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                John Kleeves (Stefano Anelli) 
                Le balle spaziali di Hollywood  | 
               
             
              La realtà degli Stati Uniti ha molti lati
                negativi, sia nei suoi aspetti attuali che storici. A chi la
                conosce, anche poco, ma quel poco con esattezza, immancabilmente
                capita prima o poi di notare come la filmografia di tale paese
              - per antonomasia Hollywood - sia al riguardo puntualmente mistificatoria. 
  
              Non in modo plateale: i film di Hollywood non stravolgono completamente
                i fatti né fanno omissioni evidenti per i non iniziati.
                Con disinvoltura essi evitano di citare gli eventi più significativi,
                o dei particolari rivelatori, e distorcono i fatti quel tanto
                che basta per indurre lo spettatore a trarre conclusioni sbagliate
                su certe situazioni, o comunque a non trarre quelle giuste. Gli
                esempi sono infiniti.
  
              La società americana
  
              Prendiamo la società americana. Com'è,
                in breve ma con esattezza, quella società? È una
                società dove
                gli individui lottano accanitamente per arricchirsi, dove quelli
                che non ce la fanno cominciano a lottare accanitamente per sopravvivere
                e gli altri non ne hanno mai abbastanza di ingegnarsi a mostrare
                il loro successo.  
                È una società spietata, oltremodo
                selettiva secondo il suo criterio, che distrugge innumerevoli
                schiere dei suoi componenti. Le statistiche parlano chiaro.  
                Su
                un totale di 240 milioni di abitanti i poveri
                sono 30 milioni                per il governo e 60
                milioni                per gli istituti privati. Non
                si tratta di "poveri" solo
                rispetto ad uno standard elevato: non possono permettersi di
                curarsi, ed infatti hanno una vita media di 10 anni più breve
                della media; anche il sangue che vendono nei
                laboratori privati presenti in ogni cittadina, che può fruttare
                sino a 80 dollari al mese, non aiuta.  
                Nella vasta area interna dei monti
                Appalaci, che tocca cinque Stati ed è abitata praticamente
                solo dai bianchi anglosassoni, ci sono episodi di denutrizione
                fra i bambini. Gli homeless sono circa 4 milioni
                (il governo li calcola in 250.000, che sono invece solo gli homeless
                anche malati di mente). In maggioranza bianchi anglosassoni,
                sono persone che hanno perso il lavoro e non ne hanno trovato
                un altro in tempo utile: sia che fossero in affitto o avessero
                contratto un mortgage bancario sulla casa, in breve
                si trovano sulla strada.  
                Può anche essersi trattato di un problema
                di salute: ogni anno circa un milione di persone negli USA va
                in bancarotta per le spese mediche. Intere famiglie sono homeless:
                vivono nella loro auto, addosso alla quale cominciano ad erigere
                tende e cartoni; allontanati da un sito all'altro finiscono per
                ritrovarsi nelle
                car cities o nelle tent cities, la più grande
                delle quali è presso
                Van Nuys, un sobborgo di Los Angeles.  
                Ogni inverno circa 1.000
                homeless muoiono per il freddo. Gli
                street kids riflettono il disagio delle
                famiglie povere americane: sono minori dagli 8 ai 14 anni, dei
                due sessi, che fuggono di casa e che si ritrovano in gruppetti
                nelle grandi città dove
                per sopravvivere in genere si prostituiscono ad adulti che li
                cercano incessantemente (gli street kids fanno survival
                sex con
                i chicken hawks).  
                Fra rientri e nuove fughe il loro
                numero è costante da
                molti anni ed è calcolato in "più di un milione".
                Ogni anno circa 5.000 street kids muoiono per percosse,
                stenti o malattie, frettolosamente fatti seppellire in tombe
                anonime dalle autorità municipali; molti hanno l'AIDS
                (il 40% di quelli che vivono a New York City, si calcola). 
  
              L'infanzia difficile non si concilia con la scuola: ci sono
                così   negli USA 27 milioni di analfabeti, persone che
                scelgono le scatolette di cibo in base ai disegni, per i quali
                comunque sviluppano una memoria sicura. 
  
              I migrant workers sono circa 5 milioni: sono lavoratori agricoli
                stagionali che passano la vita spostandosi da un campo di pomodori
                a uno di meloni su vecchie auto o furgoncini, le loro case. 
  
              Tre milioni di nuclei familiari - anche numerosi, di cinque
                o sei persone - vivono nei trailers, che sono cassoni in alluminio
                e polistirolo da 2,2 x 6-10 metri montati su ruote gommate e
                parcheggiati per sempre in campi di periferia, che diventano
                trailer parks. Quantità   ancora maggiori vivono negli
                slums, quartieri degradati e pericolosissimi presenti in ogni
                città, in genere in zone periferiche abilmente tagliate
                fuori dalla viabilità, perché i turisti non le
                vedano o qualcuno non ci si avventuri per sbaglio. 
  
              Ogni anno in media il 17% delle famiglie americane trasloca,
                seguendo il lavoro là dove lo trova, anche mille miglia
                distante. Madri single e desolate sono spesso costrette a vendere
                i loro neonati, come la legge americana in verità permette:
                al posto del pagamento delle spese del parto, circa 3.000 dollari,
                firmano in ospedale un certificato di cedimento in adozione ed
                il neonato finisce ad una coppia, la quale spende in totale sui
                20.000 dollari. 
  
              Questo è per sommi capi il risvolto
                  umano della curva di distribuzione della ricchezza negli Stati
                  Uniti, dove meno dell'1% della popolazione detiene più del
                  50% della medesima e dove il resto non è diviso molto
                  più equamente. 
  
              Gli stenti economici si trasformano in criminalità e
                disagi psicologici. Il livello di criminalità americano è giustamente
                leggendario e basti il numero di omicidi: dai 25 ai 30.000 all'anno;
                nella capitale Washington, che ha circa gli abitanti di Bologna,
                avvengono sui 400 omicidi all'anno. Per i problemi psicologici
                si può dire che negli Stati Uniti vi sono 27
                milioni di alcolizzati, 18 milioni di consumatori di droghe leggere,
                da 4 a 8 milioni di cocainomani e 500.000 eroinomani, mentre uno
                studio condotto nel 1984 dal National Institute of Mental Health
                concludeva che il 19% della popolazione adulta americana era
                da considerarsi mentalmente malata dal punto di vista clinico.
                Anche i suicidi sono dai 25 ai 30.000 all'anno.
  
              Dietro la maschera 
  
              Guardando un film di Hollywood ambientato negli
                States contemporanei ha mai lo spettatore la sensazione di una
                realtà del genere?  
                Certamente no. I particolari che sarebbero
                solo di per sé   rivelatori
                sono accuratamente evitati. Così in nessun film americano
                si vedono street kids o intere, normali famiglie composte
                da padre, madre e figli che vivono in automobili; mai è presentata
                la situazione della persona che non può curarsi per mancanza
                di soldi e che è respinta da medici e ospedali per quello;
                mai si vedono homeless o comunque poveri che vendono sangue e
                sperma per 20 dollari; mai si vedono tent
                cities o trailer parks;
                mai si vedono donne che cedono i loro figli in cambio del pagamento
                della retta ospedaliera. Il resto è mostrato tutto, ora
                questo ora quello a seconda delle esigenze del copione: slums,
                barboni, braccianti nomadi e così via. 
                Il contesto e il
                modo in cui tali situazioni sono presentate, però,
                non permettono allo spettatore di rendersi conto del loro reale
                significato, della drammatica portata che hanno nella società americana.  
                Il che viene ottenuto suggerendo allo spettatore altre opzioni,
                rivolgendosi al suo subconscio con ammiccamenti vari. I barboni,
                ad esempio, se inseriti sullo sfondo per un tocco di "realismo" sono
                sempre stesi a terra ubriachi o drogati; se sono in piedi e parlano
                sono dei pazzi o dei mentecatti; lo spettatore così conclude
                che gli homeless americani sono tutti dei portatori di gravi
                difetti che si trovano in difficoltà per una qualche loro
                colpa, o dei malati che preferiscono vivere in una scatola di
                cartone piuttosto che in un istituto.  
                Se l'homeless del film
                ha una parte nella vicenda e non gli si attribuiscono colpe specifiche,
                allora lo è per sua
                scelta, per via della sua personalità di irriducibile
                ribelle, come un personaggio di Pian della
                Tortilla. Questo è anche
                il caso dei migrant workers, presentati come dei solitari
                che passano da un ranch all'altro perché   così a
                loro piace; se si portano dietro una famiglia allora sono sempre deichicanos,
                immigrati abituati a miserie peggiori. Rarissimo vedere un trailer
                in un film americano; comunque quando c'è non è   maiinserito
                in un trailer park, è sempre seminuovo e abitato
                da un single di indole sportiva, o da un criminale. 
  
