Lenin
Che fare? Problemi scottanti del nostro movimento
2. La spontaneità delle masse e la coscienza della socialdemocrazia
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Abbiamo detto che è necessario animare della stessa illimitata
risolutezza ed energia il nostro movimento incomparabilmente
più vasto e profondo di quello degli anni settanta. Infatti,
fino ad oggi nessuno ancora, sembra, aveva messo in dubbio che
la forza del movimento contemporaneo consiste nel risveglio
delle masse (e principalmente del proletariato industriale)
e la sua debolezza nella mancanza di coscienza e d'iniziativa
dei dirigenti rivoluzionari.
Ma
di recente è stata fatta una scoperta sbalorditiva, che
minaccia di rovesciare tutte le idee dominanti sull'argomento.
Essa è opera del Raboceie Dielo che, polemizzando
con l'Iskra e la Zarià, non si è
limitato a muovere obiezioni su alcuni punti, ma ha tentato
di scoprire la radice profonda del «dissenso generale»
e l'ha trovata nella «diversa valutazione
della importanza relativa dell'elemento spontaneo e dell'elemento "metodico"
cosciente». L'atto di accusa del Raboceie Dielo afferma: «Sottovalutazione dell'importanza dell'elemento
oggettivo e spontaneo dello sviluppo» (1). Noi rispondiamo:
anche se la polemica dell'Iskra e della Zarià
avesse avuto il solo risultato di indurre il Raboceie Dielo a escogitare questo «dissenso generale», questo
solo risultato ci darebbe una grande soddisfazione, tanto questa
tesi è significativa ed illumina vivamente il fondo delle
divergenze teoriche e politiche esistenti tra i socialdemocratici
russi.
Ecco
perché la questione del rapporto tra coscienza e spontaneità
presenta un interesse generale immenso ed esige uno studio particolareggiato.
a) Inizio dell'ascesa del movimento spontaneo
Nel precedente capitolo abbiamo notato il contagioso entusiasmo
dei giovani intellettuali russi, intorno al 1895, per la teoria
marxista. Nello stesso periodo, anche gli scioperi operai, dopo
la famosa guerra industriale del 1896 a Pietroburgo, presero
lo stesso carattere contagioso. La loro estensione in tutta
la Russia attestava chiaramente quanto fosse profondo il movimento
popolare che rialzava ancora una volta la testa, e se si vuol
parlare di "elemento spontaneo" è certamente
in questo movimento di scioperi che bisogna innanzi tutto vederlo.
Ma vi è spontaneità e spontaneità. Anche
negli anni sessanta e settanta (e persino nella prima metà
del secolo) vi furono in Russia degli scioperi accompagnati
da distruzioni "spontanee" di macchine e simili. In
confronto con queste "rivolte", gli scioperi avvenuti
dopo il 1890 potrebbero perfino essere chiamati "coscienti",
tanto è importante il passo in avanti fatto nel frattempo
dal movimento operaio. Ciò prova che in fondo l'"elemento
spontaneo" non è che la forma embrionale della coscienza.
Anche le rivolte primitive esprimevano già un certo risveglio
di coscienza: gli operai perdevano la loro fede secolare nella
solidità assoluta del regime che li schiacciava; cominciavano...
non dirò a comprendere, ma a sentire la necessità
di una resistenza collettiva e rompevano risolutamente con la
sottomissione servile all'autorità. E tuttavia questa
era ben più una manifestazione di disperazione e di vendetta
che una lotta.
Gli scioperi della fine del secolo, invece, rivelano
bagliori di coscienza molto più numerosi: si pongono
rivendicazioni precise, si cerca di prevedere il momento più
favorevole, si discutono i casi e gli esempi noti delle altre
località, ecc. Mentre prima si trattava semplicemente
di una rivolta di gente oppressa, gli scioperi sistematici rappresentavano
già degli embrioni - ma soltanto degli embrioni - di
lotta di classe. Presi in sé, questi scioperi costituivano
una lotta tradunionista, ma non ancora socialdemocratica; annunciavano
il risveglio dell' antagonismo fra operai e padroni; ma gli
operai non avevano e non potevano ancora avere la coscienza
dell'irriducibile antagonismo fra i loro interessi e tutto l'ordinamento
politico e sociale contemporaneo, cioè la coscienza socialdemocratica.
Gli scioperi della fine del secolo dunque, malgrado il progresso
immenso che rappresentavano in confronto con le "rivolte"
anteriori, restavano un movimento puramente spontaneo.
Abbiamo
detto che gli operai non potevano ancora possedere una coscienza
socialdemocratica. Essa poteva essere loro apportata soltanto
dall'esterno. La storia di tutti i paesi attesta che la classe
operaia colle sue sole forze è in grado di elaborare
soltanto una coscienza tradunionista, cioè la convinzione
della necessità di unirsi in sindacati, di condurre la
lotta contro i padroni, di reclamare dal governo questa o quella
legge necessaria agli operai, ecc.. (2) La dottrina del socialismo
è sorta da quelle teorie filosofiche, storiche, economiche
che furono elaborate dai rappresentanti colti delle classi possidenti,
gli intellettuali. Per la loro posizione sociale, gli stessi
fondatori del socialismo scientifico contemporaneo, Marx ed
Engels, erano degli intellettuali borghesi. Anche in Russia
la dottrina teorica della socialdemocrazia sorse del tutto indipendentemente
dallo sviluppo spontaneo del movimento operaio; sorse come risultato
naturale e inevitabile dello sviluppo del pensiero fra gli intellettuali
socialisti rivoluzionari. Nell'epoca della quale ci occupiamo,
cioè intorno al 1895, non soltanto questa dottrina ispirava
completamente di sé il programma del gruppo "Emancipazione
del lavoro", ma aveva conquistato la maggioranza della
gioventù rivoluzionaria della Russia.
Avevamo,
dunque, contemporaneamente, un risveglio spontaneo delle masse
operaie, risveglio alla vita e alla lotta cosciente, e la presenza
di una gioventù rivoluzionaria che, armata della teoria
socialdemocratica, nutriva il desiderio ardente di avvicinarsi
agli operai. È molto importante, inoltre, notare il fatto
spesso dimenticato (e relativamente poco noto) che i primi socialdemocratici
di questo periodo, i quali si occupavano con ardore dell'agitazione
economica (approfittando per questo delle utili indicazioni
dell'opuscolo Dell'agitazione, allora manoscritto),
non consideravano quell'agitazione come il loro unico compito,
ma al contrario, fin dal principio, assegnavano alla socialdemocrazia
russa i più grandi compiti storici in generale, e in
particolare il rovesciamento dell'autocrazia. Così, per
esempio, il gruppo dei socialdemocratici di Pietroburgo, che
fondò l’«Unione di lotta per l’emancipazione
della classe operaia», preparò verso la fine del
1895 il primo numero di un giornale intitolato Raboceie
Dielo, completamente pronto per la stampa, questo numero
fu sequestrato dai gendarmi durante una perquisizione operata
la notte dall'8 al 9 dicembre 1895 presso uno dei membri del
gruppo, Anat. Alex. Vaneiev (3), cosicché, nella sua
prima edizione, il Raboceie Dielo non poté vedere
la luce. L'editoriale di quel giornale (che, forse, fra una
trentina di anni, una rivista del tipo della Russkaia Sfarina riesumerà dagli archivi della polizia) tracciava i compiti
storici della classe operaia in Russia, e il primo di essi era
la conquista della libertà politica. Seguiva un articolo, A che cosa pensano i nostri ministri?, dedicato alla devastazione
poliziesca dei comitati per l'istruzione elementare, ed una
serie di corrispondenze non solo da Pietroburgo, ma da altre
località della Russia (per esempio, su un massacro di
operai nella provincia di Iaroslavl).
