Howard Zinn*

La Storia degli Stati Uniti: costruita sulle bugie, per dominare il mondo

Ora che la maggior parte degli americani non crede più nella guerra, ora che non si fida più di Bush e della sua amministrazione, ora che la prova del suo raggiro è diventata schiacciante (così schiacciante che persino il maggiore dei media, sempre in ritardo, ha iniziato a registrare indignazione), potremmo chiederci: com’è che tanta gente è stata ingannata così facilmente?

La domanda è importante perché potrebbe aiutarci a capire perché gli americani - i media così come i normali cittadini, nonostante i presunti modi sofisticati dei giornalisti - si siano precipitati a dichiarare il loro supporto appena il presidente ha mandato le truppe in giro per il mondo fino all’Iraq.

Un piccolo esempio dell’innocenza (o servilismo, per essere più precisi) della stampa è il modo in cui questa ha reagito alla presentazione di Colin Powell nel febbraio 2003 al Consiglio di Sicurezza, un mese prima dell’invasione. Un discorso che può essere registrato come il primato di falsità dette in un sol colpo. In esso, Powell, in confidenza, ha sparato la sua “prova”: fotografie satellitari, registrazioni audio, relazioni di informatori, con statistiche precise di come esistessero litri e litri di questo e quello apposta per una guerra chimica.
Il New York Times rimase senza parole per l’ammirazione. L’editoriale del Washington Post fu intitolato “Irrefutabile” e dichiarò che dopo il discorso di Powell “è difficile immaginare come si possa dubitare che l’Iraq possieda armi di distruzione di massa.”
Mi sembra che ci siano due motivi, che hanno radici nella nostra cultura nazionale, e che aiutano a capire la vulnerabilità della stampa e dei cittadini davanti a bugie oltraggiose le cui conseguenze hanno portato alla morte di decine di migliaia di persone. Se riusciamo a capire questi motivi, possiamo salvaguardarci contro l’essere raggirati ancora.
Una causa è nella dimensione temporale, ed è l’assenza della prospettiva storica. L’altra è nella dimensione spaziale, ed è un’incapacità di pensare fuori dai confini del nazionalismo, è la convinzione di pensare, arrogantemente, che questo paese è il centro dell’universo, ed è eccezionalmente virtuoso, ammirevole, superiore.
Se non conosciamo la storia, siamo carne pronta per i politici carnivori, gli intellettuali e i giornalisti che forniscono il coltello più affilato.
Non parlo della storia che si impara a scuola, una storia che favorisce i nostri leader politici, dagli ammirati Padri Pellegrini, ai presidenti più recenti.
Intendo una storia che sia onesta sul passato. Se non conosciamo quella storia, allora qualunque presidente si può alzare alla batteria dei microfoni, dichiarare che dobbiamo andare in guerra, e noi non avremo le basi necessarie per confutarlo. Dirà che la nazione è in pericolo, che sono in gioco la democrazia e la libertà, e che dobbiamo quindi mandare navi e aeroplani per distruggere il nostro nemico, e noi non avremo motivo di non credergli.
Ma se conosciamo un po’ di storia, se sappiamo quante volte i presidenti hanno fatto dichiarazioni simili al paese, e come queste si siano rivelate bugie, non saremo ingannati.
Sebbene alcuni di noi possano vantarsi di non essere mai stati ingannati, comunque dovremo accettare, come dovere civico, la responsabilità di difendere i nostri concittadini dalle menzogne dei nostri alti ufficiali.
Ricorderemo a chiunque possiamo, che il presidente Polk ha mentito alla nazione sulle ragioni per andare in guerra contro il Messico nel 1846; non è successo che “il sangue americano è stato versato sul suolo americano” ma Polk, e l’aristocrazia schiavista, desideravano ardentemente metà del Messico.
Puntualizzeremo che il presidente McKinley mentì nel 1898 sui motivi per l’invasione di Cuba: dissero che volevamo liberare i cubani dal controllo spagnolo, ma la verità è che volevamo la Spagna fuori da Cuba cosicché l’isola potesse aprirsi alla United Fruit, e ad altre grandi imprese.
Mentì anche sui motivi della guerra nelle Filippine, dichiarando che volevamo “civilizzare” le Filippine, mentre la vera ragione era possedere un prezioso pezzo di terra nel lontano Pacifico, anche se dovevamo uccidere centinaia di migliaia di filippini per realizzare quell’obiettivo.
Il presidente Woodrow Wilson - così spesso descritto nei nostri libri di storia come un “idealista” - ha mentito sui motivi per entrare nella prima guerra mondiale, dicendo che era una guerra “per rendere il mondo sicuro nella democrazia”, quando in realtà era una guerra per rendere il mondo sicuro per i poteri imperiali dell’occidente.
Harry Truman ha mentito quando ha detto che la bomba atomica fu lanciata su Hiroshima perché era “un bersaglio militare”.
Tutti hanno mentito sul Vietnam: Kennedy sull’estensione del nostro coinvolgimento, Johnson sul golfo di Tonkin, Nixon sui bombardamenti segreti in Cambogia, dichiarando che era per tenere il Vietnam del Sud libero dal comunismo, ma in realtà volendo tenere il Vietnam del Sud come avamposto in fondo al continente asiatico.
Più recentemente. Reagan ha mentito sull’invasione di Grenada, dichiarando falsamente che era una minaccia per gli Stati Uniti.
Bush padre ha mentito sull’invasione di Panama, portando alla morte di migliaia di civili di quel piccolo paese. E ha mentito di nuovo sui motivi per attaccare l’Iraq nel 1991. È dura pensare che fosse per difendere l’integrità del Kuwait (si può immaginare Bush afflitto per la presa del Kuwait da parte dell’Iraq?), piuttosto lo fece per affermare il potere degli Stati Uniti nel Medio Oriente, così ricco di petrolio.
