervenuto il prof. Liefmann: "Il commercio è l'attività industriale diretta a raccogliere, conservare e mettere a disposizione i beni" (2) (corsivo nell'opera del prof. Liefmann). Ne viene fuori che il commercio era già esistito presso gli uomini primitivi, che non conoscevano ancora neppure lo scambio, e che continuerà a esistere anche nella società socialista! Ma i fatti mostruosi, che riguardano il mostruoso dominio dell'oligarchia finanziaria, saltano talmente agli occhi che in tutti i paesi capitalistici, così in America come in Francia e in Germania, è sorta - un'intera letteratura, che pur rimanendo sul terreno dei concetti borghesi, tuttavia dà un quadro approssimativamente esatto e una critica - piccolo-borghese, s'intende - dell'oligarchia finanziaria. La pietra angolare è nel "sistema della partecipazione" (2) al quale si è già accennato. Un economista tedesco, Heymann, forse il primo che ha rivolto l'attenzione a questo sistema, così lo descrive: "Il dirigente controlla la "società madre" (cioè la società base), questa le "società figlie" (cioè le società che ne dipendono), queste a loro volta le "società nipoti" e così via. In questo modo, con capitali non eccessivamente grandi, si possono padroneggiare immensi campi della produzione; giacché, posto che per esercitare il controllo sopra una società per azioni è sufficiente la padronanza del cinquanta per cento del capitale, basta al dirigente di possedere un milione, per poter controllare nelle società nipoti già 8 milioni di capitale. Se detto "intreccio" si estende ancor più, si ha il controllo su 16 milioni, su 32 e via dicendo." (3) Ma in realtà l'esperienza dimostra che basta possedere il quaranta per cento di tutte le azioni per dominare l'andamento degli affari di una società per azioni (4), giacché una parte dei piccoli azionisti, disseminati qua e là, non ha la possibilità di intervenire alle assemblee generali, ecc. La "democratizzazione" dei possesso di azioni, dalla quale i sofisti borghesi e gli opportunisti "pseudosocialdemocratici" si ripromettono (o fingono di ripromettersi) la "democratizzazione del capitale", l'aumento d'importanza e di funzione della piccola produzione, ecc., nella realtà costituisce un mezzo per accrescere la potenza dell'oligarchia finanziaria. È precisamente per questo che nei più progrediti o più antichi ed "esperti"paesi capitalistici la legislazione permette l'emissione delle azioni più piccole. In Germania la legge non permette azioni al disotto di 1.000 marchi, e i magnati della finanza tedesca guardano con invidia all'Inghilterra, ove sono legalmente ammesse azioni da una sterlina. Nella seduta del Reichstag del 7 giugno 1900, Siemens, uno dei maggiori industriali e dei maggiori "re della finanza" di Germania, dichiarò "l'azione da una sterlina essere la base dell'imperialismo britannico." (5) Questo mercante sembra possedere sulla natura dell'imperialismo una concezione più profondamente "marxista" che un certo indegno scrittore, ritenute fondatore del marxismo russo, il quale tuttavia crede che l'imperialismo sia soltanto la cattiva particolarità d'un certo popolo... Il "sistema della partecipazione" non soltanto serve ad accrescere enormemente la potenza dei monopolisti, bensì permette anche di manipolare ogni sorta di loschi e luridi affari e di frodare il pubblico, giacché formalmente, davanti alla legge, le "società madri" non sono responsabili per le "società figlie", considerate "indipendenti", e per mezzo di esse possono far ciò che vogliono. Togliamo il seguente esempio dal fascicolo del maggio 1914 della rivista Die Bank. "La Società anonima per l'industria dell'acciaio per molle di Kassel, fino a poco tempo fa era ritenuta una delle imprese più redditizie della Germania. La sua cattiva amministrazione condusse le cose a tal punto che i dividendi caddero dal 15% a zero. L'amministrazione, senza che gli azionisti ne sapessero nulla, aveva fatto un prestito di sei milioni ad una sua " società figlia", la Hassia, il cui capitale nominale non ammontava che a poche centinaia di migliaia di marchi. Di questo prestito, che costituiva quasi il triplo del capitale azionario della "società madre", non v'era traccia nel bilancio di quest'ultima; e contro tale occultamento non si poteva sollevare la minima eccezione giuridica, sicché esso poté essere continuato per due anni, non violando nessuna disposizione del codice di commercio. Il presidente del Consiglio di amministrazione, che firmò sotto la sua responsabilità i bilanci falsi, era ed è presidente della Camera di commercio di Kassel. Gli azionisti furono messi a conoscenza del prestito fatto alla Hassia soltanto quando esso già