Situazione economica e produttiva all’atto dell’insediamento del Governo Prodi 5.1. - Economia I grafici qui di sotto rappresentati dimostrano quanto le condizioni del Paese siano precarie e critiche. I problemi sono strutturali. L'Italia non cresce, la produttività è stagnante, le classifiche di competitività la collocano agli ultimi posti. È il Paese in cui i livelli di povertà sono nettamente superiori alla media europea, la distribuzione del reddito e della ricchezza è più disuguale, la mobilità sociale maggiormente ostacolata dalle corporazioni e dal privilegio. Nel nostro paese una fascia della popolazione è uscita dai consumi di base. Fig. 1 - Tasso di crescita reale annua del Pil 1993-2006 Se si va poi ad analizzare il Pil pro capite (ovvero il reddito lordo di ogni italiano) e lo si paragona ad altri paesi si vede che si accentuata la discesa dal 2001 e stiamo per essere raggiunti dalla Spagna in continua crescita (fig. 2) (1). Mentre fino al 2001 il Prodotto interno lordo pro-capite superava e non di poco quello medio europeo ed era vicino a quello degli altri grandi paesi europei successivamente è andato precipitando. La tab. 1 evidenzia i tassi di crescita percentuali in termini cumulati sia sul medio lungo periodo che recenti. Fig. 2 - Pil pro capite a parità di potere d’acquisto nei principali paesi europei (Ue-15=100) In questi ultimi anni, seppure con qualche miglioramento di breve durata, l’industria italiana ha continuato a far registrare cali dei livelli produttivi, risultando il “fanalino di coda” tra i paesi industrializzati. Tra il 2003 e il 2005 la produzione industriale è diminuita del 2,6 % (-0,6% nel 2003, -0,7% nel 2004, -1,3% nel 2005). Il calo ha coinvolto i settori più colpiti dalla crisi di competitività (tessile-abbigliamento, calzaturiero, elettronica, produzione di mezzi di trasporto).
Tab. 1: Crescita del Pil - Stati Uniti, Unione Europea e grandi paesi europei (Tassi di crescita in %)
Fonti: Oecd, Istat, Comm. Europea * Eu-15 più Polonia, Rep. Ceca, Slovacchia e Ungheria Si tratta di cali tra il 20 e il 30% tra il 2001 e il 2005. Il calo della produzione industriale è in stretta connessione con la produttività che si discosta sempre di più da quella degli altri paesi.La situazione del saldo del commercio con l’estero, con l’eccezione del 2000, è in continua discesa diventando negativo dal 2003 (fig. 3). Nell’anno 2005 le esportazioni hanno segnato, rispetto al 2004, un incremento del 3,7 % e le importazioni del 6,8 %. Il saldo della bilancia commerciale relativo ai primi sette mesi del 2006 mostra un ulteriore deterioramento. Il disavanzo commerciale risulta più che triplicato rispetto al corrispondente periodo del 2005 (da 4.419 a 14.153 milioni di euro). L’andamento di questa curva denota che la nostra competitività ha origini lontane nel tempo e che le misure adottate, nelle ultime due legislature non hanno affrontato e risolto il problema. Fig. 3 - Saldo della Bilancia Commerciale in mil euro Fig. 4 - Tasso di inflazione nei principali paesi europei
Fig. 5 – Numero aziende in crisi Fig. 6 - Media mensile della Cassa Integrazione totale Il debito pubblico è tornato a crescere e il deficit, se non viene corretto, ci colloca fuori dall’Europa, e ci espone al rischio di scivolare verso quelle economie più marginali. L’assetto complessivo della bilancia pubblica italiana risulta, dopo cinque anni di governo della destra, pesantemente compromesso (fig. 7). Nel 2005 il fabbisogno statale e l’indebitamento delle Pubbliche Amministrazioni è continuato a crescere stabilendo la cifra del 4,1% del PIL confermando lo stato di gravissima crisi della finanza pubblica. Il dato tendenziale del 2006, senza gli interventi correttivi di luglio 2006 e tenendo conto della sentenza europea sulla non detraibilità dell’Iva sulle