Dato lo schiacciante primato di bugie dette per giustificare le guerre, come si può ascoltando Bush figlio credergli quando racconta i motivi per invadere l’Iraq? Non ci dovremmo istintivamente ribellare contro il sacrificio di vite per il petrolio?
Un’attenta rilettura della storia può darci un’altra tutela contro l’essere raggirati.
Renderebbe chiaro che c’è sempre stato, e c’è oggi, un profondo conflitto di interessi tra il governo e il popolo degli Stati Uniti.
Questo pensiero spaventa la maggior parte della gente, perché va contro tutto quello che ci hanno insegnato. Siamo stati portati a credere che, fin dall’inizio, quando i nostri Padri Pellegrini lo scrissero nel preambolo della Costituzione, fu “noi, il popolo” a stabilire il nuovo governo dopo la rivoluzione.
Quando l’eminente storico Charles Beard suggerì, cento anni fa, che la Costituzione rappresentava non i lavoratori, non gli schiavi, ma gli schiavisti, i mercanti e i detentori di obbligazioni, diventò l’oggetto di un editoriale indignato da parte del New York Times.
La nostra cultura esige, nel suo stesso linguaggio, una comunità che ci leghi l’uno con l’altro. Non dobbiamo parlare di classi. Solo i marxisti lo fanno, anche se James Madison, “padre della Costituzione”, disse, trent’anni prima che Marx nascesse, che c’era un’inevitabile conflitto nella società tra chi possedeva proprietà e chi no.
I nostri attuali leader non sono così candidi. Ci bombardano con frasi come “interesse nazionale”, “sicurezza nazionale”, “difesa nazionale” come se tutti questi concetti venissero applicati ugualmente a tutti noi, di colore o bianchi, ricchi o poveri, come se General Motors e Halliburton avessero gli stessi interessi del resto delle persone, come se George Bush avesse gli stessi interessi del giovane uomo o donna che lui manda in guerra.
Di sicuro, nella storia delle bugie dette alla popolazione, questa è la più grande menzogna. Nella storia dei segreti tenuti nascosti agli americani, questo è il più grande segreto: che in questo paese ci sono diverse classi con diversi interessi. Ignorare questo, non sapere che la storia del nostro paese è storia di schiavista contro schiavo, proprietario contro affittuario, impresa contro lavoratore, ricco contro povero, ci rende indifesi di fronte alle bugie minori che ci vengono dette da coloro che sono al potere.
Se noi come cittadini cominciamo a capire che quella gente lassù - il Presidente, il Congresso, la Corte Suprema, tutte queste istituzioni che fingono di essere “controllo e bilancio”- non ha a cuore i nostri interessi, noi ci avviamo verso la strada della verità.
Non saperlo ci rende indifesi contro bugiardi risoluti.
C’è ancora un altro motivo per cui il pubblico è vulnerabile ai raggiri del governo, ed è la convinzione profondamente radicata - no, non dalla nascita ma dal sistema educativo e dalla nostra cultura in generale - che gli Stati Uniti sono un paese particolarmente virtuoso. Inizia presto, alle elementari, quando veniamo obbligati a “promettere obbedienza” (prima di saperne il significato), forzati a proclamare che siamo una nazione con “libertà e giustizia per tutti”.
Poi vengono le innumerevoli cerimonie, al campo di baseball o ovunque, dove ci si aspetta che noi stiamo in piedi e inchiniamo la testa durante l'inno dell'alzabandiera, lo Star-Spangles Banner, ad annunciare che siamo “la terra della libertà e la dimora dei coraggiosi”. (I bambini che non recitano la promessa avranno dei problemi, e alle persone che non stanno in piedi durante l’inno nazionale vengono lanciate delle occhiate ostili).
C’è anche l’inno nazionale non ufficiale, “God Bless America”, e sei guardato con sospetto se chiedi perché ci dovremmo aspettare che Dio scelga esclusivamente questa nazione - che è il 5% della popolazione mondiale - per la sua benedizione.
Se il tuo punto iniziale per valutare il mondo intorno a te è la ferma convinzione che questa nazione è in qualche modo dotata dalla Provvidenza di qualità uniche che la rendono moralmente superiore a ogni altra nazione sulla terra, allora probabilmente non dubiterai del presidente quando dice che stiamo mandando le nostre truppe qui o lì, o stiamo bombardando questo o quello al fine di diffondere i nostri valori - democrazia, libertà, e non dimentichiamo libera impresa - in qualche posto nel mondo (letteralmente) abbandonato da Dio.
Diventa necessario affrontare alcuni fatti che disturbano l’idea di un’unica nazione virtuosa, se abbiamo intenzione di proteggere noi stessi e i nostri concittadini contro le politiche che saranno disastrose non solo per altra gente, ma anche per gli americani.
Questi fatti sono imbarazzanti, ma vanno comunque affrontati se vogliamo essere onesti. La nostra lunga storia di pulizia etnica, nella quale milioni di nativi americani vennero portati via dalle loro terre attraverso massacri ed evacuazioni forzate. E la nostra lunga storia, non ancora dietro di noi, di schiavitù, segregazione e razzismo.
Dobbiamo affrontare il nostro passato di conquiste imperiali, ai Caraibi e nel Pacifico, le nostre guerre vergognose contro paesi grandi un decimo del nostro: Vietnam, Grenada, Panama, Afghanistan, Iraq.
E il ricordo permanente di Hiroshima e Nagasaki.
Non è una storia di cui possiamo andare fieri.
I nostri leader l’hanno dato per scontato, e hanno inculcato nella mente di molta gente la convinzione che abbiamo il diritto, per la nostra superiorità morale, di dominare il mondo.