Dunque, questo, se non
erro, «primo saggio» dei socialdemocratici russi
della fine del secolo scorso, non era un giornale strettamente
locale, e ancor meno un giornale di carattere «economico»,
poiché si studiava di unire gli scioperi del movimento
rivoluzionario contro l'autocrazia e di spingere tutti gli oppressi,
vittime della politica di oscurantismo reazionario, a sostenere
la socialdemocrazia. Per coloro che più o meno conoscono
lo stato del movimento in quell'epoca è indubbio che
un simile giornale sarebbe stato favorevolmente accolto dagli
operai della capitale e dagli intellettuali rivoluzionari ed
avrebbe avuto la massima diffusione. L'insuccesso dell'iniziativa
provò unicamente che i socialdemocratici di allora erano
incapaci di rispondere alle esigenze del momento soprattutto
per mancanza di esperienza rivoluzionaria e di preparazione
pratica. Lo stesso si può dire per il Raboci Listok
e specialmente per la Rabociaia Gazieta e per il Manifesto
del Partito operaio socialdemocratico russo, costituitosi
nella primavera del 1898. È chiaro che non è affatto
nelle nostre intenzioni di rimproverare ai militanti di quel
tempo la loro impreparazione; ma per trarre profitto dall'esperienza
del movimento e ricavarne delle lezioni pratiche bisogna rendersi
ben conto delle cause e del significato di questa o quella deficienza.
Perciò è estremamente importante stabilire che
una parte (forse anche la maggioranza) dei socialdemocratici
attivi negli anni 1895-98 riteneva possibile presentare, proprio
allora, agli inizi stessi del movimento «spontaneo»,
un vasto programma ed una tattica di combattimento (4). L'impreparazione
della maggior parte dei rivoluzionari, essendo un fenomeno del
tutto naturale, non poteva suscitare particolari timori. Poiché
i compiti erano giustamente determinati, poiché si possedeva
l'energia necessaria per ripetere i tentativi di adempierli,
i momentanei insuccessi non erano che un mezzo male.
L'esperienza
rivoluzionaria e la capacità organizzativa sono cose
che si acquistano. Basta voler sviluppare in sé le qualità
necessarie! Basta aver coscienza dei propri errori, coscienza
che, nelle questioni rivoluzionarie, equivale già ad
una mezza correzione!
Ma
il mezzo male diventa un male effettivo quando questa coscienza
comincia ad oscurarsi (ed essa era vivissima nei militanti dei
gruppi menzionati), quando c'è della gente - e persino
dei giornali socialdemocratici - che è pronta a presentare
le deficienze come virtù e persino a tentar di giustificare
teoricamente la propria sottomissione servile alla spontaneità.
È tempo di fare il bilancio di questa tendenza, molto
inesattamente definita col termine di «economismo»,
che è troppo ristretto per esprimerne tutto il contenuto.
b) La sottomissione alla spontaneità
Prima di passare alle manifestazioni letterarie di questa sottomissione
alla spontaneità, segnaleremo un fatto caratteristico
(comunicatoci dalla fonte già citata), che getta una
certa luce sul modo come tra i compagni attivi di Pietroburgo
era sorto e si era sviluppato il dissenso tra le due future
tendenze della socialdemocrazia russa. All'inizio del 1897,
A. A. Vaneiev ed alcuni suoi compagni, prima di essere deportati,
parteciparono a una riunione privata dove s'incontrarono dei
membri «vecchi» e «giovani» dell'«Unione
di lotta per l'emancipazione della classe operaia». La
conversazione verte principalmente sull'organizzazione e, in
particolare, su quello «statuto della cassa operaia »
che venne pubblicato nella sua forma definitiva nel num. 9-10
del Listok Rabotnika (p. 46). Fra i «vecchi»
(i «decabristi», come li chiamavano per ischerzo
i socialdemocratici pietroburghesi) e alcuni dei «giovani»
(i quali, in seguito, collaborarono attivamente alla Rabociaia
Mysl) si manifestò subito un dissenso nettissimo
e si impegnò un'accanita discussione. I «giovani»
difendevano i punti principali dello statuto così com'era
stato pubblicato. I «vecchi» dicevano che non da
ciò bisognava cominciare, ma che si doveva prima di tutto
consolidare l'«Unione di lotta», farne un'organizzazione
di rivoluzionari alla quale fossero subordinate le diverse casse
operaie, i circoli di propaganda fra la gioventù studentesca,
ecc. Gli avversari erano certamente lontani dall'indovinare
in questo dissenso il germe di una divisione; lo consideravano
al contrario come accidentale ed isolato. Ma l'episodio dimostra
che il sorgere e l'estendersi dell'«economismo»
in Russia non furono disgiunti dalla lotta contro i «vecchi»
socialdemocratici (cosa che spesso dimenticano gli economisti
dei nostri giorni).
E se questa lotta non ha, in generale, lasciato tracce «documentarie»,
lo si deve unicamente al fatto che i membri dei circoli operai
cambiavano con inverosimile rapidità, che non si creava
nessuna continuità e che, perciò, i punti di vista
divergenti non venivano fissati in nessun documento. La pubblicazione
della Rabociaia Mysl portò l'economismo alla
luce del sole, ma non di colpo. Bisogna rappresentarsi concretamente
le condizioni di lavoro e l'effimera esistenza degli innumerevoli
circoli russi (cosa possibile soltanto a chi vi è passato)
per comprendere quanto vi fosse di fortuito nel successo o nell'insuccesso
della nuova tendenza nelle diverse città e l'assoluta
impossibilità nella quale si trovarono per lungo tempo,
sia i partigiani che gli avversari di questa «nuova »
tendenza, di determinare se essa era effettivamente una tendenza
definita o semplicemente il prodotto dell'impreparazione di
singole persone. Per esempio, i primi numeri poligrafati della Rabociaia Mysl furono completamente sconosciuti alla
immensa maggioranza dei socialdemocratici, e noi abbiamo ora
la possibilità di richiamarci all'editoriale del primo
numero, unicamente perché esso è stato riprodotto
nell'articolo di V. I. (Listok Rabotnika, n. 9-10,
p. 47 e sgg.), il quale, con uno zelo per lui eccessivo, porta
alle stelle il nuovo giornale, così diverso dai giornali
e progetti già citati (5). Vale la pena di arrestarsi
un po' su questo editoriale, che esprime con tanto rilievo tutto
lo spirito della Rabociaia Mysl e dell'economismo in
generale.
Dopo
aver detto che le uniformi azzurre non arresteranno mai i progressi
del movimento operaio, l'editoriale continua: «Il
movimento operaio deve questa sua vitalità al fatto che
l'operaio ha preso finalmente nelle sue mani la propria sorte,
strappandola dalle mani dei suoi dirigenti». Questa
tesi fondamentale è poi svolta in seguito particolareggiatamente.
In realtà, i dirigenti (cioè i socialdemocratici,
fondatori dell'«Unione di lotta») erano stati strappati,
si può dire, alle mani degli operai dalla polizia (6),
mentre ci si vuol far credere che gli operai lottavano contro
questi dirigenti e si erano liberati dal loro giogo! Invece
di esortarli ad andare avanti, a consolidare l'organizzazione
rivoluzionaria e ad estendere l'attività politica, si
esortano gli operai ad andare indietro, a ritornare alla pura
lotta tradunionista. Si proclama che «la
base economica del movimento è oscurata dall'aspirazione
a non dimenticare mai l'ideale politico», che la parola d'ordine del movimento
operaio è: «Lotta per le condizioni economiche»
(!), oppure meglio ancora: «Gli operai per gli operai»;
si dichiara che le casse di sciopero «hanno per il momento
più valore di un centinaio di altre organizzazioni»
(si confronti questa affermazione, che risale all'ottobre 1897,
con la disputa fra «decabristi» e «giovani»
agli inizi del 1897), ecc. Le formule come quella che la chiave
di volta della situazione deve essere non il «fiore»
degli operai, ma l'operaio «medio», l'operaio di
massa, o come: «La politica segue sempre docilmente
l'economia» (7) ecc, acquistarono gran voga ed ebbero
un'influenza irresistibile sulla massa dei giovani venuti al
movimento alla vigilia e che, per la maggior parte, conoscevano
soltanto frammenti del marxismo attraverso l'esposizione che
ne facevano le pubblicazioni legali.
