GLOSSARIO DI ECONOMIA  


A - C


Accordi di Bretton Woods

Conclusi il 22 luglio 1944 fra i 44 paesi membri dell'Organizzazione delle Nazioni Unite (all'epoca né la Germania né il Giappone ne facevano parte) e ratificati poi dai parlamenti nazionali (a eccezione dell'Urss e dei paesi del blocco socialista). Questi accordi hanno gettato le basi del sistema monetario internazionale che ha funzionato fino al 1971: cambi fissi (le monete erano definite sulla base di una determinata quantità di oro o di dollari, poiché la stessa moneta americana era definita in oro), cambiamento delle parità (cioè modifica della quantità di oro o di dollari di un' unità monetaria nazionale), regole di convertibilità (in oro o in altre monete) e così via. Gli accordi hanno anche creato due istituzioni multilaterali: il Fondo monetario internazionale (Fmi), incaricato di vigilare sul rispetto delle regole ed eventualmente prestare capitali a un paese momentaneamente in difficoltà per evitare che modifichi la sua parità di cambio senza un valido motivo; la Banca internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo (Birs), incaricata di concedere prestiti a lungo termine per finanziare operazioni di sviluppo (il primo presidente della Birs fu J. M. Keynes). La Birs ha creato a sua volta una filiale, l'Ais (Associazione internazionale di sviluppo), incaricata concretamente di prestare capitali senza interessi ai paesi poveri. L'insieme di Birs e Ais ha preso il nome di Banca mondiale.

Accordi multifibre (Amf)

Insieme di accordi internazionali iniziati nel 1974 tra i paesi industrializzati importatori di prodotti tessili (tessuti o abiti) e i paesi del terzo mondo esportatori. Loro scopo è autolimitare le esportazioni dei secondi in direzione dei primi. Questi accordi, regolarmente rinnovati al loro scadere, prevedono in genere delle quote; per i paesi esportatori, la cui progressione annuale è determinata per un periodo di cinque anni allo scadere di ciascuna delle intese (tessili del cotone, della lana, etc.). Essendo stipulati "liberamente" non contravvengono ufficialmente alle norme commerciali internazionali del Gatt (ormai Wto, Organizzazione mondiale del commercio) che vietano le restrizioni unilaterali. Tuttavia si tratta chiaramente di strumenti volti a proteggere le industrie tessili dei paesi del Nord. In occasione degli ultimi negoziati commerciali multilaterali (Uruguay Round), conclusi nel 1993, è stato deciso che gli accordi multifibre sarebbero stati soppressi nell'arco di dieci anni.

Accordo del Plaza


Dal nome dell'albergo di New York dove è stato concluso il 22 settembre 1985 tra i ministri delle Finanze dei cinque paesi capitalistici più industrializzati (Stati Uniti, Giappone, Germania, Francia e Gran Bretagna). L'accordo stabilisce delle "forbici" di tassi di cambio tra queste cinque monete all'interno delle quali le autorità si impegnano a mantenere le loro valute in modo da mettere fine ai rischi di fluttuazioni eccessive, che potrebbero provocare ondate di panico finanziario. In questo modo i cinque riconoscono ufficialmente che i tassi di cambio non possono essere fissati solamente dai mercati, come afferma la dottrina liberale e come prevedevano gli accordi della Giamaica.
Questo accordo è importante per tre ragioni. Innanzitutto, costituisce il primo passo verso una ricostruzione di un sistema monetario degno di questo nome: i mercati dei cambi, in mancanza di un punto fisso sono percorsi da fenomeni speculativi che perturbano profondamente le relazioni internazionali. In secondo luogo, consacra l'abbandono ufficiale da parte degli Stato Uniti dell'attitudine che consisteva nel rifiutare di intervenire sui mercati dei cambi: se il dollaro cresce, o diminuisce, nei confronti di un'altra moneta, tocca alle autorità monetarie del paese interessato, non agli Stati Uniti, di intervenire eventualmente. In altri termini, gli Stati Uniti riconoscono che la loro moneta ha lo stesso statuto delle altre, e dunque che essi hanno una parte di responsabilità nella gestione dei tassi di cambio. Infine, l'accordo del Plaza viene concluso al di fuori (ma con il sostegno) del Fondo monetario internazionale, per evitarne di doverne rendere noti i termini precisi (in particolare le forbici di oscillazione convenute). Con il che si ribadisce che la gestione dei tassi di cambio è un affare dei "Grandi", non della Comunità internazionale.

Accordo di libero scambio nordamericano (Nafta)


Concluso nel 1992, l'accordo estende al Messico un precedente accordo di libero scambio che legava il Canada e gli Stati Uniti. Il Nafta non è paragonabile all'Unione europea: non prevede un accordo politico comune, né una tariffa doganale esterna comune, ma solo la soppressione dei dazi doganali e delle restrizioni all'importazione. Si tratta quindi di un accordo di natura liberista, non federale. Il suo esplicito obiettivo è quello di creare correnti di scambio sufficientemente intense tra i tre paesi dell'America del nord, tali da spingere altri paesi dell'America del sud a sottoscrivere l'accordo per approfittare del suo dinamismo e dei suoi mercati. In ultima analisi si tratta di ricentrare le dinamiche commerciali nell'ambito della regione americana, che avevano piuttosto tendenza a instaurarsi tra gli Stati Uniti e il Sud-est asiatico.
Il Nafta è quindi un tipico processo di regionalizzazione commerciale. Il Cile sta pensando a una possibile adesione e altri paesi del continente potrebbero seguire il suo esempio.

Paesi Acp

Si definiscono paesi Acp (Africa, Caraibi, Pacifico) quegli stati che hanno firmato gli accordi di Lom; con l'Unione europea. Questi accordi prevedono in particolare un sistema di entrata in franchigia doganale dei prodotti manifatturieri fabbricati nei paesi Acp ed esportati nell'Unione europea.


Asian Free Trade Association (Afta)


Accordo di libero scambio creato nel 1992 tra i paesi membri dell'Associazione delle nazioni dell'Asia del sud-est (Asean): Indonesia, Thailandia, Malesia, Filippine, Singapore e Brunei. Scopo di questa zona di libero scambio è tentare di dinamizzare il commercio tra i paesi membri, dal momento che gli scambi commerciali rappresentano meno del 20% del commercio totale dei paesi membri. È dunque un tentativo di ricentrare i flussi sulla zona, o incoraggiare la divisione del lavoro all'interno della stessa.


Aggiustamento o adeguamento


Designa in genere un processo attraverso il quale gli squilibri globali sono riassorbiti. Nel caso dei paesi indebitati il termine indica più specificatamente una politica economica imposta dal Fondo monetario internazionale (Fmi) in cambio della concessione di nuovi prestiti (definiti prestiti di adeguamento strutturale) o della rinegoziazione del debito. Questo tipo di adeguamento - definito dall'Fmi strutturale - ha lo scopo di garantire che il paese rispetti il servizio del debito estero (pagamento degli interessi e rimborso dei prestiti). L'aggiustamento strutturale si basa abitualmente sul ricorso (in modo diverso a seconda dei paesi) dei seguenti elementi: riduzione delle spese pubbliche, svalutazione della moneta nazionale (allo scopo di ridurre i prezzi dei prodotti esportati e di aumentare quelli dei prodotti importati), privatizzazione e/o riduzione delle sovvenzioni pubbliche ad alcune imprese o ad alcuni prodotti, blocco dei salari (per evitare che la svalutazione provochi una spirale inflazionistica). Questa terapia è di stampo liberistico e provoca l'impoverimento di una parte non trascurabile della popolazione (lavoratori dipendenti, pubblica amministrazione, acquirenti di prodotti importati o sovvenzionati), mentre un'altra parte della popolazione vede la sua situazione migliorare (esportatori, proprietari di imprese private, ecc.). Da ciò le accuse di politica antisociale e i disordini che in alcuni paesi (Venezuela, Algeria, Egitto, più di recente in Asia) hanno accompagnato le misure di adeguamento strutturale. Sotto la pressione di un'opinione pubblica molto critica e di governi reticenti, la Banca mondiale si sforza di attenuare alcuni effetti di queste politiche, ma in modo ancora insufficiente. Mentre il Fondo monetario è attualmente sotto tiro per la sua gestione della crisi asiatica, condotta applicando i suoi tradizionali strumenti, rivelatisi del tutto inadeguati.


Aiuto allo sviluppo

Trasferimenti di fondi a lungo termine (più di un anno) dei paesi industrializzati verso i paesi del terzo mondo a condizioni più favorevoli di quelle di mercato. Questi fondi possono essere di origine privata (donazioni o prestiti effettuati dalle organizzazioni non governative) o pubblici. Può trattarsi di donazioni o di prestiti e in genere si distingue tra aiuto bilaterale (concesso da un paese a un altro paese) e aiuto multilaterale, fornito da organismi che raggruppano diversi paesi (ad es. la Banca mondiale o l'Unione europea). I paesi dell'Organizzazione di cooperazione e di sviluppo economico (Ocse) hanno costituito il Comitato di aiuto allo sviluppo; per misurare e mettere a confronto i loro sforzi in questo settore.
In occasione del lancio del primo decennio di sviluppo (1964), l'Organizzazione delle Nazioni Unite (Onu) aveva fissato un obiettivo indicativo di aiuto pubblico per lo sviluppo dello 0,7% del Prodotto interno lordo per tutti i paesi membri con un Pil pro capite superiore ai 5.000 dollari di allora. Questo obiettivo è stato regolarmente riconfermato, ma oggi solo quattro paesi sui circa quaranta interessati lo rispettano. Il Rapporto del Programma Onu per lo sviluppo (Pnus) nel 1998 ha messo in rilievo che l'aiuto pubblico allo sviluppo è anzi più basso che mai: 0,22% del Pil dei paesi industrializzati.

Annualizzazione del tempo di lavoro

Metodo di calcolo degli orari del lavoro salariato che consente al datore di lavoro di far variare il tempo di lavoro effettivo giornaliero o settimanale dei salariati impiegati, a condizione che il tempo di lavoro quotidiano o settimanale medio sia uguale alla grandezza fissata dai contratti.
Questa tecnica consente di fatto al datore di lavoro di far variare gli orari quotidiani o settimanali in funzione del carico di lavoro e di eliminare il pagamento degli straordinari. Questa doppia caratteristica - variabilità degli orari decisa dal datore di lavoro e riduzione, o addirittura soppressione, degli straordinari - spiega perché l'annualizzazione sia poco apprezzata dai salariati. In Italia, tutto questo non è regolamentato per legge come avviene altrove, ma è materia di contrattazione sindacale e non può essere deciso unilateralmente dal datore di lavoro. Si origina così un tipo di flessibilità che consente di alternare cassa integrazione e settimane lunghe di lavoro, quasi sempre in cambio di parzialissime riduzioni globali dell'orario di lavoro o di assunzioni di giovani in contratti a termine o part time o di squadre week end (24 ore lavorate il sabato e la domenica). Sono interessati da questo tipo di flessibilità soprattutto alcuni settori, come la meccanica e il tessile e la regolamentazione, quando ciò avviene attraverso diversi livelli contrattuali: il contratto nazionale di categoria e i contratti integrativi aziendali.

Asian Pacific Economic Cooperation (Apec)

Foro di cooperazione economica creato nel 1989 tra gli Stati Uniti, l'Australia, la Nuova Zelanda, il Giappone, la Corea del sud, il Canada, la Cina (e Hong Kong), Taiwan, il Messico, la Nuova Guinea, il Cile e i paesi dell'Afta (Indonesia, Thailandia, Malesia, Filippine, Singapore e Brunei). Nel 1994 i paesi dell'Apec hanno deciso di trasformare entro il 2010 il foro in una zona di libero scambio.