da lungo tempo era risultato un "errore" (l'autore avrebbe dovuto mettere questa parola tra virgolette) e quando le azioni della Società dell'acciaio per molle, in seguito alla vendita fattane da coloro che erano a conoscenza della cosa, ebbero perduto, nelle quotazioni, circa il cento per cento. Questo esempio caratteristico di equilibrio nei bilanci, che è consueto nelle società per azioni, lascia intendere perché mai le amministrazioni delle società per azioni, in generale, si incaricano di affari rischiosi, a cuor leggero, assai più dei privati imprenditori. La moderna tecnica della estensione dei bilanci non solo rende loro agevole di occultare ai comuni azionisti gli affari rischiosi intrapresi, ma permette inoltre ai principali interessati di sottrarsi alle conseguenze di un esperimento fallito col vendere a tempo le loro azioni, mentre il privato imprenditore sopporta sulla propria pelle le conseguenze di quel che fa... I bilanci di molte società per azioni rassomigliano a quei noti palinsesti medioevali, nei quali si deve prima cancellare la scrittura visibile per poter decifrare i segni che stanno sotto di essa e che formano il vero contenuto del manoscritto... Il mezzo più semplice, e quindi più spesso adoperato, per rendere impenetrabile un bilancio consiste nello scindere un'azienda unitaria in più parti sotto forma di costituzione o aggregazione di "società figlie". Sono così evidenti i vantaggi offerti da tal sistema per i più svariati scopi -legali e illegali- che ormai si possono considerare come eccezioni le società, alquanto cospicue, che non lo abbiano accolto." (6) Come esempio di una grandissima società monopolistica che adopera tale sistema, l'autore cita la famosa A.E.G. (Allgemeine Elektrizitäts-Gesellschaft, Società Generale per l'Elettricità), di cui si parlerà ancora in seguito. Nel 1912 si ammetteva che questa A.E.G. partecipasse a 175-200 società, naturalmente dominandole, e abbracciasse un capitale complessivo di un miliardo e mezzo di marchi. (7) Tutte le norme di controllo, di pubblicazione di bilanci, di compilazione di un preciso schema di essi, di istituti di sorveglianza, ecc., con le quali distraggono l'attenzione del pubblico i professori benintenzionati - quelli ispirati, cioè dalla buona intenzione di difendere e abbellire il capitalismo - non hanno qui alcun valore. Poiché la proprietà privata è sacra, non si può proibire ad alcuno di comprare, vendere. barattare, impegnare, ecc. azioni. Quali sviluppi abbia assunto presso le grandi banche russe questo "sistema di partecipazione", lo si può desumere dai dati di E. Agahd, il quale fu per quindici anni impiegato nella Banca russo-cinese, e nel maggio 1914 pubblicò una voluminosa opera, dal titolo, non perfettamente esatto, Le grandi banche e il mercato mondiale. (8) L'autore ha diviso le grandi banche russe in due gruppi fondamentali: a) quelle che lavorano col "sistema della partecipazione"; b) le "indipendenti", dove però è da osservare che l' "indipendenza" è intesa soltanto come indipendenza dalle banche straniere. Il primo gruppo a sua volta è dall'autore suddiviso in tre sottogruppi: 1) partecipazione tedesca; 2) inglese; 3) francese, dove si tratta della "partecipazione" e del dominio delle grandi banche della rispettiva, nazionalità. L'autore divide i capitali bancari secondo che vengono impiegati "produttivamente" (commercio e industria) o "speculativamente" (nelle operazioni di Borsa e finanziarie) poiché, con la concezione riformista piccolo-borghese che gli è propria, crede veramente che, permanendo il capitalismo, si potrebbero separare l'uno dall'altro questi due tipi di investimento di capitali ed eliminare il secondo. Ecco i dati di Agahd: L'attivo delle banche in milioni di rubli (bilanci all'ottobre-novembre 1913)
Secondo questi dati, sui 4 miliardi di rubli che formano il capitale "operante" delle grandi banche, più di tre quarti, oltre 3 miliardi, appartengono a banche che propriamente non sono altro che "società figlie" di banche straniere, specialmente parigine (la famosa trinità bancaria: Unione parigina, Banca di Parigi e dei Paesi Bassi, Società Generale) e berlinesi (specie la Deutsche Bank e la Disconto). Due delle maggiori banche russe, la Banca russa per il commercio con l'estero e la Commerciale Internazionale di Pietroburgo, tra il 1906 e il 1912 hanno elevato il loro capitale da 44 a 98 milioni di rubli, e le riserve da 15 a 39 milioni. Esse "lavorano per tre quarti con capitale tedesco" appartenendo la prima al consorzio della Deutsche Bank, la seconda a quello della Disconto-Gesellschaft di Berlino. Il buon Agahd s'indigna fortemente perché le banche di Berlino hanno