Franco Garufi

3. Osservatorio sul Mezzogiorno

3.1  Il rapporto annuale della Svimez

Il rapporto annuale della Svimez è una delle fonti maggiormente attendibili nell’analisi dello stato dell’economia del Mezzogiorno.
Già nel rapporto 2005 emergeva, per esempio, che nel quadro della modesta ripresa dell’economia italiana, il Sud  aveva stentato  a tenere il passo della crescita  del Paese e dell’intera Europa.
Una situazione che si è fatta più grave nell’anno in corso durante il quale, alla mancata crescita dell’intero paese ha fatto riscontro un arretramento, seppur lieve, del Mezzogiorno.
Il PIL del Mezzogiorno, che era aumentato dello 0,7% nel 2004, si è ridotto nell’anno successivo dello 0,3% in termini reali, mentre è stato nullo l’incremento nel Centro-Nord.
Il Mezzogiorno non sperimentava segnali di recessione da oltre dieci anni, valeva a dire dalla crisi del 1993 che in ogni caso si manifestò con un’intensità assai più grave. Ancora più preoccupante appare il fatto che il Sud si trova in questa fase  a confrontarsi con un’Europa che cresce a ritmo maggiore proprio nelle sue aree periferiche . Il prodotto pro-capite dei 25 paesi dell’UE (valutato in parità di potere d’acquisto) è aumentato del 4,3% medio nei paesi di vecchia adesione e del 5,7% in quelli nuovi entrati; le regioni meridionali d’Italia invece sono cresciute solo del 3,6%.
La caduta colpisce tutti i fondamentali dell’economia: il processo di accumulazione, con la riduzione dello 0,9% della spesa per investimenti; l’occupazione con una diminuzione di 69.000 occupati nel periodo 2002-2005 (era cresciuta di oltre 450.000 unità nel periodo 1997-2002), ed ancora il calo dei consumi delle famiglie meridionali (-0,3%). Flessione degli investimenti e discesa dei consumi non si verificavano contemporaneamente da oltre un decennio e  testimoniano il forte impatto sociale della crisi economica.
Le analisi Istat, per altro, confermano che le famiglie che hanno difficoltà ad arrivare alla fine del mese si collocano per il 27% al Centro-Nord e per il 48% nel Sud.

Integrazione internazionale ed investimenti esteri. Un aspetto centrale dei problemi di posizionamento competitivo del Sud deriva dal persistente, ampio ritardo sotto il profilo dell’integrazione.  L’incidenza percentuale delle esportazioni di merci meridionali sul totale nazionale è stata nel 2005 pari all’11,6%, mentre sul commercio mondiale la quota del Sud è pari ad appena lo 0,4% a fronte di una quota del 3,3, % del Centro – Nord.  L’analisi delle tendenze settoriali evidenzia un impoverimento del modello di sviluppo dell’area con la perdita di slancio -ed in qualche caso la crisi palese- dei sistemi locali di piccola impresa che avevano caratterizzato con il loro dinamismo la fase di convergenza della seconda metà degli anni ’90. Per quanto riguarda il grado di internazionalizzazione “passiva”, la quota di investimenti esteri diretti (IDE) ricevuta dall’Italia, sul totale UE, pur in leggero aumento dalla seconda metà degli anni ’90, è risultata nel periodo 2000-04 pari solo al 4,6%.
Nello stesso periodo gli investimenti esteri in rapporto al PIL hanno rappresentato, in media, l’1,2% in Italia a fronte del 16,6% e dell’Irlanda, dell’8% dell’Olanda, del 5% della Spagna e del 4,5% della media UE. La gran parte degli investimenti esteri in Italia si concentra nelle regioni del Nord: nel 2005 la quota ricevuta da questa ripartizione è pari all’83% del totale. Di molto inferiori le quote del Centro (9,7%) e, soprattutto del Mezzogiorno verso cui si è indirizzato appena lo 0,7% dei flussi ricevuti dall’Italia.
Tra le regioni meridionali al primo posto si colloca la Campania, con lo 0,2% del totale nazionale; del tutto marginali risultano le quote delle altre regioni del Mezzogiorno.