Arbitraggio


In generale designa ogni scelta tra due utilizzazioni concorrenti di una stessa risorsa rara (tempo, denaro, energia, ecc.). Sul mercato dei cambi (dove, due a due, si quotano i corsi delle diverse monete convertibili) la tecnica dell'arbitraggio consiste nel cercare di approfittare delle eventuali differenze di corso fra tre monete prese due a due o fra due monete quotate in modo leggermente diverso nello stesso momento su due piazze. Questa tecnica tende a imporre allo stesso momento un prezzo unico tra due divise su tutte le piazze e indipendentemente dalla combinazione di acquisto.
Facciamo un esempio: nello stesso momento a Parigi il marco è quotato 3 franchi e il dollaro 6 franchi, mentre il dollaro è quotato 2,1 marchi. Se compro 1.000 dollari mi costano 6.000 franchi. Con i quali compro 2.100 marchi che rivendo per 6.300 franchi. Questa operazione di arbitraggio mi ha fruttato, dedotte le spese di cambio, 300 franchi in pochi secondi. Il problema è che non sono il solo ad aver individuato questa opportunità. Nello stesso momento centinaia di altre persone effettuano operazioni di arbitraggio analoghe, talvolta con somme molto più ingenti. Ne consegue una forte domanda di dollari. La quotazione di questa moneta tende quindi a salire: quando il dollaro ha raggiunto il valore di 6,3 franchi, e anche un poco prima, tenuto conto delle spese di cambio, le operazioni di arbitraggio finiscono. In un certo senso si può dire che gli arbitraggisti (coloro che praticano l'arbitraggio) speculano. Ma contrariamente alle altre forme di speculazione, che consistono nello scommettere sul futuro e che possono portare a squilibri crescenti, si tratta di una speculazione che contribuisce a instaurare gli equilibri sul mercato dei cambi o tra due mercati diversi.

Area monetaria


Insieme di paesi che accettano di detenere le loro riserve in una determinata valuta e che si sottomettono a regole comuni: eventuale comunione delle loro riserve, tassi di cambio fissi tra di essi, creazione di organismi di concertazione e così via.
L'area monetaria più nota è l'area del franco (si veda franco Cfa). Ma esistono anche aree monetarie di fatto, quando una moneta decide di ancorarsi a un'altra moneta che è considerata come dominante. Così il fiorino olandese e lo scellino austriaco appartengono da molto tempo a una sorta di area del marco, in quanto le autorità che gestiscono queste monete le fanno variare in modo tale da mantenere la parità con il marco. Analogamente, il wong sudcoreano o il peso argentino sono ancorati con il dollaro e variano come questo sui mercati di cambio (al punto che si può addirittura considerare che il dollaro sia di fatto la moneta argentina).

Atto unico europeo


Insieme di emendamenti al trattato di Roma (atto costitutivo della Comunità economica europea) adottati in un'unica volta (da ciò deriva il termine unico) nel 1986 dai dodici membri (all'epoca) della Comunità europea. L'orientamento comune degli emendamenti è quello di sopprimere gli ostacoli non doganali (ad esempio normative differenti) che frenano la libera circolazione degli uomini, delle merci e dei capitali prevista dal trattato di Roma. Lo scopo è quello di instaurare un vero mercato unico tra i paesi dell'Unione, cioè una concorrenza basata sulla realtà dei costi di produzione e non falsata dalle diverse protezioni di cui beneficiano di fatto alcuni produttori grazie agli ostacoli non doganali che sussistono.

Autosufficienza


La capacità, da parte di una determinata nazione, di produrre quanto basta per soddisfare i propri bisogni. Per estensione indica la parte della domanda di una data zona geografica (una regione o addirittura un bacino di occupazione) che può essere soddisfatta attraverso una produzione realizzata in quella zona geografica (in questo caso si parla di grado di autosufficienza).

Azione


Titolo di comproprietà di una società. L'insieme delle azioni di una società corrisponde al suo capitale sociale.
La divisione di quest'ultimo in numerosi azioni ha lo scopo di facilitarne l'acquisto e la vendita. Le azioni delle società più importanti sono quotate in Borsa, perché ogni giorno le operazioni di compravendita su queste azioni sono sufficientemente numerose da far risultare il prezzo significativo. Il valore di un'azione non dipende solo dalla domanda e dall'offerta, vale a dire dall'apprezzamento che le persone interessate manifestano verso la società in questione, ma anche dalla redditività, cioè dagli utili che essa produce ed eventualmente distribuisce sotto forma di dividendi ai comproprietari. Il valore dipende anche dall'apprezzamento che gli eventuali acquirenti manifestano verso l'evoluzione dei benefici futuri; frequente che si misuri il price earning ratio, vale a dire il rapporto tra la quotazione in Borsa e gli utili netti realizzati. Questo rapporto rappresenta una misura del prezzo che si dovrebbe pagare per ricavare un determinato reddito da un titolo azionario.

Banca


Organismo finanziario che gestisce i conti di deposito a vista, il che gli permette di creare moneta scritturale, accreditando i conti in questione. L'attività bancaria è ben più complessa della sola gestione dei depositi a vista, Ciò nonostante quest'ultima che permette alle banche di avere una capacità di creazione monetaria, perché l'esistenza di conti a vista (moneta scritturale, ovvero materializzante il pagamento tramite una firma o un codice elettronico) dà loro la possibilità di effettuare crediti, ovvero prestare soldi creati dal nulla. Da qui l'espressione: i depositi fanno la moneta. Le banche hanno sviluppato altri numerosi servizi finanziari: gestione di fondi investiti, incasso di cedole e dividendi a beneficiò dei loro clienti, pagamenti all'estero, giroconti, prelevamenti automatici, ecc. La nuova legge bancaria italiana del 1993, che ha sostituito la precedente risalente al 1936, ha sancito il carattere di impresa dell'attività, eliminando la storica distinzione tra le banche di deposito (quelle la cui attività principale consisteva nella gestione di depositi a vista) e gli istituti di credito speciale (la cui attività principale consisteva nella gestione di fondi investiti a lungo termine). Nel corso degli anni '90, con la legge Amato, che prevedeva l'assunzione da parte delle banche di un assetto giuridico di Società per Azioni, si è aperta anche in Italia la fase di privatizzazione del sistema bancario. Inoltre, sotto la spinta della concorrenza si è avviata un'intensa attività di riorganizzazione del sistema attraverso operazioni di ristrutturazione, consistenti in fusioni e incorporazioni di banche.

Banca centrale


L'istituzione responsabile del sistema creditizio.
In rapporto agli obiettivi di politica monetaria ed economica, determina l'offerta di moneta da parte delle altre banche e la disponibilità di mezzi di pagamento. Detiene il monopolio dell'emissione della moneta a corso legale (biglietti). Le banche commerciali sono obbligate a rifornirsi di base monetaria presso la Banca centrale la quale, definendo il prezzo di approvvigionamento (tasso di interesse) dei fondi o imponendo restrizioni quantitative, influenza la politica di credito delle banche verso la loro clientela.
La Banca centrale non è necessariamente unica. In Italia fino al 1926 la Banca d'Italia condivideva il suo monopolio nell'emissione della moneta a corso legale con altre due istituzioni creditizie (Banco di Napoli e Banca di Sicilia). Negli Stati Uniti dodici banche hanno la possibilità di emettere carta moneta: esse si sono costituite in un Sistema di Riserva Federale. Da cui l'appellativo Fed per designare questo insieme impropriamente definito banca centrale americana. La Banca centrale non è necessariamente pubblica: in Italia essa, nata sotto le forme di istituto bancario privato, ha assunto formalmente solo nel 1936 la qualifica di istituto di diritto pubblico. Oltre ad avere il monopolio di emissione della moneta, la Banca centrale è incaricata della sorveglianza del sistema bancario, del controllo dei mercati dei cambi, della gestione delle riserve internazionali in oro e valuta. Ha inoltre il ruolo di prestatore di ultima istanza, ovvero è l'organo di rifinanziamento delle banche destinato ad evitare, a fronte di insolvenze di queste ultime, l'insorgere di fenomeni di panico (corsa allo sportello) dei depositanti.
Il Trattato di Maastricht prevede che le banche centrali dei paesi che adotteranno la moneta unica dovranno costituirsi in un Sistema europeo di banche centrali (Sebc) che eserciterà l'attività di Banca centrale delle Banche centrali, con l'obiettivo di definire gli indirizzi di politica monetaria. Le singole Banche centrali dei paesi partecipanti all'Euro finiranno con l'assumere funzioni di natura subordinata.

Banca dei regolamenti internazionali (Bri)


Organismo che ha sede a Bale (Svizzera) e al quale aderiscono e Banche centrali di tutti i paesi che hanno una moneta convertibile (del tutto o in parte). La Bri ha il compito di dettare regole di prudenza per la buona gestione dei movimenti di capitali tra i paesi. La Bri è stata creata nel 1935 per regolare i problemi i coordinamento tra monete appartenenti a zone monetarie differenti e non convertibili fra loro. In seguito è diventata uno strumento di scambio di informazioni tra banche centrali (in particolare, elabora un rendiconto statistico delle attività finanziarie ivi incluse le operazioni di cambio) e vigila affinché le banche non si espongano a rischi imprudenti che potrebbero generare panico sui mercati.

Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (Berd)


Istituzione finanziaria (impropriamente definita banca, dal momento che non gestisce depositi a vista e dunque non crea moneta), costituita nel 1992 con il fine di concedere prestiti a lungo termine o assumere partecipazioni nel capitale delle società operanti nei paesi in transizione (ex paesi dell'Est o dell'ex Unione sovietica).
Il capitale della Berd (la cui sede si trova a Londra) è stato versato dai paesi capitalisti industrializzati. La Berd ha come scopo quello di fornire capitale di rischio e cerca di ottenere dei profitti. Non si tratta dunque di un'istituzione a scopo umanitario, anche se l'importanza dei fondi che essa ha raccolto (una trentina di miliardi di dollari) le permette di finanziare acquisti di partecipazioni o prestiti a lungo termine.

Barriera


Nel linguaggio economico indica un ostacolo alla libera circolazione delle merci tra paesi (dazio doganale, quota di importazione, normativa sanitaria, ambientale, finanziaria o altro) o un ostacolo alla creazione o alla trasformazione di un'impresa (barriera all'entrata, barriera all'uscita). Nel primo caso (barriera tariffaria o non tariffaria), le regole commerciali internazionali limitano la loro utilizzazione: un paese, ad esempio, ha il diritto di imporre unilateralmente delle quote o delle restrizioni quantitative all'importazione solo per una durata limitata e in casi specifici (forte disorganizzazione di un ramo produttivo per effetto della concorrenza internazionale).
Allo stesso modo un paese non può aumentare unilateralmente i suoi dazi doganali. Le barriere all'entrata comprendono tutti gli ostacoli diretti a impedire a un nuovo arrivato di introdursi nella produzione di un dato bene o servizio. Tali ostacoli possono essere di origine legale (ad esempio un monopolio attribuito dal potere pubblico, utilizzazione di un brevetto, ecc.), ma più spesso sono di tipo economico: l'alto livello di pubblicità effettuata dai fabbricanti di detersivi ha lo scopo di impedire a un nuovo arrivato di introdursi facilmente sul mercato, non potendo farsi conoscere. Le barriere all'entrata riducono quindi il livello della concorrenza o possono servire a conservare delle forme di produzione monopolistica. Le barriere all'uscita sono quasi sempre economiche: un'impresa non può rivendere l'attività che le permetteva di produrre, di conseguenza l'azienda, anche se il suo rendimento è mediocre, è condannata a continuare l'attività. L'esistenza di barriere all'uscita (ad esempio sotto forma di investimenti specifici difficilmente rivendibili) ha lo stesso ruolo dissuasivo per i potenziali nuovi arrivati, che preferiranno lanciarsi in attività più facili da liquidare in caso di bisogno. Ecco perché in molti paesi poco industrializzati la borghesia locale preferisce finanziare investimenti commerciali o immobiliari anziché; investimenti industriali, per i quali le barriere all'uscita sono considerevoli a causa del loro carattere molto specialistico (è più difficile rivendere una pressa idraulica che un appartamento).