Alla fine della seconda guerra mondiale, Henry Luce, con un’arroganza appropriata al proprietario di Time, Life e Fortune, ha stabilito che quello scorso era “il secolo americano”, dicendo che la vittoria nella guerra ha dato agli Stati Uniti “il diritto di esercitare sul mondo tutto l’impatto della nostra influenza, per i propositi che riteniamo opportuni e con i mezzi che riteniamo opportuni.

Questa nozione è stata accolta sia dai partiti repubblicani che da quelli democratici.

George Bush, nel suo Discorso Inaugurale del 20 gennaio 2005, ha detto che “Diffondere la libertà nel mondo… è la missione del nostro tempo”. Anni prima, nel 1992, il presidente Bill Clinton, parlando alla cerimonia per il conferimento delle lauree dell'accademia militare di West Point, ha dichiarato che “i valori che avete imparato qui… saranno quelli da diffondere nel paese e nel mondo”.

Su cosa si basa l’idea della nostra superiorità morale? Sicuramente non sul nostro comportamento verso i popoli di altre parti del mondo. Si basa su come vivono bene gli americani?

L’Organizzazione Mondiale per la Sanità fa una classifica del mondo in termini di risultato complessivo della sanità, e gli Stati Uniti sono al 37esimo posto, sebbene spendano pro-capite più di ogni altro paese nel mondo. Un bambino su cinque, nel più ricco paese del mondo, nasce in povertà.

Ci sono 40 paesi che hanno un risultato migliore del nostro nella mortalità infantile. Cuba è migliore in questo.

E c’è un chiaro segnale di malessere nella società che supera tutte le altre nel numero di persone in prigione: più di due milioni, negli Stati Uniti.

Una stima più onesta di noi come nazione ci preparerebbe per la prossima serie di bugie che accompagneranno la prossima proposta di infliggere il nostro potere su alcune parti del mondo.

Ci potrebbe anche convincere a crearci una storia diversa, a prendere il nostro paese ai bugiardi e agli assassini che lo governano, e a rigettare l’arroganza nazionalistica, cosicché potremmo unirci al resto della razza umana nella causa comune per la pace e la giustizia.



* Howard Zinn (1922) è cresciuto nei sobborghi poveri degli immigrati a Brooklyn. Attualmente è professore emerito di Scienze politiche alla Boston University