Così
la coscienza era completamente soffocata dalla spontaneità,
dalla spontaneità di quei «socialdemocratici»
che ripetevano le «idee» del signor V. V., dalla
spontaneità degli operai che erano stati sedotti dall'argomento
che un copeco su di un rublo valeva molto più di ogni
socialismo e di ogni politica, che essi dovevano «lottare
sapendo che lottavano non per delle ignote generazioni future,
ma per sé e per, i propri figli» (editoriale del
n. 1 della Rabociaia Mysl). Le frasi di questo genere
sono sempre state l'arma preferita di quei borghesi dell'Europa
occidentale i quali, odiando il socialismo, lavoravano essi
stessi (come il «sozialpolitiker» tedesco
Hirsch) a trapiantare nel loro paese il tradunionismo inglese,
ed affermavano agli operai che la lotta esclusivamente sindacale
(8) è precisamente una lotta per sé e per i propri
figli, e non per una qualche generazione futura, per un qualche
socialismo futuro. E ora «i V. V.
della socialdemocrazia russa» si mettono a ripetere queste frasi borghesi. È
importante rilevare qui tre punti che ci saranno di grande aiuto
nella nostra analisi dei dissensi attuali... (9). In primo luogo,
il soffocamento della coscienza da parte della spontaneità,
da noi indicato, è avvenuto anch'esso in modo spontaneo.
Sembra un giuoco di parole, ma è purtroppo l'amara verità.
Esso non è avvenuto attraverso la lotta dichiarata fra
due concezioni diametralmente opposte e la vittoria dell'una
sull'altra, ma perché in numero sempre maggiore i "vecchi"
rivoluzionari sono stati "prelevati" dalla polizia
e sostituiti gradualmente dai "giovani" "V. V.
della socialdemocrazia russa". Tutti coloro che hanno,
non dico partecipato al movimento russo contemporaneo, ma ne
hanno semplicemente respirato l'aria, sanno perfettamente che
le cose stanno così. E se, ciò nonostante, insistiamo
perché il lettore si renda ben conto di questo fatto
già noto, se, per rendere le cose più evidenti,
citiamo dei fatti sulla prima edizione del Raboceie Dielo e sulla discussione fra "giovani" e "vecchi"
agli inizi del 1897, è soltanto perché gente che
si vanta del suo "spirito democratico" specula sulla
ignoranza di questo fatto da parte del gran pubblico (o dei
giovanissimi). Del resto, ritorneremo su questo punto.
In
secondo luogo, possiamo osservare, fin dalla prima manifestazione
letteraria dell'economismo, un fenomeno altamente originale
ed estremamente caratteristico per la comprensione di tutti
i dissensi fra i socialdemocratici del giorno d'oggi: i partigiani
del "movimento puramente operaio", i fautori del legame
più stretto e più "organico" (espressione
del Raboceie Dielo) con la lotta proletaria, gli avversari
di tutti gli intellettuali non operai (anche se socialisti)
sono costretti, per difendere le loro posizioni, a ricorrere
agli argomenti dei "puri tradunionisti " borghesi.
Ciò ci dimostra che, fin dal principio, la Rabociaia
Mysl si è - senza rendersene essa stessa conto -
accinta ad attuare il programma del "Credo".
Il che prova (e il Raboceie Dielo non può riuscire
a comprenderlo) che ogni sottomissione del movimento operaio
alla spontaneità, ogni menomazione della funzione dell'"elemento
cosciente", della funzione della socialdemocrazia significa
di per sé - non importa lo si voglia o no - un rafforzamento
dell'influenza dell'ideologia borghese sugli operai. Tutti coloro
che parlano di "sopravvalutazione della ideologia"
(10), di esagerazione della funzione dell'elemento cosciente
(11), ecc., immaginano che il movimento puramente operaio sia
di per sé in grado di elaborare - ed elabori in realtà
- una ideologia indipendente; che ciò che più
conta sia che gli operai "strappino dalle mani dei dirigenti
le loro sorti". Ma questo è un profondo errore.
Per completare quanto abbiamo detto sopra, riportiamo anche
le seguenti parole di K. Kautsky, profondamente giuste e importanti,
circa il progetto di un nuovo programma del Partito socialdemocratico
austriaco (12).
Parecchi dei nostri critici revisionisti immaginano che Marx
abbia affermato che lo sviluppo economico e la lotta di classe
non soltanto creano le condizioni della produzione socialista,
ma generano anche direttamente la coscienza [sottolineato da
K. K.] della sua necessità. Ed ecco questi critici obiettare
che il paese del più avanzato sviluppo capitalistico,
l'Inghilterra, è il più estraneo, fra tutti i
paesi moderni, a questa coscienza. In base al progetto si potrebbe
credere che anche la commissione la quale ha elaborato il programma
austriaco condivida questo punto di vista sedicente marxista
ortodosso che viene confutato nel modo suindicato. Il progetto
dice: "Quanto più lo sviluppo capitalistico
rafforza il proletario, tanto più esso è costretto
a lottare contro il capitalismo ed ha la possibilità
di farlo. Il proletario giunge ad aver coscienza"
della possibilità e della necessità del socialismo.
La coscienza socialista sarebbe, per conseguenza, il risultato
necessario, diretto della lotta di classe proletaria. Ma ciò
è completamente falso. Il socialismo, come dottrina,
ha evidentemente le sue radici nei rapporti economici contemporanei,
al pari della lotta di classe del proletariato; esso deriva,
al pari di quest'ultima, dalla lotta contro la miseria e dall'impoverimento
delle masse generati dal capitalismo; ma socialismo e lotta
di classe nascono uno accanto all'altra e non uno dall'altra;
essi sorgono da premesse diverse. La coscienza socialista contemporanea
non può sorgere che sulla base di profonde cognizioni
scientifiche. Infatti, la scienza economica contemporanea è,
al pari della tecnica moderna, una condizione della produzione
socialista, e il proletariato, per quanto lo desideri, non può
creare né l'una né l'altra; la scienza e la tecnica
sorgono entrambe dal processo sociale contemporaneo. Il detentore
della scienza non è il proletariato, ma sono gli intellettuali borghesi [sottolineato da K.K.]; anche il socialismo
contemporaneo è nato nel cervello di alcuni membri di
questo ceto, ed è stato da essi comunicato ai proletari
più elevati per il loro sviluppo intellettuale, i quali
in seguito lo introducono nella lotta di classe del proletariato,
dove le condizioni lo permettono. La coscienza socialista è
quindi un elemento importato nella lotta di classe del proletariato
dall'esterno [von aussen hineingetragenes], e non qualche
cosa che ne sorge spontaneamente [urwüchsig].
Il vecchio programma di Hainfeld diceva dunque molto giustamente
che il compito della socialdemocrazia è di introdurre
nel proletariato [letteralmente: di permeare il proletariato]
la coscienza della sua situazione e della sua missione. Non
occorrerebbe far questo se la coscienza emanasse da sé
dalla lotta di classe. Il nuovo progetto ha ripreso questa tesi
del vecchio programma e l'ha sovrapposta alla tesi sopra citata.