              Altre situazioni presentate da Hollywood sembrerebbero
                a prima vista sicure rivelatrici di una realtà sociale
                spietata, come ad esempio il caso dell'impiegato che viene licenziato
                e che diventa homeless. Ma nella vicenda sono sempre inseriti
                elementi di inverosimiglianza, che inducono lo spettatore a concludere
                che la situazione non è stata tratta dalla realtà,
                ma inventata apposta peconfezionare una storia e farlo divertire.
                C'è poi un arma segreta, che risolve ogni situazione:
                l'immancabile lieto fine di Hollywood. 
                Con il
                lieto fine si può presentare quasi qualunque dramma:
                innanzitutto esso rappresenta di per sé un'inverosimiglianza,
                che ha l'effetto appena detto, e alla peggio lascia nello spettatore
                l'impressione che la società americana può avere
                sì delle durezze, può creare delle difficoltà,
                ma che queste sono sempre temporanee e dopo un po' tutto si risolve
                per il meglio.
  
              La politica interna americana 
  
              Discorso analogo per la politica interna americana.
                Gli Stati Uniti, ben lungi dall'essere una democrazia, sono una
                evidentissima
                oligarchia basata sulla ricchezza. L'establishment
                oligarchico comprende circa un quarto della popolazione ed esercita
                la sua dittatura attraverso un sistema elettorale che non pone
                limiti ai finanziamenti privati e che di fatto esclude dal voto
                gli strati più   poveridella popolazione: alle elezioni
                statali, dalle quali dipende in concreto la vita dei cittadini
                (gli USA non sono uno Stato; sono una federazione) non partecipa
                mai più del
                35-40% degli aventi teoricamente diritto, per una serie di ostacoli
                pratici che sono frapposti, e a quelle presidenziali mai più del
                50-55%. 
  
              Politici e media americani chiamano la loro una One
                  man one vote democracy; il popolino la chiama One
                  dollar one vote. Nel
                tempo mai meno dell'80% dei componenti del Senato federale è stato
                costituito da miliardari in persona; analogamente sono in genere
                gli eletti a cariche federali importanti ed i capi di dipartimenti
                federali. La politica seguita dall'establishment oligarchico è conforme
                ai suoi soli interessi e va a detrimento di quelli di larghi
                strati della popolazione. Questi capiscono la situazione - come
                no - e vorrebbero protestare, ma non si può perché negli
                USA c'è la prevenzione e la repressione del dissenso.
                 
                La prima viene eseguita tramite la Retorica
                  di Stato imposta
                nelle scuole e ad ogni livello della vita pubblica, e tramite
                lo stretto controllo del mondo mediale; per la repressione parlano
                i circa 10.000 detenuti politici che ci sono nelle carceri americane
                (dove c'è anche qualche straniero, come Silvia Baraldini
                ad esempio). 
  
              Tutto avviene all'atto pratico, e tutto all'esatto
                contrario di quanto è scritto: la libertà di parola
                e di espressione garantita dal Quinto Emendamento vale solo per
                il perfezionamento dello status quo, non certo per metterlo in
                discussione. Hollywood ha mai prodotto un film che trasmettesse
                la sensazione di tale stato di cose? Tutt'altro. Il sistema americano è presentato
                come una vera democrazia, dove la partecipazione popolare è addirittura
                capillare. Ci sono però evidenti disfunzioni in questa
                democrazia e Hollywood non fa l'errore di fingere di ignorarle.
                Si ricorre allora a due capri espiatori fissi: le mancanze personali
                di qualche personaggio politico, la sua corruzione o ambizione,
                e lo strapotere di un mondo mediale cinico e irresponsabile (il
                Quarto potere), che rappresentano entrambi l'elemento umano che
                ogni tanto guasta un sistema altrimenti perfetto.
  
              Prendiamo la storia americana. Inutile cercare nei film di Hollywood
                una qualche verità completa in merito.  
                La Guerra di Indipendenza                del 1776 fu dovuta a contrasti commerciali fra i grandi mercanti
                del New England ed i grandi latifondisti negrieri del Sud da
                una parte e la Gran Bretagna dall'altra, ed è tuttora
                controverso se una maggioranza del popolo coloniale vi fosse
                favorevole; in effetti, finita la guerra, per evitare ritorsioni
                circa 100.000 americani si rifugiarono parte in Gran Bretagna
                e parte in Canada, dove fra l'altro originarono la parte tuttora
                anglofona del paese. Per Hollywood invece si trattò di
                una insurrezione per ottenere la libertà, spontanea e
                costellata di episodi di eroismo popolare (non ve ne fu uno). 
  
              Per i neri il periodo dello schiavismo,
                durato nel New England dal 1630 al 1780 e nel Sud dal 1619 al
                1865, fu tremendo. Per averne un'idea basta considerare che ai
                loro schiavi i padroni facevano anche strappare i denti, assai
                ricercati per le dentiere (nel 1787, a Richmond, per un incisivo
                si pagavano due ghinee; anche George Washington aveva una dentiera
                fatta con denti umani). Ma non è   questa la situazione
                presentata da Via
                col vento, che addirittura suggerisce rapporti idilliaci
                fra gli schiavi e i loro padroni. Nessun film di Hollywood, inoltre,
                ha mai dato un'idea della dimensione della tragedia che fu per
                l'Africa lo schiavismo americano: mentre gli schiavi giunti a
                una qualche destinazione, che nell'80% dei casi erano appunto
                gli Stati Uniti, furono sui 3 milioni, nel periodo dello schiavismo
                la popolazione dell'Africa calò di circa 50 milioni di
                unità.  
                Anche le persecuzioni cui furono soggetti i neri
                degli Stati Uniti con la segregazione razziale non sono mai state
                proposte da Hollywood nel loro vero volto: nel solo anno 1914
                furono linciati 1.100 neri negli Stati Uniti, ora qua e ora là,
                ma trascorsi del genere certamente non emergono in Indovina
                chi viene a cena?.
  
              Lo sterminio degli Indiani... 
  
              Solo una fu la volontà degli americani
                nei confronti dei "loro indiani": sterminarli. In quella parte
                dell'America che sono ora gli Stati Uniti gli Indiani erano almeno
                5 milioni nel 1630, e ne furono contati 250.000 al censimento
                generale dell'anno 1900. Inizialmente gli indiani statunitensi,
                come del resto quelli del continente, furono decimati dalle epidemie
                che i bianchi si portavano dietro; ma poi furono volontariamente
                sterminati, come invece nel resto del continente non successe.
                 
                Ciò si verificò nel lungo arco
                di tempo che va dal 1634 al 1890. Innanzitutto gli americani,
                appena si accorsero che gli indiani non resistevano alle epidemie,
                cominciarono a diffonderle negli accampamenti distribuendo coperte
                infettate col vaiolo, che raccoglievano nei loro ospedali nel
                corso delle ricorrenti epidemie (il vaiolo era endemico nelle
                colonie, ma faceva poche vittime fra i bianchi).  
                Il sistema,
                inaugurato dai Puritani della Massachusetts Bay Colony dopo il
                1630, fu usato qualche volta anche dai governatori inglesi e
                poi dal Congresso statunitense sin oltre la metà dell'Ottocento. 
  
              Quindi ci furono i massacri, che avvennero tutti
                secondo lo stesso copione: attacchi di sorpresa ad accampamenti
                eseguiti di norma quando i maschi adulti - i "guerrieri" - erano
                assenti. Il primo avvenne nel 1634 in Connecticut, quando i Puritani,
                guidati da John Winthrop, di notte incendiarono un accampamento
                di Pequot e spararono sugli indiani che uscivano dalle tende,
                uccidendone circa 700 e vendendo i sopravvissuti come schiavi.
                 
                L'ultimo fu a Wounded Knee nel 1890, quando il VII reggimento
                di cavalleria sterminò un intero villaggio nel quale si
                trovavano 200 persone fra donne, vecchi e bambini, e nessun uomo
                adulto; le Giacche Blu persero 29 uomini, caduti da cavallo durante
                la carica. Fra i due, innumerevoli episodi del tutto analoghi.
                Ma il grosso dello sterminio fu eseguito affamando gli indiani
                a morte. Ingannati dai trattati (entro il 1880 ne furono conclusi
                più di 400, nessuno dei quali rispettato dal vari Congressi
                e Presidenti), gli indiani finivano in riserve inospitali, dove
                gli stenti li decimavano. 
  
              Dal 1850 al 1875 il Congresso fece sterminare i bisonti, sui
                quali soli si sostenevano gli indiani delle praterie centrali:
                erano sugli 80 milioni nel 1850 e ne furono contati 541 nel 1889,
                ridotti nel 1911 a due nello zoo di Chicago (tutti gli attuali
                bisonti di Yellowstone discendono da quei due, un maschio e una
                femmina). 
  
              C'erano poi i coloni americani; che dove andavano
                si liberavano degli Indiani locali avvelenando i pozzi d'acqua
                e assoldando "uccisori
                d'indiani" per far aumentare di valore le concessioni acquistate
                dalle grandi società immobiliari del New England (finito
                il lavoro, gli "uccisori" si davano in genere al banditismo). 
  