auto, lo porta al 4,8%. Negli anni del centro sinistra la politica di risanamento aveva portato il valore minimo al l’1,7% con positivo impatto sul costo del denaro e dei mutui. Fig. 7 - Indebitamento netto in % del PIL 1994-2006 Fig. 8 - Avanzo primario in % del PIL 1994-2006 Questo è un problema cruciale in quanto provoca l’aumento degli interessi da pagare e in conseguenza meno risorse per investimenti e welfare. Da questa evoluzione dipende l'affidabilità dei titoli di Stato italiani, cui guardano le agenzie di rating e i mercati finanziari internazionali. Fig. 9 - Debito pubblico in % del PIL
Fig. 10 - Spesa pubblica corrente in % del PIL Dal 1996 al 2001, le riforme fiscali e l'efficacia dei controlli amministrativi hanno portato ad una significativa riduzione dell'evasione fiscale. Tra il 1998 e il 2001 l'eliminazione di 24 imposte e la riduzione di contributi sociali avrebbe dovuto determinare una caduta di gettito per oltre 4 punti percentuali di Pil. Il gettito è, invece, rimasto costante intorno al 42% del Pil in quanto si sono recuperate risorse facendo pagare meno i contribuenti in regola, ma facendo pagare di più quanti evadevano. Esattamente il contrario di quanto avvenuto nella stagione dei condoni voluti dal centrodestra. Fig. 11 – Pressione fiscale in % del PIL Le bugie sulla crescita dell’occupazione. Il governo Berlusconi ha vantato in campagna elettorale la crescita dell’occupazione. Ma la (modesta) crescita dell’occupazione è minore della crescita della popolazione (in particolare di quella in età lavorativa). Il tasso di occupazione è cresciuto dal 1995 al 2002 per effetto dei provvedimenti adottati nella legislazione 1996-2001 (fig. 12). Tra il 2003 e il 2005 il tasso di occupazione generale non cresce (ma per le donne diminuisce dello 0,15%). (2) Il confronto con gli anni del centro sinistra e del “Pacchetto Treu” è molto istruttivo. Siamo ben lontani dal raggiungimento dell’obiettivo di Lisbona del 70 % nel 2010. La recessione testimonia una caduta della produttività generale del lavoro, quindi della competitività, anche perché si accompagna a un peggioramento della qualità del lavoro e del reddito complice la legge 30 sulla riforma del mercato del lavoro.
La precarietà in quanto l’occupazione standard (dipendente, non a termine, a tempo pieno, non sommersa) è cresciuta di meno del totale dell’occupazione. Dopo il 1994, fino al 1999, era diminuita (solo per gli uomini) (fig. 12). Dal 2000, con il bonus del centro-sinistra, è aumentata (ben oltre il livello del 1996) per entrambi i generi fino al 2002. Nel 2003 comincia a diminuire per le donne. Fig. 13 - Tasso di occupazione standard La politica economica del Governo a partire dal Dpef, dall’attuale finanziaria e dalla legislazione futura, va collocata nel contesto suesposto. Sapevamo, vincendo le elezioni, che il paese avrebbe avuto la necessità di essere portato fuori dal dissesto economico-finanziario in cui lo ha lasciato la destra dopo 5 anni di governo dissennato. Il lascito che è stato ereditato dalla trascorsa legislatura è disastroso. Con le casse vuote, l’avanzo primario azzerato, il debito in ascesa, il deficit al 4,8 per cento, i cantieri delle imprese pubbliche allo sbando, la previdenza integrativa rinviata al 2008, i contratti non rinnovati. Ci hanno lasciato un paese più ingiusto nella distribuzione del reddito. Sono stati 5 anni d’impoverimento e di crescita delle disuguaglianze con una progressiva perdita del potere d’acquisto dei salari e delle pensioni, un paese più insicuro e precario e più impoverito nei settori strategici della scuola, università e ricerca. Il Governo appena insediato ha scoperto che erano finiti i fondi per tenere aperti i cantieri delle opere pubbliche. La destra aveva scientificamente finanziato quelle opere fino a qualche settimana