La crisi delle politiche di incentivazione. Per quanto riguarda le politiche di incentivazione allo sviluppo va segnalato che, a partire dal 2003, le risorse per gli incentivi, soprattutto per quelli della politica regionale, sono diminuite ed ancor più si sono contratte le risorse specificamente destinate all’industria ed al manifatturiero. Ciò in ragione del processo di redistribuzione settoriale delle agevolazioni della legge 488/92, e della riduzione dei flussi  alimentati dalla politica di incentivazione nazionale. Nel complesso gli incentivi destinati alle aree meridionali sono passati da 7.067 milioni di euro del 2001 a 4.595 nel 2004 e nel 2005 hanno registrato un’ulteriore riduzione. La riforma della 488/92 ha accentuato questa direzione di marcia, non tanto e non solo per il ridimensionamento delle risorse complessivamente messe a disposizione quanto piuttosto per la riduzione del valore effettivo dell’agevolazione, dovuta alla trasformazione in finanziamento di una parte importante del contributo in conto capitale.

Le infrastrutture. Per quanto attiene le infrastrutture e la logistica,occorre innanzitutto rilevare che la spesa in conto capitale del complesso degli enti della pubblica amministrazione non solo è stata nel Mezzogiorno assai  inferiore alla quota indicata come obiettivo nei documenti governativi (45% del  totale nazionale), ma anche tendenzialmente calante. L’incidenza sul totale italiano è scesa, infatti, dal 41,2% del 2001 al 36,8% nel 2004, mentre non è stato rispettato il vincolo di destinazione del 30% della spesa ordinaria in conto capitale dell’Amministrazione statale e degli altri enti e società pubbliche.
Un serio limite alle prospettive di crescita del Meridione è costituito dalla carenza di infrastrutture. La dotazione stradale è complessivamente allineata ai valori medi nazionali, ma con una componente autostradale più modesta. La presenza di infrastrutture ferroviarie è invece nettamente inferiore alla dotazione media nazionale, ma soprattutto risulta ancora scarsamente orientata all’interportualità ed alla logistica. Le infrastrutture aeroportuali risultano sottodimensionate in termini complessivi, anche se con notevoli eccezioni nelle regioni insulari e più periferiche.
La più evidente opportunità infrastrutturale per lo sviluppo logistico del Mezzogiorno è rappresentata, invece, dai porti, la cui diffusione – derivante non solo dalla maggiore estensione costiera ma anche dalla storica urbanizzazione delle coste – è decisamente più ampia di quella rilevabile nel Centro-Nord. Anche in questo settore, tuttavia, permangono deficit rilevanti, con una dotazione “funzionale” dei porti meridionali (in termini di accosti, magazzini e piazzali) nettamente inferiore, nella media, a quella dei porti del Centro-Nord .
Un vero e proprio vincolo infrastrutturale allo sviluppo logistico del Meridione è rappresentato dall’intermodalità e dall’interportualità. I nodi di scambio, sia marittimi sia terrestri, risultano poco sviluppati, mentre le strutture di movimentazione, stoccaggio ed eventuale lavorazione delle merci, nel numero ed in tutte le principali caratteristiche operative (superfici, capacità di movimentazione e binari ferroviari) sono fortemente deficitarie.  L’indice sintetico della dotazione di nodi di scambio ne dà una chiara indicazione: il livello dell’area meridionale è pari ad appena un quinto della media nazionale (20,1).
La questione infrastrutturale nel Mezzogiorno va posta in termini anche culturalmente nuovi, mettendo in valore la necessità di puntare sull’ammodernamento della rete ferroviaria, sulla portualità e la logistica, sui collegamenti trasversali interni al Sud.
Opportunamente il “Rapporto” rileva che nel contesto euro-mediterraneo  assumono crescente rilevanza i nodi di scambio e le  reti e viene naturalmente ad esaltarsi il posizionamento geografico di aree che, come il Mezzogiorno, possono svolgere le funzioni di partenza e di arrivo e di smistamento lungo le grandi direttrici commerciali tra il Mediterraneo e l’Europa continentale e tra questa ultima e l’Est asiatico.
Lo sviluppo logistico può quindi costituire un’opportunità di crescita economica non solo per la funzione di “transito”, ma perchè è possibile ipotizzare un complessivo progetto di sviluppo oltre che per le attività direttamente connesse alla mobilità dei flussi commerciali, anche per quelle legate alla “manipolazione” delle merci. Le stime sulla crescita dei traffici commerciali pongono, infatti, il Mediterraneo come l’area relativamente più dinamica dell’Europa.
 

