Antonio Gramsci
Elementi di politica Osservazioni
su alcuni aspetti della struttura
dei partiti politici nei periodi
di crisi
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[Q 13, p. 1602 (MAC, p. 61)] 1]
A un certo punto della loro vita storica i gruppi sociali si staccano
dai loro partiti tradizionali, cioè i partiti tradizionali
in quella data forma organizzativa, con quei determinati uomini
che costituiscono, li rappresentano e li dirigono non sono più
riconosciuti come propria espressione dalla loro classe o frazione
di classe. Quando queste crisi si verificano, la situazione immediata
diventa delicata e pericolosa, perché il campo è
aperto alle soluzioni di forza, all’attività di potenze
oscure, rappresentate dagli uomini provvidenziali o carismatici.
Come
si formano queste situazioni di contrasto tra “rappresentati
e rappresentanti” che dal terreno dei partiti (organizzazioni
di partito in senso stretto, campo elettorale-parlamentare, organizzazione
giornalistica) si riflettono in tutto l’organismo statale,
rafforzando la posizione relativa del potere della burocrazia
(civile e militare), dell’alta finanza, della Chiesa, e
in generale di tutti gli organismi relativamente indipendenti
dalle fluttuazioni dell’opinione pubblica? In ogni paese
il processo è diverso, sebbene il contenuto sia lo stesso.
E il contenuto è la crisi di egemonia
2] della classe dirigente, che avviene o perché
la classe dirigente ha fallito in qualche sua gran impresa politica
per cui ha domandato o imposto con la forza il consenso delle
grandi masse (come la guerra) o perché vaste masse (specialmente
di contadini e di piccoli borghesi intellettuali) sono passate
di colpo dalla passività politica a una certa attività
e pongono rivendicazioni che nel loro complesso disorganico costituiscono
una rivoluzione. Si parla di “crisi di autorità”
e ciò appunto è la crisi di egemonia, o crisi dello
Stato nel suo complesso.
La
crisi crea situazioni immediate pericolose, perché i diversi
strati della popolazione non possiedono la stessa capacità
di orientarsi rapidamente e di riorganizzarsi con lo stesso ritmo.
La classe tradizionale dirigente, che ha un numeroso personale
addestrato, muta uomini e programmi e riassorbe il controllo che
le andava sfuggendo con una celerità maggiore di quanto
avvenga nelle classi subalterne; fa magari dei sacrifizi, si espone
a un avvenire oscuro con promesse demagogiche, ma mantiene il
potere, lo rafforza per il momento e se ne serve per schiacciare
l’avversario e disperderne il personale di direzione, che
non può essere molto numeroso e molto addestrato. Il passaggio
delle truppe di molti partiti sotto la bandiera di un partito
unico, che meglio rappresenta e riassume i bisogni dell’intiera
classe, è un fenomeno organico e normale, anche se il suo
ritmo sia rapidissimo e quasi fulmineo in confronto di tempi tranquilli:
rappresenta la fusione di un intero gruppo sociale sotto un’unica
direzione ritenuta sola capace di risolvere un problema dominante
esistenziale e allontanare un pericolo mortale. Quando la crisi
non trova questa soluzione organica, ma quella del capo carismatico,
significa che esiste un equilibrio statico (i cui fattori possono
essere disparati, ma in cui prevale l’immaturità
delle forze progressive); che nessun gruppo, né quello
conservativo né quello progressivo, ha la forza della vittoria
e che anche il gruppo conservativo ha bisogno di un padrone. 3]
Questo
ordine di fenomeni è connesso a una delle quistioni più
importanti che riguardano il partito politico; e cioè,
alla capacità del partito di reagire contro lo spirito
di consuetudine, contro le tendenze a mummificarsi e a diventare
anacronistico. I partiti nascono e si costituiscono in organizzazione
per dirigere la situazione in momenti storicamente vitali per
le loro classi; ma non sempre essi sanno adattarsi ai nuovi compiti
e alle nuove epoche, non sempre sanno svilupparsi secondo che
si sviluppano i rapporti complessivi di forza (e quindi la posizione
relativa delle loro classi) nel paese determinato o nel campo
internazionale. Nell’analizzare questi sviluppi dei partiti
occorre distinguere: il gruppo sociale; la massa di partito; la
burocrazia e lo stato maggiore del partito. La burocrazia è
la forza consuetudinaria e conservatrice più pericolosa;
4] se essa finisce col costituire un corpo solidale,
che sta a sé e si sente indipendente dalla massa, il partito
finisce col diventare anacronistico, e nei momenti di crisi acuta
viene svuotato del suo contenuto sociale e rimane come campato
in aria. Si può vedere cosa avviene a una serie di partiti
tedeschi per l’espansione dell’hitlerismo. I partiti
francesi sono un campo ricco per tali ricerche: essi sono tutti
mummificati e anacronistici, documenti storico-politici delle
diverse fasi della storia passata francese, di cui ripetono la
terminologia invecchiata; la loro crisi può diventare ancora
più catastrofica di quella dei partiti tedeschi.
