1.1 Premessa Giunti al termine del 2006, anche se mancano ancora le evidenze statistiche che traducono i fatti dell’anno in numeri, il quadro appare abbastanza delineato. Quello che si conclude è un anno positivo, anche se, come vedremo, il contributo delle singole aree e delle singole nazioni si presenta differenziato. La maggior parte dei paesi asiatici conferma trend di crescita elevati, addirittura intorno e sopra il 10%. Nell’Europa orientale i tassi di crescita mostrano anch’essi valori significativi, tra l’8% della Russia e il 10% della Polonia. Meno eclatanti le performances dell’America Latina che si posizionano comunque su livelli per noi distanti, attorno al 4%. Anche senza aver menzionato ancora tutti i protagonisti dell’economia mondiale, va ricordato che il commercio mondiale vive il quinto anno di crescita, e che in generale i ritmi di crescita dei paesi industrializzati si muovono per il 2006 attorno al 4%, percentuale che raddoppia e oltre nei paesi di nuova industrializzazione. Dal canto loro gli Stati Uniti rallentano, ma non sembrano prossimi pericoli di recessione o d’inversione del ciclo. Il rallentamento, che comunque fa scendere il pil statunitense intorno al 2%, appare dipendere soprattutto da un vistoso calo del settore delle costruzioni, calo che in ogni caso non sembra intaccare i buoni risultati del mercato azionario, della produzione manifatturiera e dei consumi. A realizzare questo risultato dei consumi, positivo anche per il più generale contesto internazionale, concorre la discesa del prezzo del petrolio, sceso di oltre 15$, ovvero sotto i 60$ al barile. La relativa debolezza della domanda interna statunitense si riflette parzialmente sulle esportazioni europee, ma questo mancato apporto appare compensato dai segnali di ripresa del mercato interno dell’area euro. In Europa la presenza di politiche di bilancio restrittive, tese a riequilibrare i conti della finanza pubblica, condiziona la crescita poco al di sopra del 2%. Ciò nonostante i segnali sono di positiva anche se moderata accelerazione, sia dal lato degli investimenti che da quello della produzione industriale. Un caso a parte resta quello dell’Italia. Dopo che il 2005 si è concluso con una crescita pari a 0,0%, ci si avvia a concludere il 2006 con l’1,8%. Si tratta, come detto, di un risultato positivo dovuto innanzitutto dall’aggancio al ciclo espansivo che è in atto in Europa. All’Italia restano purtroppo ancora intatti i limiti strutturali che legano in maniera determinante i suoi risultati agli andamenti del ciclo (in assenza di questi limiti la Germania può, ad esempio, svolgere ben altro ruolo sul mercato internazionale). Lo Schema di Finanziaria 2007, intervenendo innanzitutto sul risanamento dei conti pubblici, ha cercato di ricreare le condizioni favorevoli a soluzioni di sviluppo (soluzioni che, nei limiti delle disponibilità, sono già presenti in questa stessa Finanziaria). Tra i fattori positivi vanno registrati una ripresa delle esportazioni (+5%) e un rilancio degli investimenti fissi lordi (+3%). Conferme provengono, ad esempio, dall’andamento degli ordinativi di macchine utensili, cresciuti sia sul mercato interno che su quello estero, tant’è che il livello dell’utilizzo degli impianti in questo comparto strategico è ritornato su valori che non venivano più raggiunti dal 2001. Ma approfondiamo alcuni degli aspetti fin qui richiamati. 