L’occupazione. I dati sull’occupazione relativi al 2005 mettono in luce un approfondimento del divario nei tassi di occupazione tra Mezzogiorno e Centro-Nord ed un contestuale ampliamento delle distanze dagli obiettivi di Lisbona, che prevedevano il conseguimento entro il 2010 di un tasso di occupazione complessivo del 70% e di un tasso di occupazione femminile del 60%.
L’Italia è ferma al 57,6%, non ha mutato nel corso dell’ultimo quinquennio la propria posizione relativa e mantiene ancora la più alta distanza dall’obiettivo tra tutti i paesi dell’Europa a 15. Ciò che però differenzia il caso italiano è la presenza all’interno del nostro paese di due mercati del lavoro con livelli di occupazione molto diversi. Il deficit del nostro paese è infatti interamente attribuibile al ritardo delle regioni meridionali.  La quota di popolazione in età da lavoro occupata è, infatti, in linea con la media europea nel Centro-Nord (64%) ed inferiore di quasi 20 punti nel Meridione (45,8%).
Se si considera il secondo dei target assunti dall’Unione Europea a Lisbona (un tasso di occupazione femminile al 60%), la distanza del nostro paese dal suo conseguimento assume dimensioni ancora maggiori: con un tasso nel 2005 pari al 45,3% il gap da colmare è di 14,7 punti percentuali. Il valore italiano è anche in questo caso sintesi di un valore medio-alto al Centro-Nord (53,8%) e di un valore assai modesto (30,1%) nel Sud, tra i più bassi delle macro-aree europee.

Le indicazioni dello Svimez in questo campo appaiono sostanzialmente in sintonia con altre fonti.  Per esempio, i dati - aggiornati al 2004 - del Dps segnalano tra il 2003 ed il 2004 la presenza nel Mezzogiorno, a fronte di una popolazione residente di 20.584.000 abitanti e di forze di lavoro pari a 7.567.000 unità, di 6.431.000 di occupati e 1.135.000 di disoccupati. La variazione percentuale media annua (2003-04) è pari per gli occupati a -0,4%, per i disoccupati a -8,6%, per le forze di lavoro a -1,7%, per la popolazione a -0,7%. In termini assoluti la differenza tra i due anni considerati è di 23.000 occupati in meno, 107.000 disoccupati in meno, 130.000 forze lavoro in meno. Nello stesso periodo il numero delle persone residenti nell’area diminuisce di 140.000 unità; segno quest’ultimo, ad avviso di chi scrive, della ripresa di un processo migratorio di discreta entità.

3.2  Tra continuità e discontinuità

L’arretramento del Mezzogiorno e l’ampliarsi del divario con il resto del paese consentono di misurare la debolezza e gli errori delle politiche praticate dal Centro-destra nel primo quinquennio del nuovo secolo.
In questi anni nel Mezzogiorno sono state utilizzate, non sempre in maniera efficace, esclusivamente le risorse comunitarie di Agenda 2000, è mancata la componente aggiuntiva della spesa pubblica, si è drasticamente ridotta la spesa ordinaria per investimenti delle amministrazioni pubbliche. Nel tentativo di mascherare la scomparsa del Sud dall’agenda politica nazionale il Governo Berlusconi aveva attribuito grande enfasi agli effetti della cosiddetta “legge obiettivo” che avrebbe dovuto accelerare la realizzazione delle grandi infrastrutture. La forte pressione propagandistica sui progetti di nuove opere pubbliche, in realtà non ha prodotto risultati pratici di qualche rilevanza ed ha finito per incentrarsi attorno al lungo e tormentato dibattito inerente la realizzazione di un’opera faraonica come il Ponte sullo stretto di Messina. Le risorse previste per l’attuazione delle opere elencate nella legge del dicembre 2001 non sono mai state effettivamente disponibili. Già nel febbraio 2005 la Corte dei Conti intervenne per fare notare l’assenza di pianificazione, controlli e monitoraggi adeguati. Inoltre la “legge obiettivo” ha determinato l’esistenza di due mercati separati delle costruzioni: da un lato il mercato delle grandi opere con la presenza predominante del general contractor, dall’altro il mercato ordinario regolato dalle norme della “Merloni”. Ciò ha fatto emergere la debolezza sistemica dell’impresa edile italiana: nell’elenco delle prime sessanta imprese di costruzioni d’Europa la prima italiana - l’Impregilo - compare solo al ventesimo posto seguita a distanza dall’Astaldi che è cinquantesima. Si constata, inoltre, l’esistenza di una diffusa sottocapitalizzazione che ha di fatto annullato uno dei presupposti del general contractor; l’obbligo per le imprese di prefinanziare le opere. Va, inoltre, segnalato che al settembre  2005  dei 267,3 miliardi di euro previsti circa il 63,8% (171 miliardi di euro) era ancora in fase di progettazione  ed appena il 6,5% (17,5 miliardi) con progettazione esecutiva o definitiva. Tra l’altro il “Libro Bianco presentato qualche mese fa dal ministro alle Infrastrutture Di Pietro mette in evidenza che solo una quota minoritaria di quei progetti era destinato alle aree meridionali.