              ...visto da Hollywood 
  
              Come racconta Hollywood questa storia? Come sappiamo,
                mostrando gli indiani cattivi che attaccano pacifici coloni e
                dolcissime colone dagli occhi celesti. Era vero, c'erano tali
                attacchi ed efferatezze, ma il contesto di provocazioni mortali
                cui erano soggetti gli indiani non è mai intuibile; eppure
                era il nocciolo della vicenda. Ultimamente Hollywood ha prodotto
                dei western che hanno fatto pensare ad un suo ripensamento sul
                ruolo degli indiani, da carnefici a vittime come in effetti erano.
                Citiamo ad esempio Soldato blu, Un uomo
                chiamato cavallo, Piccolo grande uomo, Balla coi lupi, più qualche
                altro. In essi non c'è nessun ripensamento, solo un affinamento
                della mistificazione, insostenibile ormai nei termini passati.
                La logica implicita di tali film è che i problemi degli
                indiani nacquero da equivoci, da incomprensioni fra due popoli
                così   diversi;
                qualche volta nacquero da singoli americani cattivi, troppo avidi,
                o anche da singoli indiani o da singole tribù   ingiustificatamente
                bellicose.  
                I massacri sono presentati come episodi, tragici,
                ma sempre tali. Prendiamo Balla coi lupi. Nella parte
                centrale dedicata alla vita della pacifica tribù Sioux è obiettivo,
                ma all'inizio si vedono dei guerrieri Pawnee che uccidono un
                civile bianco; il che lascia pensare che quei Pawnee avessero
                riservato la stessa sorte ad altri bianchi, magari delle famiglie
                di coloni, giustificando così l'intervento massiccio dei
                soldati nel finale, che inevitabilmente se la prendono anche
                con i Sioux. In pratica questa mistificazione di Hollywood che
                potremmo definire dell'ultima generazione è analoga a
                quella da sempre eseguita in Italia nei fumetti di Tex Willer,
                dove la colpa   è sempre dell'agente della riserva corrotto,
                del generale ottuso o del "pezzo grosso" di Washington. Per inciso
                sarebbe interessante sapere se gli autori di Tex abbiano compiuto
                tale disinformazione intenzionalmente, e se sì spinti
                da chi e in cambio di che cosa. 
  
              Le guerre sante degli USA 
  
              La Guerra Civile del 1861-1865 fu dovuta a dissidi
                sulla politica economica federale fra il grande capitalismo del
                Nord commerciale e industriale ed il grande latifondismo del
                Sud agricolo e negriero. Il problema era effettivamente lo schiavismo,
                ma non per ragioni morali: per ragioni economiche. 
                Hollywood
                non ha mai messo in dubbio le ragioni morali del conflitto.  
                Venendo
                alla Prima Guerra Mondiale, gli Stati Uniti vi entrarono per
                salvare la Balance of Power in Europa, minacciata dagli Imperi
                Centrali, Balance che era necessaria agli Stati Uniti per continuare
                a condurre con profitto i loro commerci internazionali. Hollywood
                - e ricordo qui Il sergente York - presentò certamente
                la partecipazione americana come un suo volontario e disinteressato
                contributo alla causa della libertà nel mondo. 
  
              Analogamente per la Seconda
                  Guerra Mondiale, cui gli Stati Uniti
                parteciparono ancora per salvare la Balance
                of Power in Europa
                minacciata questa volta da Hitler e Mussolini, e in più per
                salvare il Mercato dell'Oriente minacciato dal Giappone. Non
                uno degli infiniti film prodotti da Hollywood su questo tema
                mette in dubbio che la partecipazione americana non fosse dovuta
                ad un volontario e disinteressato contributo alla causa della
                libertà nel mondo.  
                Nella Seconda Guerra Mondiale gli Stati
                Uniti introdussero due novità clamorose, due cose mai
                viste prima nella Storia: la Guerra alle Popolazioni Civili e
                la Guerra per il Dopoguerra. Entrambe le novità vanno
                comunemente sotto il nome di Guerra Totale, ma sono due cose
                distinte. 
  
              La Guerra alle Popolazioni
                  Civili consiste nel sottoporre il
                governo della nazione avversa al seguente ricatto: o ti arrendi
                o io stermino la tua popolazione civile, o almeno cerco di farlo. 
  
              La Guerra per il Dopoguerra consiste nel portare distruzioni
                nelle strutture economiche della nazione avversa allo scopo non
                di diminuire la sua capacità di mantenere le sue forze
                armate - cosa impossibile da ottenere se queste stesse non sono
                già state battute sul campo e quindi la guerra già vinta
                -, ma di rendere la nazione stessa economicamente dipendente
                nel dopoguerra, e in particolare, se tale era il caso, non più un
                concorrente commerciale sui mercati internazionali. Entrambi
                gli obiettivi furono perseguiti dagli Stati Uniti tramite i bombardamenti
                aerei. 
  
              Il primo obiettivo fu perseguito tramite il bombardamento
                a tappeto delle più alte concentrazioni di civili (le
                città   naturalmente,
                ad esempio Dresda e Tokyo, dove furono uccisi rispettivamente
                300.000 e 100.000 civili); contro il Giappone, appena pronte,
                furono anche usate le bombe nucleari gettate su due delle poche
                città   risparmiate dai bombardamenti convenzionali appunto
                nella previsione dell'utilizzo della nuova arma. Il secondo obiettivo
                fu perseguito col bombardamento di industrie di nessuno scopo
                militare (quelle con uso militare erano difese) e di infrastrutture
                civili in generale: ponti, ferrovie, dighe, centrali elettriche,
                acquedotti, fornaci ecc.  
                I massicci bombardamenti convenzionali
                americani e l'uso delle bombe atomiche sul Giappone furono topiche
                clamorose della Seconda Guerra Mondiale e non potevano essere
                ignorati da Hollywood. Ma come li presentò? Non suggerì certo
                la loro natura strumentale per la Guerra alle Popolazioni Civili
                e per la Guerra per il Dopoguerra. No: i bombardamenti convenzionali
                servivano perdistruggere qualche importantissima fabbrica di
                materiale militare, e le perdite civili erano degli incresciosi
                inconvenienti, mentre le bombe nucleari servivano, quelle sì,
                per chiudere una partita tramite incredibili macellazioni di
                civili, ma contro un avversario previamente dipinto come disumano.
  
              Le guerre di Corea e del Vietnam furono fatte dagli Stati Uniti
                per salvare il salvabile del Mercato dell'Oriente dopo la perdita
                della Cina, nonostante tutti gli sforzi diventata comunista nel
                1949. Per Hollywood gli Stati Uniti vi parteciparono perché invocati
                da popoli locali che volevano difendere la loro libertà minacciata
                dai comunisti disumani. Ma, come successo per gli indiani, le
                verità che andavano mano a mano rivelandosi su quei conflitti,
                in particolare del Vietnam, imposero a Hollywood una maggiore
                sofisticazione.
  
              Così dopo i film apologetici dell'intervento
                statunitense, il cui apice fu raggiunto con Berretti
                Verdi, cominciarono ad
                essere realizzati film in qualche modo critici dell'operato statunitense,
                come Apocalypse Now, Platoon, Il cacciatore e altri.
                Ma sono film solo apparentemente critici, perché nessuno
                di loro, mai in nessun caso, mette il dito nella vera piaga:
                la natura neocoloniale della guerra del Vietnam. Apocalypse
                Now, addirittura,
                con l'aria di criticarlo elogia il governo statunitense: i soldati
                sul campo, esasperati da un avversario difficile, volevano "la
                bomba" ma lui seppe resistere. 
  
              I particolari rivelatori continuano naturalmente
                ad essere omessi. Ad esempio, nessuna rievocazione filmica del
                massacro di My Lai, avvenuto il 16 marzo 1968 nel Vietnam del
                Sud, quando la compagnia "Charlie" sterminò i
                500 abitanti del villaggio, composti al momento solo da vecchi,
                donne e bambini (gli uomini erano fuori alla pesca); nessun accenno
                che i defolianti coi quali fu irrorato un settimo del territorio
                sud vietnamita, ben lungi dal servire per scoprire i Viet Cong,
                che infatti stavano sotto terra, servivano invece per distruggere
                le foreste di alberi della gomma che nella previsione di dover
                abbandonare il paese - avrebbero fatto concorrenza a quelle possedute
                in Indonesia da un paio di multinazionali statunitensi del settore
                (altro mirabile esempio di Guerra per il Dopo-guerra). 
  