1.2 Area asiatica e Usa Come ormai siamo abituati a vedere da diversi anni il ciclo espansivo asiatico si mantiene elevato. La quota della Cina sul commercio mondiale si classifica ormai al terzo posto, (1) dopo la Germania e gli Stati Uniti e prima del Giappone. L’attenzione, più che sulle performances economico-industriali della Cina, ormai presenti da qualche anno, sembra spostarsi sui fattori monetari, ovvero sul basso profilo del tasso di cambio della moneta nazionale, da tempo sottoposto a critica da parte dei paesi industrializzati e che in caso di ulteriore rallentamento dell’economia americana potrebbe diventare oggetto di pressioni internazionali. Come si è accennato alla base del rallentamento degli indicatori di sviluppo degli Usa (che porterebbe la variazione del pil per il 2006 al 2%), vi è una caduta repentina del mercato immobiliare (quasi mezzo punto di pil) nel corso del secondo semestre 2006. Ma aldilà della vistosità del fenomeno, il dato non sembra dover influenzare il resto dell’economia né l’andamento dei consumi. Si tratta di un rallentamento che, sulla base delle diminuite disponibilità, potrebbe avere tra l’altro un qualche effetto di alleggerimento della presenza dell’America nei teatri di guerra medio-orientali. Buone le dinamiche del commercio estero americano; anche se, come è tradizione, le importazioni superano largamente le esportazioni, determinando un forte deficit nei conti con l’estero (70 mld di $ solo ad agosto). È ciò che fa la differenza con i saldi commerciali di altri importanti paesi, come Germania e Giappone, il cui saldo è pressoché sempre positivo per effetto delle maggiori esportazioni rispetto alle importazioni. La discesa del prezzo del petrolio favorisce un lieve calo del tasso d’inflazione, che comunque per il 2006 dovrebbe collocarsi intorno al 3,3%. 1.3 L’area Euro Discrete le notizie dall’area. La crescita procede superiore alle aspettative e, tenuto conto di un irrobustimento della domanda interna, si profilano esiti che non si presentavano più da alcuni anni. Complessivamente il pil dovrebbe aumentare del 2,7%, in accelerazione quindi rispetto all’1,5% del 2005. Guardando all’attività industriale all’interno dell’area euro gli andamenti si confermano differenziati da paese a paese. La Germania prosegue un cammino espansivo a ritmi elevati. L’Italia, come vedremo meglio in seguito, sembra sia riuscita ad agganciare la ripresa europea, legame mancato nel corso del 2005 e del 2004. Peraltro la fase di recupero europea fa segnare positivi auspici per le imprese e i consumatori. Anche l’inflazione nell’area euro, dopo i picchi raggiunti nei mesi di giugno e luglio, è ridiscesa e il risultato finale si discosterà leggermente da quello dell’anno precedente (dal 2,3% al 2,1%). A impedire un’ulteriore discesa hanno concorso ancora i prezzi dei prodotti energetici, pur scesi negli ultimi mesi, nonché i prodotti alimentari. Un peso sull’andamento dei prezzi lo hanno le manovre di bilancio presenti in Europa, prevalentemente finalizzate a ridurre il debito (Regno Unito, Ungheria, Germania e Italia). In Germania, ad esempio, la decisione di ridurre di un punto il rapporto deficit/pil, per riportarlo sotto il 3%, fa si che si passi ad un incremento dell’Iva dal 16 al 19% per compensare il finanziamento dell’assicurazione di disoccupazione (riduzione degli oneri contributivi) e l’aumento delle aliquote contributive per la pensione di vecchiaia e per l’assicurazione sanitaria. Tra le grandi economie europee, Germania e Italia confermano un andamento moderato, mentre la Francia punta a una crescita sopra il 2%. Per la Spagna la previsione è superiore al 3%. La Germania, locomotiva dell’area euro, costituisce anche in questa fase un riferimento, anche per il peculiare ruolo determinante che assume l’industria nella formazione del prodotto interno lordo. Come ricordato, la Germania riveste un ruolo leader nelle esportazioni mondiali; di conseguenza la conservazione e lo sviluppo della capacità competitiva assumono particolare importanza. Anche sulla base di queste premesse imprese e sindacati hanno realizzato accordi per contenere il costo del lavoro e quindi per ridurre il cuneo fiscale; così come, su un altro versante, si è proceduto a interventi di delocalizzazione, collocando produzioni a minore valore aggiunto in luoghi più vantaggiosi per le imprese. Né è rimasta esclusa la politica fiscale, attraverso la quale sono state adottate misure favorevoli al sistema delle imprese. Ciò ha inevitabilmente avuto riflessi sul deficit di bilancio pubblico posizionandolo