Nell’esaminare
questo ordine di avvenimenti di solito si trascura di fare un
giusto posto all’elemento burocratico, civile e militare,
e non si tiene presente, inoltre, che in tale analisi non devono
rientrare solo gli elementi militari e burocratici in atto, ma
gli strati sociali da cui, nei complessi statali dati, la burocrazia
è tradizionalmente reclutata. Un movimento politico può
essere di carattere militare anche se l’esercito come tale
non vi partecipa apertamente; un governo può essere di
carattere militare anche se l’esercito come tale non partecipa
al governo. In determinate situazioni può avvenire che
convenga non “scoprire” l’esercito, non farlo
uscire dalla costituzionalità, non portare la politica
tra i soldati, come si dice, per mantenere l’omogeneità
tra ufficiali e soldati in un terreno di apparente neutralità
e superiorità sulle fazioni; eppure è l’esercito,
cioè lo stato maggiore e l’ufficialità, che
determina la nuova situazione e la domina. D’altronde, non
è vero che l’esercito, secondo le Costituzioni, non
deve mai fare della politica; l’esercito dovrebbe appunto
difendere la Costituzione, cioè la forma legale dello Stato,
con le istituzioni connesse; perciò la così detta
neutralità significa solo appoggio alla parte retriva,
ma occorre, in tali situazioni, porre così la quistione
per impedire che nell’esercito si riproduca il dissenso
del paese e quindi sparisca il potere determinante dello stato
maggiore per la disgregazione dello strumento militare. Tutti
questi elementi di osservazione non sono certo assoluti; nei diversi
momenti storici e nei vari paesi essi hanno pesi molto diversi.
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La prima ricerca da fare è questa: esiste in un determinato
paese uno strato sociale diffuso per il quale la carriera burocratica,
civile e militare, sia elemento molto importante di vita economica
e di affermazione politica (partecipazione effettiva al potere,
sia pure indirettamente, per “ricatto”)? Nell’Europa
moderna questo strato si può identificare nella borghesia
rurale media e piccola, che è più o meno diffusa
nei diversi paesi a seconda dello sviluppo delle forze industriali,
da una parte, e della riforma agraria, dall’altra. Certo
la carriera burocratica (civile e militare) non è un monopolio
di questo strato sociale; tuttavia essa gli è particolarmente
adatta la funzione sociale che questo strato svolge e per le tendenze
psicologiche che la funzione determina o favorisce; questi due
elementi danno all’insieme del gruppo sociale una certa
omogeneità ed energia di direttive, e quindi un valore
politico e una funzione spesso decisiva nell’insieme dell’organismo
sociale. Gli elementi di questo gruppo sono abituati a comandare
direttamente nuclei di uomini sia pure esigui e a comandare “politicamente”,
non “economicamente”; cioè nella loro arte
di comando non c’è attitudine a ordinare le “cose”,
a ordinare “uomini e cose” in un tutto organico, come
avviene nella produzione industriale, perché questo gruppo
non ha funzioni economiche nel senso moderno della parola. Esso
ha un reddito, perché giuridicamente è proprietario
di una parte del ruolo nazionale, e la sua funzione consiste nel
contendere “politicamente” al contadino coltivatore
di migliorare la propria esistenza, perché ogni miglioramento
della posizione relativa del contadino sarebbe catastrofica per
la sua posizione sociale. La miseria cronica, il lavoro prolungato
del contadino, col conseguente abbrutimento, sono per esso una
necessità primordiale. Perciò spiega la massima
energia nella resistenza e nel contrattacco a ogni minimo tentativo
di organizzazione autonoma del lavoro contadino e a ogni movimento
culturale contadino che esca dai limiti della religione ufficiale.
Questo gruppo sociale trova i suoi limiti e le ragioni della sua
intima debolezza nella sua dispersione territoriale e nella “inomogeneità”
che è intimamente connessa a tale dispersione; ciò
spiega anche altre caratteristiche: la volubilità, la molteplicità
dei sistemi ideologici seguiti, la stessa stranezza delle ideologie
talvolta seguite.
La
volontà è decisa verso un fine, ma essa è
tarda e ha bisogno, di solito, di un lungo processo per centralizzarsi
organizzativamente e politicamente. Il processo si accelera quando
la “volontà” specifica di questo gruppo coincide
con la volontà e gli interessi immediati della classe alta;
non solo il processo si accelera, ma si manifesta subito la “forza
militare” di questo strato, che talvolta, organizzatosi,
detta legge alla classe alta, almeno per ciò che riguarda
la “forma” della soluzione, se non per il contenuto.