              Consideriamo l'America
                  Latina ed il suo miserevole stato: ovunque
                - ad eccezione di Cuba - governi corrotti o dittatori mentecatti,
                e miseria, disperazione e degradazione umana nella grande maggioranza
                della popolazione.  
                Nella storia e anche nell'attualità di
                ogni paese latinoamericano ci sono stragi incredibili:
                400.000 morti in Colombia, seguiti al Bogotazo del 1948; 300.000
                morti in El Salvador dal 1960 ad oggi; fra 100.000 ed 1.000.000
                di morti in Brasile negli anni seguenti al colpo di Stato del
                1964; 100.000 morti in Guatemala dal 1980 al 1988; 50.000 morti
                in Nicaragua nello stesso periodo; 30.000 morti in Cile seguenti
                al golpe del 1973; e cose analoghe dalle altre parti, in Argentina,
                Uruguay, Bolivia, Perù ecc.. 
                E questo perché i paesi
                dell'America Latina sono delle colonie di fatto degli Stati Uniti,
                che per avervi dei governi succubi come si vuole ai desideri
                delle loro multinazionali creano colpi di Stato e ricorrenti
                repressioni. Come racconta la storia Hollywood? La racconta con
                il film Il dittatore
                dello stato libero di Bananas, che nel fare la parodia delle
                dittature latinoamericane suggerisce che siano dovute unicamente
                all'indole dei locali, gente buffonesca, ma stupida e violenta.
  
              La politica estera americana 
  
              Il che introduce l'argomento dell'uso della CIA                fatto dalla politica estera americana. Tutti sanno che la CIA è responsabile
                di varie nefandezze nel mondo: ogni tanto un colpo di Stato,
                ogni tanto l'omicidio di una personalità politica estera,
                e così via. Com'è ovvio, la CIA non prende iniziative
                di tale portata da sola: necessità   dell'ordine o dell'approvazione
                sia del Congresso che del Presidente, i responsabili della politica
                estera del paese. Come presentano la cosa i film americani sull'argomento?
                 
                Immancabilmente le nefandezze della CIA sono il frutto di sue "deviazioni",
                o quantomeno dell'eccesso di zelo dei suoi dirigenti e agenti;
                Congresso e Presidente non sono mai chiamati in causa, non sapevano
                mai niente.  
                Tale è dunque la situazione: Hollywood
                falsifica la realtà   americana
                in alcuni suoi aspetti sensibili, sia del passato che del presente. 
                Non
                vi sono dubbi che la prassi sia intenzionale. Ciò si
                deduce prima di tutto dalla sistematicità e coerenza della
                falsificazione: non un film di Hollywood fa eccezione a quanto
                detto sopra. Quindi si può notare che Hollywood non è certamente
                all'oscuro della verità sui vari argomenti. 
  
              Per quanto riguarda la società americana è sotto
                i suoi occhi; ci vive dentro e la conosce perfettamente. Negli
                Stati Uniti la corretta interpretazione delle varie topiche della
                storia americana è   perfettamente nota a scrittori, registi,
                sceneggiatori, consulenti vari: gli artefici dei film di Hollywood. 
  
              L'interpretazione sopra esposta della Guerra
                di Indipendenza e della Guerra Civile non è mia, ma di
                Charles Austin Beard (1874-1948), il più grande storico
                americano, che la dimostrò in
                vari libri a partire dal 1913 (An Economic
                Interpretation of the Constitution, The Rise of American Civilization,
                The Economic Basis of Politics e altri ancora), tutti libri conosciutissimi
                dall'intellighenzia statunitense e la cui veridicità non è messa
                in dubbio. 
  
              La vera situazione degli schiavi neri è descritta
                in molti libri statunitensi, così come la dimensione della
                tragedia dello schiavismo per l'Africa (Native
                American Htstorical Demography è in ogni biblioteca).
                Lo stesso vale per la storia degli indiani: negli Stati Uniti
                il primo libro che raccontava la verità, A Century
                of Dishonor della Jackson, fu addirittura
                pubblicato nel 1881, e seguito da moltissimi altri - Bury
                my heart at Wounded Knee di Dee Brown, pubblicato nel 1971, è conosciutissimo
                in Europa, e logicamente ancora di più negli States. La
                storia del Texas e dei suoi schiavi è   nei libri per
                le scuole medie così come raccontata sopra, tranne che
                per i mercenari e la figura di Davie Crockett, la verità sui
                quali   è comunque nella biblioteca di qualunque Junior
                College. 
  
              Meno pubblicizzati negli Stati Uniti sono i motivi
                della partecipazione alle due guerre mondiali e la natura coloniale
                delle guerre di Corea e del Vietnam: si tratta dell'attualità   della
                politica estera americana, si tratta di american
                foreign policy in the making, ed i suoi scopi sono tenutinascosti
                al grande pubblico. Ma anche qui la verità è perfettamente
                intuibile per l'establishment statunitense, ed in particolare
                per la sua intellighenzia, che tale politica estera concorre,
                nella pratica, a formulare. 
  
              La vera natura dei bombardamenti aerei strategici della Seconda
                Guerra Mondiale è di sicuro un tabù negli USA;
                alcuni libri sull'argomento consentono però di farsene
                un'idea abbastanza precisa, e potrei citare Wings
                of Judgement                di Ronald Schaeffer del 1985 e A
                History of Strategic Bombing                di Lee Kenneth del 1982. 
  
              Lo stesso si può dire delle responsabilità statunitensi
                in America Latina, dove la letteratura in merito è   abbondantissima
                negli Stati Uniti, e per citare solo i più illuminanti
                vedi Cry of the People. United States Involvement
                in the Rise of Fascism, Torture, and Murder and the Persecutiont
                of the Catholic Church in Latin America di Penny Lernoux
                del 1980, American
                Neo-Colonialism                di William Pomeroy del 1970,
                An American Company. The Tragedy
                of United Fruits di Thomas McCann
                del 1976, Silent Missions di Vernon Walters del 1978, The
                Morass. United States Intervention in Central America di Richard White
                del 1984, US Policy Toward Latin America di Harold Molineau del
                1986. 
  
              Una analoga abbondanza si trova sull'argomento
                CIA e operazioni segrete varie, dove la verità della situazione
                non è poi
                tanto fra le righe. Sull'argomento ha scritto anche un importante
                agente della CIA pentito, Philip Agee, che nel 1975 pubblicò negli
                Stati Uniti Inside the Company. CIA Diary e poi riparò all'estero.
                Anche Victor Marchetti, un (ex?) agente della CIA piuttosto noto
                in Italia, ha scritto delle verità sulla Compagnia; ad
                esempio, in The CIA and the Cult of Intelligence del
                1974 ha scritto a pag. 6 che i Presidenti americani "are
                always aware of, generally approve of, and often initiate the
                CIA's major undertakings" ("sono sempre stati consapevoli
                e generalmente hanno approvato e in più di un caso addirittura
                promosso le maggiori imprese della CIA"). I colpi di Stato e
                gli omicidi politici sono certamente dei major
                undertakings.
  
              Il fascino indiscreto della disinformazione 
  
              Non rimane che chiedersi perché Hollywood
                faccia tanta disinformazione mirata sul proprio paese: chi glielo
                fa fare, e cosa ci guadagna? La risposta non è difficile,
                anche se richiede delle premesse, come sempre purtroppo quando
                si tratta degli Stati Uniti, questi sconosciuti. Si è già accennato
                all'organizzazione interna degli Stati Uniti, al dominio dell'establishment
                oligarchico ed alle sue esigenze di prevenzione del dissenso,
                prevenzione attuata essenzialmente tramite lo stretto controllo
                del mondo mediale.  
                Hollywood è fuor dl dubbio l'elemento
                più   importante
                di tale mondo assieme alla carta stampata ed al notiziari televisivi
                e radiofonici. Ecco che Hollywood deve confezionare prodotti
                politically and culturally correct, e cioè di
                regime, proprio come fanno la carta stampata ed i notiziari televisivi
                e radiofonici americani. Ma la massima importanza di Hollywood è in
                politica estera. La politica estera americana è elaborata
                dallo stesso establishment mercantile che comanda nel paese e
                non fa che proiettare all'estero gli scopi che quello ha all'interno:
                arricchire sempre più. Per questo la
                politica estera americana ha sempre seguito, sin dalla fondazione
                dell'Unione, il seguente unico criterio, o logica di comportamento:
                mettere a disposizione le sue risorse - diplomatiche e militari
                - per agevolare le imprese economiche all'estero di quelle entità private americane
                - società o anche singoli operatori, entrambi membri per
                definizione dell'establishment mercantile - che vi si dedicano. 
  
              Naturalmente c'è anche l'esigenza della difesa nazionale,
                ma questa, vista la geografia, è sempre stata del tutto
                secondaria. In pratica con gli Stati Uniti abbiamo una classe
                mercantile dalla psicologia speciale che si è completamente
                impadronita di un paese e che ne adopera i grandi mezzi umani
                e materiali per ricercare opportunità di arricchimento
                in tutto il resto del mondo, ovunque le trovi.
  
              Si capiscono meglio gli Stati Uniti, nei loro rapporti con gli
                altri paesi, se li si pensa non alla stregua di un paese fra
                i tanti, ma come una impresa commerciale privata; privata ma
                grandissima, con enormi risorse umane e materiali a disposizione;
                privata ma con un potente esercito mercenario agli ordini, e
                con nessun tribunale cui dover rendere conto.
  