ormai da cinque anni sopra il 3% (da qui il citato intervento sull’Iva e sugli oneri sociali sul costo del lavoro). Le misure su cui la Germania ha concentrato il proprio intervento riguardano in particolare la tutela delle imprese esportatrici e ciò è avvenuto non solo a fronte di una crescita economica assai debole (in linea con quella italiana negli anni 2000-2005), ma a discapito della crescita occupazionale, salariale e dei consumi. In Francia il ritmo di crescita nella prima metà di questo decennio è progredito alla media dell’1,5% annuo; un dato non esaltante ma sicuramente superiore allo 0,6-0,7% della Germania e dell’Italia. A differenza di altri casi nazionali l’esperienza francese recente ha visto le scelte concentrarsi su misure di sostegno ai consumi interni che sono progrediti a ritmi 4-5 volte superiori a quelli italiani e tedeschi. Una situazione favorita da una più positiva dinamica della produttività rispetto ai paesi citati e da una distribuzione del reddito (anche per un buon andamento delle retribuzioni) più equilibrata nei confronti del fattore lavoro. 1.4 L’Italia a confronto Come ricordato in Premessa, il Paese si avvia a chiudere l’anno con un risultato migliore rispetto a quello che era prevedibile fino a pochi mesi fa. Non si tratta di un risultato esaltante – parliamo infatti di qualche decimale in più - ma vuol dire che è stata agganciata, a differenza degli anni scorsi, la fase espansiva che si sta svolgendo in Europa. Certo poi i celebrati limiti strutturali nazionali renderanno assai difficile, se non si raccolgono i primi frutti di una svolta, (2) mantenere posizioni di crescita qualora la congiuntura cambiasse di segno. Se si tiene conto di un periodo di media durata, ad esempio quello tra il 1995 e il 2006 si può notare come, a fronte di una crescita del prodotto interno lordo statunitense del 42,3% e ad uno del 36,0 del Regno Unito, della Francia del 25,9%, quello italiano sia avanzato solo del 15,7%, un dato superiore solo a quello tedesco (15,6%). Se nell’osservazione dell’economia nazionale si restringe il campo all’andamento dell’industria in senso stretto si nota (3) che l’Italia sia l’unico paese nell’ambito europeo che nel 2005 ha visto scendere l’indicatore del valore aggiunto (-2,3%) mentre gli altri lo aumentavano. Sempre guardando all’Italia in relazione ai nostri partners più diretti anche i dati relativi all’inflazione indicano una peculiarità dei nostri comportamenti nel periodo recente. Il tasso d’inflazione (secondo l’indice armonizzato europeo dei prezzi al consumo, Ipca) nel 2005 ha confermato il dato del 2004 (2,3%) e per il 2006 la situazione sembra permanere simile. Si tratta di un dato che, eccezion fatta per gli Usa, si colloca più in alto di tutti i principali paesi europei. Un dato che indica il permanere di ritardi strutturali, di attività economiche che al di fuori di un confronto diretto con la competizione internazionale riescono ad aggiustare i prezzi. Un altro elemento utile da porre a confronto con gli altri paesi è quello dell’occupazione. Secondo i dati del Fondo monetario internazionale (4) l’Italia rallenta (0,5% nel 2005) pur mantenendosi su un trend di crescita. In sostanza, si può dire che dopo una fase in cui l’Italia aveva mostrato tassi di crescita dell’occupazione elevati, che non trovavano un immediato riscontro nell’andamento dell’economia e che apparivano connessi soprattutto a emersione del sommerso, a regolarizzazione di lavoratori immigrati e al permanere nel mercato del lavoro di lavoratori avanti negli anni, oggi il Paese si sia posizionato su dinamiche più in linea con quelle europee. Un ultimo dato di confronto può essere ritrovato nelle retribuzioni orarie del settore manifatturiero (dato sempre di fonte Fmi). Dalla lettura dei dati emerge come l’Italia nel 2005 abbia fatto segnare il dato più basso tra i paesi più industrializzati, eccezion fatta per il Giappone. (5) Se poi dall’osservazione delle retribuzioni nominali (che costituiscono soprattutto un riferimento per la competitività), si passa alle retribuzioni reali, ovvero si depura il dato dall’inflazione e quindi si tiene conto del concreto potere d’acquisto dei lavoratori, si conferma come le retribuzioni orarie italiane, ad esempio, nel periodo 1995-2005, si siano incrementate solo dello 0,8%, ovvero abbiano recuperato pressappoco solo l’inflazione, mentre per gli altri paesi si va dal 27,9% del Regno Unito al 5,4% della Francia, passando per 23,0% degli Stati Uniti. 