- È inutile,
la globalizzazione è un
fatto. Essere locali in un mondo globalizzato è segno di inferiorità e degradazione sociale. L'esistenza vissuta in un solo luogo è aggravata dalla circostanza che gli stessi luoghi stanno perdendo la capacità di generare significati e dipendono invece da quelli che vengono loro attribuiti e da interpretazioni che non si possono controllare. Tali valori sono oggi extraterritoriali ed avulsi da vincoli locali, mentre non lo è affatto la condizione umana che a tali valori e significati deve dare forma e senso. Tuttavia, per dirla con Cornelius Castoradis, il vero problema dell'attuale stato della nostra civiltà è che abbiamo smesso di farci domande. Astenerci dal porre certi problemi è molto più grave del non riuscire a rispondere alle questioni già ufficialmente sul tappeto. Dopo tutto, porsi le questioni giuste fa la differenza tra l'affidarsi al fato e perseguire una destinazione. Mettere allora in discussione le premesse apparentemente indiscutibili del nostro modo di vivere può essere considerato il più urgente dei servizi che dobbiamo svolgere per noi stessi e per gli altri. Tempo e classe A.J. Dunlap dice che l'impresa appartiene alle persone che investono in essa, non ai dipendenti, ai fornitori, e neanche al luogo in cui è situata. In effetti, i dipendenti sono reclutati fra la popolazione locale e, per legami dovuti alla famiglia, all'abitazione e alle relazioni, non possono facilmente seguire l'impresa quando questa decida di trasferirsi. I fornitori locali sono avvantaggiati dalla vicinanza, ma il loro vantaggio svanisce se l'impresa si trasferisce. E ovviamente, la località non si può certo spostare, quale che sia il nuovo indirizzo dell'impresa. Solo gli investitori non sono in alcun modo legati allo spazio; possono comprare qualsiasi azione in qualsiasi borsa e tramite qualsiasi agente e, nella loro decisione, la vicinanza o lontananza saranno del tutto indifferenti. Dislocando l'impresa ove maggiori sono le aspettative di profitto rapido, essi lasciano agli altri, quelli che restano legati al territorio, il compito di leccarsi le ferite, di minimizzare i danni e fare pulizia. Chi può abbandonare i luoghi è anche libero di non preoccuparsi delle conseguenze. Sono queste le spoglie più importanti della vittoria conseguita nella guerra per lo spazio. La mobilità acquisita dagli investitori è emblematica della nuova divaricazione fra potere e obblighi sociali, una frattura senza precedenti nella storia dell'uomo, perché i potenti si sottraggono radicalmente a ogni vincolo: non solo verso i dipendenti, ma rispetto ai giovani, ai più deboli, alle generazioni future ed in genere verso tutto ciò che implica dovere di contribuire alla vita quotidiana ed al perpetuarsi della comunità civile. E proprio liberarsi delle conseguenze è il vantaggio più evidente ed apprezzato che il nuovo fattore della mobilità attribuisce al capitale fluttuante, non legato ad alcun luogo. Anche a fronte di proteste sociali, in ogni caso, il capitale può imboccare la strada di trasferirsi in siti più tranquilli se lo scontro richiede impiego di risorse o negoziati; perché scontrarsi se basta disimpegnarsi? In poche parole, piuttosto che rendere omogenea la condizione umana, l'annullamento tecnologico delle distanze spazio-temporali tende a polarizzarla. Emancipa alcuni dai vincoli territoriali, generando comunità privilegiate extraterritoriali, mentre priva il territorio, in cui altri continuano ad essere relegati, del suo significato ed identità. Alcuni godono di una libertà senza precedenti e di una inaudita capacità di muoversi ed agire a distanza; altri presagiscono l'impossibilità di appropriarsi della propria località per renderla accogliente e vivibile. Oggi alcuni possono liberamente uscire da qualsiasi località, mentre altri guardano disperati al fatto che l'unica località che gli appartiene ed abitano gli sta sparendo da sotto i piedi. Alcune conseguenze sono destinate ad emergere: la nuova frammentazione dello spazio ed il degrado delle comunità urbane, il restringersi e la scomparsa degli spazi collettivi, la separazione e la segregazione e soprattutto l'extraterritorialità della nuova élite e la territorialità forzata delle masse. Per queste ultime, l'umiliante dover restare fermi, a fronte dell'ostentata libertà di movimento degli altri, ha l'aspro odore della sconfitta, riducendo le popolazioni locali ad accozzaglie di entità prive di legami reciproci. Un'altra