Bene collettivo


Un bene che procura vantaggi a un insieme di persone, cosicché nessuno è disposto a pagarne individualmente il costo.
Il finanziamento di un bene collettivo non può essere garantito da un prezzo, poiché ognuno ha tendenza ad adottare un comportamento da passeggero clandestino, scaricando sugli altri beneficiari l'onere del costo del servizio. Di conseguenza, il bene collettivo deve essere finanziato attraverso un prelievo obbligatorio su tutti gli utilizzatori, attuali o potenziali. L'esempio tipico del bene collettivo è la difesa del territorio: ognuno, individualmente, ha interesse a sfuggirvi, perché ciò evita di sopportarne le conseguenze - la mobilitazione, il pericolo ed eventualmente la morte - beneficiando allo stesso tempo della mobilitazione degli altri. L'illuminazione e il mantenimento di una strada, un collettore fognario, una rete di ripetitori televisivi o l'esistenza di una moneta stabile sono altrettanti esempi di beni collettivi, che legittimano, anche agli occhi dei liberisti, l'intervento pubblico, poiché l'imposta è il solo modo immaginabile di finanziamento di questi beni collettivi.
Ricordiamo perà che l'evoluzione delle tecnologie può trasformare un bene collettivo in un bene individuale: il pagamento per una strada, il decoder per una trasmissione televisiva criptata, ecc.. In compenso ci si rende conto che l'assenza di disoccupazione (produttrice di insicurezza e di economia sommersa) può essere considerata come un bene collettivo, poiché tutti ne traggono beneficio e non solo le persone che ritrovano un'occupazione: ciò quindi può; legittimare un finanziamento collettivo per la creazione di posti di lavoro.

Bene di consumo


Indica qualunque bene che non serve da base per un processo di produzione, quindi non destinato a essere trasformato in un altro bene.
Questa definizione implica che la divisione tra bene di consumo e bene strumentale non dipenda dalla natura del bene ma dal suo utilizzo. Ad esempio un'automobile è un bene di consumo se è acquistata da una famiglia per uno scopo non professionale (turismo, spostamento personale), ma diventa un bene di produzione se la stessa famiglia la acquista per uno scopo professionale (il medico per le sue visite, il droghiere per le consegne a domicilio, l'agricoltore per gli spostamenti di lavoro). In pratica questa distinzione all'interno delle famiglie è difficile, perché alcuni producono (lavoratori autonomi, commercianti, agricoltori) altri no. Ad esempio il farmacista può dichiarare un uso professionale della sua automobile ma utilizzarla anche per un uso familiare e per piacere personale. In compenso quando un'automobile - o qualunque altra cosa: inchiostro, libro, alcol - acquistato da un'impresa, il dubbio non è ammesso poiché la finalità di un'impresa è produrre.

Bene di produzione


Indica qualunque bene che entra in un processo di produzione, che sia durevole (bene strumentale) o meno (bene intermedio).

Bene intermedio


Indica qualunque bene non strumentale (e per estensione qualunque servizio) utilizzato nel corso di un processo di produzione.Il litro di benzina è un bene di consumo se è comprato per i propri spostamenti personali, un bene intermedio se serve a far funzionare il veicolo del rappresentante incaricato di vendere i prodotti dell'impresa. Così il concetto di bene intermedio, come quello di bene di consumo, è; legato non alla natura del bene, ma alla sua utilizzazione. Le materie prime e i prodotti semilavorati sono beni intermedi, ma alcuni prodotti, a seconda della loro destinazione d'uso, possono essere beni intermedi o beni di consumo. La peculiarità di un bene intermedio è quella di scomparire in quanto tale nel corso del processo di produzione e quindi di trasmettere il suo valore al prodotto che contribuisce a creare.

Bene strumentale


Indica qualunque bene la cui utilizzazione sia duratura. In genere si distinguono i beni strumentali delle famiglie, che sono beni di consumo il cui uso è; esteso per un periodo di tempo più o meno lungo, ma di almeno un anno (automobile, computer domestico, frigorifero, ecc.), e i beni strumentali delle imprese, la cui finalità è servire a un processo produttivo: gru, macchine utensili, attrezzature commerciali, ecc..

Big bang

Espressione inglese che designa la riforma della Borsa avvenuta nel Regno Unito nel 1986.
In effetti questa riforma è stata vissuta in modo traumatico dai diretti interessati, poiché gli operatori che fino ad allora beneficiavano di un monopolio di transazione (ad esempio gli agenti di cambio per le azioni) hanno perduto questo monopolio.
Da un punto di vista generale il Big bang ha fatto saltare le barriere tra i diversi mercati finanziari (mercato delle azioni in Borsa, mercato delle obbligazioni, mercato degli altri titoli), permettendo agli specialisti che intervenivano su ognuno di questi mercati di poter intervenire anche sugli altri. Ciò ha avuto l'effetto di creare nuovi titoli di natura mista: ad esempio le obbligazioni convertibili in azioni, i titoli a rendimento parzialmente variabile e così via.

Bilancia commerciale


Conto che registra gli scambi di merci (esportazioni, cioè vendite, e importazioni, cioè acquisti) tra un paese e il resto del mondo. Il saldo della bilancia commerciale misura la differenza tra le vendite e gli acquisti: permette di conoscere la quantità di divise (o valute estere) che è entrata o uscita dal territorio in base all'attività commerciale.
La bilancia commerciale è sempre meno significativa a causa della forte progressione degli scambi internazionali dei servizi, che non sono presi in conto dalla bilancia commerciale: assicurazioni, servizi finanziari, telecomunicazioni, trasporti, turismo, brevetti, riscossione di diritti (ad esempio ciò che è versato alla Walt Disney Company per l'utilizzo dell'immagine dei personaggi creati da Walt Disney), ecc. rappresentano ormai un terzo degli scambi di merci. Si può quindi immaginare un grande deficit della bilancia commerciale compensato da un'eccedenza negli scambi di servizi (o partite invisibili) o l'inverso

Bilancio

Documento contabile che stila l'inventario del patrimonio di un'impresa in un determinato momento, sotto il duplice punto di vista dell'utilizzo dei fondi (attività o natura degli averi) e della loro origine (passività). Per definizione, in un Bilancio attività e passività sono identici. Se tra due date le attività sono aumentate rispetto alle passività, ciò significa che l'impresa ha realizzato dei profitti (e se le attività sono diminuite rispetto alle passività sono state registrate delle perdite). È quindi il risultato (profitti o perdite) che assicura l'equilibrio del bilancio. Quando l'impresa fa parte di un gruppo, cioè quando possiede più del 20% delle azioni delle società che controlla o, all'inverso, quando è di proprietà o è controllata da un'altra società, la legge impone di stabilire un Bilancio consolidato, che addiziona gli elementi di ciascuna delle unità che compongono il gruppo (regola detta del consolidamento integrale) o che riporta solo una proporzione di questi elementi, pari alla quota di capitale detenuta (regola detta del consolidamento pro rata, autorizzata per i gruppi nei quali la società-madre detiene meno del 50% e più del 20% del capitale di altre società.

Bilancio sociale


Documento informativo sui dipendenti dell'impresa (età, anzianità di servizio, salario, formazione professionale, qualifica, assunzioni effettuate, licenziamenti registrati, ecc.) obbligatorio per tutte le strutture con almeno 300 dipendenti.
Il Bilancio sociale è un documento molto importante per valutare il rapporto che un'impresa stabilisce con i dipendenti. Purtroppo la conoscenza di questo documento è per lo più limitata ai suoi destinatari legali (amministrazione, rappresentanti del personale), mentre il Bilancio di qualunque società è accessibile a tutti, presso la cancelleria del tribunale di commercio o su semplice richiesta per tutte le società quotate in Borsa.

Bilateralismo


Contrapposto al multilateralismo, indica la conclusione da parte di un paese di un accordo commerciale preferenziale con un altro paese. Il multilateralismo implica che una concessione fatta a un paese sia estesa all'insieme degli altri paesi, in modo da non creare distorsioni alla concorrenza; al contrario il bilateralismo si basa sulla costruzione di rapporti privilegiati tra due paesi a spese degli altri.

Bureau international du travail (Bit)

Organismo esecutivo dell'Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo), che rappresenta una delle istituzioni specializzate dell'Organizzazione delle Nazioni Unite. Il Bit ha la particolarità di essere composto da rappresentanti delle organizzazioni professionali nazionali: sindacati di datori di lavoro, sindacati di lavoratori dipendenti. Il Bit è eletto dall'Assemblea generale dell'Ilo (per un periodo di cinque anni). Non ha potere esecutivo e si limita a emanare raccomandazioni. In compenso l'Ilo riunito in assemblea generale può votare delle decisioni. Ma queste decisioni non sono vincolanti per i paesi che fanno parte dell'Onu, in quanto i membri dell'Ilo non rappresentano dei paesi, ma delle organizzazioni professionali e non possono, quindi, impegnare la loro nazione.

Bolla speculativa

Indica quando, su un mercato, i prezzi di transazione aumentano ben al di sopra del loro livello normale. In realtà una bolla speculativa non riguarda i beni e i servizi, poiché un aumento dei prezzi spinge i produttori interessati ad aumentare la loro offerta, e ciò permette di riportare la situazione in equilibrio. Invece sui mercati finanziari (dove si trattano titoli) o immobiliari (proprietà fondiarie) o dei cambi (valute estere), la domanda può crescere senza un corrispettivo aumento dell'offerta, con il risultato di provocare la nascita della bolla. E questa domanda si impenna quando i prezzi aumentano ben al di sopra di quanto giustificherebbe il rendimento di queste attività. Ciò avviene perché gli acquirenti sperano di rivendere le attività in questione a un prezzo più alto di quello che hanno pagato: è la speranza del plusvalore, e non il rendimento dell'attivo, che spinge gli acquirenti a comprare. Ciò spinge i prezzi verso l'alto e materializza il plusvalore atteso. Questa situazione continua fino a quando comincia a farsi strada tra gli operatori il dubbio
sulla razionalità di un tale rialzo e gli acquirenti, per prudenza o diffidenza, si fanno meno numerosi. A questo punto la bolla speculativa si sgonfia bruscamente e tutti gli acquirenti cercano di rivendere prima che i prezzi scendano, provocando così una forte riduzione dei prezzi.
Le bolle speculative si formano in genere quando il rendimento di un'attività aumenta: ad esempio un aumento degli affitti permette ai proprietari di ottenere un reddito più alto che in passato. Questo aumento del rendimento attira i risparmiatori, ciò provoca un rialzo dei corsi di queste attività.
L'aumento accresce l'interesse ad acquistare l'attività: a un rendimento più alto si aggiunge la probabilità di un plusvalore se la crescita dei corsi continua. Così la domanda aumenta notevolmente e i prezzi salgono. Tuttavia una bolla speculativa non può durare a lungo: ciò implicherebbe che i prezzi aumentino più del rendimento, un fatto che sul lungo periodo è dissuasivo per i possessori di questo tipo di attività. La bolla esiste quindi solo finché la domanda aumenta, e si gonfia insieme alla domanda. Quando i prezzi sono saliti in modo eccessivo, il riassorbimento della bolla può essere molto lungo, tanto più che numerosi possessori non osano vendere, per paura di subire una perdita che, fino a quando l'attività in questione non sarà venduta, rimane solo potenziale.

