8.1 Necessità di una crescita economica. La Politica di sviluppo (1) Italia, se davvero vuole evitare un lento declino, deve aumentare il suo livello di crescita. Esso non è sufficiente per garantire alle imprese un futuro sicuro e per i giovani stabilizzare e anzi aumentare l'occupazione. Se la crescita resta stentata e non si continua ad abbassare il debito pubblico, a causa degli interessi da pagare, poche saranno le risorse da destinare all'investimento, all'equità, alle infrastrutture, al miglioramento dei servizi. È un problema affrontabile con l’assunzione, da parte di tutti, di responsabilità collettive. Ciascuno, per la propria parte, deve rimettersi in gioco, anche affrontando percorsi difficili. L'esempio, come è ovvio, deve venire dalla classe dirigente. L’opera di risanamento e di trasformazione riformatrice capace di soddisfare le esigenze di sviluppo e di ammodernamento del paese e quelle di una maggiore giustizia sociale non si esaurisce con una finanziaria. La Finanziaria è, e deve essere prima di tutto, la legge di bilancio. Purtroppo, anche a causa delle lentezze del sistema, la si è caricata negli anni di valenze eccessive e di altrettanto eccessive attese. È sbagliato pretendere di trovare nella Finanziaria provvedimenti già completi. Non a caso nel corso del dibattito parlamentare è venuta l’esigenza di riformare le norme che ne definiscono l’impianto. Le riforme strutturali complete meritano leggi proprie e un dibattito parlamentare ad hoc. Questa Finanziaria, comunque, stabilisce la direzione delle riforme, le basi di importanti cambiamenti strutturali sui quali si potrà operare, nel corso della legislatura, con provvedimenti specifici. La legge finanziaria per il 2007 è la prima legge finanziaria del governo Prodi. Se si otterrà il controllo della spesa ed il recupero di evasione fiscale (prevista in circa 8 miliardi di euro nel 2007) sarà possibile la riduzione delle imposte per le famiglie e per le imprese. Le risorse liberate potranno essere allocate di più sulle altre priorità indicate nel programma dell’Unione come la scuola, l'università, gli ammortizzatori sociali, le politiche per la casa. Altre riforme fondamentali viaggeranno attraverso disegni di legge non finanziari. Solo dall'insieme degli interventi si valuterà il profilo riformista della coalizione di centrosinistra. Con la Finanziaria si sono attivati alcuni punti quali punti la previdenza, il pubblico impiego, ma anche sanità. Adesso iniziano le sfide più difficili: si devono fare riforme vere e adeguare le grandi centrali della spesa: pensioni, sanità, pubblico impiego, enti locali. La Finanziaria ha posto alcune premesse. Ad esempio sulla sanità sono stati introdotti meccanismi che indurranno le regioni a cambiare radicalmente il loro modo di gestire e di spendere. Un altro è sul patto di stabilità interno. Si sono introdotti sistemi di autonomizzazione dei comuni nella formazione dei bilanci, sia pure abbattendogli i tetti di indebitamento. Con i comuni è in corso un difficile confronto, che permetta di attuare un cambiamento dei meccanismi di spesa, che devono essere rinnovati a livello centrale ma anche in periferia. Ci vuole determinazione e tempo per riuscire a rendere trasparente ogni spesa, sapere chi la fa, dove finisce, a che cosa serve. Per il pubblico impiego una parte della riforma si definirà all’interno del rinnovo contrattuale in merito ai meccanismi di mobilità, per il premio all’efficienza o per l’essenzialità nel turn over. Ciò al fine di eliminare gli sprechi nella spesa pubblica. La riforma della Pubblica Amministrazione in Finanziaria è stata solo parzialmente avviata. Una ragionevole riduzione del personale, e una sua massiccia riqualificazione, si farà nel tempo. Si deve investire considerevolmente sull´innovazione, lo sviluppo, la qualità, il premio delle professionalità. Nella Pubblica Amministrazione bisogna fare in modo di avere tutte le informazioni in rete. Non possiamo più accettare che si conosca la reale portata di spese e entrate, centrali e periferiche, con settimane se non mesi di ritardo. Senza questo passaggio continueremo ad essere ostaggio di una logica da anni Ottanta, delle solite ricette sui tagli alla spesa sociale. Altrettanto decisiva sarà la crescita dell'efficienza dell'amministrazione nel far emergere l'enorme fetta di evasione che frena come una palla al piede il nostro paese, crea un clima di concorrenza zoppa a favore dei disonesti, scoraggia coloro che vorrebbero competere rispettando le regole. Si è cominciato a fare e i frutti serviranno per alleviare poi il peso della pressione fiscale sugli onesti. Ciò che è stato definito nel Dpef in finanziaria solo l’inizio. Il decreto-liberalizzazioni di luglio è stato un passo significativo. Sono già in agenda impegni di riforma fondamentali, che vanno dalla qualificazione della spesa pubblica, compresa quella sociale, alla riscrittura delle regole del mercato del lavoro e alla definizione di un sistema di ammortizzatori sociali che accompagnino una battaglia da condurre con assoluta determinazione contro la precarietà e per la sicurezza sul lavoro. Altrettanto importante sarà anche la riforma delle professioni al fine di regolamentare questo grande mondo delle professioni vecchie e nuove e di favorirne l’accesso dei giovani che vi aspirano. Agli atti delle Camere ci sono già un bel po' di riforme. L'energia, i servizi pubblici locali, l'azione collettiva per i consumatori, il sistema radio-tv, il pacchetto sulla Pubblica Amministrazione. La quantità di risorse per l’innovazione, la ricerca e in particolare per l’Università, definite in Finanziaria, sono insufficienti in quanto la manovra è ancora troppo parziale. Occorre, ad esempio per il Mezzogiorno, una nuova programmazione allo sviluppo puntando su alcune priorità: Nel Mediterraneo e sulle rotte commerciali provenienti dal lontano oriente si gioca una delle partite più importanti per le regioni del Sud. È diffusa l’aspettativa di un Mezzogiorno come piattaforma logistica dell’Italia del Mediterraneo. In questo contesto, il tema della portualità e dell’intemodalità nei trasporti diventa centrale. Nella proposta di legge Finanziaria si investe sullo sviluppo dei porti hub di interesse nazionale e sull’autonomia finanziaria delle autorità portuali delineando una nuova fisionomia nel settore. Dal prossimo primo Gennaio 2007, dai fondi comunitari 2007-2013, che andranno concentrati in progetti per ridurre il dualismo tra nord e sud del Paese e per far crescere la competitività e la coesione del nostro sistema economico. Costruire un percorso che sia il più aperto possibile, capace realmente di coinvolgere ogni risorsa capace di dare un utile contributo di merito alla discussione,capace di stimolare sulla programmazione allo sviluppo e l’utilizzo delle risorse una partecipazione di tanti attori sociali presenti sul territorio. 