conseguenza è che gli spazi pubblici hanno seguito le élites nel tagliare i loro legami locali, sono stati i primi a deterritorializzarsi; dove si creavano anche norme, criteri comuni e condivisi di valutazione, non c'è spazio alcuno per un'opinione locali in quanto tale: i giudizi possono solo discendere dall'alto, i verdetti sono indiscutibili, anche perché nessuno sa con precisione da dove provengano. Guerre spaziali La lunga cronaca di sogni ambiziosi ed abominevoli disastri che si combinano a formare la storia dell'architettura moderna dovrebbe insegnare qualcosa: il primo segreto di una buona città sta nell'offrire alle persone la possibilità di assumersi la responsabilità dei propri atti in una società storicamente imprevedibile, e non in un mondo di sogno, armonia ed ordine prestabiliti. Anche perché gli uomini non possono diventare buoni solo seguendo i buoni ordini o programmi di altri. Possono affrontare le proprie responsabilità solo coloro che imparano ad agire in un quadro di ambivalenze ed incertezze, persone moralmente mature che crescono avendo bisogno dell'ignoto e sentendosi incompleti senza una certa anarchia della propria vita. Allora, se l'uniformità nutre il conformismo, e l'altra sua faccia è l'intolleranza, in un mondo intercambiabile di situazioni omogenee è estremamente difficile acquisire quelle capacità di carattere e quelle abilità pratiche necessarie per affrontare le diversità e le incertezze. Quindi, non lo stare insieme, ma l'evitarsi e lo stare separati sono diventate le principali strategie per sopravvivere nelle megalopoli contemporanee. Tenere il prossimo a distanza risolve il dilemma e rende superflua la scelta: elimina le occasioni nelle quali bisogna scegliere fra amore e odio. Riguardo i nuovi media interattivi, si dovrebbe parlare piuttosto di un medium interattivo a senso unico. Internet e web non sono aperti a chiunque ed è estremamente improbabile che si aprano ad un utilizzo universale. I locali, lasciati alla rete di televisioni, cosa guardano? I molti guardano i pochi. I pochi guardati sono celebrità ed esibiscono il loro mondo, il cui tratto distintivo è proprio l'essere guardati, dai molti ed in qualsiasi angolo del globo. Di qualsiasi cosa parlino, essi trasmettono il messaggio di uno stile di vita totale: la loro vita, il loro stile di vita. La loro autorità è assicurata dalla distanza; i globali sono letteralmente fuori di questo mondo, ma il loro circolare è molto visibile ed invadente. Infinitamente superiori ma esempio straordinario per gli inferiori, ammirati ed invidiati, essi sono una monarchia che guida anziché governare. Segregati e separati in terra, i locali incontrano i globali nelle trasmissioni televisive dal cielo. E dopo lo stato-nazione? Grazie alla nuova porosità di tutte le pretese economie nazionali ed alla natura effimera, elusiva e non territoriale dello spazio in cui operano, i mercati finanziari globali impongono le proprie leggi e regole all'intero pianeta. La globalizzazione non fa altro che estendere la loro logica alla totalità degli aspetti della vita. Nel cabaret della globalizzazione, lo stato fa strip-tease e alla fine dello spettacolo resta con il minimo indispensabile: i suoi poteri di repressione. Una volta distrutta la sua base materiale, annullata la sovranità e l'indipendenza, cancellata la sua classe dirigente, lo stato nazione diviene un semplice servizio di sicurezza per le grandi imprese. In questo senso, non c'è contraddizione alcuna tra la nuova extraterritorialità del capitale ed il nuovo proliferare di stati sovrani deboli e impotenti. Per la loro libertà di movimento e la possibilità illimitata di perseguire i propri fini, la finanza, il commercio e l'industria dell'informazione globali dipendono dalla frammentazione politica della scena mondiale. Deliberatamente o inconsciamente, le imprese sovralocali esercitano pressioni sistematiche per distruggere qualsiasi fattore possa impedire o limitare la libertà del mercato. Infatti, aprire tutte le porte e abbandonare ogni idea di autonomia nella politica economica è la precondizione per essere ammessi all'assistenza finanziaria delle banche mondiali e dei fondi monetari internazionali. Separare l'economia dalla politica e sottrarre la prima agli interventi regolatori della seconda, comporta la totale perdita di potere della politica stessa e fa prevedere ben altro. Allentando i freni, dato che i confini sono divenuti permeabili, le sovranità sono diventate