3.2.1 Il nuovo ciclo di programmazione dei fondi strutturali

Con il 2006, si è avviata a conclusione l’esperienza del ciclo di programmazione 2000-2006 dei fondi europei e si è avviato il confronto sul nuovo ciclo di spesa 2007-2013 . Poiché al tema sarà dedicato uno dei prossimi numeri della Rivista, ci limiteremo ad alcune rapide informazioni di carattere generale.
Il Consiglio Europeo del 15 e 16 dicembre 2005, sotto la Presidenza britannica ha adottato il testo delle Prospettive finanziarie 2007-13 proposto dalla Commissione. Il 18 maggio 2006 anche il Parlamento Europeo ha adottato l’accordo, con una larga maggioranza, ponendo fine alla crisi di bilancio che si era venuta a creare nel 2005. Gli interventi del nuovo ciclo saranno esplicitamente mirati a perseguire gli orientamenti strategici dell’Unione delineati dalle strategie di Lisbona e Goteberg mentre le azioni saranno focalizzate maggiormente a sostegno delle regioni più svantaggiate. La nuova architettura delle politiche di coesione pone tre finalità principali:
- l’aumento della creazione di posti di lavoro nelle regioni meno sviluppate;
- la competitività delle regioni, sostenendo le autorità locali ad anticipare e 
  promuovere i mutamenti economici nelle aree industriali, urbane e rurali;
- la promozione dello sviluppo armonico ed equilibrato del territorio 
  dell’Unione
;
Il prossimo ciclo di programmazione comunitaria metterà a disposizione dell’Italia complessivamente 25,6 miliardi di euro di fondi strutturali di cui 18,8 alle quattro regioni dell’obiettivo convergenza; a queste risorse andrà naturalmente aggiunto il cofinanziamento nazionale.
Non è il caso, in questa sede, di dar conto del dibattito, a volte acceso che si è sviluppato attorno alla lezione da trarre dall’esperienza di  Agenda 2000 , quanto piuttosto  di dar conto del fatto che si stanno determinando le condizioni per concentrare ed utilizzare nei prossimi anni nel Mezzogiorno un ingente pacchetto di risorse pubbliche a sostegno di programmi  capaci di produrre modificazioni significative nell’area.
Sommando, infatti, ai fondi strutturali ed al cofinanziamento nazionale i fondi del Fas, si raggiunge un montante complessivo stimabile in circa 100 miliardi di euro per le politiche di aiuto pubblico nel settennio 2007-13. Un elemento di novità colto, a seguito della forte sollecitazione delle regioni meridionali e delle parti economiche e sociali, dal Governo Prodi che ha inserito nella Finanziaria per il 2007 una norma che prevede l’unificazione  e la settennalizzazione dei cicli di programmazione del Fas (fin oggi triennale perché collegato alla Finanziaria) e dei fondi strutturali.  L’idea, presente già nella Bozza di QSN, è stata fatta propria dal documento comune delle parti economiche e sociali e delle regioni (del quale appresso parleremo) e costituisce senza dubbio un risultato positivo del lungo e complesso processo di partenariato.