Borsa


La borsa valori è; un mercato finanziario funzionante secondo regole formali sul quale vengono scambiati sia titoli di credito, rappresentativi di capitali investiti nelle imprese private e pubbliche (azioni e diritti di sottoscrizioni di azioni), sia titoli di debito, emessi da imprese pubbliche e dallo stato. La funzione di una borsa valori è quella di attirare il risparmio per consentire il finanziamento delle imprese (acquisto di azioni) e della pubblica amministrazione (acquisto di titoli pubblici) assicurando nel contempo a chi ha acquistato la liquidità degli stessi investimenti, attraverso la loro vendita in qualsiasi momento.
Perché ciò avvenga è necessario che il mercato borsistico abbia un certo spessore, ovvero vi sia un numero elevato di titoli in circolazione, sia garantita continuità di scambi per volumi di titoli elevati rispetto a quelli in circolazione (flottante), sia assicurata la trasparenza nel comportamento degli operatori, sia fornita adeguata informativa al pubblico, e che esista una componente speculativa (operatori specializzati) con la funzione di sostenere i corsi (quotazioni) dei titoli che non hanno trovato collocamento presso i risparmiatori, assicurando liquidità al mercato. Non tutte le società possono quotare le loro azioni presso la borsa valori; per la quotazione di un titolo è infatti richiesto alle società emettitrici il possesso di determinati requisiti fissati in appositi regolamenti.
Sul mercato borsistico gli ordini di acquisto e vendita della clientela sono effettuati da soggetti individuati per legge e i prezzi si formano dall'incontro della domanda e dell'offerta. Esiste anche una borsa di commercio, nella quale si scambiano lotti di materie prime.
In Italia, sono quotati in borsa circa 300 titoli azionari di società private e pubbliche. Le contrattazioni avvengono con continuità e contemporaneamente per i vari titoli e la formazione dei prezzi avviene sulla base di un'asta fra ciascun possibile richiedente e offerente titoli e una serie di operatori specializzati. Organo di diritto pubblico fin dalla sua costituzione, la Borsa Italiana è stata privatizzata nel 1997 e il suo capitale sociale è diviso tra banche, Sim (Società di intermediazione mobiliare), società di gestione dei fondi, compagnie di assicurazione, Sicav e alcuni intermediari esteri. La borsa è soggetta al controllo da parte di una Commissione Nazionale per le Società e la Borsa (Consob), che vigila sul funzionamento del mercato e sulla regolarità degli scambi, sulla veridicità delle informazioni diffuse dalle società, sul reato di abuso di informazioni riservate da parte di azionisti che ricoprano cariche all'interno della società (insider trading). Alla Banca d'Italia compete il controllo della stabilità degli intermediari. Gli intermediari che eseguono gli ordini di acquirenti e venditori sono la banche e le cosiddette Sim, che a partire dal 1991 hanno preso il posto degli agenti di cambio.

Budget

Documento che valuta l'ammontare delle spese e delle entrate previste da un attore economico per un periodo futuro determinato. Nel caso dello stato, il budget corrisponde alla legge finanziaria, perché; il progetto di budget presentato dal governo è votato dal Parlamento. Normalmente il governo non ha il diritto di spendere oltre ciò che è previsto dalla legge finanziaria. Per questo motivo, una o più volte l'anno sono presentate leggi finanziarie di rettifica al Parlamento, perché quest'ultimo le ratifichi o lo emendi. Una volta chiusi i conti dell'anno, il governo presenta al Parlamento un progetto di legge di regolamento (saldo) destinata a valutare gli scarti tra le leggi finanziarie adottate e la realtà amministrativa. Il principio di base delle finanze pubbliche è l'annualità del budget: un'autorizzazione di spesa e di entrata votata dal Parlamento vale solo per quell'anno. Questa regola mira ad impedire che il governo non sottostia al controllo del Parlamento per tempi troppo lunghi. Ma rischia anche di ingenerare delle perturbazioni quando si tratta di autorizzare delle spese scaglionate su più anni (per esempio, programmi di investimento). Per questo il Parlamento procede alle autorizzazioni di programmi frazionati in diverse annualità.
Per semplificare la procedura di budget è abituale che si discuta in Parlamento solo delle nuove misure. Tale procedura comporta il rischio che una misura, già votata e rinviata di anno in anno, non venga ridiscussa, con il rischio di incoraggiare l'inerzia e lo spreco. Per questo a intervalli regolari si procede al congelamento degli stanziamenti o alla loro riduzione, in modo da costringere ogni ministero a interrogarsi sulla sensatezza e l'efficacia relativa delle spese.
Il budget dello stato non ha solo lo scopo di fissare l'ammontare delle imposte e l'importanza dei servizi collettivi che saranno finanziati grazie a lui. Anche se si trattasse solo di questo, rivestirebbe un'importanza considerevole, poiché l'ammontare e la ripartizione delle imposte fa sì; che il peso dei prelevamenti pesi in modo diverso a seconda dei cittadini. Così non deve meravigliare che le categorie più colpite dalle tasse abbiano la tendenza a chiedere una limitazione dei servizi collettivi e delle spese pubbliche, mentre al contrario le categorie meno toccate cerchino di far sviluppare i servizi di cui beneficiano.
Al di là di questo conflitto, il budget dello stato gioca un importante ruolo congiunturale. Questo deriva dalle sue dimensioni e soprattutto dal fatto che lo stato è praticamente il solo agente economico che si può indebitare per stimolare la domanda in caso di necessità (e che all'inverso la possa ridurre riducendo le spese). In altri termini, la decisione di spendere o no non ha come sua unica finalità quella di determinare il livello dei servizi collettivi, ma anche di stimolare (o frenare) l'insieme dell'attività economica. Da questo punto di vista, lo stato è un agente diverso dagli altri: le sue decisioni mirano ad assicurare il bene collettivo della nazione, e non solamente il suo interesse o quello delle maggioranze che votano in Parlamento.

Bundesbank


Banca centrale tedesca, soprannominata familiarmente Buba. Sebbene sia statale, i suoi amministratori sono scelti (per otto anni) tra personalità riconosciute del mondo bancario e sono irrevocabili, il che garantisce loro una grande indipendenza nei confronti del potere politico.

Cambio


Passaggio da una moneta a un'altra. Il tasso di cambio misura la quantità di moneta iniziale necessaria per ottenere un'unità della moneta finale.
Il cambio non riguarda il passaggio da una forma di moneta a un'altra, poiché anche se si modifica la forma (ad esempio prelievo di denaro su un conto corrente con il passaggio da una moneta contabile sul conto corrente a una moneta fiduciaria in banconote), è sempre la stessa unità monetaria che sussiste: una lira in moneta e una lira su un conto corrente misurano un identico potere di acquisto. Il cambio riguarda quindi solo il passaggio da un'unità monetaria a un'altra, ad esempio una lira in cambio di un marco.
Il sistema di cambio è disciplinato da norme internazionali. I paesi che accettano determinate regole costituiscono un sistema monetario internazionale contrassegnato da un sistema di cambio comune. In un sistema di tasso di cambio con un'unità di riferimento (oro, argento o qualsiasi altra merce in grado di svolgere un ruolo di riferimento), ogni moneta è definita da una quantità di merce-riferimento e questa parità
legale è accompagnata da una parità concreta: una banca (la Banca centrale) è incaricata di fornire ai portatori di unità monetarie che lo desiderano l'ammontare di merce-riferimento corrispondente alla parità legale e viceversa. Questa funzione (detta convertibilità) assicura il funzionamento del sistema: se il tasso di cambio tra due monete appartenenti allo stesso sistema differisce dal rapporto tra le parità legali (ad esempio 1 grammo di oro per 5 lire e 5 grammi di oro per un dollaro, cioè un rapporto di 1 a 5), alcuni avranno interesse a cambiare le loro unità monetarie in cambio di una certa quantità di merce-riferimento, a trasferire quest'ultima nell'altro paese e qui a cambiare la quantità di merce-riferimento ottenuta con unità monetarie del secondo paese. Questa possibilità impedisce ai tassi di cambio effettivi di allontanarsi stabilmente dal tasso teorico ottenuto per comparazione delle parità legali. Di conseguenza il sistema monetario con un'unità di riferimento è stabile.
In un regime di cambi fluttuanti non c'è un'unità di riferimento, quindi non c'è una parità legale e non c'è convertibilità indiretta. Fra due monete il cambio è fissato attraverso procedure di mercato: alcuni venderanno la moneta che possiedono in cambio di quella che desiderano ottenere, altri compreranno, così alla fine si fisserà il prezzo, che può variare da un istante all'altro. In un sistema del genere la variabilità del cambio genera incertezza e instabilità. Per affrontare questo rischio gli operatori hanno tendenza a coprirsi, cioè a trasferire su operatori particolari (e strumenti particolari) il rischio di cambio. Questi operatori sono gli speculatori cioè coloro che cercano di approfittare delle fluttuazioni del corso del cambio tra due monete. Ma facendo ricorso agli speculatori si influenza a sua volta il livello e l'evoluzione del cambio.
In questo modo le operazioni di copertura tendono a ridurre il rischio per un operatore particolare (colui che si è coperto) e lo aumentano per tutti gli altri (a causa delle maggiori fluttuazioni generate sul mercato dalle operazioni speculative).
Il regime di cambio basato sull'oro (Gold Exchange Standard) poggia su un insieme di regole ancora diverse: una sola moneta (o eventualmente un numero limitato di monete) è convertibile nell'unità di riferimento sulla base della parità legale. Questa moneta è chiamata moneta chiave o moneta sole. Le altre monete sono convertibili a tasso fisso nella moneta chiave. Questo sistema di cambio assicura gli stessi vantaggi di un tradizionale sistema di cambio con un'unità di riferimento: il cambio è stabile. Tuttavia si basa su altre regole, perché questa stabilità si fonda sulla capacità di ogni banca centrale, che gestisce una moneta diversa dalla moneta chiave, di vendere e comprare a tasso fisso la moneta chiave. Solo il paese che emette la moneta chiave è costretto a convertire quest'ultima nell'unità di riferimento. Questo sistema (che ha funzionato dal 1945 al 1973 tra i principali paesi capitalistici industrializzati) presuppone quindi che il paese della moneta chiave disponga di una riserva dell'unità di riferimento (oro in questo caso) sufficiente a soddisfare l'eventuale domanda di conversione, e che gli altri paesi partecipanti dispongano di riserve di moneta chiave sufficienti per assicurare la convertibilità della loro moneta. L'insufficienza di riserve non rappresenta un grave problema per un paese che non emette la moneta chiave: ha la possibilità di svalutare, cioè di modificare il tasso fisso di cambio tra la sua moneta e la moneta chiave.
Ciò fa aumentare il prezzo della moneta chiave e quindi si riduce la richiesta di quest'ultima. In compenso se l'insufficienza di riserve riguarda il paese che emette la moneta chiave, è l'intero sistema a risultare destabilizzato, poiché; viene rimessa in discussione la regola di base della convertibilità nell'unità di riferimento. È per questa ragione che il Gold Exchange Standard è entrato in crisi nel 1971 ed è ufficialmente scomparso nel 1973.

Capitale

Nel significato più frequente, quello finanziario, il capitale designa una somma di denaro investito in grado di produrre interessi (se si tratta di un prestito) o dividendi (se si tratta di titoli di proprietà). Per estensione il termine è andato a designare gli apporti di fondi che i comproprietari di una società effettuano in base alla loro proprietà (capitale in senso contabile), le attrezzature utilizzate dall'impresa per produrre (capitale in senso tecnico) e infine, nel linguaggio marxista, il rapporto di proprietà che permette ai membri di un gruppo sociale (la borghesia) di comprare le forze di produzione (per quelle umane si parla di capitale variabile, per quelle meccaniche di capitale costante) in grado di generare un plusvalore, cioè un valore superiore a quello di partenza.
Questa varietà di significati non aiuta alla comprensione del termine. Ma è evidente che esistono numerose relazioni tra i diversi significati. Il capitale (nel significato tecnico, finanziario o marxista) permette di organizzare una produzione, quindi di produrre dei redditi che sono oggetto di una distribuzione più o meno conflittuale tra chi lavora e chi possiede.
La questione discussa dai teorici riguarda il carattere produttivo del capitale. Per i marxisti il discorso è chiaro: solo il lavoro crea valore, mentre il capitale, anche se genera un reddito, non può farlo che a scapito di coloro che producono.
Per gli economisti neoclassici, invece, il capitale è un fattore di produzione come il lavoro, così come nella caccia all'orso il fucile partecipa al risultato almeno quanto l'abilità di chi lo maneggia. Questi economisti ritengono quindi che ogni fattore di produzione debba ricevere un contributo misurato dalla sua produttività marginale, cioè dal surplus di produzione generato dall'utilizzo di un'unità supplementare del fattore di produzione interessato, mentre la quantità degli altri fattori di produzione rimane invariata. è quello che succede se si lascia giocare liberamente e completamente la concorrenza: le forze di mercato tenderanno a dare a ogni fattore produttivo la sua giusta parte, così la concorrenza produce il funzionamento ottimale del sistema economico.