Si vedono qui funzionare le stesse leggi che sono state notate
per i rapporti città-campagna nei riguardi delle classi
subalterne: la forza della città, automaticamente diventa
forza della campagna, ma, poiché in campagna i conflitti
assumono subito una forma acuta e “personale” per
l’assenza di margini economici e per la normalmente più
pesante compressione esercitata dall’alto in basso cosi
in campagna i contrattacchi devono essere più rapidi e
decisi. Questo gruppo capisce e vede che l’origine dei suoi
guai è nelle città, nella forza delle città,
e perciò capisce di “dover” dettare la soluzione
alle classi alte urbane, affinché il focolaio principale
sia spento, anche se ciò alle classi alte urbane non conviene
immediatamente o perché troppo dispendioso o perché
pericoloso a lungo andare (queste classi vedono cicli più
ampi di sviluppo, in cui è possibile manovrare e non solo
l’interesse “fisico” immediato). In questo senso,
deve intendersi la funzione direttiva di questo strato e non in
senso assoluto; tuttavia non è piccola cosa.
Un
riflesso di questo gruppo si vede nell’attività ideologica
degli intellettuali conservatori, di destra. Il libro di Gaetano
Mosca, Tecnica dei governi e governo parlamentare (seconda
ed. del 1925, prima ed. del 1883) 5] è
esemplare per questo rispetto; fin dal 1883 il Mosca era terrorizzato
da un possibile contatto tra città e campagna. Il Mosca,
per la sua posizione difensiva (di contrattacco), comprendeva
meglio nel 1883 la tecnica della politica delle classi subalterne
di quanto non la comprendessero, anche parecchi decenni dopo,
i rappresentanti di queste forze subalterne anche urbane”.
[…] È da notare come questo carattere “militare”
del gruppo sociale in quistione, che era tradizionalmente un riflesso
spontaneo di certe condizioni di esistenza, viene ora consapevolmente
educato e predisposto organicamente. In questo movimento consapevole
rientrano gli sforzi sistematici per far sorgere e per mantenere
stabilmente associazioni varie di militari in congedo e di ex
combattenti dei vari corpi ed armi, specialmente di ufficiali,
che sono legate agli stati maggiori e possono essere mobilitate
all’occorrenza, senza bisogno di mobilitare l’esercito
di leva, che manterrebbe così il suo carattere di riserva
allarmata, rafforzata e immunizzata dalla decomposizione politica
da queste forze “private” che non potranno non influire
sul suo “morale”, sostenendolo e irrobustendolo. Si
può dire che si verifica un movimento del tipo “cosacco”,
non in formazioni scaglionate lungo i confini di nazionalità,
come avveniva per i cosacchi zaristi, ma lungo i “confini”
di gruppo sociale.
In
tutta una serie di paesi, pertanto, influenza dell’elemento
militare nella vita statale non significa solo influenza e peso
dell’elemento tecnico militare, ma influenza e peso dello
strato sociale da cui l’elemento tecnico militare (specialmente
gli ufficiali subalterni) trae specialmente origine. Questa serie
di osservazioni sono indispensabili per analizzare l’aspetto
più intimo di quella determinata forma politica che si
suole chiamare cesarismo o bonapartismo, per distinguerla da altre
forme in cui l’elemento tecnico militare come tale, predomina,
in forme ancor più appariscenti ed esclusive. […]
Nell’analisi
del terzo grado o momento del sistema di rapporti di forza esistenti
in una determinata situazione, si può ricorrere utilmente
al concetto che nella scienza militare è chiamato della
“congiuntura strategica”, ossia, con più precisione,
del grado di preparazione strategica del teatro della lotta, uno
dei cui principali elementi è dato dalle condizioni qualitative
del personale dirigente e delle forze attive che si possono chiamare
di prima linea (comprese in queste quelle d’assalto). Il
grado di preparazione strategica può dare la vittoria a
forze “apparentemente” (cioè quantitativamente)
inferiori a quelle dell’avversario. Si può dire che
la preparazione strategica tende a ridurre a zero i così
detti “fattori imponderabili”, cioè le reazioni
immediate di sorpresa, da parte, in un momento dato, delle forze
tradizionalmente inerti e passive, Tra gli elementi della preparazione
di una favorevole congiuntura strategica sono da porre appunto
quelli considerati nelle osservazioni sull’esistenza e l’organizzazione
di un ceto militare accanto all’organismo tecnico dell’esercito
nazionale. […]
Un
elemento da aggiungere come esemplificazione delle teorie così
dette dell’intransigenza è quello della rigida avversione
di principio ai così detti compromessi, 6]
che ha come manifestazione subordinata quella che si può
