Le parole sono pietre e occorre essere chiari, soprattutto quando si parla di scuola. Le acrobazie camaleontiche che il Ministro Moratti riesce a far fare alle parole non ci interessano. La Moratti sembra parlare ad un'opinione pubblica che lei crede indifferenziata e che non conosce la scuola. Dando per scontato - e in questo dimostrando una certa saggezza - che gli operatori della scuola siano persi per sempre. Ma dimenticando che il mondo della scuola sa parlare a chi ne è fuori. Nei suoi interventi il Ministro continua a trattare temi e prospettive che sarebbero ovvi e naturali se a suggerirli non fosse proprio lei. Individuare nella scuola il luogo della solidarietà, dell'accoglienza, del dialogo quando questi principi vengono automaticamente impoveriti dai contenuti della sua riforma risulta ancora una volta un'indicazione, che strumentalizza buoni propositi teorici, rivolta ad un destinatario percepito acritico e ignorante. Nel mese di settembre i Comunisti Italiani hanno avanzato una proposta di legge relativa alle “Norme sull'innalzamento dell'obbligo di istruzione” che toccava punti da molti considerati fondamentali. Che questo sia un tema centrale nella riflessione cui il centro sinistra è chiamato - un tema che potrebbe accomunare veramente le differenti anime - è provato anche dai nomi dei relatori iscritti al convegno “Più scuola per tutti” (in ricordo di Giovanni De Murtas) che gli stessi Comunisti Italiani hanno organizzato per il 9 e il 10 dicembre alla Camera: Bergonzi e Guidoni (il primo responsabile nazionale scuola del Pdci, l'altro astronauta e parlamentare europeo); e poi Berlinguer, Vertecchi, Bernardini, Tranfaglia, Pizzoli, Salacone, Fasoli, Chiesa. Concluderà i lavori Diliberto. Obbligo di istruzione elevato a 18 anni, in prima applicazione a 16, con un biennio unitario; istruzione e frequenza gratuite, completa gratuità dei libri di testo per gli alunni con famiglie con reddito inferiore a 25.000 euro annui: sono questi i punti principali su cui si basava la proposta di legge. Dagli interventi sarà forse possibile cogliere differenze all'interno di una posizione che auspichiamo di cuore unitaria per tutto il centro sinistra. Perché obbligo di istruzione - quello vero - significa andare a scuola: per crescere, imparare, formarsi una coscienza critica. Tutto il resto è altro. Significa promuovere cultura, individuare nella scuola pubblica un'opportunità di miglioramento per il singolo individuo e per tutta la società; aiutare e vincolare i ragazzi a prendersi per mano, a non dimenticarsi; immettere nel mondo del lavoro persone più consapevoli, più colte, in possesso di conoscenze e non solo di abilità. Significa accompagnare l'acquisizione di una coscienza critica, assecondare un processo di crescita culturale, morale e civile che solo la scuola può individuare e che chiede tempo per sé. Significa - soprattutto - rifiutare di attuare la più violenta delle selezioni di classe (la scelta a 12 anni tra il percorso dell'istruzione e quello della formazione professionale, previsto dalla riforma) alla quale il Ministro Moratti vuole costringere le famiglie italiane. Il resto è demagogia condita di finta modernità. L'abolizione dell'obbligo scolastico e l'intera politica scolastica del centro-destra rispondono ad un'idea precisa di società che si basa sull'istituzionalizzazione della divisione dei percorsi di chi ha più e di chi ha meno, difendendo e aumentando privilegi già esistenti, diminuendo o azzerando la possibilità - affidata finora alla scuola pubblica - di migliorare le condizioni dei meno fortunati. l'Unità, 9.12.04 |