Capitale culturale

Designa l'insieme delle conoscenze, disposizioni, gusti, che spesso si concretizzano sotto forma di titoli (es.: professore ordinario) o diplomi (es.: un dottorato) che, ottenuti da una persona, le permettono di occupare un determinato rango sociale. Concetto elaborato da Pierre Bourdieu, il capitale culturale non è acquisito sin dalla nascita, contrariamente al capitale economico, che semplicemente si eredita perché si è figli di qualcuno. Il capitale culturale deve essere incorporato, vale a dire integrato alla persona stessa: prima questa incorporazione inizia, nella prima infanzia, sotto forma di designazione di ciò che è bene e di ciò che è; male, di quel che è brutto e di quel che è bello, più l'incorporazione è forte. Il che spiega i vantaggi di cui godono i figli delle famiglie agiate. Ma l'incorporazione non avviene solo in famiglia: si compie anche nell'istituzione scolastica. Tanto più a lungo dura, tanto più è forte: ancora una volta, i figli dei benestanti possono investire di più, e per più tempo, rafforzando così il loro vantaggio. Il capitale culturale, infine, si concretizza con un diploma che, allo stesso modo di un titolo nobiliare, assicura a chi lo possiede, soprattutto se è raro e distintivo, un vantaggio per tutta l'esistenza.

Capitale di rischio

Investimento effettuato nel capitale di un'impresa che, non avendo ancora o sufficientemente dato prova delle proprie capacità, produce per il risparmiatore il rischio di perdere tutto o parte dei suoi averi.
In cambio di questo rischio elevato, se l'impresa ha fortuna vi possono essere profitti altrettanto elevati. Si indica con il nome di società a capitale di rischio le società finanziarie specializzate nella raccolta di risparmi da investire in nuove imprese ad alto rischio. L'interesse di queste società a capitale di rischio è di ripartire il rischio in questione: se una delle imprese nelle quali l'investimento è effettuato scompare mentre l'altra fa buoni affari, la società a capitale di rischio che aveva finanziato le due imprese può compensare i risultati, e i detentori del capitale di questa società, la cui sola finalità è finanziaria, sono esposti a meno rischi.

Capitale economico

Nella sociologia di Pierre Bourdieu indica le doti materiali di cui dispone un individuo per assicurarsi una posizione nella società.
Capitale culturale e capitale economico costituiscono i due tipi fondamentali di capitale, cioè le doti di cu dispone persona per farsi un posizione in una determinata società. Ma mentre il primo tipo di capitale - quello culturale - necessita di un lavoro o di uno sforzo, quanto meno per superare gli esami, il secondo è generalmente il frutto di un'eredità.

Capitale simbolico

Concetto sociologico proposto da Bourdieu in base al quale la disposizione di capitale (economico o culturale) fornisce a colui che lo possiede una credibilità, una base, un'autorità che gli permette di disporre di elementi per accedere a una posizione sociale accettata e riconosciuta dagli altri. Il capitale simbolico è quindi un modo per farsi riconoscere e legittimare nella posizione che si occupa. Ad esempio, un manager che gestisce un'impresa che non gli appartiene sarà meno accettato di quello che possiede personalmente la quasi totalità del capitale sociale della società.

Capitale sociale

Termine contabile che indica gli apporti iniziali versati dai comproprietari di una società (da cui la definizione sociale) in cambio di azioni che danno carattere concreto alla comproprietà della società. In senso sociologico (sviluppato in particolare da Pierre Bourdieu) il capitale sociale indica le diverse specie di capitale (economico o culturale) che in una difficoltà permettono di accedere a una determinata posizione sociale.

Capitale umano

Termine creato da Theodore Schultz e reso popolare da Gary Becker, entrambi professori dell'università di Chicago e premi Nobel per l'economia. Si ha la costituzione di capitale umano tutte le volte che un uomo acquisisce conoscenze o capacità che migliorano la sua efficienza produttiva (ad esempio permettendogli di lavorare con macchine più complesse). Il capitale umano si acquisisce in due modi: con l'esperienza (ciò spiega perché una persona con più esperienza è meglio retribuita di un principiante) o con la formazione. La costituzione di capitale umano, poiché rende coloro che lo acquisiscono più produttivi, genera un aumento del loro reddito.
Si tratta quindi di un investimento, esattamente come l'investimento in attrezzature produttive: ognuno calcola il costo dell'investimento (ad esempio il tempo passato a fare corsi di formazione, la rinuncia a un salario che questa formazione implica) e il suo rendimento (il flusso di redditi supplementari che tale formazione comporta). E ognuno può quindi determinare, in base alle proprie attitudini personali e al rischio di abbandono della formazione, quale durata e quale tipo di formazione renderà di più e fino a che punto è utile seguire una formazione. La teoria del capitale umano è fondamentalmente neoclassica, poiché fornisce una base razionale e individualistica alla decisione di proseguire o meno nei propri studi. È comprensibile quindi che abbia suscitato le riserve di molti economisti che, pur riconoscendo l'utilità della formazione nel generare aumenti di produttività, sono dubbiosi sul fatto che questa formazione obbedisca a un calcolo costi/benefici di tipo individuale.
Ciò significherebbe cancellare ogni componente sociale o collettiva, e riconoscere implicitamente che coloro che continuano gli studi sono più dotati. Resta il fatto che l'analisi sottolinea un punto interessante: il capitale umano appartiene alla persona e non può diventare proprietà dell'istituzione che lo utilizza. Questo fa capire meglio perché le imprese siano reticenti a finanziare la formazione continua: si rischia infatti di veder svanire l'investimento fatto (il costo della formazione), a favore di un concorrente che non ha finanziato questa spesa e ne trarrà vantaggio.

Capitalismo

Sistema sociale caratterizzato dalla proprietà privata dei mezzi di produzione e dallo smercio di quest'ultima su mercati in cui domanda e offerta si incontrano attraverso le variazioni dei prezzi. La ricerca del profitto, conseguenza della proprietà privata dei mezzi di produzione, gioca un ruolo fondamentale per orientare la produzione e per finanziare gli investimenti.
Riguardo al capitalismo, tre questioni assillano gli storici, gli economisti e i sociologi. Prima di tutto, quando e sotto quale influenza è nato? E poi, durerà nel lungo periodo? E infine: si deve parlare di capitalismo o di capitalismi (al plurale)?
La prima domanda, quella sulla sua origine, è ben lontana dall'avere una risposta, anche se una posizione comune si va delineando. Si tende a collocare nel diciassettesimo secolo, con la generalizzazione e l'estensione dei mercati, l'avvio del capitalismo. Braudel ha mostrato che, anche se esistevano da molto tempo mercati locali, la comparsa di mercati internazionali ha generato una classe sociale di mercanti e banchieri che costituisce il fondamento della grande borghesia. La rivoluzione industriale all'opera dalla metà del Diciottesimo secolo accelera questo processo, sconvolgendo le tecniche tradizionali (forte riduzione dei costi di produzione) e permettendo la comparsa di imprenditori. Resta il fatto che questa unione tra il mercato e l'innovazione tecnica è stata senza dubbio da particolari condizioni culturali. Max Weber ha sottolineato l'importanza di questo contesto, che ha favorito l'emergere di una volontà di successo materiale nei paesi in cui il puritanesimo era diventato dominante.
Quanto alla durata del capitalismo sul lungo periodo, molti studiosi l'hanno messa in discussione, a cominciare da Marx: egli riteneva che le contraddizioni interne al sistema avrebbero finito per avere la meglio. Marx metteva in luce le crescenti difficoltà di rendimento del capitale in un sistema che non cessa di aumentare il capitale (tecnico) per persona impiegata. D'altro canto Schumpeter riteneva che la comparsa di un'economia complessa avrebbe inevitabilmente provocato fenomeni di burocratizzazione e quindi il declino degli imprenditori, cioè di coloro che innovano e che hanno fatto del capitalismo un sistema dinamico. Keynes sottolineava le possibili incongruenze tra produzione e mercati, e riteneva che il capitalismo, abbandonato a se stesso, avrebbe generato inevitabilmente sottoccupazione.
È questa la ragione per cui il capitalismo, per funzionare correttamente, ha bisogno di una regolazione pubblica: il mercato non basta perché; si tratta di una regolazione microeconomica (ogni agente si adatta all'ambiente in cui si trova), mentre il sistema ha bisogno di una regolazione macroeconomica (l'insieme del sistema a essere interdipendente). Al contrario i liberisti mettono in rilievo le virtù del mercato e della concorrenza: il primo è autoregolatore e costringe ogni operatore ad adattarsi (l'analisi di Hayek, per il quale il mercato è portatore di una quantità infinitamente maggiore di informazioni rispetto a qualunque modello centralizzato).
A sua volta la concorrenza riduce continuamente le rendite di posizione e costringe all'innovazione, garantendo al tempo stesso una forte crescita. Il dibattito è ben lungi dall'essere chiuso.
Quanto al terzo quesito, sull'unicità o sulla pluralità del capitalismo, sembra esserci maggiore accordo: anche se l'economia mercantile si basa ovunque su meccanismi simili, le relazioni che si stabiliscono tra gli attori sociali sul mercato intrecciano strettamente economia, cultura e storia. Michel Albert (e prima di lui Andrew Shonfield) ha messo in evidenza l'esistenza di un capitalismo renano, che funziona grazie a una cogestione tra gli attori sociali, e un capitalismo anglosassone basato su meccanismi di mercato più puri. Il capitalismo che si è sviluppato in Giappone assume ancora un'altra forma, unendo stato e grandi imprese in una specie di fronte cmune cementato dal nazionalismo. È probabile che il capitalismo nascente nelle economie in transizione (paesi dell'Europa orientale ed ex Urss) sarà ancora diverso.

Capitalismo familiare

Tipo di capitalismo nel quale la proprietà del capitale è per lo più nelle mani di famiglie che controllano le società più importanti.
Il capitalismo italiano è un classico esempio di capitalismo familiare: la maggior parte delle grandi società è controllata da famiglie, e la Borsa serve solo da appoggio per finanziare queste società. Il capitalismo familiare ha una particolarità: le famiglie, per mantenere il loro potere, ricorrono ad aumenti di capitale in Borsa. Da ciò deriva una fragilità finanziaria probabilmente maggiore rispetto ad altri tipi di capitalismo.

Capitalismo finanziario

Concetto sviluppato da un economista marxista dell'inizio del Ventesimo secolo, Rudolf Hilferding e ripreso da Lenin per spiegare l'evoluzione del capitalismo in cui le banche (e le istituzioni finanziarie) detengono una parte crescente del capitale.
L'ipotesi alla base del capitalismo finanziario è che il controllo del capitale da parte degli organismi finanziari (banche, società di assicurazione, fondi pensione, ecc.) modifica profondamente il funzionamento stesso del sistema economico: quando i proprietari sono ai posti di comando si sforzano di non sacrificare il lungo termine al breve termine. Al contrario la logica strettamente finanziaria porterebbe le istituzioni finanziarie a privilegiare i vantaggi immediati, anche se a detrimento della crescita futura.
Inoltre Rudolf Hilferding riteneva che la forza degli organismi finanziari avrebbe inevitabilmente generato scontri tra i grandi gruppi finanziari e Lenin vi vedeva la fonte delle lotte imperialistiche per la spartizione del mondo e delle sue risorse. Non è certo che il capitalismo finanziario produca tutti questi mali, ma indubbiamente contribuisce a modificare il funzionamento stesso del sistema economico: è sufficiente paragonare il modo in cui sono gestite le imprese americane (largamente controllate dal capitale finanziario) e le imprese tedesche (nelle quali i gruppi finanziari svolgono un ruolo minore). Di conseguenza alcuni (ad esempio Michel Albert) contrappongono un capitalismo renano a un capitalismo anglosassone.