              Il vero volto degli USA 
  
              Questo, e niente altro, sono gli Stati Uniti
                d'America. Ciò si
                dimostrò sin da subito nelle relazioni estere del paese,
                e così rimase sempre. I mercanti del New England scatenarono
                la rivolta del 1776 contro la madrepatria inglese quando questa
                scoprì il suo gioco di voler lasciare alla East India
                Company di Londra il monopolio del commercio con la Cina. Quindi
                la neonata federazione combatté   la sua prima guerra,
                quella del 1812 sempre contro la Gran Bretagna, con l'obiettivo
                di scalzarla dai Grandi Laghi canadesi, la zona che forniva quelle
                pellicce che erano la merce di scambio più ambita dai
                cinesi, e quindi da John Jacob Astor, il proprietario della American
                Fur Company. 
  
              L'intera Conquista del West fu eseguita giusto
                per raggiungere il Pacifico ed suoi porti, dai quali i grandi
                mercanti del New England avrebbero potuto commerciare con l'Oriente;
                anche le Hawaii e le Filippine furono prese allo stesso scopo,
                così come
                allo stesso scopo era stata acquistata l'Alaska. Cuba fu presa
                nel 1898 per garantire lo sfruttamento delle piantagioni di canna
                da zucchero che vi avevano acquistato alcune multinazionali e
                alcuni singoli americani. Per analoghi motivi si iniziarono a
                sovvertire in quegli anni i paesi dell'America Centrale: le multinazionali
                statunitensi della frutta, fra le quali particolarmente attiva
                la United Fruits (poi United Brands), volevano procurarsi in
                loco e praticamente per niente, grandi piantagioni e chiesero
                al loro governo di Washington di sostituire i governi regolari
                con altri più condiscendenti.  
                Detto e fatto. Poi vollero
                che la mano d'opera locale fosse ancora più a buon mercato
                ed ottennero governi ancora più condiscendenti, formati
                da dittatori mentecatti alla Anastasio Somoza che per garantire
                a se stessi e a qualche loro accolito un buon conto in banca
                a Miami consegnavano la loro popolazione alla macellazione degli
                statunitensi: infatti ogni tanto si verificavano scioperi nelle
                piantagioni, e la multinazionale proprietaria mandava marines
                e green berets a mitragliare i peones con gli elicotteri (proprio
                così, più e più volte, è capitato
                nelle piantagioni della United Fruits in Guatemala, e da altre
                parti; capita ancora, certo, ed i mitragliamenti sono eseguiti
                dalla Delta Force e dagli Air Commandos dislocati alla Eglin
                Air Force Base in Florida).  
                Più tardi motivi analoghi
                portarono alla sovversione dell'America del Sud: con il colpo
                di Stato in Brasile del 1964, nel giro di due anni le multinazionali
                statunitensi si appropriarono della metà delle industrie
                brasiliane (una volta in pensione il gen. Do Couto y Silva, amico
                di Castelo Branco, fu assunto dalla Dow Chemical come direttore
                della filiale brasiliana); il colpo di Stato in Cile del 1973
                fu voluto da un pool di multinazionali statunitensi operanti
                nel paese, specialmente nel settore del rame; e così via.
                Stessi scopi e stessi sistemi per la "politica
                estera"   statunitense in altri luoghi del mondo, in pratica
                ovunque poté: in Africa, nel Medioriente, nel Pacific
                Market (segnatamente nelle Filippine, in Indonesia, nella Corea
                del Sud, a Taiwan e in Indocina, dove però   alla fine
                andò male). 
  
              Il motivo del grande attivismo della politica estera americana,
                della sua presenza in ogni luogo del mondo, anche il più remoto,
                il suo intromettersi in ogni bega locale, in ogni controversia,
                in ogni conflitto anche il più lontano dai propri confini
                e quindi anche il più   assolutamente ininfluente sulla
                propria "sicurezza nazionale", è il fatto che tale politica
                segue gli interessi dei propri imprenditori privati, e questi
                ultimi vanno dappertutto nel mondo, a rivoltare ogni sasso per
                vedere se sotto c'è qualcosa da prendere. 
  
              Tale logica vale per tutti, non solo per gli
                sprovveduti del Terzo Mondo: gli americani non hanno timori reverenziali
                né un
                rispetto particolare per nessuno, tantomeno per gli europei.
                In Europa gli sconfitti furono mantenuti nel recinto col Piano
                Marshall, che era la soluzione più economica per mantenerne
                il controllo, e poi furono spremuti per quanto si poteva: ancora
                oggi, dopo più di mezzo secolo, Germania e Italia non
                possono praticamente costruire aerei, né da guerra né civili,
                perché li devono comprare dalle industrie americane, e
                lo stesso vale per altri settori "strategici", mentre ancora
                non possono esportare certe merci negli States e ne devono di
                là importare a forza altre. Ancora questi due paesi non
                hanno il coraggio di presentare alle rispettive popolazioni i
                veri dati delle loro relazioni economiche con gli Stati Uniti. 
                Ancora
                di più questo vale per il Giappone. Come già accennato,
                anche le due guerre mondiali furono fatte dagli Stati Uniti per
                agevolare le loro aziende con interessi all'estero: si doveva
                impedire la formazione di un Blocco europeo continentale, che
                sarebbe stato troppo forte militarmente ed avrebbe dominato i
                mercati internazionali escludendo tutti gli altri, in primis
                le multinazionali statunitensi; nella Seconda Guerra Mondiale
                era pressante l'esigenza delle aziende statunitensi di non essere
                escluse dal mercato della Cina, occupata militarmente dal Giappone
                nel 1937. 
  
              Anche la Guerra Fredda con l'URSS del 1945-1989
                era, in ultima analisi, fatta solo per le aziende americane con
                interessi all'estero: la scusa del contenimento del comunismo
                serviva per controllare e cambiare governi un po' dappertutto
                allo scopo di renderli più   accondiscendenti con le esigenze
                delle medesime. In effetti, con la Guerra Fredda l'impero neocoloniale
                americano raggiunse la massima espansione della sua storia: in
                quel periodo fu completato l'asservimento dell'America Latina
                e vi furono aggiunti quelli di mezza Africa, di mezzo Medioriente,
                di quasi tutti i paesi del Pacific Market.
  
              USA cancro del pianeta? 
  
              Non rimane che notare come tale politica estera
                americana non sia affatto indolore per il mondo. Ci sono sfruttamenti
                economici, risorse portate via ai legittimi proprietari, che
                rimangono così   impoveriti
                con tutte le conseguenze del caso. Ad esempio con la vita media
                più corta, con tanti anni che avrebbero potuto essere
                vissuti e che invece non lo sono stati perché il paese è drenato
                dalle aziende statunitensi. Quindi c'è da dire che un
                governo filo-americano, e cioè filo-multinazionali statunitensi,
                non nasce spontaneamente in un paese, perché per definizione
                contrario ai suoi interessi: deve essere creato artificiosamente,
                influenzando elezioni, corrompendo elementi chiave, provocando
                colpi di Stato; e spesso per certi periodi deve essere mantenuto
                a forza con la repressione poliziesca e militare, con gli Squadroni
                della Morte.  
                Ci sono quindi stragi e ammazzamenti dappertutto,
                laddove quelli accennati prima per l'America Latina non sono
                che una frazione (si pensi al colpo di Stato del 1965 in Indonesia,
                che portò alla
                sostituzione di Sukarno col più conciliante Suharto e
                provocò un numero impressionante di morti: da cinquecentomila
                a un milione, a seconda delle fonti; ora le stragi sono ancora
                in corso a Timor, dopo i 700.000 morti del 1976). 
  
              Questa, e niente altro, è la politica
                estera statunitense. In parole povere, con l'operato degli Stati
                Uniti si sta assistendo al tentativo di un paese di soggiogare
                l'intero mondo ai suoi desideri, che ora sono economici ma che
                un domani potrebbero ampliarsi, prospettiva ben poco rassicurante.
                Si tratta di una politica che va a detrimento degli interessi
                di tutti gli altri e che è anche pericolosa per il mondo,
                in verità micidiale.
                Non può essere dichiarata, eseguita alla luce del sole:
                se la gente la capisse, vi resisterebbe, e portarla avanti sarebbe
                troppo costoso per gli Stati Uniti, probabilmente impossibile.
                 
                Ecco che gli Stati Uniti hanno l'esigenza di nascondere tale
                politica, facendo credere che la loro politica sia realtà un'altra.
                Questa politica estera finta, di facciata, è quella ben
                nota e ufficiale degli Stati Uniti, che essi dichiarano ad ogni
                passo ed in ogni occasione: la difesa della democrazia e della
                libertà nel
                mondo. Ciò implica di dover eseguire a monte un altro
                camuffamento, quello sulla vera natura degli Stati Uniti, come
                società e come storia: chi crederebbe ad una politica
                estera mirante a difendere democrazia e libertà nel mondo
                da parte di paese che la democrazia e la libertà non le
                ha mai viste e che ha una storia come quella cui si è accennato
                sopra? 
  