1.5 Dentro l’Italia Tra il 2000 e il 2005 i consumi in Italia sono cresciuti in modo quasi nullo (0.3%). Il primo semestre del 2006 segnala un’accelerazione positiva nella spesa delle famiglie. Un dato che, senza voler eccedere nell’ottimismo, trova conforto, per quanto riguarda il secondo semestre, nel fatturato delle imprese industriali produttrici di beni di consumo e nelle imprese produttrici di servizi. Per il 2007 le previsioni attribuiscono alle famiglie una capacità di spesa leggermente più elevata di quella registrata nel 2006. (6) Ma passando dai consumi alla produzione, va osservato come la ripresa industriale del ciclo sia connessa soprattutto alla ripresa dell’export, il che ha determinato una ripresa degli investimenti (mezzi di trasporto innanzitutto e, in modo più contenuto, macchinari e attrezzature), confermata anche da una crescita elevata dei prestiti alle imprese. Elevata anche la ripresa del grado di utilizzo degli impianti, elemento che sembra confermare la natura legata non solo all’adeguamento o rinnovamento della capacità produttiva ma anche alla sua espansione. Nei primi sette mesi del 2006 molti sono i comparti industriali che hanno visto crescere la produzione. Tra quelli che sono andati meno bene possiamo ricordare “le raffinerie di petrolio” –4,9% rispetto ai primi sette mesi dell’anno precedente), il “tessile e abbigliamento” (4,3%), l’industria delle “pelli e calzature” (-2,4%), l”estrazione di minerali (-3,8%). Abbiamo già avuto modo nella Premessa di citare il fatto che nel settore delle Macchine utensili l’utilizzo della capacità produttiva nel terzo trimestre del 2006 si è attestato ad una quota dell’82%, dopo un 79,9% del trimestre precedente: è dal secondo trimestre 2005 che l’indice è in costante crescita; era dal 2001 che la capacità produttiva non superava gli 80 punti percentuali. (7) Gli investimenti in costruzioni segnalano per il primo semestre (confrontato con il corrispettivo dell’anno precedente) una crescita del 3,0%. In particolare si segnalano gli investimenti residenziali, favoriti sia da un mercato immobiliare attivo che da tassi d’interesse contenuti. Come si accennato in apertura, l’insieme dell’andamento dell’economia e in particolare quello dell’industria sono soggetti a un’osservazione prudente, nel senso che i segnali di mantenimento (nel medio periodo) della fase espansiva non riceve sufficienti segnali per poter essere interpretata come duratura. Nel terzo trimestre indicatori quantitativi hanno testimoniato per la produzione industriale un incremento rispetto al trimestre precedente, 1,3%: un’altra accelerazione dell’attività produttiva dopo un semestre di crescita. E sono proprio i settori maggiormente rivolti alle esportazioni quelli che registrano i maggiori incrementi. Nel complesso – sulla base anche delle dichiarazioni degli imprenditori - sembrerebbe però più legittimo attendersi per i prossimi mesi una tenuta dei livelli produttivi, senza particolari accelerazioni. Un riscontro di quanto finora detto è ricavabile dai dati per il commercio estero, dato che va osservato oltre che in generale anche con riferimento a un settore rilevante come quello metalmeccanico. I dati dei primi sette mesi del 2006 mostrano una crescita sostenuta sia delle importazioni che delle esportazioni. Ma, mentre per l’intera economia la crescita delle importazioni è superiore a quella delle esportazioni, determinando un saldo negativo di 14,153 miliardi euro (gennaio-luglio 