Capitalismo manageriale

Concetto proposto da Adolf Berle (economista americano) negli anni Trenta per indicare la delega sempre più frequente da parte dei proprietari del loro ruolo di amministratori a dipendenti di alto livello incaricati di seguire lo sviluppo dell'impresa.
Questa evoluzione è accentuata dalla vendita sul mercato borsistico di una parte spesso importante delle azioni detenute inizialmente dalle famiglie proprietarie. In questo modo il capitale delle grandi imprese assume un carattere molto diluito e diventa più facile la nomina di un manager, poiché nessun azionista detiene realmente il potere.

Capitalismo monopolistico di stato

Corrente di pensiero marxista secondo la quale la forza delle grandi imprese è tale che lo stato, per evitare un eventuale calo dei loro rendimenti, mette a loro disposizione i suoi potenti mezzi: mercati pubblici, regime fiscale privilegiato, sovvenzioni e così via.
Questa analisi si basa sull'ipotesi che la crisi economica degli anni Settanta sia stata la conseguenza di un declino del rendimento del capitale: l'investimento è diventato eccessivo rispetto alle capacità di generare un profitto sufficiente a remunerarlo correttamente. In un primo tempo le imprese si sono sforzate di controbattere questa tendenza concentrandosi: speravano così, attraverso un accresciuto potere di monopolio, di conservare la capacità di spartirsi una parte sufficiente di profitto. Da ciò il termine capitalismo monopolistico.
Ma questa concentrazione non è bastata. È stato necessario allora mobilitare l'apparato statale, che attraverso complessi meccanismi (sovvenzioni, particolari strumenti fiscali, mercati pubblici, sostegni alle esportazioni o addirittura, in campo siderurgico, l'acquisto a condizioni di favore di un apparato produttivo troppo costoso) è andato in aiuto di un capitale non più in grado di garantire il profitto con i propri mezzi. Sviluppata soprattutto in Francia (da parte di Paul Boccara), questa analisi è improvvisamente invecchiata con la restaurazione degli alti profitti delle imprese.

Capitalismo sociale

Definizione che indica come il capitalismo non debba avere solo la funzione di generare profitto per i proprietari del capitale, ma anche vigilare su una corretta distribuzione della ricchezza per il maggior numero possibile di persone. Sono soprattutto gli ambienti vicini alla chiesa cattolica, nel Diciannovesimo secolo, che chiedono una trasformazione più sociale del capitalismo. In questa presa di posizione si deve probabilmente vedere il timore che le masse popolari, in una situazione di eccessiva disuguaglianza sociale, finiscano per ribellarsi.
Ma oltre agli ambienti del cattolicesimo sociale alcuni imprenditori illuminati presero coscienza dell'assenza di una mano invisibile in grado di riconciliare gli interessi degli uni e degli altri, e si sforzarono di introdurre elementi sociali nel capitalismo dell'epoca.

Cartello

Gruppo di produttori che concludono un accordo di limitazione o di soppressione della concorrenza attraverso una divisione del mercato (attribuzione di quote o di parti di mercato) o attraverso la fissazione del prezzo.
Provocando limitazioni della concorrenza, il cartello è di solito vietato in ambito nazionale. Nell'Unione europea, ad esempio, qualunque accordo di cartello è punito con severe sanzioni pecuniarie da parte del Consiglio della concorrenza.
Invece in campo internazionale, mancando una legislazione, la costituzione di cartelli non è vietata. L'esempio più noto è quello dell'Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio (Opec). Ma questo esempio mostra bene le difficoltà a far funzionare concretamente un cartello, poiché tutti i membri hanno interesse che gli altri rispettino l'accordo cercando allo stesso tempo di sottrarsi alla disciplina collettiva (nel caso in questione cercando di vendere oltre le quote previste).
Per questo motivo un cartello può funzionare solo per un periodo di tempo limitato (in occasione di una crisi particolarmente grave) o sotto il controllo di un'autorità efficace (in genere l'impresa o il paese più potente).

Ciclo

Indica delle regolarità osservabili nell'evoluzione del livello di attività economica all'interno di un paese o di un insieme di paesi. Il ciclo è costituito da una fase di crescita relativamente forte (espansione), seguita da una fase di rallentamento che conduce a un punto di inversione (la crisi) con la quale ha inizio una fase di depressione, contrassegnata da una riduzione dell'attività, fino a un punto dal quale si osserva una ripresa, che dà il via a una nuova fase di espansione e così via. Sempre più spesso si parla di ciclo senza che vi sia crisi e depressione, cioè senza che vi sia una riduzione assoluta dei livelli di attività, ma solo un rallentamento del ritmo di crescita (recessione) e il punto basso del ciclo non indica un livello di attività inferiore al punto di inversione, ma il livello più debole della crescita. Questo nuovo ciclo è quindi caratterizzato da una progressione continua dell'attività: quello che varia è; il ritmo di crescita di quest'ultima e non il suo livello assoluto.
I cicli economici sono una realtà conosciuta da tempo, basti pensare ai sette anni di vacche grasse e i sette anni di vacche magre dell'Antico Testamento. Nel ciclo delle economie tradizionali il punto di avvio era in genere naturale: un cattivo raccolto o una successione di cattivi raccolti, provocava un forte aumento dei prezzi delle derrate agricole, seguiva una riduzione del livello di alimentazione delle classi più povere, quindi
un aumento della mortalità fino al riequilibrio del rapporto popolazione/cibo (attraverso una diminuzione della popolazione o un aumento della produzione). In questo ciclo tradizionale, dal ritmo molto incerto, l'evoluzione dei prezzi andava in senso inverso rispetto a quello della produzione: i prezzi aumentavano quando questa diminuiva, scendevano quando quella cresceva.
È il contrario nei cicli contemporanei: i prezzi calano quando gli affari vanno male, tendono a salire quando la situazione è migliore. E la demografia, nonostante i timori di Malthus e di Ricardo, non svolge più quella funzione di regolazione che permetteva di adattare la popolazione alle risorse.
Si distinguono in genere tre tipi di cicli, corrispondenti a tre diversi intervalli di tempo. Il primo è; il ciclo di breve periodo: il tempo necessario per un investimento, deciso nell'istante t, diventa operativo e si traduce in un aumento dei produzione.
L'esempio più noto è il ciclo del maiale: supponiamo che il prezzo del maiale aumenti non essendoci una produzione sufficiente rispetto alla domanda. Alcuni produttori, osservando questo aumento, decidono di allevare più maiali. Tenuto conto dei tempi necessari, quindici mesi dopo, la presenza di maiale sul mercato aumenta, tanto più che molti produttori avranno preso la stessa decisione senza essersi concertati. Alla domanda insufficiente segue la sovrapproduzione: i prezzi crollano.
Alcuni produttori sono rovinati gli altri riducono la produzione, non abbastanza redditizia. La sovrapproduzione si riduce a poco a poco, lasciando il posto a una nuova offerta insufficiente una quindicina di mesi dopo l'inizio della crisi. Questo ciclo è caratteristico di alcune attività ed è legato all'inevitabile sfasamento esistente tra la decisione di investire e l'arrivo sul mercato della produzione. Inoltre le conseguenze del ciclo sono particolarmente accentuate perché queste attività sono poco concentrate e poco coordinate dalle istituzioni professionali.
Può accadere che questi cicli caratteristici per alcune attività sommino i loro effetti e producano fluttuazioni di portata generale (si parla allora di cicli Kitchin, della durata media di tre anni). Ma spetta alla politica economica eliminare queste fluttuazioni, impedire che si propaghino all'insieme dell'economia attraverso i redditi e i prezzi.
Il secondo tipo di ciclo riguarda l'economia nel suo insieme ed è chiamato ciclo Juglar, dal nome dell'economista statistico francese Clément Juglar che per primo mise in evidenza la sua esistenza. All'incirca in otto-nove anni l'insieme dell'economia sembra percorrere le diverse fasi del ciclo: crisi, depressione, ripresa, espansione, e le ultime due fasi sono un poco più lunghe delle prime due. Ciò, secondo Juglar, rende compatibili il ciclo e la crescita di lungo periodo: ogni punto alto è un po' più alto del precedente, misurato otto o nove anni prima. Tra le due guerre è apparsa una vasta letteratura scientifica sull'origine di questi cicli; alcuni vi vedevano il risultato di cause esterne alla sfera economica (ad esempio le scoperte di oro), altri le attribuivano al funzionamento stesso dell'economia. Quest'ultima è la tesi generalmente accettata oggi. La questione dei cicli Juglar ha perso molto del suo interesse via via che si attenuava l'ampiezza delle fluttuazioni.
Ma la riduzione dell'intervento pubblico, la perdita di efficacia delle politiche nazionali in seguito alla globalizzazione contribuiscono oggi a rendere attuale il problema del ciclo Juglar. A quanto pare questo ciclo nascerebbe dal funzionamento stesso dell'economia di mercato: tassi di profitto in aumento spingono all'investimento, che stimola i redditi e quindi il consumo, fino al punto in cui il surplus di produzione dovuto all'investimento arriva sui mercati e produce una contrazione dei prezzi, quindi una riduzione del rendimento e uno stop della crescita o quanto meno una minore progressione dell'investimento. Non è un caso che questi cicli Juglar siano scomparsi nel corso degli anni 1950-1970, nel momento in cui una regolazione pubblica relativamente forte ha permesso di anticipare l'evoluzione spontanea dei mercati e di prendere decisioni a lungo termine.
Il ciclo Kondrate (dal nome dell'economista russo dell'inizio del secolo che ha suggerito la loro esistenza) è di durata molto più lunga: una cinquantina di anni, con una ventina di anni di stagnazione o di recessione e una trentina d'anni di forte crescita. Questo ciclo si inserisce meglio del ciclo Juglar nel contesto attuale: i “Trenta gloriosi” (1950-1975) avrebbero costituito la fase di sviluppo di un ciclo lungo, mentre da una ventina di anni ci troveremmo nella fase di declino dello stesso ciclo lungo. Schumpeter, l'economista austriaco morto negli Stati Uniti nel 1950, ha proposto una spiegazione di questo tipo di ciclo. Sarebbe il risultato di onde - grappoli - di innovazioni legate a una scoperta principale. L'elettricità e la chimica all'inizio del secolo, ad esempio, hanno dato vita a molte applicazioni. Ma queste applicazioni non sono apparse subito: sono il frutto di imprenditori che hanno avuto un'intuizione, si sono assunti dei rischi e lanciato un nuovo prodotto. Molti hanno fallito, ma qualcuno ha avuto successo e ha dato l'idea ad altri. Da ciò le ondate di investimenti che hanno generato nuovi prodotti - o nuove procedure - e nuovi mercati. Così l'elettricità e la chimica sono state i motori della forte crescita che va dall'inizio del secolo fino al 1929 (con la parentesi della guerra). L'automobile e il settore petrolchimico sono alla base dell'ondata di forte crescita dei "Trenta gloriosi".
Tra i due cicli l'esaurimento progressivo del filone tecnologico rallenta il flusso di investimenti, gli innovatori si fanno rari, l'economia si limita a sfruttare l'esistente, il mercato ristagna o addirittura regredisce perché la saturazione ha la meglio sull'innovazione. Sulla base di questo esempio alcuni prevedono l'arrivo nei prossimi anni di un nuovo ciclo di investimenti innovatori, sostenuto dall'informatica, dalle telecomunicazioni
e dall'informazione. Usciremmo così dalla fase depressiva di un Kondratev per entrare nella fase espansiva di un nuovo ciclo.
Il condizionale è d'obbligo, perché se si basano le lunghe fluttuazioni dell'economia solo sulle grandi invenzioni e sui grappoli di innovazioni alle quali danno vita, si potrebbe pensare che per uscire dalle difficoltà sia sufficiente una dose di nuove tecnologie. Purtroppo le cose sembrano più complicate.