              Bisogna sostenere, invece, che gli Stati Uniti sono una democrazia
                genuina, pure se con qualche pecca forse nel passato (mai nel
                presente); che tutti gli americani hanno facile opportunità   di
                raggiungere l'agiatezza; dove i fallimenti dipendono solo da
                rare e inescusabili debolezze personali; che gli americani sono
                ingenui e che se fanno qualche errore, magari in politica estera
                con qualche strage di troppo, lo fanno per stupidità;
                che la storia americana è un sentiero cosparso di candore
                e buone intenzioni: una guerra di indipendenza dal tiranno Giorgio
                III; una guerra nel 1812 contro lo stesso problema; una Conquista
                del West per fare un po' di spazio a quei poveri emigranti provenienti
                dall'Europa; una guerra civile con quasi 500.000 morti fatta
                solo per ragioni morali, per togliere ad una parte della popolazione
                un cattivo vizio datogli dalla Corona inglese; una conquista
                delle Hawaii per portare la civiltà, e idem per le Filippine;
                una conquista di Cuba per liberarla dal giogo coloniale spagnolo;
                una intromissione - un po' pesante, è vero - in America
                Latina per aiutare quegli sprovveduti a governarsi; due guerre
                mondiali fatte contro i propri interessi, solo per difendere
                la democrazia in casa d'altri; qualche centinaio di colpi di
                stato che purtroppo si dovettero fare a partire dal 1945 per
                evitare che poveri e buoni popoli cadessero vittime del comunismo;
                qualche guerra con qualche milione di morti che purtroppo si
                dovette fare sempre dopo il 1945 per lo stesso motivo; e così via. 
  
               Ecco creata la ben nota Retorica
                  di Stato americana. Essa è,
                appunto, ben nota perché è propagandata con straordinari
                mezzi e intensità in tutto il mondo. 
                Il compito non è affidato
                all'improvvisazione di qualche benintenzionato: c'è un'Agenzia
                federale apposita, che si occupa statutariamente solo di questo,
                l'USIA. L'United States Information Agency è stata
                creata nel 1953 con lo scopo di "influenzare
                le attitudini e le opinioni del pubblico estero in modo da favorire
                le politiche degli Stati Uniti d'America, e di descrivere l'America
                e gli obiettivi e le politiche americane ai popoli di altre nazioni
                in modo da generare comprensione, rispetto e, per quanto possibile,
                identificazione con le proprie legittime aspirazioni". In
                parole povere propaganda, solo propaganda, niente altro che propaganda:
                l'USIA ha il compito di diffondere all'estero l'immagine che
                si vuole degli Stati Uniti, proprio quella della Retorica di
                Stato sopra delineata, all'unico e solo scopo di mascherare la
                vera politica estera del paese.  
                La sede centrale dell'USIA, che
                dipende dal Segretario di Stato e cioè dal Ministero degli
                Esteri, è ora al 301
                IV South West Street di Washington ed il suo attuale direttore
                si chiama Joseph Duffey. È un'Agenzia federale pubblica nell'esistenza,
                ma segreta nell'operatività, esattamente come la CIA.  
                Attualmente può contare su un budget che si aggira intorno
                ai 3 bilioni di dollari ed impiega sui 30.000 (trentamila) dipendenti,
                che gestiscono più di 300 centrali operative in più di
                cento paesi. L'USIA possiede suoi mezzi di informazione sparsi
                per il mondo, alcune centinaia tra riviste, giornali, fumetti,
                case discografiche, emittenti televisive locali, stazioni radio
                (sua è la VOA, Voice of America) e così via con
                i media.  
                Il principale, strumento di lavoro dell'USIA è però il
                controllo del mondo mediale statunitense e dei suoi prodotti,
                perché   questi poi vanno a finire in tutto il mondo,
                influenzando in modo decisivo l'opinione che all'estero ci si
              fa degli Stati Uniti.
  
              Propaganda di Stato 
  
              Ora possiamo finalmente tornare a Hollywood. I suoi film, esportati
                in tutto il mondo, hanno una straordinaria importanza nel determinare
                l'immagine che all'estero ci si fa degli Stati Uniti; anzi, nella
                grandissima maggioranza dei casi, essi sono l'unico mezzo con
                cui la gente nel mondo si forma tale immagine. Hollywood quindi
                non poteva essere lasciata libera di creare i suoi prodotti,
                seguendo solo una logica di mercato: doveva essere guidata, portata
                a conciliare tali esigenze con quelle della propaganda governativa. 
  
              L'asservimento di Hollywood alle esigenze della
                propaganda di Stato americana è una storia documentata.
                Agli inizi Hollywood crebbe in pace e autonomia: non si aveva
                ancora idea della sua formidabile importanza politica. Essa iniziò ad
                attrarre l'attenzione dell'establishment negli anni Trenta, quando
                produsse alcune pellicole di contenuto "sociale", in linea con
                la politica apparente del New Deal del presidente Roosevelt ("apparente" perché in
                realtà Roosevelt non aveva alcuna intenzione riformistica;
                voleva solo salvare il regime oligarchico da una rivoluzione
                dovuta all'eccesso di miseria portato dalla Grande Depressione
                del 1929, ma, né fu scoperto dagli intellettuali, né fu
                capito dal grosso dell' establishment: era troppo astuto per
                entrambi).  
                La tendenza fu acuita dall'arrivo negli Stati
                Uniti a partire dal 1936, e in particolare a Hollywood, California,
                di molti intellettuali tedeschi "progressisti" che fuggivano
                dal nazismo, come Bertolt Brecht, Thomas Mann, Erich Fromm, Theodor
                Adorno, Herbert Marcuse, Hans Eisler, Fritz Lang, Billy Wilder
                e vari altri. In questo periodo la Frontier Film, per la quale
                lavorava anche il regista Elia Kazan, produsse dei documentari
                fortemente caratterizzati sul piano sociale, come The
                Plow that Broke the Plaints e The
                River di Pare Lorentz, che insospettirono
                l'establishment, mentre Blockade (Marco il ribelle)
                di William Dieterle del 1938,
                Grapes of Wrath (Furore) di John Ford del 1939 e Man
                Hunt (Duello mortale) di
                Fritz Lang del 1941 suscitarono aperte proteste in ambienti politici.
  
                        
               
              Ma poi ci fu la guerra. Durante la guerra Hollywood
                partecipò massicciamente
                allo sforzo propagandistico del governo; vi si impegnarono, in
                genere con documentari, registi come Capra, Ford, Huston, Wyler,
                e furono prodotti film come Pride of the
                Marines, Mission to Moscow, Sahara, Action in the North Atlantic,
                Song of Russia, Tender Comrade, Hitler's Children, Thirty Seconds
                Over Tokio.  
                Ciò rese benemerenze a Hollywood, anche
                se Edgar J. Hoover immediatamente protestò per Mission
                to Moscow, ma anche dimostrò in pieno la sua tremenda
                potenzialità politica,
                la sua capacità   unica di influenzare il pubblico mondiale.
                In più nell'immediato dopoguerra, accoppiando l'esperienza
                fatta nei documentari di guerra con l'esempio del cinema neo-realista
                italiano (Roma città aperta, Ladri di biciclette,
                Paisà                ecc.), Hollywood produsse molti
                film sul tipo neo-realista, e di impegno e denuncia sociale,
                che ebbero un grande successo
                di pubblico sia negli Stati Uniti che all'estero; alcuni esempi
                sono The Best Years of our Lives di William Wyler, Crossfire                di
                Edward Dmytryk, Lost
                Weekend di Billy Wilder, Snake Pit di
                Anatole Litvak, Kiss of Death di Henry Hathaway, Brute
                Force                di Jules Dassin, Smash-up di
                Stuart Heisler, Gentleman's
                Agreement                di Elia Kazan, tutti usciti fra
                il 1945 e il 1947.  
                Non erano film politici e tantomeno di propaganda
                politica; trattavano temi reali di gente reale: problemi di reinserimento
                per reduci, odio razziale, situazioni carcerarie, malattie psichiatriche.
                Erano realisti, raccontavano la società - americana -
                così com'era.
                Ma era proprio questo il problema: Hollywood andava assolutamente
                posta sotto controllo, non doveva più produrre film del
                genere. Ormai si era anche chiarito come bisognava procedere. 
  
              La legislazione americana scritta garantiva -
                come ancora certamente garantisce - la libertà di parola
                e di espressione. Non si poteva istituire un ufficio centralizzato
                governativo di censura cinematografica, un Minculpop. Bisognava
                fare capire a Hollywood come si desiderava che si comportasse,
                trovare in quest'ottica una scusa emblematica per tormentarla
                sino ad ottenere la sua completa e volontaria, democratica, sudditanza.
                Dai numerosi e sempre meno timidi tentativi fatti a partire dal
                1930 si era capito che tale scusa poteva essere l'esigenza di
                scoprire i comunisti che lavoravano in un'industria così sensibile
                come Hollywood. In realtà non si dovevano colpire i comunisti
                di Hollywood, o almeno non loro in primis. Questi erano pochissimi,
                solo qualche sceneggiatore come Dalton Trumbo e Paul Jarrico,
                qualche scrittore di testi come John Lawson e Albert Maltz, qualche
                regista come Robert Rossen e Herbert Biberman e qualche attore
                come Howard Da Silva e Anne Revere, e non avevano quasi influenza
                alcuna sui film prodotti.  
                E poi erano dei comunisti all'acqua
                di rose, entravano e uscivano dal partito a seconda se piaceva
                o no l'ultima mossa internazionale dell'URSS; tranne che nel
                caso di Lawson non erano affatto degli attivisti, ma giusto dei
                simpatizzanti a parole e solo in certi periodi. 
                Si dovevano colpire i molto
                più numerosi e determinanti
                progressisti, o liberali, elementi che senza essere affatto comunisti
                erano però sensibili a istanze o argomenti sociali, o
                erano semplicemente intelligenti, e che avevano sia la tendenza
                che la capacità di influenzare, di conseguenza, i lavori
                cui partecipavano. Soprattutto, e naturalmente, si dovevano convincere
                i produttori ad eliminare pellicole di un certo tipo, anche se
                economicamente remunerative.
  