Ma ciò ha completamente spezzato il corso del pensiero...
Dal momento che non si può parlare di una ideologia indipendente,
elaborata dalle stesse masse operaie nel corso stesso del loro
movimento (13), la questione si può porre solamente così:
o ideologia borghese o ideologia socialista. Non c'è
via di mezzo (poiché l'umanità non ha creato una
"terza" ideologia, e, d'altronde, in una società
dilaniata dagli antagonismi di classe, non potrebbe mai esistere
una ideologia al di fuori o al di sopra delle classi). Ecco
perché ogni menomazione dell'ideologia socialista, ogni
allontanamento da essa implica necessariamente un rafforzamento
dell'ideologia borghese. Si parla della spontaneità;
ma lo sviluppo spontaneo del movimento operaio fa sì
che esso si subordini all'ideologia borghese, che esso proceda
precisamente secondo il programma del "Credo",
perché il movimento operaio spontaneo è il tradunionismo,
la Nur-Gewerkschaftlerei, e il tradunionismo è
l'asservimento ideologico degli operai alla borghesia. Perciò
il nostro compito, il compito della socialdemocrazia, consiste
nel combattere la spontaneità, nell'allontanare il movimento
operaio dalla tendenza spontanea del tradunionismo a rifugiarsi
sotto l'ala della borghesia; il nostro compito consiste nell'attirare
il movimento operaio sotto l'ala della socialdemocrazia rivoluzionaria.
La frase degli autori della lettera «economica»
pubblicata nel n. 12 dell'Iskra, secondo cui gli sforzi
degli ideologi meglio ispirati non potrebbero far deviare il
movimento operaio dalla strada tracciata dal giuoco reciproco
degli elementi materiali e dell'ambiente materiale, equivale
assolutamente ad una rinunzia al socialismo. Se coloro che hanno
scritto questa frase fossero capaci di pensare fino in fondo
a quanto dicono, con logica e senza paura, come devono fare
tutti coloro che scendono sul terreno dell'attività letteraria
e sociale, non avrebbero da far altro che «incrociare
le inutili braccia sul petto deserto» e... lasciare campo
libero agli Struve e ai Prokopovic, che orientano il movimento
operaio «secondo la linea del minimo sforzo», cioè
secondo la linea del tradunionismo borghese, e agli Zubatov,
che lo orientano secondo la linea dell'«ideologia»
clerico-poliziesca.
Ricordate
l'esempio della Germania. Qual è stato il merito storico
di Lassalle nel movimento operaio tedesco? Di avere allontanato
il movimento dal tradunionismo progressista e dal cooperativismo
verso i quali si dirigeva spontaneamente (con la benevola collaborazione
degli Schulze-Delitsch e consorti). Per riuscirvi, è
stato necessario ben altro che qualche frase sulla sottovalutazione
dell'elemento spontaneo, sulla tattica-processo, sul giuoco
reciproco degli elementi e dell'ambiente, ecc. È occorsa
una lotta accanita contro la spontaneità, e soltanto
dopo lunghi, lunghissimi anni di questa lotta si è giunti
a fare, della popolazione operaia di Berlino, per esempio, che
era un baluardo del partito progressista, una delle migliori
fortezze della socialdemocrazia. E questa lotta non è
terminata nemmeno ora (come potrebbero credere coloro che studiano
la storia del movimento tedesco su Prokopovic e la sua filosofia
su Struve). Ancora oggi la classe operaia tedesca è divisa,
se cosi si può dire, fra parecchie ideologie: una parte
è raggruppata nei sindacati cattolici e monarchici; un'altra
nei sindacati Hirsch-Duncker, fondati dai partigiani borghesi
del tradunionismo inglese; una terza parte nei sindacati socialdemocratici.
Quest'ultima parte è incomparabilmente più numerosa
di tutte le altre, ma l'ideologia socialdemocratica non ha potuto
ottenere e non potrà conservare questa supremazia se
non attraverso una lotta instancabile contro tutte le altre
ideologie.
Ma
perché - domanderà il lettore - il movimento spontaneo,
il movimento che segue la linea del minimo sforzo, conduce al
predominio dell'ideologia borghese? Per la semplice ragione
che, per le sue origini, l'ideologia borghese è ben più
antica di quella socialista, essa è meglio elaborata
in tutti i suoi aspetti e possiede una quantità incomparabilmente
maggiore di mezzi di diffusione (14). E quanto più giovane
è il movimento socialista di un determinato paese, tanto
più energica deve essere la lotta contro tutti i tentativi
di consolidare la ideologia non socialista, tanto più
risolutamente bisogna premunire gli operai contro i cattivi
consiglieri che gridano alla "sopravvalutazione dell'elemento
cosciente", ecc. All'unisono col Raboceie Dielo,
gli autori della lettera economica tuonano contro l'intolleranza
propria del periodo infantile del movimento. Rispondiamo: si,
il nostro movimento è ancora nell'infanzia, e per raggiungere
presto la virilità deve corazzarsi d'intolleranza contro
coloro i quali, sottomettendosi alla spontaneità, ne
ritardano lo sviluppo. Nulla di più ridicolo e di più
nocivo che darsi l'aria di vecchi che già abbiano vissuto
tutti i momenti decisivi della lotta!
In
terzo luogo, il primo numero della Rabociaia Mysl ci
dimostra che la denominazione di "economismo" (alla
quale non abbiamo nessuna intenzione di rinunziare poiché,
in un modo o nell'altro, essa ha ormai ottenuto diritto di cittadinanza)
traduce solo approssimativamente la sostanza della nuova tendenza.
La Rabociaia Mysl non nega completamente la lotta politica:
lo statuto della cassa, che essa pubblica nel suo primo numero,
parla di lotta contro il governo. Essa pensa soltanto che "la
politica segue sempre docilmente l'economia". (Quanto al Raboceie Dielo, esso espone una variante a questa tesi,
affermando nel suo programma che "in Russia più
che in qualsiasi altro paese la lotta economica è inseparabile
dalla lotta politica".) Queste tesi della Rabociaia
Mysl e del Raboceie Dielo sono assolutamente sbagliate
se per politica s'intende la politica socialdemocratica. La
lotta economica degli operai è spessissimo, come abbiamo
visto, legata (ma non indissolubilmente) alla politica borghese,
clericale, ecc. Le tesi del Raboceie Dielo sono giuste
se per politica si intende la politica tradunionista, vale a
dire l'aspirazione di tutti gli operai a ottenere dallo Stato
misure atte a rimediare ai mali che comporta la loro condizione,
ma non ancora a sopprimere questa condizione, cioè a
distruggere la sottomissione del lavoro al capitale. Questa
aspirazione, infatti, è comune ai tradunionisti inglesi,
che sono ostili al socialismo, agli operai cattolici, agli "operai
di Zubatov" e ad altre tendenze. Vi è politica e
politica. Vediamo dunque che la Rabociaia Mysl è,
di fronte alla politica, non tanto in una posizione di negazione
quanto in una posizione di sottomissione alla sua spontaneità
e alla sua incoscienza. Riconoscendo pienamente la lotta politica
che sorge spontaneamente dallo stesso movimento operaio (o,
meglio, le rivendicazioni e le aspirazioni politiche degli operai),
la Rabociaia Mysl rifiuta assolutamente di elaborare
essa stessa una politica socialdemocratica specifica, che risponda
ai compiti generali del socialismo e alla attuale situazione
russa. Dimostreremo più avanti che il Raboceie Dielo
commette lo stesso errore.
c) il "gruppo di autoemancipazione" ed il Raboceie
Dielo
Abbiamo analizzato così minutamente l'editoriale poco
noto, ed oggi quasi dimenticato, del primo numero della Rabociaia
Mysl, perché questo articolo ha espresso per primo
e con maggior rilievo la corrente fondamentale che è
poi venuta alla luce del sole ramificata in innumerevoli ruscelletti,
V. I. aveva completamente ragione quando, nel lodare questo
primo numero e questo editoriale, ne costatava «la
foga e il brio» (Listok Rabotnika, n. 9-10, p. 49).