nominali, il potere anonimo, la sua sede vuota. Siamo ancora lontani dal capolinea, ma il processo continua, apparentemente inarrestabile. Dalla nuova libertà globale di movimento discende che appare sempre più difficile, forse impossibile, rimodellare i problemi sociali mediante un'efficace azione collettiva. Tutte le forme di dominio, notava Michel Crozier nel suo studio innovativo sulla burocrazia, consistono nel perseguire sempre una strategia che lasci la massima libertà di manovra ai dominatori, imponendo allo stesso tempo vincoli più stringenti all'autonomia decisionale dei dominati. Strategia un tempo applicata con successo dai governi statali, che oggi si trovano a doverla subire. Non è perciò difficile vedere che la sostituzione di deboli stati territoriali con qualche forma di autorità globale, legislativa e di polizia, sarebbe dannosa per gli interessi dei cosiddetti mercati mondiali. È perciò anche facile sospettare che la frammentazione politica e la globalizzazione economica siano alleate e cospirino agli stessi fini. Anche la rete globale delle comunicazioni assomiglia ad una sottile fenditura in un muro assai spesso, piuttosto che a un cancello. Oggi tutti i computer non fanno altro per il Terzo Mondo che raccontarne il declino con maggiore efficienza, dice Keegan. Nascono nuove fortune, germogliano e fioriscono nella realtà virtuale, assolutamente isolate dalle grezze realtà fuori moda dei problemi degli uomini. La creazione della ricchezza sta finalmente per emanciparsi dalle sue vincolanti ed irritanti connessioni, come la produzione, l'elaborazione dei materiali, la creazione di posti di lavoro, la direzione di altre persone. I vecchi ricchi avevano bisogno dei poveri per diventare e restare ricchi e tale dipendenza mitigava i conflitti di interesse, inducendoli a fare qualche sforzo per prendersi cura degli altri. I nuovi ricchi non hanno più bisogno dei poveri. Finalmente la beatitudine della libertà estrema è vicina. Ma se le ricchezze sono globali, la miseria è locale. Che gli affamati vogliano andare dove il cibo è abbondante è quanto ci si potrebbe naturalmente aspettare da esseri umani razionali; lasciarli agire secondo la loro volontà è quanto la coscienza dovrebbe suggerire come comportamento coretto e moralmente preferibile. È a causa di quest'innegabile razionalità e correttezza etica che il mondo razionale e moralmente cosciente si sente così umiliato dalla prospettiva di migrazioni di massa dei poveri e degli affamati. La sfida culturale è davvero terribile: si deve negare agli altri lo stesso diritto di libertà di movimento di cui si fa il panegirico definendolo il massimo risultato della globalizzazione mondiale. Il quadro disumano che regna nelle terre dove i potenziali emigranti risiedono contribuisce perciò alla volontà di far restare locali i locali, permettendo al tempo stesso ai globali di viaggiare con la coscienza pulita. Turisti e vagabondi La società attuale forma i propri membri al fine primario che essi svolgano il ruolo di consumatori. Tale capacità di consumo può in effetti venire ampliata ben al di là delle necessità naturali o acquisite; il tradizionale rapporto fra bisogni e loro soddisfazione viene invertito: la speranza della soddisfazione precede il bisogno che si promette di soddisfare. Per i buoni consumatori, la promessa diventa tentatrice non tanto quando riguarda la soddisfazione di bisogni dai quali è tormentato, bensì quando sollecita desideri mai immaginati o sospettati prima. Il segreto della società attuale sta proprio nello sviluppare un artificiale e soggettivo senso di insufficienza permanente, poiché nulla potrebbe essere più minaccioso del fatto che la gente si dichiarasse soddisfatta di quello che ha. Tutti possono voler essere consumatori, ma non tutti possono esserlo. Guardando la stratificazione della società postmoderna, la misura che definisce quelli in alto e quelli in basso è oggi il loro grado di mobilità. I primi possono lasciarsi dietro i secondi, ma non viceversa. Quello in alto poi sono convinti di viaggiare attraverso la vita di loro volontà; quelli in basso spesso vengono buttati fuori da dove vorrebbero stare e se non si muovono, spesso la terra viene strappata sotto i loro piedi, per cui ci si sente comunque in movimento. Abolizione dei visti di ingresso e maggiore rigidità verso l'immigrazione hanno quindi un profondo significato simbolico. Alcuni di noi godono della nuova libertà di movimento sans