                Dissenso a stelle e strisce 
  
                 Ad occuparsi della cosa non poteva essere altro
                che la Commissione parlamentare chiamata House Committee on Un-American
                Activities (HUAC). Tale era il nome infine dato
                nel 1938 a varie commissioni parlamentari istituite a partire
                dal 1930 allo scopo di vigilare sul dissenso politico interno
                (definito "attività non
                tipicamente americana"), anche se il suo compito ufficiale era
                di raccoglieredati per aiutare la formulazione di nuove leggi. 
  
              Già nel 1936 (in pieno New Deal rooseveltiano...)
                queste commissioni avevano innescato il fenomeno del blacklisting                a Hollywood, e cioè l'esclusione pratica dal lavoro di
                elementi ritenuti nocivi agli interessi dell'establishment oligarchico.
                Quindi nel 1940 l'HUAC aveva già convocato
                a Washington, per interrogarli sulle loro idee politiche, ventidue
                esponenti di Hollywood fra i quali figuravano Fredric March,
    Humphrey Bogart, James Cagney, Jean Muir e Louise Rainer.  
                La
                guerra aveva imposto la sospensione delle indagini, anche se
                Hollywood non fu affatto dimenticata: in pieno 1943 il Congresso,
                tramite il meccanismo dei fondi, bloccò il settore documentari
                di guerra dell'Office of War Information perché vi erano
                confluiti elementi della Frontier Film. Nel 1947 dunque l'HUAC,
                presieduta da J. Parnell Thomas e fra i cui membri figurava il
                giovane parlamentare Richard Nixon, iniziò una serie di
                udienze pubbliche e pubblicizzate, ufficialmente allo scopo di
                appurare il grado di infiltrazione comunista a Hollywood. In
                realtà l'obiettivo era di indurre i soggetti decisionali
                di Hollywood - in breve i produttori - a creare solo film adatti
                alla politica governativa americana, sia interna che soprattutto
                estera (già Nixon si era chiesto che effetto avrebbe avuto
                Grape of Wrath sugli yugoslavi).  
                Nelle intenzioni dell'HUAC,
                e secondo le esperienze del 1936, si sarebbe dovuto arrivare
                a questo tramite la creazione da parte dei produttori di liste
                nere, che sarebbero servite per escludere da Hollywood tutti
                i soggetti, di ogni livello, non disposti a seguire         
                 fedelmente nel loro lavoro la Retorica di Stato ufficiale. Come
                ulteriore avvertimento trasversale le banche di New York che
                finanziavano i produttori di Hollywood strinsero il credito,
                mentre la Corte Suprema minava l'indipendenza economica dei medesimi
                stabilendo che essi non potevano possedere anche le sale di proiezione,
                cioè vendere direttamente al pubblico il loro prodotto
                chiudendo il cerchio.  
                Una parte del personale di Hollywood reagì all'apertura
                delle udienze creando il Committee for the First Amendment (il
                Primo Emendamento stabilisce la libertà di espressione),
                del quale fra gli altri facevano parte i registi John Huston,
                William Wyler, John Ford, Billy Wilder, Elia Kazan e George Stevens,
                gli attori Humphrey Bogart, Lauren Bacall, Gregory Peck, Danny
                Kaye, Gene Kelly, Kirk Douglas, Henry Fonda, Burt Lancaster,
                Edward G. Robinson, Katharine Hepburn, Myrna Loy, Rita Hayworth
                e Marsha Hunt, i musicisti Benny Goodman e Leonard Bernstein.
                Ma la maggioranza degli operatori di Hollywood, produttori come
                Jack Warner, David Selznick, Samuel Goldwyn e Louis Mayer in
                testa, aveva capito che avrebbe dovuto accettare la prassi dell'autocensura
              politica e culturale.
  
              La scrittrice di testi cinematografici Ayn Rand
                per dimostrare quanto bene avesse capito, compilò e pubblicò anche
                un manuale di autocensura per Hollywood, intitolato Guida
                dello schermo per Americani, che conteneva fra gli altri i seguenti
                principi: "Non insultare il Sistema della
                Libera Impresa", "Non
                deificare l'Uomo Comune", "Non glorificare il Collettivo", "Non
                glorificare il Fallimento", "Non insultare il Successo", "Non
                insultare gli Industriali". La guida sarà   poi incorporata
                dall'USIA nei suoi manuali interni.  
                Il risultato delle audizioni
                fu esattamente quello previsto. Dopo pochi interrogatori, dove
                chi si rifiutava di rispondere in virtù della protezione
                del Primo Emendamento veniva deferito per oltraggio al Congresso,
                e chi rispondeva citando il medesimo veniva tacitato o trascinato
                fuori dall'aula a forza, mentre ogni tempo e riguardo era concesso
                a chi accusava altri. 
                Con la cosiddetta Dichiarazione
                del Waldorf Astoria del 26 novembre 1947 i produttori
                accettarono di   "ripulire" l'ambiente
                loro stessi tramite liste nere, e le sedute dell'HUAC furono
                immediatamente interrotte, senza neanche terminare l'audizione
                di tutti i convocati.  
                Dieci degli interrogati - Bessie, Biberman,
                Cole, Dmytryk, Lardner, Lawson, Maltz, Ornitz, Scott e Trumbo,
                tutti sceneggiatori e registi - furono condannati ad un anno
                di carcere per "oltraggio
                al Congresso", condanna confermata dalla Corte Suprema e poi
                scontata. 
                Nessun'altra accusa si era potuta trovare nei loro confronti,
                come di nessun altro del resto, né di essere dei sovversivi
                né di avere neanche mai inserito della propaganda comunista
                nei loro lavori. Fra i primi interrogati c'era stato Bertolt
                Brecht (L'opera da tre soldi), che per Hollywood aveva
                scritto Hangmen Also Die (Anche i boia muoiono di Fritz
                Lang, uscito nel 1943). Fuggendo dal nazismo aveva cercato la
                libertà negli...
                Stati Uniti. Subito dopo l'interrogatorio, nel quale aveva detto
                di non essere mai stato iscritto al partito comunista e di mettere
              nei suoi lavori giusto le sue opinioni, tornò in Germania.  
                
               
              Le liste nere funzionarono.
                L'HUAC non commise
                l'errore di compilarle; disse solo che erano necessarie, aumentando
                il terrore con l'incertezza. Comparvero così materialmente,
                ancora non si sa per opera di chi, delle liste gonfie a dismisura
                di nomi di sceneggiatori, registi, scrittori, attori, musicisti,
                tecnici ecc., che erano ricavate, sembra, da articoli di giornale,
                dai resoconti dell'HUAC, dai titoli di testa
                di certi film e da dicerie, e che - continuamente aggiornate
                - servivano ai produttori ed ai datori di lavoro in generale
                di Hollywood per sapere chi tenere alla larga. Alcuni elementi
                continuarono a lavorare in nero, e a paga dimezzata; altri utilizzarono
                prestanome o pseudonimi; la maggioranza non poté più lavorare
                nell'industria cinematografica per molti anni, anche per sempre.
                 
                Il danno maggiore agli elementi sulla lista nera ed alle loro
                famiglie, quando le avevano, era fatto dalla gente comune, dai
                vicini e dai conoscenti: erano oramai additati come sovversivi,
                traditori, nemici di quella società, e tutti giravano
                loro le spalle, quando non li infastidivano attivamente o non
                se la prendevano coi loro figli a scuola. Ad alimentare in modo
                quasi ufficiale queste hate campaigns c'erano una quantità di
                associazioni dei più vari generi e qualifiche, tutte però "ultra-americane".
                Fra queste ne spiccava una a livello nazionale, l'American
                Legion,
                forte di quasi tre milioni di iscritti e di un milione di simpatizzanti,
                con più di 17.000 sedi sparse nel paese: si occupava di
                tenere vivo il risentimento nei confronti dei "devianti" di Hollywood
                e picchettava anche gli ingressi dei cinema in cui si proiettava
                un film all'indice, o nei cui titoli di coda compariva un personaggio
                della lista nera.
  