8.2 Il dato occupazionale e la necessità di una inversione di rotta. (2) Il quadro della situazione economica e sociale del Paese, evidenziato nei paragrafi precedenti, continua ad essere condizionata dal basso numero degli occupati. Un inadeguato livello di occupati, in età da lavoro e con l’aumento della speranza di vita, costituisce il sintomo rilevante di una società ed un’economia in cattiva salute. I problemi che ne conseguono riguardano: il gettito fiscale e l’equilibrio finanziario; la propensione ed il livello dei consumi; l’equilibrio della spesa previdenziale e del sistema pensionistico; l’accesso alle opportunità e l’inclusione sociale; la mobilità sociale e la coesione tra i territori; la qualità, la legalità e regolarità del mercato del lavoro. Buona parte dei temi di fondo del dibattito politico ed economico e delle situazioni di rischio in cui si trova la nostra economia derivano dalla persistenza in questi anni di un numero di occupati in forma regolare mediamente inadeguato ed inferiore rispetto al dato europeo. La crescita dei maggiori paesi europei avvenuta negli scorsi anni in termini di competività e di qualità del welfare to work (3) si è infatti in generale accompagnata con un corrispondente incremento dell’occupazione sensibilmente maggiore di quanto sia accaduto nello stesso periodo nel nostro paese. Questi ultimi anni di stagnazione dell’economia europea hanno impedito un’inversione di rotta nella creazione di opportunità, determinando una limitata tenuta dell’occupazione che si accompagna alla ripresa degli elementi di crisi del mercato del lavoro. In Italia soprattutto riguardano l’occupazione femminile, il lavoro sommerso, i mercati del lavoro di buona parte delle regioni centro meridionali e la crescita dei fattori e condizioni di precarietà, componente dell’organizzazione del lavoro postfordista. Non è ancora disponibile, per affrontare tali problemi, un organico, condiviso ed accessibile sistema di garanzie di livello davvero europeo (servizi per l’impiego, ammortizzatori generali, statuto dei lavori etc.). Il rapporto negativo tra popolazione attiva (chi può lavorare) ed occupati (chi effettivamente lavora in modo regolare) costituisce quindi da tempo in Italia una componente del nostro mercato del lavoro. I fenomeni critici che le politiche economiche e di welfare devono saper affrontare con incisività sono: - la persistenza del lavoro sommerso come componente strutturale di parte dell’economia del Paese (con gli squilibri in termini di concorrenza e regolarità che questa determina); - la crescita nelle regioni meridionali del divario tra occupazione femminile e maschile (dato in controtendenza rispetto all’Europa e che segnala la permanenza di un sistema produttivo obsoleto e di inadeguati servizi sociali e alla famiglia); - l’inadeguatezza del sistema di servizi per il mercato del lavoro (che si accompagna, specialmente al Sud, con una scarsa qualità dei servizi per l’impiego ed una bassa capacità di spesa delle risorse comunitarie destinate all’occupabilità e all’inclusione sociale e all’assenza di una coerente programmazione integrata del lavoro); - l’inefficace rapporto tra domanda e offerta di lavoro (alla crescita dei disoccupati corrisponde quasi ovunque la difficoltà delle imprese nel reperire manodopera formata od idonea). Le riforme attuate nel periodo 1997-2001 e la crescita economica non sono bastate a far venire meno i fattori di fondo di debolezza del nostro mercato del lavoro. Il possibile miglioramento dei mercati internazionali (auspicato da alcuni indicatori per il 2007), qualora intervenga, non sarà in grado, da solo, a migliorare il nostro mercato del lavoro in termini di maggiore capacità di inclusione sociale. Serve, pertanto, una nuova stagione di riforme e della programmazione economica e sociale che rimetta al centro il capitale umano come individuo che lavora, studia o cerca un impiego. L’intervento sul mercato del lavoro e per un welfare in grado di promuovere opportunità ed inclusione costituisce quindi il presupposto per la crescita economica sostenibile. La formazione e i servizi per il capitale umano diventano lo snodo in cui le esigenze delle imprese si incontrano con le aspirazioni dei cittadini, dei lavoratori e delle nuove generazioni. Su questi aspetti si è peraltro impostato in modo chiaro il programma di governo dell’Unione e, nonostante le limitate risorse a disposizione, questo è anche il percorso avviato in questi mesi dal Ministro del Lavoro Damiano con i vari provvedimenti introdotti. Il declino del sistema industriale tradizionale è stato in questi anni contrastato con successo esclusivamente nelle aree in cui lo sviluppo dei distretti di impresa si è sostenuto con la presenza di servizi pubblici efficienti e di scelte condivise e concertate per la qualità dei sistemi produttivi, per la formazione, la ricerca, l’accesso al credito e su servizi sociali per la persona e per l’occupabilità adeguati rispetto al fabbisogno del mercato del lavoro. Il rischio che crescano fenomeni di “ripiegamento“ e di sfiducia e si diffondano tendenze alla chiusura sociale e nelle vecchie protezioni corporative è comunque sempre presente, con un conseguente impatto negativo dal punto di vista dell’imprenditorialità e della diffusione della cultura del lavoro e dell’impresa: non c’è avversario più forte per la creazione di opportunità di una società ripiegata su se stessa e sfiduciata. Questo fenomeno è da noi reso esplicito nei dati relativi : - alla scarsa mobilità sociale. Siamo il paese in Europa in cui è più forte il rischio, per le nuove generazioni, di peggiorare la condizione sociale di nascita rispetto alla possibilità di migliorarla. Buona parte degli sforzi dei giovani under 40 sono oggi tesi a perpetuare la condizione famigliare, mentre è sempre più difficile per i ceti meno abbienti migliorare la propria condizione di partenza; - alla scarsa mobilità territoriale. Siamo il Paese in Europa con la più bassa tendenza a spostarsi per migliorare la propria