Circolo di qualità

Indica le riunioni di dipendenti di uno stesso settore incaricati di esaminare gli eventuali problemi del settore e il modo per risolverli.
Su esempio del modello giapponese, i circoli di qualità hanno conosciuto negli anni Ottanta una grande popolarità.
Si trattava di spingere i dipendenti (un circolo può funzionare solo su base volontaria, in modo che ognuno possa esprimersi liberamente) a partecipare più attivamente al proprio lavoro, a dare prova di maggiore creatività per eliminare i problemi che spesso la gerarchia non riesce a individuare o a risolvere. Ma si sono dovute ridimensionare le pretese: il circolo di qualità alla giapponese presuppone una grande polivalenza della squadra o del settore, e si basa su una gerarchia non eccessiva e non troppo rigida, poiché ognuno nell'équipe può svolgere tutti i compiti assegnati al circolo. Ma la realtà delle imprese occidentali è diversa: gerarchia molto più forte e presente, compiti poco polivalenti. Il risultato è che i circoli di qualità si sono rivelati spesso impotenti a cambiare la situazione, perché sarebbe stato necessario stravolgere l'organizzazione del lavoro nel suo insieme.

Classe sociale

Insieme di persone che occupano una stessa posizione sociale e condividono un destino e interessi comuni.
Non bisogna confondere le classi sociali con la gerarchia sociale. Nelle società di tipo gerarchico, la posizione di ognuno era determinata alla nascita ed era immutabile. L'analisi di questa predestinazione e di tale immobilità sociale rimandava a un ordine voluto dalla divinità: da ciò il termine società di ordini o più semplicemente ordini per indicare quella gerarchia sociale accettata da tutti. La nascita delle società democratiche, nelle quali il posto di ognuno non è assegnato alla nascita ma dipende dai propri meriti, ha cambiato radicalmente la visione di una società di ordini. È nato allora il concetto di classi sociali: fare parte di una classe non è un evento immutabile, dipende dalla posizione occupata nella società e questa posizione può cambiare. È Marx che ha sviluppato con grande rigore questo concetto, collegandolo con la proprietà dei mezzi di produzione. La classe sociale, secondo la concezione marxista, non indica solo una posizione sociale ma anche un processo dinamico: gran parte dell'evoluzione della società dipende dall'antagonismo delle classi sociali e dalle forme assunte da questa conflittualità.

Clausola di salvaguardia

Indica le clausole che permettono a un paese di sospendere provvisoriamente l'applicazione di tutto o parte di un trattato al quale ha aderito.
Nel settore del commercio internazionale, ad esempio, un paese in grado di dimostrare che un determinato ramo di attività è gravemente minacciato da un eccessivo aumento delle importazioni, può adottare misure protezionistiche limitate (per un periodo massimo di sei mesi), sebbene il trattato costitutivo dell'Organizzazione mondiale del commercio vieti in linea di principio queste misure.
Tali clausole hanno solo lo scopo di permettere una transizione più graduale e non quello di eliminare la norma responsabile della turbativa. Per loro natura quindi le clausole di salvaguardia sono limitate nel tempo.

Clausola sociale

Indica le eventuali restrizioni legali alle importazioni provenienti da paesi che non rispettano certe di condizioni sociali in materia di produzione (lavoro minorile, libertà sindacale, divieto di lavoro carcerario, ecc.).
Per ora l'adozione di un'eventuale clausola sociale è solo una proposta priva di effetti concreti. Questa clausola può diventare concreta solo se sarà adottata all'unanimità dall'Assemblea generale dell'Organizzazione mondiale del commercio (Wto), il che è ben lontano dal realizzarsi.

Club di Londra

Per analogia con il Club di Parigi, il Club di Londra indica la struttura informale istituita all'inizio degli anni Ottanta da un certo numero di banche che non riuscivano a recuperare i crediti che avevano nei confronti dei paesi eccessivamente indebitati del terzo mondo. Il Club di Londra permette ai paesi interessati di negoziare solo con le principali banche, che hanno ricevuto mandato da tutte le altre interessate. Non è raro infatti che un prestito internazionale a un paese sia concesso da una cordata di diverse decine o addirittura di un centinaio di banche. I capofila di queste cordate (banche principali incaricate di collocare il prestito presso gli altri istituti) sono i soli a partecipare alle discussioni del Club di Londra. Inoltre le discussioni iniziano solo quando è stato firmato un accordo riguardante il debito pubblico presso il Club di Parigi.

Club di Parigi

Organismo istituito dai paesi che detengono crediti pubblici nei confronti di paesi del terzo mondo non in grado di tenere fede ai propri impegni di pagamento. Questo organismo (presieduto dal ministro francese delle Finanze e che si riunisce a Parigi) è; incaricato di trattare la rinegoziazione o l'eventuale remissione del debito pubblico.
Il Club di Parigi interviene solo quando un paese ha concluso un accordo con l'Fmi per un aggiustamento strutturale. È in base a questo obbligo preventivo che la maggior parte dei paesi indebitati accetta di negoziare con l'FmiClub di Roma, organismo di riflessione creato nel 1970 per iniziativa di un certo numero di grandi imprenditori europei (soprattutto italiani).
Si è fatto conoscere per un rapporto commissionato a Jay Forrester, un ricercatore americano del Mit che ha messo a punto il primo modello globale che tenesse conto delle evoluzioni demografiche, economiche e ambientali (disponibilità di materie prime). Consegnato nel 1972, questo rapporto al Club di Roma concludeva con l'impossibilità di mantenere un alto tasso di crescita senza gravi rischi per l'umanità.

Commissione europea

Organo amministrativo dell'Unione europea con sede a Bruxelles e con due funzioni: l'una è dare applicazione alle decisioni del Consiglio dei ministri e del Parlamento europeo; l'altra proporre a questi due organi le decisioni che considera necessarie per far funzionare l'Unione conformemente ai trattati costitutivi (trattato di Roma e di Maastricht). La Commissione è quindi dotata di un potere di iniziativa che ne fa, nonostante la posizione subordinata, il vero motore della costruzione europea.
La Commissione europea è composta da commissari che, sebbene nominati dagli stati membri, godono di piena indipendenza. I venti commissari (due per i paesi grandi - Germania, Francia, Italia, Regno unito, Spagna - e uno per tutti gli altri) designano un presidente (attualmente Romano Prodi), sono aiutati nei loro compiti da funzionari (circa 10. 000) e rispondono del loro operato davanti al Parlamento europeo (che non ha il diritto di censurarli, ma che vota il Bilancio) e al Consiglio dei ministri.

Competitività


Indica la capacità di un prodotto (bene o servizio) di attirare clienti a scapito di prodotti concorrenti.
La competitività è stata per molto tempo ridotta al solo fattore prezzo: era competitiva un'impresa che vendeva meno caro delle altre. In questa concezione tradizionale tutto ciò che contribuiva ad aumentare i costi era ritenuto dannoso per la competitività. Oggi questa visione statica è sempre più criticata: l'acquirente non sceglie solo il prodotto meno caro, ma anche quello più affidabile, di migliore qualità, con un buon servizio di assistenza, con il maggiore contenuto innovativo, con il finanziamento meglio studiato, ecc.. Le vetture giapponesi, ad esempio, hanno impiegato molto tempo ad affermarsi sul mercato europeo, perché la loro qualità era considerata sospetta nonostante i prezzi fossero più bassi delle corrispondenti vetture europee.
È stata la Toyota, con la concessione di una garanzia illimitata di tre anni, a modificare completamente le condizioni di competitività dell'industria giapponese sui mercati europei. Non bisogna però esagerare l'importanza di questi aspetti: soprattutto in alcuni mercati un prezzo meno elevato è un argomento commerciale che conserva la sua importanza (vedi il successo dei negozi che praticano il superdiscount). Ma il fatto che la Germania sia al tempo stesso il primo esportatore industriale del mondo e il paese con i costi salariali più elevati, fa capire bene che anche la competitività è al di fuori del prezzo; svolge un ruolo importante, soprattutto per i prodotti da cui gli utenti esigono un'affidabilità totale

Comunità economica europea (Cee)

Primo nome della costruzione istituzionale prevista dal trattato di Roma, che organizzava una Unione doganale tra i sei paesi firmatari (Germania, Belgio, Francia, Italia, Lussemburgo e Olanda), divenuti 9 (nel 1972 con l'entrata di Danimarca, Irlanda e Regno unitào), poi 12 (nel 1985 con l'entrata di Spagna, Grecia - entrata nel 1981 - e Portogallo), 15 (nel 1994 con l'entrata di Svezia, Austria e Finlandia) e infine 25 nel 2004 con l'allargamento a est.
Questo nome è stato abbandonato nel 1965, con la fusione delle tre istituzioni rappresentate dalla Comunità economica del carbone e dell'acciaio (Ceca), la Comunità europea dell'atomo (Euratom) e la Cee: il nuovo organismo è stato chiamato Comunità europee (al plurale), ma si è conservata l'abitudine di dire Cee per la maggiore importanza che riveste l'aspetto economico sugli altri. Infine con la ratifica del trattato di Maastricht (1993) l'ampliamento dei settori di competenza delle istituzioni europee ha provocato un ulteriore cambiamento di nome: le Comunità europee sono diventate l'Unione europea.
Questi successivi cambiamenti di nome riflettono la trasformazione del progetto iniziale: il trattato di Roma (1957) instaurava un'unione doganale, cioè mirava a creare una libera circolazione delle merci nell'ambito dei paesi membri, accompagnata da una tariffa doganale comune nei confronti degli altri paesi. Venivano inoltre previste norme particolari per l'agricoltura, settore che si riteneva di dover proteggere dalla concorrenza mondiale. Il successo della Cee è; stato superiore a tutte le aspettative, al punto di diventare negli anni Sessanta l'area economica più dinamica del mondo (a eccezione del Giappone). Ciò ha portato ai successivi allargamenti, che rendono anche più complessa l'omogeneità della Comunità: tra la Grecia e la Germania il divario produttivo pro capite è di 1 a 4. La trasformazione in Unione europea segna il desiderio di almeno una parte dei paesi membri di passare da un'area economica a una federazione politica, ciò; di passare dall'integrazione economica all'integrazione politica.