2006), per il settore metalmeccanico il risultato è rovesciato, risultando (per lo stesso periodo) attivo per 11 miliardi. Merita a questo proposito osservare più da vicino l’andamento della bilancia commerciale dei singoli comparti della metalmeccanica. (8) L’unico comparto che registra da anni un saldo positivo è quello della “Fabbricazione di macchine e apparecchi meccanici” (+24 mld tra gennaio e luglio 2006). Per gli altri comparti il saldo peggiora rispetto allo stesso periodo del 2005 con la sola eccezione del comparto dei Mezzi di trasporto. Questo ultimo dato ci consente di allargare il campo visuale all’intero settore metalmeccanico. Nei primi sette mesi del 2006 la produzione industriale in questo settore è cresciuta del 4,8%: un risultato particolarmente significativo dopo il calo dell’1,5% del 2005 e quello del 10% nel periodo 2000-2005. Così come per l’insieme del manifatturiero, l’inversione di tendenza sembra essersi registrata nell’ultimo trimestre del 2005. Nell’ambito della metalmeccanica la performance più rilevante è quella dei Mezzi di trasporto (+8,4), ritornati al segno positivo. (9) Contenuto il risultato del comparto della “Fabbricazione dei prodotti in metallo (1,5% nei primi sette mesi), comparto che comunque nel quinquennio 2000-2005 ha fatto registrare i migliori risultati. Per concludere su questa parte, una riflessione va spesa sulle previsioni per la chiusura del 2006 e in particolare per il 2007. Come abbiamo visto le previsioni danno il 2006 (in termini di incremento percentuale del pil) poco al di sotto del 2,0%: un risultato, come già ricordato non eclatante ma ben diverso dallo 0,0% del 2005. Tra i fattori che dovrebbero consentire la crescita del prodotto interno lordo ci sono le esportazioni (intorno al 5%); in secondo luogo gli investimenti fissi lordi (tra il 2% e il 3%). Per l’inflazione abbiamo già richiamato un probabile 2,2-2,3%. Anche per l’occupazione, fatta salva la qualità dell’impiego, troppo speso condizionato dalla precarietà, i maggiori centri di ricerca prevedono una crescita media intorno all’1,0% (sicuramente più bassa nell’industria). In ulteriore riduzione il tasso di disoccupazione (7,1%) nazionale. Per il 2007 i previsori mitigano gli ottimismi collocando la crescita tra l’1,3 e l’1,7%. 1.6 Dalla Finanziaria al Tfr Del Disegno di legge di Finanziaria 2007 si è parlato sicuramente molto. Forse mai come questa volta una Finanziaria ha avuto un’esposizione così ampia sui mass media. E se ne è parlato molto anche perché il suo divenire, il suo procedere verso la conclusione è stato particolarmente intenso, contrastato, oggetto di molti confronti e revisioni. In realtà la sovraesposizione del provvedimento, se così può dire, è anche dovuta all’entità e alla complessità della manovra, tant’è che per trovare un precedente di pari entità occorre tornare all’inizio degli anni 90. Mentre scriviamo il disegno di legge è stato approvato alla Camera e ancora suscettibile di cambiamenti, rendendo difficile una valutazione piena del provvedimento. Tuttavia merita ricordare qualche elemento. Date le condizioni economiche e finanziarie di partenza il documento si era in sostanza prefisso di realizzare le condizioni per lo sviluppo nel segno dell’equità e del risanamento della finanza pubblica. Questo perché l’ostacolo maggiore per lo sviluppo era rappresento proprio dallo stato dei conti pubblici. Contemporaneamente non si voleva rinunciare né ad elementi di discontinuità rispetto al precedente governo in termini di assetto fiscale, reintroducendo quindi principi di progressività, né si voleva rinunciare a introdurre misure concrete e mirate per lo sviluppo che non interrompessero il filo già steso dai decreti di liberalizzazione con cui il governo ha avviato la sua azione. Su queste premesse la Finanziaria ha costruito una manovra da circa 35 miliardi, composta da 12,3 miliardi di entrate e 22,4 di tagli alle spese. Un totale di 34,7 miliardi che vengono così ripartiti