condizione sociale e lavorativa, mentre i paesi con maggiore tendenza al cambio di residenza risultano tra i più dinamici, competitivi e con maggiore produzione di ricchezza e capacità di distribuzione; - alla prevalenza della rete sociale e familiare di riferimento per la scelta del percorso scolastico e lavorativo. Siamo tra i Paesi europei in cui la scelta scolastica e lavorativa è maggiormente condizionata dalla condizione familiare e sociale di provenienza, mentre in Europa è da anni prevalente il ricorso ai servizi specializzati pubblici e privati di orientamento scolastico, formativo e al lavoro; - alla persistenza di nicchie professionali e di impresa, trasmesse per via ereditaria e non per attitudine e competenza, con evidente conseguenza in termini di opportunità di accesso alle professioni, di indebolimento del sistema di impresa, di ricambio generazionale (anche se contemporaneamente assistiamo alla perdita ogni anno di migliaia di imprese artigiane per la mancanza di servizi per il sostegno alla trasmissione di impresa in caso di assenza di eredi); - alla prevalenza nel lavoro e nell’economia della rete famigliare e del ruolo del contesto e della comunità locale, che in un sistema privo di efficaci strumenti e percorsi per l’accesso alle opportunità formative e di lavoro testimonia la presenza di una società che non riesce a liberare pienamente le proprie energie e che chiede al contesto famigliare o, nel migliore dei casi, alla comunità locale, risposte in termini di servizio che lo Stato e la società nel suo complesso non riescono a garantire; - alla evidente disomogeneità nell’accesso alle opportunità. Chi vive una condizione di svantaggio di qualsiasi genere (per provenienza sociale, sesso, deficit formativo o di occupabilità, disabilità, etc) si trova il più delle volte penalizzato dall’assenza di servizi di inclusione e di percorsi di affiancamento al lavoro esigibili ed accessibili, in particolare se residente al Centro Sud. Siamo non a caso il Paese in Europa in cui la perdita del lavoro è vissuta con maggiore disagio, per l’assenza di un sistema efficace e diffuso di servizi per il reinserimento lavorativo, mentre chi in Italia vive una condizione di deficit di occupabilità ha le minori opportunità di inserimento al lavoro rispetto a qualsiasi altro Paese europeo ( per esempio, nonostante gli obblighi previsti dalla Legge 68 soltanto il 20% dei disabili italiani in possesso di un minimo livello di occupabilità residua effettivamente lavora). Si tratta di tendenze che mostrano il rischio di passività sociali, che indeboliscono l’economia e privano il Paese di energie importanti per la creazione di opportunità e per il rafforzamento del tessuto produttivo e sociale. Il nostro Paese per mantenere l’attuale livello del PIL e di crescita (comunque bassa) è chiamato, entro il 2010, ad incrementare gli occupati di almeno un milione e mezzo di unità. Gli interventi normativi e di programmazione avviati in questi anni per il miglioramento dei servizi per l’occupabilità, la formazione ed il capitale umano non hanno fino ad oggi determinato ancora l’auspicata inversione di tendenza. Si è anzi ampliata la diversità territoriale, con regioni che hanno creato servizi e promosso azioni efficaci e regioni che non hanno saputo usare in modo efficace le opportunità della programmazione. I nuovi servizi per l’impiego e per il welfare locale e gli interventi della programmazione regionale, forti dove l’economia è già forte e quasi inesistenti altrove, rischiano di perpetuare divisioni territoriali, anziché affermare la presenza di servizi e diritti per chi cerca lavoro e per chi cerca lavoratori. Serve una strategia nazionale che realizzi un deciso cambio di rotta e coordini le iniziative, valorizzando anche la capacità dei territori migliori di trasferire esperienze e soluzioni. 8.3.- Tavoli da aprire nel 2007 (4) Nuovo patto sociale. Sulle tracce di quello siglato da Ciampi nel '93 bisogna arrivare con le parti sociali a un patto per la crescita e la produttività. Quello di Ciampi aveva come cardine la stabilità dei prezzi. Oggi l'obiettivo è la crescita e la variabile chiave è la produttività, un sistema di impegni reciproci tra governo e parti sociali. Lo Stato deve dare servizi migliori, giustizia più rapida, garantire infrastrutture, e più concorrenza: per il settore pubblico avviare un discorso di produttività determinato. Affrontiamo il rinnovo del contratto del pubblico impiego come parte di questo discorso sulla crescita. Se lo Stato, con i suoi tre milioni di dipendenti, guarda a se stesso come a un produttore di servizi, vede che c'è una problematica di produttività analoga a quella di un'industria o di un'azienda che produce servizi venduti sul mercato. Anche se calcolare la produttività nel settore pubblico non è facile lo si può fare utlizzando specifici parametri in uso a livello internazionale; per le imprese si devono fare investimenti orientati alla crescita dell'occupazione e della produttività; per i sindacati si deve aiutare ad allargare l'occupazione e non solo a migliorare le condizioni di chi è già occupato; Gli elementi per un nuovo patto ci sono, la volontà c'è. Il messaggio forte da trasmettere agli italiani è quello di ridare al paese fiducia nei propri mezzi, di non trovarsi perennemente a rischio di declino, di scivolare in serie B. È un fatto di ambizione collettiva. Nelle persone è un problema molto condiviso un po’ meno fiducia tra gli osservatori e i commentatori. Riforma degli ammortizzatori sociali. Gli ammortizzatori sociali, rispetto ad altri paesi, sono molto carenti. In Italia esiste solo la cassa integrazione, con caratteristiche molto peculiari. Lo stato sociale ha bisogno di una strumentazione più adeguata. Se si vuole separare la flessibilità dal precariato, è necessario che nella fase in cui non si lavora (assumendo l'idea che l'impiego non sarà più fisso per tutta la vita) vengano garantiti la costituzione di contributi pensionistici e un sostentamento minimo. A patto che non si perda l'incentivo a cercarsi un altro lavoro. Occorre: - il riequilibrio tra ammortizzatori attivi e quelli passivi. Estensione di una strumentazione analoga alla Cassa integrazione a tutti i settori. Integrazione mobilità e indennità di disoccupazione. Nel reperimento delle risorse necessarie quale rapporto tra mutualità e fiscalità; - il ruolo più efficace dei Servizi per l’impiego per una politica attiva del