Concorrenza

La concorrenza perfetta designa la situazione nella quale, per un determinato tipo di prodotto, l'esistenza di un gran numero di produttori impedisce a ciascuno di essi di avere la possibilità di agire sul prezzo di vendita, che rappresenta un vincolo al quale ognuno deve adattarsi. In queste condizioni la concorrenza obbliga i produttori a comprimere al massimo i costi, quindi a essere i più efficienti possibili, mentre i prezzi di vendita si fissano a un livello molto vicino a quello di costo minimo. La forza della concorrenza elimina tutti i produttori che non riescono a raggiungere questo costo minimo. Così la concorrenza perfetta non produce solo il prezzo più basso - a tutto vantaggio degli acquirenti - ma obbliga i produttori ad adeguarsi alle imprese più efficienti, quelle il cui costo minimo.
La realtà del mercato è abbastanza diversa da questo schema della concorrenza perfetta. Probabilmente si possono trovare mercati che si avvicinano a questa descrizione: ad esempio l'agricoltura nei paesi in cui non esiste un sistema di sostegno dei prezzi. Tuttavia in molte attività la riduzione dei costi di produzione deriva più dalle economie di scala che dalla concorrenza, cioè dalla capacità di produrre un maggior numero di unità: in questo caso il monopolio è più efficiente della concorrenza perfetta. La realtà economica è fatta spesso di concorrenza imperfetta, cioè di situazioni nelle quali i criteri della concorrenza perfetta non sono presenti: un piccolo numero di produttori, prodotti differenziati oggetto di politiche commerciali destinate a spingere gli acquirenti a preferire quella determinata marca, assenza di trasparenza nei prezzi, ecc. La concorrenza monopolistica indica la situazione nella quale due imprese producono beni simili, ma diversi: entrambe dispongono di un certo margine di manovra per la determinazione del prezzo, ma sono obbligate a essere prudenti per timore di vedere gli acquirenti abbandonare i loro prodotti per quelli del concorrente.
Alcuni economisti vanno ancora più lontano: la concorrenza imperfetta è necessaria per il buon funzionamento del sistema capitalistico, perché riduce i rischi delle imprese spingendole a innovare e a investire. La dinamica del sistema si baserebbe proprio sulla sua capacità di ridurre la concorrenza, la quale al contrario avrebbe effetti controproducenti. Ma non bisogna spingersi troppo oltre, perché; la presenza di un monopolio (l'opposto della concorrenza perfetta) non spinge a rinnovare i prodotti, a vigilare sulla soddisfazione dei clienti che non hanno alternative. È quindi tra questi due estremi che i pone la situazione più frequente: una concorrenza che esiste, almeno potenzialmente, ma che non è così efficiente da ridurre al minimo i margini delle imprese e da impedire loro di assumersi dei rischi

Conglomerata

Un'impresa che possiede attività che non hanno legami tecnici o economici tra di loro.
Il gruppo francese Danone, sebbene produca vetro da imballaggio, non può essere considerato una conglomerata perché la maggior parte di questo vetro è utilizzato dalle filiali alimentari del gruppo. Al contrario Lagardre Groupe è; una conglomerata perché le due principali componenti del gruppo sono le armi (Matra) e la stampa (Hachette), due settori che non hanno relazioni tra di loro. Gli anni Settanta sono stati l'età d'oro delle conglomerate, con gruppi come Itt (telefoni internazionali, alberghi, noleggio vetture, corsi privati di formazione tecnica, ecc. ). Oggi il loro numero si è sensibilmente ridotto, perché l'inesistenza di economie di scala non rendeva le conglomerate più efficienti dei loro concorrenti nei rispettivi campi di attività. Inoltre i settori migliori dovevano coprire gli eventuali deficit di alcuni rami del gruppo.
Così le delusioni della Cinq, il canale televisivo di cui Lagardre Groupe era proprietario, hanno rischiato di mandare in rovina l'intero gruppo. Al contrario gli anni Ottanta sono stati quelli del riassetto sulle attività di base; con la divisione della maggior parte delle conglomerate troppo diversificate. La crisi asiatica ha segnato un arresto anche per le famose conglomerate coreane, i chaebol, prosperate all'ombra del rapporto assai favorevole, e spesso corrotto, col potere politico.

Consiglio europeo

Organismo che riunisce i capi di stato e di governo dei diversi paesi dell'Unione europea.
Il Consiglio europeo si riunisce almeno una volta ogni sei mesi: la sua presidenza è affidata ogni volta a un paese diverso, secondo un ordine prestabilito. Il Consiglio è incaricato di vigilare sulla cooperazione tra i paesi dell'Unione e di dare gli impulsi necessari al suo sviluppo. In altre parole definisce gli orientamenti politici generale dell'Unione. Non bisogna confondere questo organismo con il Consiglio dei ministri, che è l'organo legislativo dell'Unione incaricato di adottare le direttive e i regolamenti proposti dalla Commissione.

Consob

Sigla comunemente utilizzata per indicare la Commissione nazionale per la società e la borsa. Istituita con una legge il 7 giugno 1974, le è stato assegnato un duplice compito: garantire il corretto funzionamento dei mercati mobiliari e fornire al pubblico dei risparmiatori una veridica e completa informativa sulle società quotate in borsa.

Contratto di lavoro a tempo determinato

Tipo di contratto di lavoro che prevede un periodo di lavoro limitato nel tempo e indicante esplicitamente la data della scadenza.
I contratti a termine comprendono i part time e i contratti interinali e danno la misura della flessibilità del lavoro. Da questo punto di vista, l'Italia si trova in una situazione intermedia fra la rigidità tedesca e la flessibilità pressoché assoluta della Spagna (dove negli ultimi tre anni, il 92% dei nuovi lavori è a termine o a part time). In Italia, gli ultimi due anni hanno visto questo tipo di contratti entrare anche nelle grandi fabbriche di produzione di serie.

Contratto di lavoro a tempo indeterminato

Contratto di lavoro senza limitazione di tempo che può essere interrotto dall'uno o dall'altro dei contraenti solo in base a determinate condizioni previste dai contratti di categoria o dal diritto del lavoro. Per la nuova ideologia della flessibilità è un tipo di contratto in via di estinzione.

Controllo dei cambi

Limitazione al diritto di comprare (ed eventualmente di vendere) liberamente valute imposto dalle autorità monetarie ai residenti.
Il controllo dei cambi può prendere varie forme, più meno rigide: acquisto di valuta limitato al pagamento di alcune importazioni (in questo caso le autorità concedono licenze di importazione, necessarie per comprare valuta estera), acquisto di valuta limitato a determinate somme, rivendita entro un determinato periodo di tempo delle divise guadagnate e così via. In ogni caso si tratta di ridurre le possibilità di spendere all'estero, in modo da ridurre il vincolo estero. Ma l'esperienza mostra che esistono numerosi effetti perversi: creazione di un mercato nero di valute, compensazioni private, frodi. Questi effetti riducono l'apparente efficienza di tali provvedimenti. Così il controllo sui cambi ; stato progressivamente ridotto e poi soppresso in tutti i paesi in cui le valute sono liberamente convertibili sul mercato dei cambi.

Convenzione di Lom

Regolarmente rinnovata dall'anno della sua firma (1975) prevede un insieme di aiuti allo sviluppo destinati ai paesi Acp (Africa, Caraibi, Pacifico) che attualmente sono 79. Lo Stabex prevede in particolare che, nel caso in cui il corso dei prodotti di base esportati da questi paesi cada al di sotto della media dei 5 anni precedenti, vengano concessi prestiti prelevati da un fondo speciale finanziato dall'Unione europea, il cui ammontare equivale alla differenza tra i corsi effettivi e questa media. Il prestito è rimborsabile senza interessi ma se nei cinque anni seguenti alla sua concessione i corsi in questione non risalgono, una parte del prestito (che aumenta con la caduta dei corsi) è trasformata in dono.

Convertibilità

Indica la possibilità legale di passare da una moneta a un'altra, o da una moneta alla merce-riferimento nella quale è definita la parità ufficiale. La convertibilità può essere limitata o illimitata, a tasso fisso o variabile (in funzione del mercato).

Corso

Indica in generale la determinazione di un prezzo su un mercato finanziario o dei prodotti primari.
Si parla quindi anche di corso delle materie prime o di quotazione di borsa. Per una moneta si utilizza piuttosto il termine cambio o tasso di cambio. Tuttavia si parla del corso di una moneta per designare, in un sistema di cambio con un'unità di riferimento, il tasso di cambio effettivamente praticato tra la moneta e l'unità di riferimento. In passato il corso forzoso indicava la decisione delle autorità monetarie di sospendere la convertibilità nell'unità di riferimento, cioè il diritto per i detentori di una moneta di ottenere liberamente una determinata quantità dell'unità di riferimento presso la Banca centrale.

Costo

Insieme delle spese relative a una determinata produzione o a una parte di questa produzione. Il costo misura l'utilizzo di risorse che hanno richiesto una spesa di lavoro. In senso contabile il costo indica un insieme di oneri.
Il grande problema posto dalla misura dei costi riguarda la questione della loro esattezza. Mentre una spesa misura ciò che l'impresa ha speso o spenderà per una determinata operazione produttiva, un costo dovrebbe misurare la spesa per la difficoltà, poiché è a partire dal costo che viene fissato il prezzo di vendita. Tuttavia l'impresa non sostiene affatto, o solo in parte, alcuni costi. Essa non ha quindi alcuna ragione di incorporarli nei suoi calcoli: si tratta di risorse gratuite di cui l'impresa non ha finanziato la spesa. Si parla a questo proposito di costo esterno, cioè sopportato da altri. Il fatto ad esempio di disperdere i fumi o i gas di scarico nell'atmosfera produce nel tempo un costo per la difficoltà. Se si vuole addebitare questo costo (collettivo) all'impresa, lo si può fare attraverso una tassa proporzionale alle sue emissioni. Allo stesso modo l'utilizzo di una risorsa non rinnovabile (ad esempio il petrolio) ha un costo che può essere molto diverso da quello pagato dall'impresa: la spesa riflette il lavoro fornito per estrarre il petrolio, maggiorato da una rendita versata al paese produttore. Ma l'esaurimento della risorsa rappresenta un impoverimento potenziale per la Terra, che la spesa - il costo misurato dall'impresa che la utilizza - è; ben lontano dal rispecchiare. Un ultimo esempio: l'automobilista che va in giro con la sua vettura produce un costo per la difficoltà (inquinamento, traffico, incidente) che non viene considerato nelle spese che effettua (prezzo del carburante, assicurazione, ecc.)


Costo di transazione

Qualunque contratto di acquisto, di vendita o di subappalto implica un costo, poiché a questo bisogna dedicare tempo, prevedere i possibili problemi, verificare che il prodotto consegnato sia conforme alla richiesta, ecc. In alcuni casi quindi l'impresa ha interesse a fare da sola anziché delegare ad altri o comprare. In altri termini l'esistenza di costi di transazione spiega in parte l'esistenza di organizzazioni che si assumono direttamente compiti che potrebbero affidare a subappaltatori o a contraenti.

Costo esterno

Costo sostenuto da una (o più) persone in seguito ad un'azione compiuta da altri. Ad esempio: costruire un palazzo che rovina il paesaggio, rappresenta un costo esterno per coloro che apprezzano il paesaggio. O ancora, licenziare una persona significa esternalizzare il costo del suo mantenimento sulla difficoltà. Viene definito a volte diseconomia esterna. L'esistenza di costi esterni fa sì che il mercato non possa essere un efficace regolatore, in quanto implica che alcuni facciano pagare dei costi di cui sono responsabili ad altri, e dunque che il prezzo di vendita non rifletta realmente i costi e i danni causati alla società da una determinata attività. Uno dei modi di ridurre questo divorzio consiste nell'internalizzare i costi in questione, cioè creare dei sistemi di tassazione che tengano conto dei guasti causati ad altri.

Crac

Crollo di uno o più mercati finanziari, che di solito genera comportamenti di panico o di risparmio precauzionale, capaci di provocare gravi ripercussioni sull'attività economica nel suo insieme.
Il crac del settembre del 1929 è ovviamente il più famoso. Sebbene importante, il crac che nel settembre del 1987 ha colpito quasi contemporaneamente tutte le più importanti piazze finanziarie, (caduta delle quotazioni dal 20 al 30% in una settimana) non ha avuto gravi conseguenze, perché le autorità pubbliche hanno rapidamente compreso che conveniva immettere liquidità sul mercato, in modo da permettere a coloro che lo desideravano di ritirarsi dal mercato senza mettere in difficoltà le istituzioni finanziarie.

Criteri di convergenza

Termine utilizzato nel trattato di Maastricht (uno dei due trattati costitutivi dell'Unione europea) per definire le condizioni da soddisfare affinché un paese membro possa entrare nell'Unione monetaria prevista a partire dal 1999 tra i paesi dell'Unione. Si utilizza il termine convergenza per designare il carattere relativo di alcuni criteri, definiti in base alla media osservata: ad esempio il tasso di inflazione in un paese non deve discostarsi di oltre il 2% dalla media dell'inflazione misurata nell'insieme dei paesi dell'Unione. Lo scopo di questi criteri è piuttosto quello di incitare i paesi membri che desiderano essere ammessi nell'Unione monetaria a realizzare risultati economici (in materia di tasso di inflazione e di tasso di interesse) abbastanza simili, che non di fissare norme assolute (sebbene alcune siano previste, come il deficit di Bilancio, che non deve superare il 3% del Pil).