e impiegati: 15,2 per la riduzione del disavanzo e 19,5 per lo sviluppo e l’equità fiscale. Come anticipato, l’obiettivo prioritario, pur in un mix di obiettivi, è quello di ridurre il disavanzo in rapporto al pil dal 4,3% (4,6 se si tiene conto della sentenza sull’Iva della Corte di Giustizia europea) al 2,8-2,9% nel 2007 e di riportare l’avanzo primario dall’attuale 0,3% al 2,0% nel 2007. Se quella sopra richiamata è la finalità dei 15,2 miliardi, gli altri 19,5 (comprensivi dei circa 6 miliardi destinati alla riduzione del cuneo fiscale) puntano a un ridisegno in termini progressivi delle aliquote Irpef e a introdurre un pacchetto di misure a favore dello sviluppo. Si rimanda ai capitoli successivi per un’analisi dei contenuti della Finanziaria,. Qui ne abbiamo solo voluto richiamare i termini generali per introdurre l’argomento della previdenza, in particolare di quella complementare. Il Disegno di legge di Finanziaria 2007 ha infatti avanzato un’anticipazione dell’attuazione della legge n. 252 del 2005 (varata in extremis dal governo Berlusconi), dal 1° gennaio 2008 al 1° gennaio 2007. Un intervento che risponde, da un lato, all’esigenza di reperire, tramite la raccolta del Trattamento di fine rapporto (Tfr) maturando, risorse necessarie a compensare le aziende per la mancata disponibilità futura presso di loro delle risorse derivanti dal Tfr e a finanziare investimenti pubblici. Dall’altro, l’anticipazione di un anno consentiva di sbloccare la situazione di stallo (10) che, attraverso le scelte dell’allora ministro Maroni, aveva di fatto congelato lo sviluppo della previdenza complementare per due anni, fino all’inizio del 2008. La decisione di anticipare al 1° gennaio 2007 l’avvio della previdenza integrativa secondo le norme della legge n. 252 è stata poi sottoscritta con un accordo (23 ottobre 2006) da governo, Confindustria e Confederazioni sindacali. La novità introdotta dall’accordo citato è appunto rappresentata dall’istituzione di un Fondo presso il Tesoro, o meglio a disposizione del Tesoro, Fondo amministrato dall’Inps, in cui confluirà tutto il Tfr maturato dopo il 1° gennaio 2007 da parte dei lavoratori occupati in imprese con oltre 50 dipendenti che hanno scelto di non collocare il Tfr presso i Fondi pensione. I lavoratori occupati in aziende con meno di 50 occupati potranno lasciare il Tfr maturando presso l’azienda. Questo non significa che “dovranno”, ma che potranno scegliere tra collocarlo presso il Fondo pensione oppure lasciarlo presso il proprio datore di lavoro. Se si guarda a questa situazione dal lato degli interessi del datore di lavoro potrà apparire più utile lasciarlo in azienda; se invece si guarda al problema dal lato degli interessi del lavoratore con ogni probabilità sarà più conveniente collocarlo presso un Fondo pensione negoziale. Ciò a maggior ragione se teniamo conto che nelle normative citate finora si è fatto riferimento al solo Tfr. Se il lavoratore completa la sua adesione al Fondo pensione aggiungendovi il proprio contributo mensile, potendo così ricevere legittimamente quello del datore di lavoro, avrà sicuramente ottimizzato le probabilità di maggior ricavo dall’investimento destinato all’integrazione pensionistica. Se poi teniamo conto non solo di quanto afferma la Finanziaria 2007 a proposito della previdenza complementare, ma torniamo al più ampio riferimento della riforma voluta da precedente governo e fissata nella legge n. 252, possiamo far riferimento al principio lì esposto del silenzio-assenso. Vale a dire che il lavoratore ha sei mesi di tempo (1° gennaio-30 giugno 2007) per esprimere la propria volontà su dove indirizzare il Tfr maturando: o presso il Fondo pensione o lasciarlo in azienda (in questo caso significa inviarlo al Fondo del Tesoro se si è dipendenti di un’azienda con oltre 50 occupati). Se il lavoratore non esprime la propria volontà e resta in silenzio il suo Tfr verrà indirizzato ai Fondi pensione secondo una procedura articolata. 