lavoro. Strutture dedicate all’anticipazione delle crisi e strumenti per il passaggio da un posto di lavoro ad un altro; - l’integrazione tra formazione professionale, istruzione e politica per il lavoro. Pensioni. Il problema delle pensioni è diventato il problema dei giovani. Primo perché essi dedicano una quota esorbitante di quello che guadagnano a mantenere i pensionati attuali e quindi lavorano per gli altri e non abbastanza per se stessi. Secondo perché la pensione che stanno accumulando con i loro contributi sarà probabilmente insufficiente. Non è dunque solo un problema pensionistico, ma di solidarietà intergenerazionale, in definitiva un problema di compattezza della società nel tempo. Le riforme introdotte a partire dagli anni ’90 hanno introdotto i primi meccanismi in grado di garantire la sostenibilità finanziaria nel lungo periodo e introdotto quel sistema di tipo contributivo, incentrato su un primo pilastro pubblico a ripartizione ed un secondo a capitalizzazione che ora si cerca di consolidare. I primi risultati ottenuti sono giudicati «significativi» sia dal governo che dalle confederazioni. Alcune importanti problematiche non hanno ancora trovato soluzione e occorre intervenire innanzitutto sulla fase di transizione della riforma assicurandone la sostenibilità finanziaria e quindi sul rapporto tra generazioni» per ridurre squilibri e privilegi. La riforma delle pensioni viene considerata la migliore in Europa per l’impostazione fatta nel 1995 dal governo Dini con l'accordo di sindacati e Confindustria. È l'introduzione del metodo contributivo che ci ha posto all'avanguardia in Europa e ci ha consentito di ridimensionare l'impatto sui conti pubblici dell'invecchiamento della popolazione e non il brutale ed iniquo innalzamento dell'età per l'accesso alla pensione di anzianità (il cosiddetto «scalone» del 2008). La controriforma Maroni impone 2 scaloni inaccettabili: uno di 3 anni che diventano 5 dal 2012, per chi andrà in pensione col sistema retributivo e uno di 8 anni per chi ci andrà con il sistema contributivo. L'aspettativa di vita si è allungata e l'anzianità attiva si è molto accresciuta anche solo negli ultimi dieci anni. Una persona in età di pensionamento, se la salute la sorregge, è desiderosa di restare nel sistema produttivo in senso lato. Non significa per forza continuare il lavoro che ha fatto per 30-40 anni, ma può voler dire svolgere altri compiti utili alla società e all'economia. È come se avessimo una mobilità nel mercato del lavoro rappresentata dalla terza età. Se tutto ciò si realizza ci sono più risorse di lavoro per l'economia, l’alleggerimenti delle spese sul sistema pensionistico e un maggiore afflusso di contributi e di introiti fiscali. Bisogna però tener conto che i lavori non sono tutti uguali e che vanno costruiti percorsi differenziati e flessibili capaci di realizzare un invecchiamento attivo in grado di valorizzare la ricchezza rappresentata dagli anziani e liberare la terza età da una sorta di periodo di attesa della morte. L’aumento della vita lavorativa va pertanto perseguito come un obiettivo di difesa e stabilizzazione del sistema previdenziale pubblico. Si dovrà far leva soprattutto su un sistema di incentivi e disincentivi legato alla volontarietà della scelta e al riconoscimento di quelle attività lavorative usuranti da cui non si può più prescindere. In merito all’innalzamento dell'età pensionabile il punto chiave è che la vita attiva possa prolungarsi e che questo processo debba avere caratteristiche di flessibilità e di volontarietà, con un sistema di incentivi. Il problema della soglia dell'età pensionabile va visto in questo contesto. Sulla base delle norme definite dal Governo nel il 2007 non cambia nulla. Rispetto al 2008, invece, si deve mettere mano ad una serie di aggiustamenti tornando allo spirito della legge Dini rimediando ai danni fatti dal governo precedente. In primis reintrodurre quella flessibilità che la controriforma Maroni ha negato proprio in considerazione che non tutti i lavori sono uguali. Occorre far decollare i fondi pensione. È una priorità. Il ministro del lavoro ha giocato la carta del decollo anticipato al prossino anno dei nuovi fondi. Si parte a gennaio del 2007 con un’opera di pubblicità, spiegazione e convincimento nei confronti di milioni di lavoratori. L’obiettivo è indirizzarne il maggior numero possibile verso la previdenza integrativa. Soprattutto ai giovani che rischiano di andare in pensione con assegni totalmente insufficienti. Il successo dei Fondi va di pari passo con la revisione del sistema pensionistico il cui confronto parte a gennaio. La missione dei Fondi pensioni, deve restare quella di creare una pensione. Devono costare poco al lavoratore e garantirgli remunerazioni alte. Questo deve essere l’obiettivo, poi se ciò porta investimenti in Italia ben venga. Il rapporto tra spesa pensionistica e prodotto interno lordo, che altrimenti crescerebbe molto nei prossimi 10-20 anni, potrebbe essere frenato attraverso l’emersione di parte del lavoro nero liberando così risorse per finanziare altri aspetti dello Stato sociale. Per facilitare il confronto sulla riforma del sistema previdenziale il settembre 2006 è stato siglato un Memorandum tra il Governo e Cgil, Cisl e Uil. Esso indica obiettivi e linee di una revisione del sistema. L’intesa, come prima cosa dovrebbe servire a superare lo «scalone del 2008» introdotto da Maroni. Terrà conto del cambiamento del quadro demografico ed economico determinatosi dopo la riforma del 1995, ben sapendo che il forte aumento dell’aspettativa di vita e la flessibilità e precarietà del mercato del lavoro hanno determinato condizioni nuove che si riflettono sul sistema previdenziale. Obiettivo è di stabilizzare definitivamente il sistema al punto da non dover più richiedere nuovi correzioni per molti anni a venire. Diventa problematico sia il ricalcolo dell’importo degli assegni futuri sia un inevitabile allungamento dell’età pensionabile. L’aumento dell’aspettativa di vita sollecita soluzioni che diano la possibilità di continuare a svolgere un’attività di lavoro. Ciò richiede una coerente politica articolata su molteplici piani: lavoro part-time, formazione, un mercato del lavoro meno ostile ai lavoratori più anziani, ecc. Per il sistema pubblico la regola deve essere il pensionamento flessibile, con incentivi in grado di favorire la prosecuzione volontaria dell’attività lavorativa di uomini e donne. Tre gli obiettivi da raggiungere in contemporanea: equità sociale e sostenibilità finanziaria, miglioramento delle prospettive per giovani e garanzia per tutti gli anziani di pensioni di importo adeguato. Si punta a superare il divieto di cumulo per gli anziani ma anche ad assicurare assegni «più adeguati» rivalutando i trattamenti in essere, ad estendere tutele sociali e contributive a favore dei giovani precari, ma anche a superare i tanti «privilegi» che ancora esistono. A fianco del pieno decollo della previdenza integrativa (anche per i pubblici) ed al completamento dell’armo-nizzazione del sistema contributivo per tutte le categorie, il memorandum prevede anche l’avvio del processo di riordino e razionalizzazione degli enti previdenziali (il Tesoro punta ad arrivare in tempi brevi ad un ente unico) e azioni di contrasto dell’evasione contributiva. 