Chiunque è convinto della propria opinione e crede di
portare qualche cosa di nuovo, scrive con « foga»
e in modo da dare rilievo ai propri punti di vista. Soltanto
chi vuol star seduto fra due sedie manca di «foga»
e può oggi rimproverare ai suoi avversari la «vivacità
della polemica» contro la Rabociaia Mysl, dopo
aver lodato ieri la vivacità di quest'ultima.
Senza
soffermarci sul Supplemento speciale alla Rabociaia Mysl (in seguito, su diverse questioni, dovremo frequentemente riferirci
a questa pubblicazione nella quale sono esposte nel modo più
conseguente le idee degli economisti), ci limiteremo a segnalare
brevemente l'Appello del gruppo di autoemancipazione degli operai
(marzo 1899, riprodotto nel Nakanunie di Londra, n.
7, giugno 1899). Molto giustamente gli autori di questo appello
dicono che «la Russia operaia si risveglia appena,
guarda intorno a sé per la prima volta, e afferra istintivamente
i primi mezzi di lotta che le cadono sottomano»,
ma ne traggono la stessa conclusione sbagliata della Rabociaia
Mysl, dimenticando che l'istintivo è precisamente
l'incosciente (lo spontaneo), al quale i socialisti devono venire
in aiuto, e che i primi mezzi di lotta «che cadono sottomano»
saranno sempre, nella società contemporanea, i mezzi
tradunionisti, e la prima ideologia che «cade sottomano»
sarà sempre l'ideologia borghese (tradunionista). Allo
stesso modo gli autori dell'Appello non «negano»
affatto la politica; dicono soltanto (soltanto!), seguendo il
signor V. V., che la politica è una sovrastruttura e
che, per conseguenza, «l'agitazione politica deve
essere la sovrastruttura dell'agitazione in favore della lotta
economica, deve sorgere sul terreno di questa lotta e seguirla».
Da
parte sua, il Raboceie Dielo ha cominciato col prendere
la «difesa» degli economisti. Dopo aver dichiarato
falsamente nel suo primo numero (n. 1, pp. 141-142) di «ignorare
di quali giovani compagni parlasse Axelrod» nel celebre
opuscolo (15) in cui metteva in guardia gli economisti, ha dovuto
riconoscere, nel corso della polemica avuta a causa di questa
menzogna con Axelrod e Plekhanov, che, «mostrando
di non aver capito, voleva difendere tutti i giovani socialdemocratici
che si trovano all'estero da questa accusa ingiusta»
(l'accusa di limitatezza intellettuale lanciata da Axelrod contro
gli economisti). Questa accusa era in realtà perfettamente
giusta, e il Raboceie Dielo sapeva benissimo che essa
era diretta fra gli altri anche contro V. I., della sua redazione.
Farò notare, in proposito, che, nella polemica in questione,
Axelrod aveva completamente ragione e il Raboceie Dielo
completamente torto nella interpretazione del mio opuscolo I
compiti dei socialdemocratici russi. Questo opuscolo fu scritto
nel 1897, prima della pubblicazione della Rabociaia Mysl,
quando, a buon diritto, consideravo come dominante la tendenza
iniziale dell'«Unione di lotta» di Pietroburgo,
di cui ho parlato sopra. La tendenza dell'«Unione»
fu infatti preponderante almeno fin verso la metà del
1898. Il Raboceie Dielo non aveva dunque nessun diritto
di smentire l'esistenza e il pericolo dell'economismo, richiamandosi
a un opuscolo nel quale si esponevano opinioni che a Pietroburgo
nel 1897-1898 furono soppiantate da opinioni economiste (16).
Ma
il Raboceie Dielo non ha soltanto «difeso»
gli economisti; è esso stesso costantemente incorso nei
loro principali errori. L'origine di questi errori risiede nel
contenuto equivoco della seguente tesi del suo programma: «Il
fenomeno più importante della vita russa, quello che determinerà in principal modo i compiti [il corsivo è nostro] e il carattere dell'attività
pubblicistica dell'Unione, è, a nostro avviso, il movimento
operaio di massa [il corsivo è del Raboceie Dielo]
sorto in questi ultimi anni». Non si può
mettere in dubbio che il movimento di massa è un fenomeno
molto importante; ma tutta la questione sta nel modo di intendere
come questo movimento «determinerà i compiti».
La cosa si può intendere in due modi: o nel senso che
si debba sottomettere il movimento alla spontaneità,
cioè ridurre la socialdemocrazia ad essere semplicemente
l'ancella del movimento operaio come tale (così intendono
la Rabociaia Mysl, il «Gruppo di autoemancipazione»
e gli altri economisti); oppure nel senso che il movimento di
massa ci pone nuovi compiti teorici, politici e organizzativi,
molto più complessi di quelli di cui potevamo accontentarci
prima dell'apparizione del movimento di massa. Il Raboceie
Dielo si è sempre avvicinato e si avvicina tuttora
alla prima interpretazione, perché non ha mai parlato
con precisione di nuovi compiti e ha sempre argomentato come
se il «movimento di massa» ci sbarazzasse della
necessità di vedere chiaramente e di assolvere i compiti
che esso pone. Basterà rammentare che il Raboceie
Dielo ha ritenuto impossibile assegnare al movimento operaio
di massa come primo compito il rovesciamento dell'autocrazia
e (in nome del movimento di massa) ha degradato questo compito
a quello della lotta per le rivendicazioni politiche immediate
(Risposta, p. 25).
Senza
occuparci dell'articolo pubblicato dal direttore del Raboceie
Dielo, B. Kricevski, nel n. 7 della rivista (La lotta
economica e politica del movimento russo), nel quale si
ritrovano gli stessi errori (17), passeremo direttamente al
n. 10 del Raboceie Dielo. Non esamineremo una per una
tutte le obiezioni che B. Kricevski e Martynov oppongono alla
Zarià e all'Iskra. Qui ci interessa
soltanto la posizione di principio assunta dal Raboceie
Dielo nel n. 10. Per esempio non esamineremo il fatto strano
che il Raboceie Dielo veda una «contraddizione
fondamentale» fra l'affermazione:
La
socialdemocrazia non si lega le mani, non restringe la propria
attività in base ad un qualche piano o metodo di lotta
politica prefissato: essa ammette tutti i mezzi di lotta, purché
corrispondano alle forze reali del partito... (Iskra,
n. 1 ) [8].
e l'affermazione:
...e se non esiste una salda organizzazione, preparata alla
lotta politica in ogni momento e in tutte le situazioni, non
si può parlare di quel piano sistematico d'azione, illuminato
da principi fermi e rigorosamente applicato, che è l'unico
che meriti il nome di tattica (Iskra, n. 4).