1.7 Sulla previdenza complementare Se queste sono le regole generali occorre sapere che esiste una serie numerosa di sottoregole che non sono irrilevanti. Per fare un esempio, i Fondi pensione dovranno essere provvisti di un profilo d’investimento formalmente garantito, grazie al quale il lavoratore ha, se lo ritiene, la matematica certezza che gli verrà quanto meno restituito il capitale versato. Questo per dire che la normativa che regola i Fondi pensione negoziali (creati ad hoc per le singole categorie di lavoratori dipendenti e quindi senza scopo di lucro) è oggetto di una serie ampia di vincoli e di controlli (proprio per le sue finalità previdenziali) che non solo li rendono sicuri, ma, più in prospettiva, in grado di influire positivamente sul mercato assicurativo e delle polizze, per non parlare del maggiore margine di trasparenza che già hanno imposto ad alcuni aspetti della gestione finanziaria. Se dovessimo dire con chiarezza cosa sia più conveniente per il lavoratore a fronte dell’apparato di nuove norme che regola la previdenza nel suo insieme e quindi tenendo conto del passaggio dal sistema previdenziale retributivo a quello contributivo avvenuto nel corso degli anni 90, diremmo che la cosa più conveniente è iscriversi a un Fondo negoziale (più che versare al Fondo del Tesoro o aderire a Fondi aperti o altro) e questo sia dal lato dei costi di gestione per il lavoratore che del controllo sociale, nonché della trasparenza, che, infine, del rendimento. La base peculiare su cui è stata costruita l’esperienza italiana della previdenza complementare è basata su due elementi: la legge e il contratto. La legge istitutiva, del 1993, fa si che ormai questa esperienza abbia maturato radici, non è una cosa che nasce nel gennaio 2007: i Fondi sono attivi fin dal ‘97/98. I contratti nazionali di lavoro hanno recepito la legge istitutiva regolandone il funzionamento. Si tratta di un binario significativo e delicato. Ai lavoratori deve essere “garantita” la possibilità di costruirsi un’integrazione previdenziale, integrazione che – non va dimenticato - si fonda sulle loro risorse (com’è noto il Trf non è altro che salario differito concesso in prestito al datore di lavoro) e sul contributo erogato dal datore di lavoro (si tratta di un importo di cui si è tenuto conto in fase di rinnovo contrattuale, dirottando una parte di salario). L’adesione alla previdenza complementare, come è noto è volontaria. Entra quindi in causa la capacità dei soggetti preposti d’informare in modo adeguato i lavoratori potenziali aderenti ed entra in causa, per così dire, l’interesse della parte datoriale e più in generale dell’insieme delle parti istitutive di dare seguito all’esercizio di un diritto. Ma non entra solo in gioco il rispetto di un diritto sancito contrattualmente; entra anche in gioco un’effettiva capacità di rappresentanza delle parti che hanno concordemente istituito il Fondo. Con il sistema contributivo l’accumulo di risparmio per costruire un’integrazione pensionistica (da parte di un giovane lavoratore) è un’azione che va fatta metodicamente nel tempo; gli anni persi nell’attività di accumulazione non possono essere recuperati. E’ in conclusione importante che vi siano delle regole stringenti che favoriscano al massimo l’adesione del lavoratore e una corretta contribuzione da parte delle imprese associate al Fondo pensione (troppi sono finora i casi di pre-fallimento o fallimento di un’azienda in cui l’evasione contributiva si manifesta e diventa difficile il recupero dei crediti). Oggi con l’avvio della riforma il quadro tenderà ad essere più chiaro; (11) tuttavia troppe sono le categorie che pur avendo istituito un Fondo pensione hanno manifestato finora un impegno troppo basso nel costruire percorsi reali di adesione dei lavoratori. I Fondi negoziali che sono riusciti a costruire una base aderenti significativa (risultato quasi sempre conseguito attraverso la collaborazione dell’insieme delle parti istitutive), mostrano ormai una