nelle loro mani la maggior parte delle azioni, e quindi gli azionisti russi sono impotenti. E naturalmente il paese che esporta il capitale si prende il meglio. Così, per esempio, la Deutsche Bank, allorché portò a Berlino le azioni della Banca Commerciale siberiana, le lasciò giacere nel proprio portafoglio per quasi un anno, e le vendette poi al corso di 193, contro il prezzo di emissione di 100, "guadagnando" in tale occasione circa 6 milioni di rubli, ciò che Hilferding ha chiamato "profitto di fondazione". Agahd calcola la "potenza" complessiva delle grandi banche di Pietroburgo in 8.235 milioni di rubli (quasi 8 miliardi e un quarto), e divide la "partecipazione", più esattamente il dominio delle banche straniere nel modo seguente: le banche francesi il 55% inglesi il 10%, tedesche il 35% Su questa somma di 8.235 milioni di capitale in funzione, secondo i calcoli dell'autore ben 3.687 milioni, cioè più del 40% spettano ai sindacati Produgol e Prodameta, come pure ai sindacati dell'industria petrolifera, metallurgica e cementiera. Sicché in Russia, in conclusione, con la formazione dei monopoli capitalistici si è sviluppata su scala immensa la fusione del capitale bancario con quello industriale. Il capitale finanziario, concentrato in poche mani e godendo un monopolio di fatto, ritrae redditi giganteschi e sempre maggiori da ogni fondazione di società, dall'emissione delle azioni, dai prestiti statali, ecc. e consolida l'egemonia delle oligarchie finanziarie (6), imponendo a tutta la società un tributo a favore dei detentori del monopolio. Diamo uno fra i tantissimi esempi addotti da Hilferding dello "spadroneggiare" dei trust americani. (7) Nel 1887 Havermeyer fondò il trust zuccheriero mediante la fusione di 15 società di tale specie, il cui capitale complessivo era di 6 milioni e mezzo di dollari. Il capitale del trust venne, invece, "annacquato", secondo l'espressione americana, ed elevato a 50 milioni. Tale "sovracapitalizzazione" contava sui futuri profitti del monopolio alla stessa guisa che sui futuri profitti monopolistici fa assegnamento - sempre in America - il "trust dell'acciaio", quando compra sempre nuovi territori con giacimenti di ferro. Infatti il "trust zuccheriero", imponendo prezzi di monopolio, conseguì profitti tali da poter pagare dividendi dei 10% al capitale sette volte "annacquato", che è quanto dire circa il 70% al capitale effettivamente versato al momento della fondazione! Nel 1909 il trust aveva un capitale di 90 milioni di dollari. Sicché in 22 anni il capitale era stato moltiplicato più di dieci volte! In Francia, l'egemonia dell'"oligarchia finanziaria" (Contre l'oligarchie financière en France è appunto intitolato il noto libro di Lysis, di cui nel 1908 si fece la quinta edizione) ha soltanto assunto una forma leggermente diversa. Nell'emissione dei titoli le quattro maggiori banche hanno non il monopolio relativo, bensì il "monopolio assoluto". Di fatto ciò costituisce un "trust delle grandi banche". E il monopolio assicura, nelle emissioni, profitti monopolistici. Nei prestiti, il paese che li contrae, ordinariamente, non riceve più del 90% della somma totale: il rimanente 10% tocca alle banche e agli altri intermediari. In occasione del prestito russo-cinese, di 400 milioni di franchi, le banche ebbero un profitto dell'8% nel prestito russo (1904), di 800 milioni, del 10% nel prestito marocchino (1904), di 62 milioni e mezzo di franchi, del 18,75%. Il capitalismo, che prese le mosse dal capitale usurario minuto, termina la sua evoluzione mettendo capo a un capitale usurario gigantesco. "I francesi sono gli usurai dell'Europa", dice Lysis. Per effetto di questa trasformazione del capitalismo, tutte le condizioni della vita economica soggiacciono ad un profondo mutamento. Nonostante la stasi del movimento della popolazione, del commercio, dell'industria e dei trasporti marittimi, il "paese" può arricchirsi a forza d'usura. "Cinquanta individui, che rappresentano un capitale di 8 milioni di franchi, possono disporre di due miliardi in quattro banche". Agli stessi risultati mette capo il sistema di "partecipazione", che ormai conosciamo. Una delle maggiori banche francesi, la Société Générale, emette 64 mila obbligazioni della sua filiale Raffinerie d'Egitto. Il corso dell'emissione è del 150% vale a dire che la Banca guadagna 50 centesimi per ogni franco. I dividendi di questa società sono risultati fittizi, e il "pubblico" ha perduto da 90 a 100 milioni di franchi. Uno dei direttori della Socíété Générale era membro dell'amministrazione delle Raffinerie. Non è da meravigliarsi che Lysis debba trarre questa conclusione: "La repubblica francese è