Confondere il riconoscimento in via di principio di tutti i
mezzi, piani e metodi di lotta, purché adeguati allo
scopo, con la necessità di essere guidati, in un dato
momento politico, da un piano rigorosamente applicato - se si
vuole parlare di una tattica - è come confondere il riconoscimento
da parte della medicina di tutti i sistemi terapeutici con la
necessità di attenersi a un sistema determinato per la
cura di una determinata malattia. Ma il fatto è che proprio
il Raboceie Dielo, poiché soffre della
malattia da noi chiamata sottomissione alla spontaneità,
non vuol ammettere nessun «sistema di cura» di questa
malattia. Perciò ha fatto la notevole scoperta che «la
tattica-piano contraddice allo spirito fondamentale del marxismo»
(n. 10, p. 18); che la tattica è «il processo
di sviluppo dei compiti del partito che si sviluppano insieme
con il partito stesso» (p. 11; il corsivo è
del Raboceie Dielo). Quest'ultima frase ha tutte le
probabilità di diventare una sentenza famosa, un monumento
indistruttibile della «tendenza» del Raboceie
Dielo. Alla domanda: «dove andare?» quest'organo
dirigente risponde: il movimento è il processo di variazione
della distanza fra il punto iniziale e i successivi punti del
movimento. Un'osservazione di tale incomparabile profondità
non costituisce soltanto una curiosità (non varrebbe
allora la pena di occuparsene), ma è il programma di
tutta una tendenza: quel programma che la Rabociaia Mysl
(nel Supplemento speciale) ha così enunciato:
è desiderabile la lotta che è possibile; e possibile
è la lotta che si svolge in questo momento. Questa è
appunto la tendenza del più illimitato opportunismo,
che si adatta passivamente alla spontaneità.
«La
tattica-piano contraddice allo spirito fondamentale del marxismo!»
Questa è una calunnia, una caricatura del marxismo, analoga
a quella che ci era presentata dai populisti in guerra contro
di noi. È appunto una svalutazione dell'iniziativa e
dell'energia dei militanti coscienti, mentre, al contrario,
il marxismo stimola in modo formidabile l'energia e l'iniziativa
del socialdemocratico, aprendogli le più larghe prospettive,
mettendo a sua disposizione (se così si può dire)
le forze formidabili di milioni e milioni di operai che scendono
« spontaneamente» in lotta! La storia della socialdemocrazia
internazionale pullula di piani proposti da questo o da quel
capo politico, piani che ora attestano la chiaroveggenza e la
giustezza delle opinioni politiche e organizzative, ora svelano
la cecità e gli errori politici dei loro autori. Quando
la Germania attraversò una delle più grandi crisi
della storia - formazione dell'Impero, apertura del Reichstag,
concessione del suffragio universale - Liebknecht aveva un piano
di politica e di azione socialdemocratica e Schweitzer ne aveva
un altro. Quando i socialisti tedeschi furono colpiti dalle
leggi eccezionali, Most e Hasselmann avevano un piano, l'appello
puro e semplice alla violenza e al terrore; Höchberg, Schramm
e (in parte) Bernstein ne avevano un altro: si dettero a predicare
ai socialdemocratici che, poiché avevano provocato con
la violenza inconsiderata e con il loro spirito rivoluzionario
la legge che li colpiva, dovevano ora ottenere il perdono con
una condotta esemplare; esisteva infine un terzo piano: quello
degli uomini che preparavano e attuavano la pubblicazione di
un giornale illegale.
Quando si considerano gli avvenimenti
dopo parecchi anni, quando la lotta per la scelta della strada
da seguire è terminata e la storia si è definitivamente
pronunziata sul valore della strada prescelta, non è
difficile naturalmente dare prova di profondità di pensiero
e dichiarare sentenziosamente che lo sviluppo dei compiti del
partito procede insieme con lo sviluppo del partito stesso.
Ma nelle ore di confusione (18), quando i «critici»
e gli economisti russi abbassano la socialdemocrazia al livello
del tradunionismo, e i terroristi predicano con ardore l'adozione
di un «piano tattico» il quale non fa che ripetere
i vecchi errori, in un momento simile attenersi a simili sentenze
significa rilasciare a se stessi « un certificato di povertà».
Nel momento in cui numerosi socialdemocratici russi soffrono
appunto di mancanza di iniziativa e di energia, di mancanza
di «larghezza nella propaganda, nell'agitazione e nell'organizzazione
politica», di mancanza di «piani» per una
più ampia impostazione del lavoro rivoluzionario, dire
che «la tattica-piano contraddice allo spirito fondamentale
del marxismo» significa non soltanto degradare teoricamente
il marxismo, ma anche, praticamente, tirare indietro il partito.
Il
socialdemocratico rivoluzionario - ci insegna più avanti
il Raboceie Dielo - ha come compito di accelerare lo
sviluppo oggettivo col proprio lavoro cosciente, e non di sopprimerlo
o di sostituirlo con piani soggettivi. L'Iskra sa tutto
questo teoricamente. Ma in pratica, a causa del suo dottrinarismo
nelle questioni tattiche, è trascinata dall'immensa importanza
che il marxismo attribuisce giustamente al lavoro rivoluzionario
cosciente a sottovalutare l'importanza dell'elemento oggettivo
e spontaneo dello sviluppo (p. 18).
Eccoci
daccapo in una straordinaria confusione teorica, degna del
signor V. V. e consorti. Ma domandiamo al nostro filosofo:
in che può
consistere la «sottovalutazione» dell'oggettivo
nell'autore di piani soggettivi? Senza dubbio nel dimenticare
che lo sviluppo oggettivo crea o consolida, rovina o indebolisce
queste o quelle classi, strati sociali, gruppi, nazioni, gruppi
di nazioni, ecc. ecc, determinando per ciò stesso questo
o quel raggruppamento politico internazionale di forze, questa
o quella posizione dei partiti rivoluzionari, ecc. Ma, in
tal caso, il suo errore consisterà nell'avere sottovalutato
non già l'elemento spontaneo ma, al contrario, l'elemento
cosciente, poiché gli sarà mancata la «coscienza»
necessaria all'esatta comprensione dello sviluppo oggettivo.
Il solo fatto di parlare della «valutazione
dell'importanza relativa» (il corsivo è del Raboceie
Dielo)
della spontaneità e della coscienza rivela perciò
una completa mancanza di «coscienza». Se certi «elementi spontanei dello sviluppo» sono accessibili in
generale alla coscienza umana, l'errata valutazione di essi
equivarrà a una «sottovalutazione
dell'elemento cosciente». E se sono inaccessibili,
noi non li conosciamo e non ne possiamo parlare. Di che cosa
parla Kricevski? Se trova sbagliati i «piani
soggettivi» dell'Iskra (come infatti dichiara), dovrebbe dimostrare di quali fatti
oggettivi questi piani non tengono conto ed accusare perciò
l’Iskra di mancanza di coscienza, di «sottovalutazione
dell'elemento cosciente», per parlare il suo linguaggio.
Ma se, scontento dei piani soggettivi, non ha altri argomenti
che il ricorso alla «sottovalutazione
dell'elemento spontaneo»
(!!), egli in questo modo prova soltanto: primo, che, teoricamente,
egli comprende il marxismo alla maniera di Kareiev e di Mikhailovski,
così giustamente presi in giro da Beltov; secondo,
che, praticamente, è del tutto soddisfatto di quegli «elementi
spontanei di sviluppo» che hanno portato i nostri marxisti
legali al bernsteinismo e i nostri socialdemocratici all'economismo,
e che egli è furioso contro coloro che si sono decisi
ad allontanare a ogni costo la socialdemocrazia russa dalla
strada dello sviluppo « spontaneo».