complessità di strumenti e una relativa maturità. Si tratta quindi di soggetti che sono riusciti a posizionarsi in maniera efficace sul mercato attraverso una capacità di corrispondere con i soggetti amministrativi, finanziari e istituzionali. Al contrario là dove le parti che hanno istituito il Fondo hanno un’intrinseca debolezza nelle relazioni sindacali il Fondo resta bloccato in una serie di difficoltà che precedono il ruolo e le capacità della sua struttura interna. Oggi, il varo della riforma a partire dal 1° gennaio 2007, imponendo scelte più stringenti alle parti istitutive e ai lavoratori può consentire un salto in avanti della previdenza complementare che finora è mancato. Ma qual è, in breve. lo stato attuale della previdenza complementare? A fine 2006 si contano 43 Fondi negoziali, di cui 38 rivolti a lavoratori dipendenti; di cui 28 fondi di categoria, corrispondenti questi ultimi a poco più di un milione di iscritti (12) (su un bacino potenziale di 8,5 milioni). Il totale dell’attivo netto destinato alle prestazioni corrisponde a 11,3 miliardi di euro (giugno 2006). (13) Secondo i dati della Commissione di vigilanza sui Fondi pensione (Covip) negli ultimi 4 anni il rendimento dei Fondi è stato del 20,7%, mentre la rivalutazione del Tfr (paragone improprio ma diffuso) è stata del 10,5. Note Le importazioni dalla Cina verso l’Italia sono passate dai 140 miliardi di $ del 1998 ai 658 del 2005 (+460%), mentre quelle provenienti dall’Italia sono passate da 2,3 miliardi di $ a 6,9 (+300%). Un contributo interessante a una gestione innovativa della politica industriale proviene dal disegno di legge denominato “interventi per l’innovazione”, noto anche come “Industria 2015”, (approvato dal Consiglio dei ministri il 22 .09.’06), documento che compie uno sforzo costruttivo per aggiornare i paradigmi interpretativi dell’evoluzione dell’industria. Vedi “Osservatorio sull’industria metalmeccanica”, n.19, ottobre 2006 (consultabile anche attraverso il sito internet della Fiom-Cgil Con un +1,5% dell’Italia si confrontano il 3,0% della Francia, l’1,9% della Germania, il 3,1 dell’Area euro, il 3,6% del Regno Unito e il 4,6 degli Usa. In “Osservatorio sull’industria metalmeccanica”, n. 19 ottobre 2006, a cura dell’Ufficio economico Fiom-Cgil. La necessità di rilanciare la domanda – come ricorda l’ultimo Rapporto dell’Ires-Cgil (9 novembre 2006), utilizzando dati Banca d’Italia - non nasce solo da considerazioni tecniche, ma dai processi reali avvenuti in questi anni che hanno prodotto una redistribuzione del reddito fortemente squilibrata. Ad essere colpite dal deterioramento del potere d’acquisto sono state quelle famiglie di operai e impiegati, mentre ad avvantaggiarsi sono stati imprenditori ed autonomi. Nel settore della meccanica si concentra il maggior volume di esportazioni dell’Italia verso la Cina. Tra il ’98 e il 2005 le esportazioni sono aumentate del 230% (ma le importazioni del 338%). Il risveglio della Fiat è l’elemento più significativo del primo semestre 2006. Il margine operativo lordo (o Ebit) si è posizionato sui 145 milioni di €, contro i 217 di perdita operativa del periodo corrispondente dell’anno precedente. "L’incertezza che nel 2005 ha caratterizzato l’iter di attuazione della legge delega previdenziale non ha certamente giovato alla crescita delle adesioni alla previdenza complementare. Occorre quindi evitare cche tale inconveniente si ripeta…” L. Scimia, presidente Covip,relazione al “2006 Monte Paschi Vita Annual Forum, ottobre 2006. Come ha avuto modo di ricordare di recente il presidente della Covip, L. Scimia, l’anticipo dell’entrata in vigore della riforma imprime senza dubbio “un’accelerazione allo sviluppo della previdenza complementare e, fatto particolarmente importante, sarà accompagnata dalla realizzazione di campagne informative tese a promuovere adesioni consapevoli alle forme pensionistiche complementari”, L. Scimia, Relazione al “2006 Monte Paschi Vita Annual Forum”, ottobre 2006. |