dopo le elezioni, nella consapevolezza di lasciare il crollo successivo sulle spalle di altri. Ha trovato una società sempre meno solidale, dove gli ultimi anni sono stati spesi lasciando correre senza freni la spesa pubblica e contestualmente è avvenuta una clamorosa redistribuzione del reddito sotto forma di facili arricchimenti, di speculazioni immobiliari, di crescita illimitata di patrimoni mobiliari e possibilità di evadere o di chiudere, grazie ai condoni, il rapporto con il fisco. Una ricchezza gigantesca è stata spesa, sprecata, ma anche ridistribuita. Quello che ci troviamo di fronte oggi è un Paese debole e socialmente spappolato, dove i giovani stentano a trovare un lavoro che non sia precario, i figli delle famiglie meno abbienti partono con svantaggi enormi, la formazione fa acqua, le grandi imprese tranne poche eccezioni prosperano solo nei settori della rendita e gli investimenti privati e pubblici nella ricerca e nell'innovazione sono ridotti al lumicino. Di fatto, sono stati azzerati gli sforzi di oltre dieci anni di risanamento. Negli anni Ottanta, con i governi pentapartito, il debito pubblico era raddoppiato. Negli anni Novanta, dopo il rischio del fallimento dell'intero Paese, fu avviata ad opera dei governi di centrosinistra una faticosa opera di risanamento e rilancio. Ora molte delle risorse che potevano essere utilizzate sono state bruciate. E il debito pubblico (oltre 67 miliardi di euro l'anno li spendiamo di interessi) impegna risorse che vengono sottratte ad impieghi più positivi. L'Italia corre un rischio serio di declino e di declassamento. Non c’è solo il dissesto della finanza pubblica, ma anche l’immane eredità di una politica del centrodestra che aveva impoverito ampie fasce di popolazione, aveva depauperato settori strategici come la scuola, la ricerca, l’università e intanto aveva fatto crescere la spesa corrente. Abbiamo rischiato di trovarci in una situazione drammatica con l’Europa. L’Economist già scriveva che l’Italia sarebbe uscita dall’euro. Le macerie lasciate dal governo precedente sono molto più grandi di quanto non dica il dato singolo sul rapporto deficit/Pil. C’è un colpevole abbandono dei controlli fiscali, per esempio sull'import parallelo, alla totale 'non gestione' dei problemi, come ad esempio la sentenza dell'Iva sulle auto. Semmai la colpa, è stata quella di esser stati troppi 'signori': invece di polemizzare sulla disastrosa situazione si è cercato di ricercare soluzioni. La crescita della spesa primaria corrente e del debito e l’azzeramento dell’avanzo primario richiede una gran mole di risorse che non possono essere reperite attraverso l’emissione di moneta. Se i soldi non ci sono, si possono anche stampare. Negli anni '80 è stato fatto. Si è visto com'è andata a finire. In 20 anni il debito è cresciuto dal 57 al 124% del Pil. Nel '92 è scoppiata Tangentopoli, si è sfiorata la bancarotta, sono scomparsi i partiti, sono emerse le Leghe, è saltata ogni mediazione politica. I problemi che dobbiamo affrontare oggi sono figli di quella stagione, aggravata ulteriormente dalla parentesi berlusconiana. In un contesto del genere si sono radicalizzati i conflitti distributivi. Spendiamo il doppio per gli interessi sul debito. Più della metà di ciò che entra nelle casse dello Stato è già ipotecato per coprire i debiti pregressi. Negli ultimi cinque anni siamo diventati il Paese più iniquo del continente. (1) Il confronto tra Italia e Spagna è stato ben rappresentato in un articolo dell’Economist publicato dal settimanale Internazionale del 10 11 2006: Italiani e spagnoli rivali nel mediterraneo. Si evidenzia come la Spagna sia stata a lungo un paese europeo di serie B, ma adesso ha buoni motivi per aspirare a un ruolo di primo piano nell’Unione Europea mentre l’Italia va in una direzione opposta. |