papiers; altri non possono starsene dove vorrebbero per la stessa ragione. Il contrarsi dello spazio poi abolisce il fluire del tempo. Gli abitanti del primo mondo vivono nel tempo di in un perpetuo presente; i residenti del secondo mondo, nel cui tempo non succede mai niente, vivono invece nello spazio. I primi viaggiano quando vogliono, indotti a farlo e traendone piacere, i secondi viaggiano da clandestini, spesso illegalmente e ciononostante li si guarda con disprezzo. È evidente infatti che una volta emancipato lo spazio, il capitale non ha più bisogno di manodopera itinerante (nè forse di qualsiasi manodopera), mentre gli effetti della globalizzazione producono la localizzazione forzata degli ultimi e la cancellazione delle loro identità culturali come opera di una selezione naturale. L'era delle comunicazioni istantanee è anche l'era di una quasi completa interruzione delle comunicazioni fra le enclaves (piccole, spiritualmente extraterritoriali ma fisicamente assai fortificate) delle élites globalizzate e l'intero spazio mondiale che le circonda, quello dei popoli; le prime non hanno nulla da dire al secondo, nulla che possa suonare come un'eco di esperienze di vita e di prospettive che li possano riguardare. Legge globale, ordini locali Bourdieu sottolinea che lo stato della California, vero paradiso della libertà per alcuni sociologi europei, dedica alla costruzione delle prigioni somme di molto superiori a quelli spese per il complesso dell'istruzione superiore. Incarcerare un uomo è la forma estrema e più radicale per limitare il suo spazio. Si avvicinano a tale ideale alcune prigioni della California, paese che favorisce crescita e vivacità pianificando otto carcerati ogni mille abitanti. Trattasi di carceri ove i reclusi non lavorano, non fanno ricreazione, non si mescolano né con le guardie né con gli altri prigionieri, non seguono alcun corso di formazione; ciò che conta è che stiano là. La prigione è un luogo di esclusione, per persone abituate al loro stato di esclusi; il segno dell'esclusione, nell'era della compressione spazio/tempo, è l'immobilità. È in questa funzione di estraniazione che le qualità dell'individuo e le circostanze della vita, che potrebbero venire in luce attraverso gli scambi quotidiani, sono del tutto inibite. I luoghi comuni sostituiscono la familiarità con le persone e l'unicità degli individui e dei loro casi si annullano a fronte delle categorie legali introdotte per ridurre le differenze e renderle irrilevanti. È così che la nostra società moderna tende ad attribuire caratteri criminosi ad una quantità sempre maggiore di atti considerati negativi, non voluti o dubbi, mentre un numero sempre maggiore di tali comportamenti avrà come effetto la carcerazione. Aumentano in tutto il mondo le spese che gli stati destinano alle forze della legge e dell'ordine, mentre, più significativamente, la quota di popolazione in conflitto con la giustizia e che andrebbe arrestata cresce a ritmi sostenuti. Si pensi che negli Stati Uniti più del 2% della popolazione è soggetta al controllo del sistema penale; in Inghilterra ci sono 115 detenuti ogni 100.000 abitanti, negli USA 690 (valore triplicato in venti anni). Ciò suggerisce come nuovi ed ampi settori della popolazione, per una qualche ragione, siano considerati una minaccia all'ordine sociale. Una causa evidente del fenomeno è data dalla spettacolare pubblicità che, nel catalogo delle ansie dell'opinione pubblica, si è voluto dare ai problemi della legge e dell'ordine pubblico. Gli appelli alle paure sono davvero al di sopra delle classi e attraversano i partiti, come le paure stesse. Felice coincidenza che i veri problemi dell'insicurezza economica e dell'incertezza della vita individuale si siano tradotti nell'ansia di ottenere garanzie di ordine pubblico. I governi seri in effetti possono promettere solo maggiore flessibilità (ovvero ancora più insicurezza) e non possono offrire certezze, dovendo sottostare a forze di mercato di cui è nota la mobilità ed imprevedibilità. Farsi vedere mentre si fa qualcosa contro la generica criminalità rimane invece una possibilità concreta, che per giunta porta con se un notevole potenziale elettorale. Occuparsi dell'ambiente sicuro significa fare esattamente ciò che le forze extraterritoriali del mercato vogliono che ci si limiti a fare: nel mondo della finanza globale, ai governi è attribuito un ruolo non molto più ampio di quello assegnato a questure o commissariati di polizia. |