8.4 Welfare locale. Nuove politiche pubbliche sul territorio per il lavoro (5) 8.4.1 La relazione tra welfare locale e servizi per lo sviluppo Gli indicatori economici segnalano come, nei sistemi territoriali competitivi, la presenza di efficaci servizi sociali, alla persona e alla famiglia, in grado di arricchire il welfare locale, costituiscono una componente del dinamismo economico. “La capacità di fare inclusione è la componente determinante della produzione di capitale sociale e della valorizzazione della risorsa umana ed è considerato uno dei fattori di competitività dei sistemi territoriali. In questi le componenti sociali ed economiche sono chiamate ad integrarsi attraverso politiche promozionali per l’integrazione lavorativa, il welfare nella dimensione socioeducativa ed assistenziale. Le condizioni dello sviluppo economico dipendono anche dalla rete con i servizi alla persona e al territorio”. (6) Il rapporto tra qualità dell’economia e qualità sociale è diventato una costante dei sistemi produttivi dotati di maggiore capacità di rispondere alle dinamiche dei mercati. Non è un caso: la qualificazione dei sistemi e dei distretti produttivi si basa sulla capacità del territorio di fare rete, di combinare in modo virtuoso imprenditorialità e formazione dei lavoratori, capitale finanziario e capitale umano, etica di impresa e relazioni sociali. La produzione di ricchezza economica nelle aree più evolute del Paese si collega e discende in modo diretto dalla capacità di produzione di ricchezza sociale. Da tutto ciò ne deriva che è necessario completare e rafforzare gli interventi sul mercato del lavoro dando la giusta attenzione alla capacità della programmazione delle politiche e dei servizi pubblici di creare un sistema di welfare più attento alle esigenze del territori, alla qualità del lavoro e di riferimento per lo sviluppo economico. Questo è stato l’impegno di buona parte delle regioni e delle province italiane che in questi anni, in solitudine rispetto al governo Berlusconi e alle sue scelte. Esse hanno puntato su servizi locali per il lavoro e la formazione in grado di offrire alcune importanti risposte ad una domanda che arriva con forza dai giovani, dai disoccupati e dalle imprese. Allo stesso modo appare evidente come l’esigenza di una strategia nazionale e la necessità di garantire la condivisione ovunque di un livello minimo di qualità degli interventi e dei servizi per il lavoro e la formazione richiedono che la riforma degli ammortizzatori della spesa sociale sposti sui servizi per il lavoro e sulle misure di politica attiva un maggior numero di risorse. 8.4.2 Nuovo ruolo dell’intervento pubblico Esiste quindi oggi la necessità di rivedere la funzione dell’intervento pubblico per la promozione economica, secondo linee in grado di: - rivedere la funzione centrale dei servizi pubblici; - favorire la rete pubblico-privato; - sostenere una nuova fase della concertazione nazionale e locale; - progettare misure e servizi per l’inclusione sociale; - sostenere la capacità delle regioni e delle autonomie locali nel progettare in termini di qualità economica e sociale; - rafforzare l’agire in rete e la capacità del soggetto pubblico di favorire il coordinamento e la programmazione integrata. Costituisce quindi un aspetto di fondo, per la crescita delle opportunità e la qualificazione dei sistemi produttivi, la capacità di promuovere gli investimenti economici e sociali attraverso una chiara idea e visione dello sviluppo e delle vocazioni del territorio. Si tratta di un metodo che va perseguito con attenzione alla presenza e alla diffusione di servizi pubblici adeguati e con standard comuni, con particolare attenzione al ruolo della formazione, dell’orientamento al lavoro e al sostegno alle imprese. 8.4.3 Il nuovo ruolo dei servizi pubblici per il territorio Si tratta di riflettere su come le intese, i patti e gli accordi tra le forze sociali per lo sviluppo abbiano trovato in questi anni riferimento nella normativa e nella strategia della programmazione delle risorse destinate allo sviluppo e al lavoro. Si tratta ancora di sostenere la capacità del soggetto pubblico, a livello nazionale e territoriale, di migliorare la capacità di governo delle politiche economiche e sociali (governance), rafforzando la capacità di fare coesione e sistema sul territorio e di intervenire sugli assi della qualità e della promozione del capitale umano. L’evoluzione della legislazione per le imprese ed il mercato del lavoro non è riuscita ancora ad aggiornare il welfare in senso pienamente promozionale e a collegare mercato del lavoro, ammortizzatori sociali e servizi alle imprese. Serve un’azione di coordinamento e di revisione, che superi in questo senso gli ambiti di intervento della Legge 30. L’intervento della Legge 30, da questo punto di vista, perpetua l’errore di realizzare un’ulteriore frammentazione delle modalità contrattuali ed un’ulteriore articolazione dei soggetti chiamati ad operare per l’incontro tra domanda ed offerta di lavoro. Si tratta di un intervento che va rivisto con una riordino complessivo delle politiche per il lavoro sul territorio, che chiarisca bene le funzioni ed il rapporto tra regioni e province e tra gli operatori pubblici e quelli privati, sostenendo politiche chiare volte ad incrementare l’occupabilità attraverso misure per: - rafforzare gli standard nazionali e l’assistenza a Regioni e Province per la promozione di efficaci servizi per l’orientamento, l’impiego e la consulenza alle imprese; - definire strumenti adeguati per il monitoraggio del fabbisogno professionale delle