Il «progetto di riordino dello stato giuridico e del reclutamento dei professori universitari», ormai varato dal Consiglio dei ministri, offre il fianco ad alcune critiche non marginali. 1. È doloroso che venga abrogata la figura dei «ricercatori». L¹interpretazione che di tale figura è stata data nei vent'anni che abbiamo alle spalle è stata pessima, questo è verissimo. Ma il legislatore poteva non già cancellarlo bensì creare vincoli e incentivi cogenti per ridare dignità e vitalità a un ruolo così importante e innovativo (per lo meno nelle intenzioni, poi snaturate dall'interpretazione «sindacale» al momento del reclutamento). Esempio dei possibili rimedi: esodo agevolato delle retroguardie attardate, concorsi seri e nazionali, obbligo di produttività scientifica, stipendio migliore. 2. La straripante didattica prevista dal progetto governativo si scontra con due elementi di fatto: a) ci vorrebbero strutture materiali adeguate. Se attuata alla lettera (e non con i soliti sottintesi furbeschi), la nuova direttiva che generalizza un impegno di 120 ore per «tutti» i docenti (e quindi per tutti gli studenti «in riferimento a ciascuno dei corsi da seguire») richiederebbe di triplicare i locali disponibili e anche, cosa meno facile, di allungare le giornate oltre le ventiquattro ore previste dall'ordine cosmico. 3) i Colleghi che fanno la cosiddetta «libera professione» (medici, avvocati, ingegneri etc.), sinora in regime di «tempo definito», dove troveranno il tempo per le 120 ore di didattica? Tralascio la questione, sollevata giustamente da Panebianco, che le lezioni vanno anche seriamente preparate! Queste sono difficoltà. Zeus non voglia che il progetto, così com'è, divenga legge. Il nostro Paese non merita di veder ridotto a banale veicolo di dozzinale «informazione di base» l'Università: un luogo che dovrebbe essere destinato a obiettivi più elevati e strategici per il vantaggio dell¹intera comunità nazionale. Un decennio di riforme sbagliate, dovute a entrambi i «poli», potrebbe risultare letale. Corriere della Sera, 26 febbraio 2004 |