È possibile conciliare insegnamento individualizzato ed uguaglianza delle opportunità formative? Per individualizzazione dell’insegnamento s’intende solitamente un principio-limite secondo il quale la scuola deve seguire i processi di insegnamento in relazione alle specifiche caratteristiche di ogni singolo alunno. Diciamo che si tratta di un pricipio-limite, diremmo forse meglio di un principio regolativo, che dovrebbe generalizzarsi nella realtà scolastica, individuando modalità che si adeguino alla realtà sociopsicologica e culturale di ciascun singolo individuo, sulla base della considerazione che ogni singolo alunno ha delle caratteristiche, degli stili, delle strategie che sono comunque diverse da quelle degli altri. Il principio dell’insegnamento individualizzato (ampiamente recepito per esempio nei programmi ’85 della scuola elementare) dovrebbe collocarsi all’interno di una concezione pedagogico-didattica di impostazione democratica. È chiaro infatti che parlando di “insegnamento individualizzato” si fa soprattutto riferimento a soggetti con problemi (handicap, disadattamento, svantaggio socioculturale) nella prospettiva di avvicinare il più possibile i più deboli agli altri soggetti. Questo discorso vale in modo particolare in riferimento a quello che più specificamente viene definito “svantaggio”, situazione in cui non si registrano patologie o conseguenza di patologie (come nel caso dell’handicap), ma deprivazione socioculturale, problematiche sociolinguistiche, problemi familiari, carenze adattivo-educative, problemi economici, problemi relativi all’atteggiamento della famiglia nei confronti della scuola e della cultura. In queste situazioni, si sostiene da parte di chi è a favore di una scuola e di una didattica democraticamente avanzate, che proprio facendo riferimento e leva sulle singole diversità, si tende a creare una situazione almeno vicina all’uguaglianza delle opportunità, che sia conquistabile proprio attraverso itinerari di apprendimento personalizzati. È chiaro che l’assoluta uguaglianza delle opportunità può apparire una chimera, un’utopia. Ma un’utopia in senso positivo, in cui al possibile l’obiettivo ideale progettato sia comparabile a situazioni che, anche senza raggiungere l’eccellenza, configurino sostanzialmente una condizione di equità attraverso la compensazione di tutto quanto di deficit può essere colmabile. Certo, individuare progettualmente, totalmente e minutamente, un insegnamento a misura dei singoli non è semplice, anche perché si tratta di gestire un insegnamento individualizzato, ma non individuale, quindi un insegnamento collocato nel contesto sociale della classe. E la classe è generalmente una classe numerosa, con soggetti di livelli diversi, che presentano diversità comportamentali, di atteggiamenti, di carattere, di esperienze pre- ed extrascolastiche. Per cui, come si accennava prima, individualizzare al 100% l’insegnamento, pur utilizzando approcci interpersonali, tecniche e materiali adeguati, è più che altro un ideale verso cui tendere. Sottolineo però che “un ideale verso cui tendere” non è puro vagheggiamento, ma meta a cui avvicinarsi realmente e concretamente. Nelle Indicazioni nazionali e nelle Raccomandazioni diffuse dal Ministro Moratti per la minisperimentazione della Riforma/Controriforma per il 2002/03, ci sembra di individuare nell’ insegnamento personalizzato una chiave di lettura centrale, che dà però l’impressione di muoversi in una posizione alquanto diverse da quella sin qui prospettata. Noi infatti riteniamo che una buona scuola attraverso l’individualizzazione possa contribuire ad elevare verso l’alto il livello dei tutti; possa cioè ottenere buoni ed ottimi risultati, senza la pretesa a tutti i costi di conseguire necessariamente la “fatidica” eccellenza. Questo non significa che non vi voglia conseguire l’eccellenza o che si provi ribrezzo per l’eccellenza in quanto tale. Significa soltanto che il numero di persone che conseguono l’eccellenza non costituisce un parametro assoluto nella delineazione degli indicatori di una scuola di qualità e nella relativa valutazione. La nostra posizione sull’individualizzazione si colloca all’interno di una prospettiva che legittimamente crediamo possa definirsi “democratica”. La posizione del Ministro appare piuttosto definibile “liberal-aristocratica”. Troviamo infatti nei recenti documenti morattiani un continuo richiamo in positivo alle differenze, alla diversità come fattore di arricchimento degli altri, senza che si metta a fuoco il rapporto dialettico che congloba diversità ed uguaglianza in una implicazione reciproca (l’uguaglianza nella diversità). Tutto ciò ha come conseguenza i “Piani di studio personalizzati” ed il personale “Portfolio” di ciascuno. In tal modo, nel rifiuto dell’omogeneità forzosa, di qui passa comunque la differenziazione didattica, per cui percorsi diversi vanno a configurare esiti programmaticamente diversi, attraverso modalità organizzative differenziate non provvisoriamente, ma in forme di raggruppamento tendenzialmente stabili (gruppi omogenei di livello), come già si era prefigurato nel materiale diffuso da “Nova Spes” in contrapposizione a quanto prodotto dalla Commissione De Mauro (Cfr. su Insegnare online: Carlo Palumbo, La scuola della Nuova destra, 18/9/2001, http://www.cidi.it) La diversità e la valorizzazione di essa non hanno nei “Programmi Moratti” in modo forte come contraltare il diritto allo studio ed all’apprendimento, in maniera che, se non può essere uguale per tutti, debba tendere ad una sostanziale equivalenza di risultati. Ci chiediamo se, in questa prospettiva, sia sufficiente, per garantire il carattere democratico di questi nuovi documenti, indicare un lungo elenco di competenze che andrebbero conseguite nazionalmente. Paolo Citran è Presidente del CIDI Carnia - Alto Friuli |