imprese ed il raccordo con l’offerta formativa territoriale e regionale; - collegare l’accesso ai servizi per l’impiego e l’orientamento (bilancio di competenze, piano di inserimento al lavoro) alla partecipazione ad interventi di politica attiva e per l’occupabilità (recupero del deficit) sostenuti dal Fondo sociale europeo ed in grado di sostenere l’integrazione lavorativa; - riformare il sistema degli ammortizzatori sociali e la componente promozionale della spesa sociale attraverso la garanzia del “diritto al servizio” per chi cerca lavoro e l’accesso ad indennità generali, automatiche e non contrattate; - collegare l’erogazione delle indennità di disoccupazione, di integrazione salariale, di mobilità od eventuali altri bonus alla effettiva partecipazione a programmi di intervento per il miglioramento dell’occupabilità individuale; - semplificare e rivedere le modalità di erogazione e le tipologie degli ammortizzatori, collegando ogni intervento alla promozione dell’occupabilità del lavoratore coinvolto e distinguendo tra indennità di integrazione salariale erogate nella permanenza del rapporto di lavoro; indennità di disoccupazione erogate per chiunque abbia perso il lavoro e strumenti specifici per il sostegno al reddito in caso di discontinuità del lavoro e per gli inoccupati che partecipino ad iniziative per l’occupabilità. Gli interventi normativi degli anni scorsi sono stati realizzati in assenza di una condivisa riforma del welfare in senso promozionale. Necessita un intervento di revisione degli ammortizzatori sociali, nel senso dell’affermazione di servizi efficaci su tutto il territorio e di forme di sostegno alla ricerca di lavoro attraverso comportamenti attivi. L’assenza di una visione di sistema che colleghi inclusione sociale, integrazione lavorativa e formazione va superata con interventi che puntino sul territorio e sostengano la crescita della capacità inclusiva dei sistemi di welfare e dell’affermazione di un diritto ai servizi per il lavoro, esigibile sia per le imprese che per i lavoratori. La mancanza di adeguati standard di servizio per i servizi pubblici per l’impiego è evidenziata dalla debolezza dei documenti di Masterplan nazionali e dagli standard di indirizzo richiesti dal Ministero del Lavoro e dalle Regioni per l’accreditamento dei servizi per il lavoro, che vanno aggiornati e rivisti, e realizza una differenza di performance tra il Centro Nord (in cui i nuovi servizi per l’impiego incrociano ormai circa il 20% di chi cerca lavoro e di chi cerca lavoratori, come nel resto d’Europa) ed il Sud (in cui l’inadeguata capacità di programmazione porta i servizi per il lavoro ad accompagnare non più del 10-12% dei nuovi e scarsi impieghi). Si evince la necessità di una maggiore capacità di coordinamento e di promozione da parte del Ministero del Lavoro in un’ottica di sussidiarietà. 8.4.4 Ruolo della programmazione e dei fondi europei Decisivo è il ruolo della programmazione nazionale e regionale, che si sta in questi mesi impostando per il periodo 2007-2013 e della capacità di utilizzare al meglio le risorse che l’Unione Europea attribuisce ai governi e alle Regioni, per la coesione economico-sociale, l’occupabilità, la creazione di impresa e la realizzazione di pari opportunità. L’occasione della nuova programmazione europea per la crescita condivisa costituisce un riferimento importante per la qualità dell’intervento e per le ingenti risorse finanziarie di decine di milioni di euro che continuano, soprattutto in Italia, ad essere destinate alle Regioni più deboli e a rischio di declino. Anche su questo aspetto si segnala un allarme: alla buona capacità di spesa (non sempre legata alla qualità della progettazione) delle regioni del Centro Nord fa riscontro un’evidente difficoltà delle Regioni del Sud di realizzare una progettazione in grado di rispecchiare una visione dello sviluppo condivisa e sostenibile. Le risorse per la programmazione economica rischiano di seguire logiche di erogazione che non premiano la qualità della produzione e la vocazione dei contesti locali, mentre i servizi per l’occupabilità e la formazione costituiscono un vero e proprio terreno rischioso, con una capacità di spesa non adeguata ed una progettazione allo stato di qualità non sufficiente. Manca in ogni caso un collegamento chiaro e di prospettiva tra le indicazioni dell’Unione Europea, gli orientamenti delle Regioni e la programmazione delle risorse, su cui è necessaria una più incisiva azione di indirizzo. Inoltre la programmazione regionale ha il compito di realizzare interventi fortemente integrati, in grado di promuovere in modo sinergico le misure e le azioni sugli aspetti che riguardano i servizi alla persona e al territorio, per la formazione, il lavoro, lo sviluppo ed i servizi per la qualità della vita. Interventi che sappiano leggere in modo chiaro le esigenze del territorio e delle imprese ed accompagnare una precisa idea ed un progetto di sviluppo. 8.4.5 Un Welfare per il lavoro Il sistema economico e sociale, soprattutto quello meridionale, può oggi quindi crescere solo in presenza di una forte innovazione delle politiche, degli strumenti e delle regole: le riforme per il mercato del lavoro e per lo stato sociale costituiscono una componente fondamentale per garantire la crescita delle opportunità. Il welfare, lo stato sociale per il lavoro costituisce lo strumento principale per realizzare una crescita equa, che non discrimini, che crei opportunità e le renda accessibili, per una società più giusta ed aperta, per far camminare l’economia su un lavoro di qualità e su servizi che lo rendano disponibile ed accessibile. Allo stesso modo, una lettura attenta dei fenomeni e della domanda di servizi sociali e del lavoro che porti ad un welfare nuovo e con fondamenta in buona parte riviste non comporta il ridimensionamento delle garanzie esistenti. Si parte dalla consapevolezza della impossibilità del riprodurre gli schemi di tutela tradizionali quali centrali nel nuovo assetto socio economico. Si tratta quindi di essere coerentemente nuovi. In coerenza con la domanda di un sistema di servizi sociali e per l’economia in grado di creare opportunità strumenti e soluzioni per tutti, in riferimento alla diversa condizione e bisogno. Un welfare per il lavoro, organizzato su un sistema condiviso di regole, strumenti e servizi, costituisce il principale fattore di incremento occupazionale in caso di crescita economica e l’antidoto e