3.2.2 La strategia della responsabilità: il documento di luglio di Regioni, Sindacato, Confidustria

Merita una riflessione l’esperienza che è andata maturando  a partire dal 2003    e che ha segnato la creazione, il consolidamento e l’allargamento del dialogo tra rappresentanze imprenditoriali, sindacato e regioni meridionali. Si è trattato di un lavoro lungo e paziente, spesso condotto in silenzio, che ha le sue radici nella lunga (e per molti versi ormai lontana) stagione della programmazione negoziata e nelle più recenti pratiche di partenariato economico e sociale che hanno accompagnato il percorso di Agenda 2000.
Com’è noto, la storia della programmazione negoziata comincia a metà degli anni ’90 ed è in stretto collegamento con il processo di decentramento istituzionale che”stava spostando in capo alle regioni ed agli enti locali competenze in ambiti che prima erano riservati a titolo esclusivo, o comunque prioritario, al livello nazionale.” Essa si collega anche alla cosiddetta “stagione dei sindaci”, cioè al momento in cui i primi cittadini eletti a suffragio universale “si rivelano più autonomi dalla politica nazionale, più attivi in diversi ambiti di intervento soprattutto in quello delle politiche di sviluppo, più propensi ad intessere rapporti ed alleanze a livello locale.”
L’attitudine, maturata in quella stagione, alla costruzione di sedi di confronto e di reti forti di relazioni tra decisori istituzionali, forze sociali, associazioni imprenditoriali, si è ulteriormente rafforzata nel processo di partenariato che ha condotto alla costruzione dell’impianto della programmazione di Agenda 2000 ed ha attraversato, a volte con modalità “carsiche” anche gli anni del conflitto esplicito tra la Confindustria e il Sindacato, la Cgil in particolare, e del sostanziale esaurimento del sistema concertativo definito dall’accordo del 23 luglio 1993.
In simile contesto culturale sono nati, nel novembre 2004, il “Progetto Mezzogiorno” che rappresenta un tentativo di definire in modo organico un insieme di priorità sulle quali impegnare il complesso delle istituzioni e delle forze economiche e sociali presenti nel Sud e, nel dicembre 2005, gli Stati generali del Mezzogiorno a Reggio  Calabria che approvarono un documento comune dei presidenti delle otto regioni meridionali, di Cgil-Cisl-Uil e di Confindustria.
L’assemblea che si celebrò nella città calabrese prendeva lo spunto dalla consapevolezza che solo presentandosi insieme all’appuntamento con il Governo nazionale, le istituzioni meridionali, il sindacato, l’impresa avrebbero determinato la massa critica necessaria a porre all’attenzione dell’opinione pubblica l’evidenza che il Mezzogiorno costituisce una delle grandi opportunità a disposizione del paese per invertire il declino competitivo dell’economia italiana e rilanciarne la crescita. Lo slogan “Insieme per lo sviluppo” riusciva a far sintesi delle cinque priorità individuate per il confronto con il Governo nazionale: il miglioramento delle condizioni del fare impresa e della creazione di occasioni di lavoro nel Mezzogiorno, attraverso forme di fiscalità di vantaggio, semplificazioni amministrative ed iniziative di promozione all’estero dei prodotti e dei servizi del Sud; interventi per un rapido potenziamento della dotazione infrastrutturale del Sud, specie per quanto riguarda i trasporti; interventi mirati sulle aree urbane, attraverso programmi di riqualificazione fisica delle periferie, di lotta alla povertà ed esclusione sociale; un’azione di potenziamento delle strutture fisiche e tecnologiche della scuola e dell’Università nel Mezzogiorno e la definizione di un primo gruppo di distretti tecnologici per incentivare la ricerca pubblica e privata; un pacchetto di interventi sul turismo, a scala sovra-regionale allo scopo di valorizzare i grandi attrattori artistici, culturali ed ambientali facilitando gli arrivi e potenziando l’offerta culturale e ricreativa.
Il lavoro avviato a Reggio Calabria ha permesso di dar vita ad un tavolo tecnico di coordinamento tra Regioni, Confindustria e Cgil-Cisl-Uil che ha lavorato per alcuni mesi  alla definizione di una piattaforma comune .