E
più avanti seguono cose spassosissime. «Allo
stesso modo che gli uomini, nonostante tutti i successi delle
scienze naturali, si moltiplicheranno alla maniera dei loro
nonni, così
l'apparizione alla luce di un nuovo ordine sociale, nonostante
tutti i successi delle scienze sociali e l'aumento di combattenti
coscienti, anche nell'avvenire sarà prevalentemente
il risultato di scoppi spontanei.» Allo stesso modo che la
saggezza dei nonni dice: chi non ha abbastanza intelligenza
da avere dei bambini? così la saggezza dei «modernissimi
socialisti» (alla Narciso Tuporylov dice: ognuno avrà
abbastanza intelligenza per partecipare alla spontanea apparizione
alla luce di un nuovo ordine sociale. Anche noi pensiamo che
ognuno ne avrà abbastanza. Per una simile partecipazione
basta cedere all'economismo, quando regna l'economismo, e al
terrorismo, quando scoppia il terrorismo. Così il Raboceie
Dielo nella primavera di quest'anno, quando era così
importante mettere in guardia contro il pericolo di lasciarsi
attirare dal terrorismo, rimaneva perplesso di fronte al problema
per lui «nuovo». Ed ora, sei mesi dopo, allorché
il problema ha cessato di essere così attuale, ci offre
nello stesso tempo sia la dichiarazione: «Noi pensiamo
che il compito della socialdemocrazia non può e non deve
essere l'opposizione alla ripresa delle tendenze terroristiche»
(Raboceie Dielo, n. 10, p. 23), che la risoluzione
del congresso: «Il congresso considera intempestivo
il terrorismo offensivo sistematico» (Due congressi,
p. 18). Come tutto ciò è meravigliosamente chiaro
e coerente! Non ci opponiamo, ma lo dichiariamo intempestivo;
e lo dichiariamo in modo tale da non includere il terrorismo
non sistematico e difensivo nella «risoluzione».
Bisogna riconoscere che una simile risoluzione non è
affatto pericolosa e pienamente garantita dagli errori, così
come è garantito dagli errori un uomo che abbia parlato
per non dire nulla! E per compilare una simile risoluzione occorre
soltanto una cosa: sapersi tenere alla coda del movimento. Quando
l’Iskra ha preso in giro il Raboceie Dielo
per aver esso dichiarato che il problema del terrorismo era
nuovo il Raboceie Dielo, stizzito, ha accusato l’Iskra di avere «la pretesa veramente incredibile di imporre
all'organizzazione del partito la soluzione di problemi tattici
data oltre quindici anni fa da un gruppo di scrittori emigrati»
(p. 24). E infatti, quale pretesa e quale sopravvalutazione
dell'elemento cosciente: risolvere dapprima i problemi teoricamente,
per poi convincere della giustezza di questa soluzione l'organizzazione,
il partito e le masse (19)! Altra cosa è rimasticare
le cose vecchie, non «imponendo» nulla a nessuno,
sottomettersi ad ogni «svolta», tanto dalla parte
dell'economismo, quanto dalla parte del terrorismo. Il Raboceie
Dielo giunge persino a generalizzare questo grande comandamento
della saggezza, accusando l’Iskra e la Zarià
«di opporre al movimento il loro programma come uno
spirito aleggiante sull'informe caos» (p. 29). In
che consiste la funzione della socialdemocrazia se non nell'essere
lo «spirito» che non soltanto aleggia sul movimento
spontaneo, ma eleva quest'ultimo fino al «suo programma»?
In ogni caso, la funzione della socialdemocrazia non è
di trascinarsi alla coda del movimento: cosa che nel migliore
dei casi è inutile, e, nel peggiore, estremamente nociva
per il movimento stesso. Il Raboceie Dielo, da parte
sua, non si limita a seguire questa «tattica-processo»,
ma la erige a principio, sicché la sua tendenza deve
essere definita non tanto opportunismo quanto (dalla parola:
coda) codismo. Certo si è che della gente fermamente
decisa a stare sempre dietro al movimento come una coda è
assolutamente e per sempre garantita contro la «sottovalutazione
dell'elemento spontaneo dello sviluppo».
Abbiamo
dunque costatato che l'errore fondamentale della "nuova
tendenza" della socialdemocrazia russa è di sottomettersi
alla spontaneità, di non comprendere che la spontaneità
delle masse esige da noi, socialdemocratici, un alto grado di
coscienza. Quanto più grande è la spinta spontanea
delle masse, quanto più il movimento si estende, tanto
più aumenta, in modo incomparabilmente più rapido,
il bisogno di coscienza nell'attività teorica, politica
e organizzativa della socialdemocrazia.
La
spinta spontanea delle masse in Russia si è prodotta
(e si produce ancora) con tale rapidità che la gioventù
socialdemocratica ha mostrato di non essere preparata all'adempimento
di questi compiti giganteschi. Questa impreparazione è
la disgrazia di noi tutti, la disgrazia di tutti i socialdemocratici
russi. La spinta delle masse è cresciuta e si è
estesa continuamente e di giorno in giorno; senza cessare dov'era
incominciata, si è estesa a nuove località e a
nuovi strati della popolazione (sotto l'influenza del movimento
operaio si è ravvivato il fermento fra la gioventù
studentesca, fra gli intellettuali in genere e persino fra i
contadini). I rivoluzionari sono rimasti indietro al progresso
del movimento, e nelle loro "teorie" e nella loro
attività non sono riusciti a creare una organizzazione
che non abbia soluzioni di continuità, un'organizzazione
permanente capace di dirigere l'insieme del movimento.
Abbiamo
costatato nel primo capitolo che il Raboceie Dielo svilisce i nostri compiti teorici e ripete "spontaneamente"
la parola d'ordine di moda: "libertà di critica",
senza avere sufficiente "coscienza" per comprendere
che le posizioni dei "critici" opportunisti e quelle
dei rivoluzionari in Germania e in Russia sono diametralmente
opposte.
Nei
capitoli successivi esamineremo come questa sottomissione alla
spontaneità si è manifestata nel campo dei compiti
politici e nel lavoro organizzativo della socialdemocrazia.
Note
1. Raboceie Dielo, n. 10, settembre 1901, pp. 17 e
18. Il corsivo è del Raboceie Dielo.
2.
Il tradeunionismo non esclude affatto ogni "politica",
come talvolta si crede. Le trade-unions hanno sempre fatto una
determinata agitazione politica ed una determinata lotta politica
(ma non socialdemocratica). Nel capitolo seguente esporremo
la differenza che passa fra la politica tradeunionista e la
politica socialdemocratica.
3.
A. A. Vaneiev è morto nel 1899, nella Siberia orientale,
di tisi contratta durante la detenzione preventiva, passata
nell'isolamento della segregazione cellulare. Ci è parso
perciò possibile pubblicare le informazioni di cui sopra.
Rispondiamo della loro esattezza, perché provengono da
persone che hanno intimamente conosciuto Vaneiev.
4.
«Prendendo una posizione negativa di fronte all'attività
dei socialdemocratici alla fine degli anni novanta, l’Iskra
ignora che allora mancavano le condizioni per un altro lavoro
che non fosse la lotta per le piccole rivendicazioni.»
Così parlano gli economisti nella loro Lettera ai giornali
socialdemocratici russi (Iskra, n. 12). Ma i fatti
da noi citati provano che questa affermazione sulla «mancanza
delle condizioni» è diametralmente opposta alla
verità. Non soltanto alla fine del secolo, ma intorno
al 1895 esistevano tutte le condizioni - tutte, meno una sufficiente
preparazione dei dirigenti - per un lavoro che non fosse la
lotta per le piccole rivendicazioni. Ed ecco che invece di riconoscere
questa deficienza di preparazione di noi ideologi, dirigenti,
gli «economisti» fanno ricadere tutta la colpa sulla
«mancanza delle condizioni», sull'influenza dell'ambiente
materiale che determina la strada dalla quale nessun ideologo
potrà far deviare il movimento. Che cosa è questo
se non cieca sottomissione alla spontaneità, se non amore
degli «ideologi» per le loro proprie deficienze?
5.