una monarchia finanziaria!" - "l'onnipotenza delle nostre grandi banche è assoluta, esse attraggono nella loro orbita il governo e la stampa." (9) A sviluppare e a consolidare l'oligarchia finanziaria contribuisce l'altissima redditività dell'emissione di titoli, una tra le principali operazioni del capitale finanziario. "Nessun affare all'interno del paese - dice la rivista tedesca Die Bank - arreca, neppure approssimativamente, i benefici dati dalla mediazione nell'emissione di un prestito estero." (10) "Non vi è operazione bancaria, che dia guadagni così grandi come li danno gli affari d'emissione". Il profitto nella emissione di titoli di imprese industriali, secondo i dati raccolti dal Deutsche Oekonomist, ascendeva in media negli anni:
Per quanto concerne la Russia, vogliamo limitarci a un solo esempio. Alcuni anni fa tutti i giornali riportarono la notizia che il direttore dell'Ufficio di credito, Davidov, lasciava il servizio di Stato e accettava in una grande banca un posto con uno stipendio, che, a termini del contratto, in alcuni anni doveva salire ad oltre un milione di rubli. L'Ufficio di credito è un'istituzione che ha il compito di "unificare l'attività di tutti gli istituti di credito nell'impero" e che concede alle banche della capitale sovvenzioni fino ad 800.000-1.000.000 di rubli. (19) In generale il capitalismo ha la proprietà di staccare il possesso del capitale dall'impiego del medesimo nella produzione, di staccare il capitale liquido dal capitale industriale e produttivo, di separare il rentier, che vive soltanto del profitto tratto dal capitale liquido, dall'imprenditore e da tutti coloro che partecipano direttamente all'impiego del capitale. L'imperialismo, vale a dire l'egemonia del capitale finanziario, è quello stadio supremo del capitalismo, in cui tale separazione raggiunge dimensioni enormi. La prevalenza del capitale finanziario su tutte le rimanenti forme del capitale importa una posizione predominante del rentier e dell'oligarchia finanziaria, e la selezione di pochi Stati finanziariamente più "forti" degli altri. In quali proporzioni si verifichi tale processo, ci è dimostrato dalla statistica delle emissioni di titoli di ogni specie. Nel Bollettino dell'Istituto statistico internazionale, il Neymarck (20) pubblicò intorno alle emissioni di tutto il mondo i dati più circostanziati, completi, e controllabili, dati che in seguito vennero spesso parzialmente riprodotti nelle pubblicazioni di economia politica. Ecco, per quattro decenni, dal 1870 al 1910, la somma delle emissioni in miliardi di franchi:
Nel 1870-1880 la somma delle emissioni aumentò in tutto il mondo, specialmente a causa dei prestiti connessi alla guerra franco-prussiana e al successivo periodo di intensa speculazione finanziaria in Germania. Nel corso degli ultimi tre decenni del secolo XIX in complesso l'aumento è poco rapido, e solo col primo decennio del secolo XX si ha un enorme aumento, quasi un raddoppiamento. Pertanto l'inizio del secolo XX rappresenta un'epoca che segna una svolta non solo, come già si è detto, nei riguardi dell'incremento dei monopoli (cartelli, sindacati, trust) ma anche nei riguardi dell'incremento del capitale finanziario. Neymarck computa all'incirca in 815 miliardi di franchi la somma totale dei titoli di tutto il mondo nel 1910. Sottraendo in modo approssimativo i duplicati, questa somma si riduce a 575-600 miliardi. Calcolando 600 miliardi, ecco la distribuzione secondo i paesi.
Ci si accorge subito da questi dati quanto sia netto il distacco tra i quattro paesi capitalistici più ricchi, che posseggono titoli per un importo di circa 100-150 miliardi di franchi ciascuno, e gli altri paesi. Tra quelli, due sono i paesi capitalistici più ricchi di colonie, cioè l'Inghilterra e la Francia; gli altri due sono i paesi capitalistici più progrediti in rapporto alla rapidità di sviluppo e all'ampiezza di diffusione del monopolio capitalistico della produzione, cioè gli Stati Uniti e la Germania. Questi quattro paesi insieme posseggono 479 miliardi di franchi, vale a dire circa l'80% del capitale finanziario internazionale. Quasi tutto il resto del mondo, in questa o quella forma, fa la parte del debitore o tributario di questi Stati, che fungono da banchieri internazionali, di queste quattro "colonne" del capitale finanziario mondiale. Dobbiamo ora esaminare con attenzione particolare la parte che nella creazione della rete internazionale delladipendenza e dei nessi del capitale finanziario è rappresentata dall'esportazione del capitale. Note 1.
Rudolf Hilferding, op. cit., p. 301 (trad. it. cit.,
pp. 295 296).
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