chiamare la “paura dei pericoli”. Che l’avversione
di principio ai compromessi sia strettamente legata all’economismo
è chiaro, in quanto la concezione su cui si fonda questa
avversione non può essere altro che la convinzione ferrea
che esistano per lo sviluppo storico leggi obiettive dello sesso
carattere delle leggi naturali, con on più la persuasione
di un finalismo fatalistico di carattere simile a quello religioso:
perché le condizioni favorevoli dovranno fatalmente verificarsi
e da esse saranno determinati, in modo alquanto misterioso avvenimenti
palingenetici, 7] risulta l’inutilità
non solo, ma il danno di ogni iniziativa volontaria tendente a
predisporre queste situazioni secondo un piano. Accanto a queste
convinzioni fatalistiche sta tuttavia la tendenza ad affidarsi
“in seguito” ciecamente e scriteriatamente alla virtù
regolatrice delle armi, ciò che però non è
completamente senza una logica e una coerenza, perché si
pensa che l’intervento della volontà è utile
per la distruzione, non per la ricostruzione 8]
(già in atto nel momento stesso della distruzione). La
distruzione viene concepita meccanicamente come distruzione -
ricostruzione. In tali modi di pensare non si tiene conto del
fattore “tempo” e non si tiene conto, in ultima analisi,
della stessa “economia” nel senso che non si capisce
come i fatti ideologici di massa sono sempre in arretrato sui
fenomeni economici di massa e come pertanto in certi momenti la
spinta automatica dovuta al fattore economico è rallentata,
impastoiata o anche spezzata momentaneamente da elementi ideologici
tradizionali; che perciò deve esserci lotta cosciente e
predisposta per far “comprendere” le esigenze della
posizione economica di massa che possono essere in contrasto con
le direttive dei capi tradizionali. Una iniziativa politica appropriata
è sempre necessaria per liberare la spinta economica dalle
pastoie della politica tradizionale, per mutare cioè la
direzione politica di certe forze che è necessario assorbire
per realizzare un nuovo, omogeneo, senza contraddizioni interne,
blocco storico economico politico, e poiché due forze “simili”
non possono fondersi in organismo nuovo che attraverso una serie
di compromessi o con la forza delle armi, alleandole su un piano
di alleanza o subordinando l’una all’altra con la
coercizione, la quistione è se si ha questa forza e se
sia “produttivo” impiegarla. Se l’unione di
due forze è necessaria per vincerne una terza, il ricorso
alle armi e alla coercizione (dato che se ne abbia la disponibilità)
è una pura ipotesi metodica e l’unica possibilità
concreta è il compromesso, perché la forza può
essere impiegata contro i nemici, non contro una parte di se stessi
che si vuole rapidamente assimilare e di cui occorre la “buona
volontà” e l’entusiasmo. 9]
[1] È evidente l’allusione alla crisi italiana e all’ascesa
di Mussolini. Carismatico è un capo la cui autorità
pare originata dai caratteri quasi sovrannaturali della sua personalità.
[2] Spesso il concetto di egemonia viene erroneamente
fatto risalire a G.: egli vi dedicò una speciale attenzione,
soprattutto in relazione alle prospettive rivoluzionarie in Occidente,
ma fu Lenin a impostarne le basi, come ricorda
G. stesso: “il principio teorico-pratico dell’egemonia
[è] l’apporto teorico massimo di Ilic alla filosofia
della prassi.” (MS, p. 39)
[3] Cfr.: K. Marx, Il diciotto brumaio di
Luigi Bonaparte, Ed. Riuniti, 1963, dove si esamina l’andata
al potere di Napoleone III. In questo scritto, come negli altri
saggi storici di Marx (soprattutto le Lotte di classe in Francia),
si può apprezzare tutta la vitalità del metodo marxiano,
in cui è molto stretto il rapporto fra analisi storiografica
ed elaborazione politica.
[4] L’affermazione non si limita, ovviamente,
alla sola burocrazia di partito.
[5] G. Mosca (1858-1941), studioso di tendenza
liberale e conservatrice, autore di un’importante Storia
delle dottrine politiche.
[6] Un comportamento tipico dei gruppi rivoluzionari
nel periodo della loro formazione. Celebre la polemica di Lenin
contro queste posizioni: L’estremismo malattia infantile
del comunismo, Ed. Riuniti, 1964.
[7] Di rinnovamento totale.
[8] Tali posizioni, come già accennato
(v. note a L’operaio di fabbrica), erano tipiche
della corrente anarcosindacalista del movimento operaio, molto
diffusa in Italia nel periodo precedente alla prima guerra mondiale.
[9] Costante è la preoccupazione di G.
per l’unità del movimento operaio e per la sua politica
delle alleanze, in contrasto, appunto, con l’intransigenza
estremista. |