A proposito, questo elogio della Rabociaia Mysl, fatta
nel novembre 1898, mentre l'economismo, particolarmente all'estero,
si era già completamente formato, emanava dallo stesso
V. I. che, ben presto, diventò redattore del Raboceie
Dielo. E questo giornale negava e continua a negare l'esistenza
di due tendenze nella socialdemocrazia russa!
6.
L'esattezza di quest'affermazione è dimostrata da un
fatto caratteristico. Quando, dopo l'arresto dei «decabristi»,
fra gli operai della strada di Schliesselburg si diffuse la
notizia che la caduta era dovuta al provocatore N. Mikhailov
(dentista), il quale era in stretti rapporti col gruppo dei
« decabristi», questi operai ne furono così
indignati che decisero di uccidere Mikhailov.
7.
Dallo stesso editoriale del primo numero della Rabociaia
Mysl. Si può così giudicare quale fosse la
preparazione teorica di questi «V. V. della socialdemocrazia
russa», i quali ripetevano le grossolane deformazioni
del « materialismo economico», mentre nei loro scritti
i marxisti combattevano contro il vero V. V., già da
lungo tempo soprannominato «maestro di imprese reazionarie»
a causa di questo stesso modo di comprendere i rapporti fra
politica e economia.
8.
I tedeschi possiedono perfino una parola, Nur-Gewerkschaftler,
per indicare i partigiani della lotta «soltanto sindacale».
9.
Sottolineiamo attuali per i farisei che alzeranno le spalle
dicendo: «È facile denigrare ora la Rabociaia
Mysl, ma tutto ciò appartiene al passato».
Mutato nomine, de te fabula narratur, risponderemo noi a questi
moderni farisei, di cui dimostreremo in seguito il completo
asservimento alle idee della Rabociaia Mysl.
10.
Lettera degli economisti nel numero 12 dell’Iskra.
11.
Raboceie Dielo, numero 10.
12.
Neue Zeit, 1901-1902, XX, I, n. 3, pag. 79. Il progetto
della commissione di cui parla K. Kautsky fu approvato dal Congressi
di Vienna (alla fine dell’anno scorso) con alcune modificazioni.
13.
Certo non ne consegue che gli operai non partecipino a questa
elaborazione; ma non vi partecipano come operai, bensì
come teorici del socialismo, come i Proudhon e i Weitling. In
altri termini, non vi partecipano che nella misura in cui giungono
ad acquisire più o meno completamente cognizioni della
loro epoca ed a farle progredire. Ma perché possano riuscirvi
più spesso bisogna sforzarsi di elevare il livello della
.loro coscienza in generale, bisogna che essi non si rinchiudano
nella cornice artificialmente ristretta della «letteratura
per operai », ma imparino sempre meglio a comprendere
la letteratura in generale. Sarebbe anzi più giusto dire
che gli operai non si «rinchiudono» in una letteratura
speciale, ma vi sono rinchiusi, perché essi leggono e
vorrebbero leggere tutto ciò che si scrive per gli intellettuali,
e soltanto alcuni intellettuali (scadenti) pensano che «agli
operai» basti parlare della vita d'officina e rimasticare
ciò che essi da molto tempo sanno.
14.
Si dice spesso: la classe operaia va spontaneamente al socialismo.
Ciò è perfettamente giusto nel senso che più
profondamente e più esattamente di tutte le altre la
teoria socialista determina le cause dei mali della classe operaia.
Perciò gli operai l'assimilano così facilmente,
purché questa dottrina non ceda davanti alla spontaneità,
purché essa sottoponga quest'ultima a se stessa. Questo
è ordinariamente sottinteso; ma il Raboceie Dielo dimentica e snatura precisamente questo sottinteso. La classe
operaia va spontaneamente al socialismo, ma l'ideologia borghese,
che è la più diffusa (e che risuscita costantemente
nelle più svariate forme), resta pur sempre l'ideologia
che, spontaneamente, soprattutto s'impone all'operaio.
15.
Sulla Questione degli obiettivi attuali e della tattica
della socialdemocrazia russa (Ginevra, 1898). Due lettere
alla Rabociaia Gazieta, scritte nel 1897.
16.
Il Raboceie Dielo, difendendosi, ha aggiunto alla sua
prima menzogna («noi ignoriamo di quali giovani compagni
parli P. Axelrod») la seconda, scrivendo nella Risposta:
«Da quando è stata scritta la recensione dei Compiti, tra alcuni socialdemocratici russi sono sorte
o si sono definite in modo più o meno chiaro delle tendenze
all'unilateralità economica, che rappresentano un passo
indietro in confronto a quello stadio del nostro movimento che
è descritto nei Compiti» (p. 9). Così
dice la Risposta uscita nel 1900. E il primo numero del Raboceie
Dielo (con la recensione) è uscito nell'aprile del
1899. Ma l'economismo è forse sorto soltanto nel 1899?
No, nel 1899 si è fatta udire per la prima volta la protesta
dei socialdemocratici russi contro l'economismo (protesta contro
il «Credo»). L'economismo in realtà è
sorto nel 1897, e il Raboceie Dielo lo sa perfettamente,
perché V. I. già nel novembre 1898 (Listok
Rabotnika n. 9-10) elogiava la Rabociaia Mysl.
17.
Ecco, per esempio, com'è espressa, in quest'articolo,
la «teoria degli stadi» o teoria del «timido
zigzag» nella lotta politica: «Le rivendicazioni
politiche, comuni per il loro carattere a tutta la Russia, devono
tuttavia corrispondere, nei primi tempi [e questo è stato
scritto nell'agosto del 1900!] all'esperienza compiuta nella
lotta economica da un determinato [sic!] strato di operai. Soltanto
[!] sul terreno di questa esperienza si può e si deve
intraprendere l'agitazione politica...» (p. II).
A p. 4, protestando contro le accuse di eresia economica, secondo
lui assolutamente ingiustificate, l'autore esclama pateticamente:
«Quale socialdemocratico ignora che, secondo la dottrina
di Marx e di Engels, gli interessi economici delle diverse classi
hanno una funzione decisiva nella storia e che, per conseguenza,
in particolare la lotta del proletariato per i suoi interessi
economici deve avere somma importanza per il suo sviluppo di
classe e la sua lotta liberatrice?» (il corsivo è
nostro). Questo «per conseguenza» è assolutamente
fuori posto. Dal fatte che gli interessi economici esercitano
una funzione decisiva non consegue affatto che la lotta economica
(professionale) sia di sommo interesse, perché gli interessi
essenziali, « decisivi», delle classi possono essere
soddisfatti solamente con trasformazioni politiche radicali,
e particolarmente, l'interesse economico fondamentale del proletariato
può essere soddisfatto solamente con una rivoluzione
politica che sostituisca alla dittatura della borghesia la dittatura
del proletariato. B. Kricevski ripete il ragionamento dei «V.
V. della socialdemocrazia russa» (la politica segue l'economia,
ecc.) e dei bernsteiniani della socialdemocrazia tedesca (con
un ragionamento analogo, Woltmann, per esempio, dimostrava che
gli operai devono incominciare ad acquistare la «forza
economica» prima di pensare alla rivoluzione politica).
18.
Ein Jahr der Verwirrung (Un anno di confusione), così
Mehring ha intitolato, nella sua Storia della socialdemocrazia
tedesca, il capitolo in cui descrive le esitazioni e le
indecisioni che i socialisti manifestarono agli inizi nella
scelta di un «piano tattico» rispondente alla nuova
situazione.
19.
Non si deve neppure dimenticare che, risolvendo «teoricamente»
il problema del terrorismo, il gruppo dell'«Emancipazione
del lavoro» generalizzava l'esperienza del movimento rivoluzionario
precedente.