3.2.3  Insieme per lo sviluppo

Il documento presentato l’11 luglio dai presidenti delle regioni meridionali e dai vertici di Cgil-Cisl-Uil  nella sede del Cnel era esplicitamente  finalizzato all’apertura del confronto con il Governo su un pacchetto di proposte di interventi di breve e medio periodo.
Vengono individuate quattro priorità:
a) una fiscalità di vantaggio attraverso la definizione di provvedimenti di durata congrua, comunque pari a tutto il ciclo 2007-13 dei fondi strutturali,  tale da rendere evidente il vantaggio per le regioni meridionali. La richiesta di fiscalità differenziata va accompagnata alla predisposizione di un programma di riordino dei regimi di aiuto che tenda alla promozione degli obiettivi perseguiti dall’Unione Europea ed in particolare della coesione economica e sociale. Si propongono il rafforzamento nelle regioni meridionali delle misure fiscali assunte a livello nazionale con particolare riferimento al cuneo fiscale, la riduzione di aliquote di tassazione per le imprese operanti nei territori dove è minore il valore dei servizi pubblici erogati rispetto ad altre aree del paese, misure particolari specifiche concernenti particolari zone geografiche in cui si attuino politiche di sviluppo, l’utilizzo della leva fiscale nell’ambito dei futuri regolamenti per gli aiuti  alle imprese;
b) per superare il deficit infrastrutturale e dei trasporti si individuano  alcune linee di intervento di carattere strategico. In particolare: più collegamenti tra le città del Sud¸ rilancio del trasporto pubblico locale, maggiori collegamenti con i paesi del Mediterraneo e  sviluppo della logistica per utilizzare al meglio la posizione baricentrica del Meridione nella prospettiva dell’apertura nel 2010 dell’area di libero scambio;
c) un grande programma integrato di politiche urbane, articolato su base pluriennale per i centri storici, le periferie e le città medie. Misure fiscali specifiche volte a favorire l’insediamento di piccole e medie imprese in ambito urbano, mutuando dall’esperienza francese delle zone franche urbane;
d) istruzione, ricerca, innovazione (la “società della conoscenza” della strategia  di Lisbona) come  leve prioritarie per lo sviluppo, con l’obiettivo di coniugare le politiche di istruzione, ricerca ed innovazione nell’ambito di una più complessiva politica nazionale per ricollocare l’Italia e il Mezzogiorno nel nuovo sistema produttivo mondiale, con particolare riferimento all’area del Mediterraneo. Il gap tecnologico che si accompagna al ritardo di sviluppo trova, infatti, riscontro nei dati della spesa in R&S del Mezzogiorno  che, in percentuale sul PIL è ferma  (nel 2003) ad appena lo 0,76% ancora  assai lontana dai valori obiettivo  della strategia di Lisbona da  realizzare entro il 2008 ( 1,1 % in “ipotesi bassa” e  1,4% in uno scenario virtuoso).

3.3  Il mezzogiorno nella finanziaria del Governo Prodi

Il Governo Prodi ha subito preso atto della novità metodologica introdotta dal comune impegno di Regioni e parti economiche e sociali ed ha convocato il 1° agosto un tavolo per il Mezzogiorno.
Nel corso della riunione il presidente del Consiglio ha apprezzato i contenuti del documento ed ha affermato che l’Esecutivo li avrebbe considerati il punto di partenza di un confronto finalizzato ad individuare provvedimenti qualificanti per la ripresa dello sviluppo delle aree meridionali da inserire nella Legge Finanziaria. A tal fine sono stati attivati quattro tavoli settoriali che hanno lavorato nel corso del mese  di settembre, prima della presentazione  da parte  del Governo del disegno di legge finanziaria per il 2007.
Il confronto non si è concluso con la formalizzazione di un protocollo d’intesa tra il Governo e le Regioni,  i sindacati, le associazioni di rappresentanza degli imprenditori; tuttavia la maggior parte degli argomenti su cui ai tavoli era stato raggiunto un sostanziale consenso è stata inserita nell’articolato del disegno di legge presentato dal Governo.
Nel merito:

3.3.1 La programmazione unica dei fondi strutturali e del FAS

Per quanto riguarda gli strumenti di governance, è inserita in Finanziaria la programmazione settennale del Fas, indispensabile per garantire l’unicità di programmazione dei fondi europei e dei fondi nazionali per le politiche regionali.  Il FAS viene incrementato di 63.272 milioni di euro, di cui 100 per ciascuno degli anni 2007 e 2008, 5000 per il 2009 e 58.073 entro il 2015 per la realizzazione degli interenti di politica regionale nazionale relativi al periodo di programmazione 2007-2013.  Il quadro strategico nazionale costituisce la sede della programmazione unitaria delle risorse aggiuntive nazionali ed europee e rappresenta, per le priorità individuate, il quadro di riferimento della programmazione delle risorse della spesa ordinaria in conto capitale.
Si ribalta in tal modo l’impostazione delle ultime Finanziarie, nelle quali alle risorse appostate nelle tabelle non corrispondeva un’effettiva capacità di spesa.
Il Governo, inoltre si impegna ad individuare insieme alle Regioni le modifiche da apportare all’attuale struttura degli Accordi di programma Quadro, in maniera da renderli più flessibili a possibili mutazioni dei contesti.