ammortizzatore in caso di calo della crescita o dei ritmi dello sviluppo. Inoltre è proprio su un sistema di servizi socioeconomici e del lavoro ben funzionante (dall’assistenza alla formazione) che si costruisce quella programmazione delle politiche pubbliche in grado di intervenire sui nodi di crisi e di realizzare efficaci azioni preventive contro la disoccupazione ed il degrado. Il sistema di relazioni sociali e tra produttori denominato “capitale sociale”, che agisce quale fattore determinante per una crescita economica di qualità e compatibile sul piano sociale ed ambientale, si regge a sua volta, tra l’altro, su un doppio livello di strumenti: - servizi sociali per l’occupabilità e strumenti per la creazione di opportunità di accesso semplice e non intermediato, che favoriscano la relazione tra individui; - servizi di welfare locale in grado di accompagnare la crescita economica ed i bisogni con una rete di strumenti di risposta e di servizio ai bisogni sociali dei lavoratori e delle loro famiglie. Solo un welfare che legge le dinamiche economiche e sociali dei territori può rispondere all’esigenza di interpretarle e di governarle. Per questo le scelte sul welfare locale chiariscono meglio di qualsiasi altra scelta l’identità culturale ed il contenuto di una proposta politica. 8.4.6 Un cambio di rotta a partire dal Sud La crescente scolarizzazione dei giovani e delle donne meridionali aiuta a dare una spinta per l’innovazione e la qualificazione dei sistemi produttivi. Ma al tempo stesso ci impegna a non percorrere o ripercorrere logiche perdenti fatte di industrializzazione forzata, intermediazione poco chiara, scarsa specializzazione ed assenza di una visione del territorio; logiche che vanno superate puntando su una nuova e preparata classe dirigente in grado di dare risposte nuove a problemi che, a bene vedere, si stanno presentando in questi anni in forma nuova e dirompente. Se il cambio di rotta deve partire dal Sud, il nuovo welfare per il lavoro in grado di creare opportunità affiancando l’economia deve sperimentare e fare innovazione in primo luogo proprio al Sud, convogliando energie e risorse su riforme forti e che impegnino fino in fondo le amministrazioni e le forze sociali ed economiche. Anche dopo il 2007 ingenti risorse sono messe a disposizione dall’Unione Europea per la coesione economica e sociale: vanno utilizzate al meglio e per fare di meglio rispetto a quanto fatto fino ad oggi. La vicenda di regioni meridionali come la Sicilia od il Molise che fanno della formazione merce di scambio per le clientele e non strumento per le opportunità è davvero un segno chiaro di una classe dirigente meridionale che non fa nulla per cambiare e per essere utile agli altri, oltre che a se stessa. Un welfare per il lavoro e lo sviluppo deve quindi affrontare snodi e completare le riforme , migliorare la capacità di fare progetti per nuovi servizi per la formazione ed il lavoro e di spendere le risorse dell’Unione Europea. Non basta che le nostre Amministrazioni emanino provvedimenti e facciano bandi pubblici se non abbiamo politiche costruite insieme con le forze sociali ed economiche, fatte di idee, ma anche di obiettivi e risultati verificabili. In questo senso diventa decisivo rafforzare la capacità dei nostri servizi pubblici di erogare servizi per il lavoro e la formazione, anche in collaborazione con i soggetti non profit e privati che operano sul mercato del lavoro, come chiesto dall’Unione Europea e confermato dalla stessa normativa: non c’è cittadinanza europea e coesione sociale se ad un ragazzo od ad un imprenditore di Palermo o Napoli continuiamo ad offrire servizi di orientamento o formazione peggiori di quanto è disponibile a Brescia o Varese, pur avendo a disposizione per questo scopo più risorse del Nord. Per realizzare questi obiettivi in modo efficace partendo dal Sud bisogna avere il coraggio di rivedere il vecchio sistema di incentivazione ed agevolazione per il lavoro. Bisogna disintermediare le risorse per le imprese ed i lavoratori, così che arrivino direttamente alle imprese ed ai lavoratori in relazione ai risultati in termini di occupazione ed innovazione. Dobbiamo prendere esempio dai sistemi di incentivazione europei. Disintermediare e legare ogni forma di incentivo per il lavoro e lo sviluppo alla presenza di una condizione, di un bisogno o di una potenzialità, a cui collegare strumenti di agevolazione automatici ed immediati. Il soggetto pubblico deve invece verificare in modo trasparente gli effettivi comportamenti dell’impresa ed i risultati raggiunti. Le risorse vanno finalizzate ai risultati e costruiti gli strumenti pubblici e di dialogo sociale per verificarli. Un sistema che quindi finanzi l’occupazione e non la disoccupazione e metta in gioco davvero la capacità dei soggetti pubblici e privati di fare formazione e di erogare servizi per il lavoro e per i cittadini. Questa strada passa attraverso i servizi per il lavoro e per la formazione e per la centralità dei nostri differenti territori e delle comunità locali. 9. Riflessioni conclusive di Enrico Ceccotti e Piero Gasperoni Abbiamo intitolato questo quaderno “Il governo della buona occupazione” in quanto volevamo dimostrare quale salto di qualità è in corso con il nuovo Governo. Come la discontinuità non è frutto di improvvisazione ma è stata lungamente preparata sia con puntuali analisi sulla situazione economica e produttiva del paese e delle mutate condizioni competitive internazionali sia sulla elaborazione di proposte di sviluppo e equità sociale compatibili con l’indispensabile risanamento dei conti pubblici. Si è partiti dagli anni di opposizione al governo di destra con la definizione della carta dei diritti ancora prima della promulgazione della legge 30. Quindi si sono riprese le proposte sull’occupazione del programma elettorale dell’Unione e come buona parte di queste siano state riprese nel Dpef, vero e proprio programma di legislatura. Nella finanziaria una prima parte di queste indicazioni sono state tradotte in norme operative ma la pesantezza della manovra e i limitati compiti di una legge di bilancio non potevano rispondere a tutte le esigenze. Come dice il ministro del lavoro Cesare Damiano quello che è stato fatto non è poco. (7) Per rispondere con concretezza e puntualità alle priorità indicate nel programma dell’Unione si è indirizzata l’azione di governo verso la lotta alla precarietà (figlia di un uso spregiudicato delle