3.3.2 La riduzione del cuneo fiscale ed il credito d’imposta

Le novità più interessanti riguardano la differenziazione su base territoriale di una quota della riduzione del cuneo fiscale e la reintroduzione e stabilizzazione del credito d’imposta investimenti e del bonus occupazione.
E’ noto che in assenza di interventi correttivi i vantaggi della riduzione del cuneo fiscale si sarebbero concentrati per oltre l’85% al centro-Nord, in ragione della presenza in quell’area territoriale della parte preponderante dell’apparato produttivo.
La Finanziaria prevede, invece, che il 60% di riduzione del cuneo di pertinenza delle imprese venga articolato in due moduli: il primo, uguale in tutto il territorio nazionale, prevede la deduzione dei contributi assistenziali e previdenziali relativi ai lavoratori a tempo indeterminato; il secondo riconosce un importo deducibile pari, su base annua,  pari a 5000 euro per ogni lavoratore dipendente  a tempo indeterminato impiegato nel periodo di imposta considerato. Nei territori di Abruzzo, Basilicata, Caloria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia sarà previsto, in alternativa, il riconoscimento di un importo deducibile fino a 10.000 euro. Non è ancora la fiscalità di vantaggio, tuttavia la differenziazione consente un riequilibrio territoriale dei benefici e non incontrerà problemi in sede europea perchè nei limiti del “de minimis” .
Resta aperta l’esigenza di definire una proposta da presentare a Bruxelles per avviare con la Commissione un negoziato teso ad ottenere la fiscalità di vantaggio per il Sud dell’Italia.
Il credito d’imposta investimenti, una delle misure di incentivazione  che aveva meglio funzionato prima che il governo Berlusconi decidesse di vanificarla, verrà concesso alle imprese che effettuano l’acquisizione di macchinari, impianti, programmi informatici, brevetti concernenti nuove tecnologie: ha una copertura finanziaria di 1,3 miliardi di euro.
Il bonus occupazione consiste, invece, in uno sgravio di 4250 euro lordi l’anno per la nuova occupazione creata facendo riferimento ai dati del 2004.
Sul versante delle pari opportunità, si prevede una maggiore riduzione della base imponibile in caso di assunzione di lavoratrici che rientrino nella definizione di “lavoro svantaggiato” prevista dal regolamento europeo 2204/02
Le risorse fresche aggiuntive che arriveranno al Mezzogiorno grazie a questi provvedimenti possono essere quantificate  in circa due miliardi di euro, ma ulteriori effetti positivi per le regioni meridionali si determineranno anche in seguito all’applicazione della norma che prevede l’attribuzione alle imprese di un credito d’imposta nella misura del 10% dei costi sostenuti per le attività di ricerca industriale e di sviluppo pre-competitivo, elevata al 15% in caso di contratti stipulati con Università o enti pubblici di ricerca.

3.3.3 Le città meridionali

Vengono create le Zone Franche Urbane, come aree in cui si sperimenteranno una serie di strumenti innovativi per l’attrazione degli investimenti delle PMI: a tale scopo si istituisce presso il Ministero  per lo sviluppo economico un apposito fondo dotato di 50 milioni per ciascuno degli esercizi  2008 e 2009 finalizzato a favorire  lo sviluppo economico e sociale, anche  attraverso interventi di recupero urbano di aree e quartieri degradati delle città del Mezzogiorno. Si tratta di un risultato importante, che andrà sperimentato con attenzione e serietà, anche se – naturalmente - è lungi dall’esaurire il tema delle politiche urbane che dovrà trovare spazio nel nuovo ciclo di programmazione unitaria delle politiche di sviluppo. A tale scopo andranno impegnate risorse adeguate per il rafforzamento della pianificazione metropolitana e di area vasta, per l’avvio di nuovi progetti per le aree periferiche, per l’individuazione di forme di incentivazione fiscale per il recupero del patrimonio immobiliare pubblico e privato, per il rilancio dello strumento dei contratti di quartiere.

3.3.4 Le infrastrutture ed i trasporti

Non ha trovato riscontro la richiesta di istituire un capitolo straordinario di bilancio per i trasporti e le infrastrutture del Sud con una dotazione decennale aggiuntiva di 20 miliardi di euro (due miliardi all’anno) da utilizzare, in coerenza con gli indirizzi ed i contenuti della programmazione unitaria del Quadro Strategico Nazionale 2007-13, per il miglioramento della dotazione infrastrutturale e dei servizi.
Sarà perciò indispensabile, in sede di programmazione della politica nazionale per i trasporti, che il Governo si impegni a rendere prioritarie, anche per quel che riguarda la ripartizione delle risorse finanziarie le politiche di rafforzamento dei collegamenti con i paesi del Mediterraneo,  lo sviluppo della logistica, l’incremento e  la qualificazione  dei collegamenti tra le città del Sud, il rilancio del trasporto pubblico locale.
Conviene segnalare, inoltre, che la legge di conversione del cosiddetto “decreto fiscale“ di accompagnamento alla Finanziaria assegna le risorse finanziarie (1,4 miliardi di euro) attualmente giacenti presso Fintecna S.p.A. per la costruzione del Ponte sullo Stretto di Messina,  ad un fondo  per la realizzazione di opere infrastrutturale e di tutela dell’ambiente e difesa del suolo nei territori siciliani e calabresi dell’area dello Stretto.
Infine, si destinano risorse per il potenziamento del porto di Gioia Tauro che è individuato quale piattaforma logistica del Mediterraneo.