forme di lavoro flessibile). Nel Dpef si è voluto dare un messaggio chiaro circa la centralità del contratto di lavoro a tempo indeterminato, secondo il principio fondamentale che esso rappresenta la forma normale di lavoro, senza per questo negare i vantaggi che la moderna economia può trarre da quella che amo definire buona flessibilità. In tale sede, però, sono stati molto opportunamente definiti i criteri di incentivazione alla stabilizzazione lavorativa, che avrebbero poi trovato esplicita espressione nella legge finanziaria. La stessa legge finanziaria si è caratterizzata per una forte valenza redistributiva a vantaggio dei ceti meno abbienti, per inserirvi un “pacchetto” particolarmente corposo, allo scopo di contrastare efficacemente la precarietà e promuovere la stabilità e la sicurezza del lavoro, offrendo alle imprese ed ai lavoratori interessati validi strumenti per governare la difficile transizione verso la buona flessibilità e la stabilità. Da un lato, si mira ad incoraggiare l’impiego del contratto di lavoro a tempo indeterminato, nel rispetto del principio secondo cui esso deve rappresentare la forma normale di assunzione, mentre, dall’altro, si intensificano le azioni di contrasto al lavoro nero e si introducono misure atte a favorirne l’emersione. Tra gli incentivi alla stabilità dell’occupazione assume particolare rilevanza la riduzione selettiva del cuneo fiscale, di cui potranno avvantaggiarsi le imprese che hanno alle proprie dipendenze lavoratori stabili o che si impegnano nella stabilizzazione degli stessi. Inoltre, la fiscalità di vantaggio prevista per le regioni meridionali amplificherà i predetti benefici per le imprese operanti in tali aree e troverà applicazione anche in caso di assunzione di lavoratrici. Si sono avviate le condizioni per stabilire un patto per far posto ai giovani quando i lavoratori anziani scelgono il part-time. Accanto a questi incentivi, è stato individuato un percorso agevolato per favorire la trasformazione dei rapporti di collaborazione in rapporti di dipendenza. Per la lotta al lavoro irregolare, si è optato per il congiunto impiego di strumenti induttivi e repressivi: da un parte si è puntato a stimolare l’emer-sione spontanea (rendendola conveniente sia per il lavoratore che per il datore di lavoro) e si è data generale applicazione al Durc e all’obbligo di comunicazione dell’assunzione il giorno antecedente a quello dell’instaurazione del relativo rapporto di lavoro; dall’altra sono stati introdotti gli indici di congruità che stabiliscono un rapporto tra la qualità dei beni e servizi prodotti ed il numero di ore necessarie per produrli, si è previsto il potenziamento dell’organico dei carabinieri delegati all’attività ispettiva e l’inasprimento delle sanzioni amministrative comminate per la violazione delle norme in materia di lavoro. In merito agli infortuni sul lavoro i numeri delle morti bianche sono drammatici e legate al numero dei lavoratori in nero che sono quattro milioni. Producono il 18 per cento del Pil. Battere il lavoro nero significa aumentare la sicurezza di tutti, significa riportare la legalità. (8) Con gli emendamenti approvati alla Camera il pacchetto lavoro è stato migliorato con normative sul call center, per le regolamentazioni nell’edilizia e per il lavoro nero nonché per stanziamenti per potenziare i Servizi per l’impiego, la stabilizzazione degli Lsu nei comuni fino a 5.000 abitanti, l’incremento del Fondo per il diritto al lavoro dei disabili. Il capitolo finale del quaderno riprende l’insieme delle proposte e evidenzia le prossime priorità e l’agenda del governo per il 2007. Intanto si sono incominciate ad individuare le linee guida per una riforma del contratto a termine, il cui impiego può essere giustificato sulla base della oggettiva temporaneità delle prestazioni richieste e non deve superare una determinata quota del totale degli occupati nell’impresa. Il confronto con le parti sociale dei prossimi mesi dovrebbe portare ad un avviso comune che consenta una revisione condivisa delle norme che regolano l’impiego del contratto a termine, pervenendo ad una chiara ed univoca definizione delle causali che ne delimitano l’ambito di utilizzo. Tale tipologia contrattuale, infatti, svolge un ruolo importante nella moderna economia, ma un impiego distorto di essa alimenterebbe la precarietà tra le giovani generazioni. Dall’insieme di queste cose si vede come sia stato dato un chiaro segnale di cambio di marcia nella direzione della piena attuazione del programma dell’Unione. Le esigenze di cambiamento sono ancora enormi e trovare le risorse economiche, organizzative e di risorse umane qualificate è un’ardua impresa e di difficile attuazione. Per andare avanti sarà pertanto necessario un rinnovato e responsabile rapporto di concertazione tra i vari livelli istituzionali e con le parti sociali. Occorre un consenso consapevole per realizzare quell’ampio e profondo processo riformatore che faccia progredire il paese all’insegna della coesione sociale. Il nostro essere forza di sinistra ci chiede di dare un contributo all’interno del Governo perché si trovino adeguate soluzioni a queste problematiche. Per noi i valori della solidarietà, dell’equità, dei diritti, della giustizia sociale e della cittadinanza sono alla base della nostra idea di società. Per noi lo stato sociale è si, un sistema di protezione sociale che sappia essere inclusivo ma è anche strumento di qualità dello sviluppo. Per noi lo sviluppo è essenziale perché rende stabili le conquiste sociali e garantisce le risorse necessarie per rendere duraturo il progresso economico e sociale dell’intero paese. Per noi quindi lo sviluppo economico è condizione decisiva ma non è fine a se stesso, esso deve essere sostenibile e imperniato su un modello di competitività che valorizzi il lavoro e la sua dignità, che ne promuova la sua stabilità e che sviluppi la ricerca, l’innovazione, la scuola e la formazione. Senza risultati in questa direzione lasceremmo milioni di lavoratori colpiti innanzitutto nella loro dignità e rischierebbe di vanificarsi l’obiettivo di rilanciare lo sviluppo perché il lavoro nero sottrae risorse alla collettività e danneggia la parte sana del nostro sistema produttivo. Insomma un’idea alternativa a quella della destra che in questi anni ha perseguito l’illusorio tentativo di far recuperare competitività al nostro sistema produttivo riducendo i costi e comprimendo i diritti di chi lavora. |