3.3.5 La società della conoscenza

Alcuni dei provvedimenti per Università, scuola e ricerca- insomma il complesso di obiettivi ascrivibili alla “società della conoscenza”- seppur non direttamente finalizzati, avranno riflessi positivi per il Meridione.
La legge Finanziaria istituisce un Fondo unico per gli investimenti in Ricerca, dove confluiranno anche le risorse dei fondi attualmente esistenti presso il MIUR, allo scopo di garantire una migliore efficacia  di tutti gli interventi a sostegno della ricerca, definendo “a monte” una ripartizione delle risorse che sia coerente con le scelte programmatiche stabilite a livello nazionale. Nella fase di ripartizione delle risorse sarà assicurata la partecipazione di tutte le amministrazioni centrali e regionali, nonché delle parti sociali ed economiche, definendo così un percorso di investimenti condiviso e costantemente monitorato.
Si assume inoltre come prioritario l’obiettivo del rilancio dei distretti di alta tecnologia che, realizzati su base territoriale e coinvolgendo tutti gli attori pubblici e privati del sistema, possono giocare un ruolo di rilevante importanza nel quadro delle politiche di sviluppo delle economie meridionali.
A valere sulle risorse FAR si darà luogo al riconoscimento di quote di fondo perduto pari almeno al 20% (e quindi in una misura superiore a quanto si potrà riconoscere per le regioni del Centro-Nord) da affiancare agli interventi in credito agevolato realizzati attraverso le risorse della Cassa Depositi e Prestiti.

3.3.6 Per l’istruzione c’è ancora tanto da fare

Sono rimaste in parte inattuate, invece, le richieste concernenti il rafforzamento della scuola pubblica e del sistema dell’istruzione nel Meridione.
Nel confronto con il Governo era stata posta con forza l’opportunità di interventi che, a partire dal sostegno al diritto allo studio, affrontassero le situazioni di disagio sociale e di deprivazione culturale delle zone particolarmente esposte al fenomeno degli abbandoni e della dispersione scolastica.
In particolare era stato sottolineato che la lotta alla dispersione doveva accompagnarsi a strategie di qualificazione dell’offerta per gli studenti che frequentano, ad interventi sull’edilizia, alla  creazione e diffusione di spazi ed occasioni culturali, anche mediante il sostegno all’apertura pomeridiana delle scuole  per iniziative a carattere sociale, culturale e ricreativo.
In questo quadro, particolare rilevanza assumono le iniziative di educazione degli adulti per recuperare il gap alfabetico degli adulti, che costituisce ormai una vera e propria emergenza che incide negativamente anche sulla scolarizzazione dei giovani.
Si tratta di interventi essenziali per la qualità della vita e per la stessa democrazia in aree segnate dall’insufficiente presenza delle istituzioni pubbliche e dalla pressione della criminalità organizzata e della mafia, nelle quali  l’intervento non potrà esser affidato esclusivamente ai fondi strutturali europei, ma andrà accompagnato da un ampliamento significativo della spesa pubblica ordinaria. Nel momento in cui consegniamo queste note la prima Finanziaria del centro-sinistra è ancora distante dal traguardo ed il dibattito parlamentare si prefigura assai impegnativo; tuttavia possiamo serenamente affermare, per quanto riguarda il Sud, che su ciascuno dei capitoli sui quali si è articolato il confronto con il Governo sono stati ottenuti  risultati significativi,  che confermano la nuova attenzione dell’Esecutivo ai problemi delle aree a ritardo di sviluppo.
Il contenuto delle norme che si occupano direttamente di Mezzogiorno è complessivamente soddisfacente per quanto riguarda la programmazione unitaria delle politiche regionali, le città, gli interventi per la ricerca, il capitolo relativo ai trasporti abbisogna di qualche chiarimento sulla disponibilità delle risorse aggiuntive, va decisamente migliorata - invece- la parte che riguarda l’istruzione.
Andrà esercitata la vigilanza necessaria e bisognerà realizzare iniziative appropriate per far sì che i provvedimenti per il Sud siano salvaguardati e, ove possibile ulteriormente rafforzati, nel testo finale della legge che sarà approvata dal Parlamento.