                La normalizzazione funziona
  
              Per Hollywood fu sufficiente. L'unico film a
                contenuto sociale prodotto negli Stati Uniti dopo il 1947, del
                tipo mettiamo di
                Grape of Wrath, fu The Salt of
                the Earth (Il sale della terra,
                di Herbert Biberman), girato nel 1951 fuori da Hollywood. Trattava
                dello sciopero di una piccola comunità di minatori del
                Nuovo Messico. Per produrlo Biberman, Scott e Jarrico avevano
                creato una compagnia di produzione indipendente ed il film era
                stato realizzato in un clima di terrore (ci furono spari contro
                la troupe) e terminato fra mille difficoltà: i laboratori
                non volevano sviluppare la pellicola, le ditte non consegnavano
                l'attrezzatura per il sonoro, la musica fu registrata con un
                sotterfugio, il montaggio fu eseguito di nascosto. Alla fine
                le poche sale che accettarono di proiettarlo furono picchettate
                dall'American Legion e negli States il film non fu neanche visto. 
  
              A partire dal 1947 non solo scomparvero da Hollywood i film
                a contenuto sociale: anche in tutti gli altri film fu tolto qualunque
                riferimento alla classe operaia ed ai suoi luoghi di lavoro,
                le fabbriche. Si può esaminare l'intera produzione di
                Hollywood post-1947 sino all'ultimo fotogramma dell'ultimo film,
                ma una catena di montaggio o anche solo l'interno di una fabbrica
                non si vede. Eppure negli USA ci sono. 
  
              Alla fine del 1949 giunse notizia che la Russia
                aveva costruito il suo primo ordigno nucleare. L'establishment
                americano si infuriò:
                in realtà accusava il governo di non aver portato prima
                un attacco nucleare alla Russia. L'attacco non era stato portato
                perché, nonostante tutti gli sforzi fatti su quel piano,
                non sarebbe stato decisivo e nella guerra generale che sarebbe
                seguitagli Stati Uniti avrebbero perso. Ma questo erano in pochi
                a saperlo: l'establishment pensava che la colpa fosse dei troppi "comunisti" che
                si erano "infiltrati" nel governo e nelle Agenzie governative,
                nelle scuole, nei media, dappertutto.  
                Iniziava, a farla breve,
                l'Era McCarthy, che sarebbe durata sino al 1960 e che avrebbe
                visto il senatore Joseph McCarthy guidare sino al 1956 le inchieste
                dell'HUAC in ogni settore alla ricerca dei "comunisti".
                Hollywood non fu risparmiata, benché avesse "già dato",
                ma ogni tanto rivisitata per tutto il periodo.  
                Nel 1951 furono
                convocati a testimoniare un centinaio di operatori di Hollywood,
                ed in base alle dichiarazioni di alcuni di loro, e segnatamente
                i "pentiti" Elia Kazan e Edward Dmytryk, fra il
                1952 e il 1953 l'HUAC segnalò espressamente
                324 nominativi da aggiungere sulla lista nera, fra cui lo scrittore
                Dashiell Hammett, il regista Joseph Losey, gli attori Howard
                Da Silva, Zero Mostel, Lionel Stander, Anne Revere, John Garfield.
                Hammett fu poi incarcerato per un anno per non aver voluto rispondere
                alle domande della Commissione (rispose solo quando gli chiesero
                se riconosceva la sigla "D.H." in calce a un documento:   "I
                can answer that", disse Hammett, "Two
                letters of the alphabet" - "a
                questo so rispondere, sono due lettere dell'alfabeto"). Garfield
                morì per lo stress, come del resto accadde agli altri
                attori Edward Bromberg, Gordon Kahn, Canada Lee e Mady Christians,
                mentre Philip Loeb e Madelyne Drnytryk, moglie di Edward, si
                uccisero al pari di vari personaggi diciamo minori. 
  
              A partire dal 1953 il compito di forgiare l'immagine
                degli Stati Uniti nel mondo venne affidato, come s'è visto,
                all'USIA. Questa Agenzia funzionò da consulente all'HUAC,
                le cui incursioni ad Hollywood divennero più competenti,
                e quindi più mirate, più chirurgiche e anche più rare.
                A partire da quella data, quindi, le convocazioni dell'HUAC per
                Hollywood riguardarono di tanto in tanto singoli personaggi,
                in genere eccellenti, o gruppetti di persone collegate in qualche
                modo logico. In questo contesto più "scientifico" incapparono
                ad esempio il commediografo Arthur Miller, condannato ad un anno
                di carcere per essersi rifiutato di rispondere, e l'attore Charles
                Chaplin, che riparò in Europa (già nel 1947 il
                Senatore Rankin aveva chiesto l'espulsione di Charlot, che
                era inglese, ed il bando di tutti i suoi film - Luci
                della ribalta, Tempi moderni, ecc. - dal territorio statunitense).
                 
                Chaplin fu seguito in Europa da diversi altri, ad esempio i registi
                Orson Welles, John Huston, Joseph Losey e Jules Dassin e gli
                sceneggiatori Carl Foreman, Ben Barzman, Paul Jarrico e Michael
                Wilson.  
                Preoccupato che troppi scontenti andassero all'estero,
                a raccontare poi delle verità scomode sulla realtà   statunitense,
                nel 1956 il governo ritirò il passaporto agli indagati
                dall'HUAC. In ogni caso le persecuzioni dell'Era
                Mc-Carthy non avevano aggiunto molto al lavoro fatto dall'HUAC nel
              1947. 
  
              Sin da allora Hollywood era stata ridotta
                  al rango di fabbrica di propaganda di Stato, esattamente come
                  la filmografia sovietica, e come quella di qualunque altro
                  paese totalitario. La differenza era che Hollywood non veniva
                  pagata dallo Stato per quello: doveva fare propaganda, mantenersi
                  con la medesima, e contribuire con le esportazioni alla bilancia
                  commerciale della nazione. La grandezza del sistema americano
                  sta in queste cose. Per non appesantire il discorso non si
                  sono citati gli interventi repressivi dell'HUAC,
                e governativi in generale, negli altri settori importanti per
                la propaganda di Stato, come l'istruzione,
                la carta stampata, la radio, la televisione, la musica leggera,
                il teatro, lo sport:
                ovviamente ci furono.
  
                Una realtà inventata 
  
              Ora è chiaro perché Hollywood produce film così mistificatori
                della realtà americana: perché ci è costretta
                dal governo. Ed è superfluo chiedersi cosa ci guadagni:
                la sopravvivenza, infatti. Attualmente l'attività di Hollywood è controllata
                centralmente dall'USIA, come accade in pratica dal 1953. Tale
                controllo consiste nel fare in modo che il contenuto dei suoi
                prodotti sia in linea con la Retorica di Stato, che sia appunto
                come descritto all'inizio. La fuga sempre più marcata
                di Hollywood dal reale, la sua sempre maggiore insistenza verso
                film di fantasia dominati dagli effetti speciali e dall'inverosimiglianza
                in generale, dipende dal suo disagio nei riguardi della censura
                dell'USIA. La tendenza oltretutto fu sin da subito incoraggiata
                dall'USIA, perché poteva facilmente prestarsi ad uninsidioso
                tipo di propaganda subliminale. 
  
              Per esempio furono benvenuti i film di "marziani" degli
                anni Cinquanta: i marziani venivano sulla Terra, ma atterravano
                sempre, guarda caso, negli Stati Uniti: evidentemente erano il
                paese più   significativo della Terra, il più all'avanguardia.
                Un analogo tipo di propaganda indiretta è presente in
                tutti i film americani di fantascienza e "spaziali", ad esempio
                come 2001 Odissea nello spazio, Guerre
                Stellari e Alien. 
  
              L'USIA svolge la sua mansione come qualunque
                organismo di censura e propaganda statale. Esamina in anticipo
                il copione di tutti i film dei quali è stata decisa la
                produzione e può decidere
                variazioni. Si occupa anche, tramite agevolazioni fiscali ed
                usando le sue entrature all'estero, di promuovere l'esportazione
                di quei film ritenuti particolarmente utili ai fini della propaganda.
                Nei paesi in cui i film americani sono presentati in lingua locale
                l'USIA, in virtù di clausole contrattuali, riesce in genere
                a controllare il doppiaggio, che in effetti in molti squarci
                di dialogo è diverso dall'originale, e sempre in senso
                favorevole alla realtà americana (ad esempio in un film
                americano un personaggio diceva di essere "in
                cassa integrazione da un anno": non c'è cassa integrazione negli Stati Uniti). 
                Naturalmente
                ci sono anche differenze di immagini nei film americani tra la
                versione originale, proiettata negli USA, e quella esportata;
                ci sono tagli e aggiunte. 
  
              Una variazione abbastanza frequente riguarda
                le immagini di nudi femminili, completamente assenti nelle versioni
                diffuse negli USA - dove sono proibite - e invece qualche volta
                presenti nelle versioni estere, in quei paesi naturalmente dove
                tali immagini non sono vietate. In effetti l'USIA non ama propagandare
                troppo il carattere bigotto della morale pubblica statunitense,
                specie in Europa. Altra interessante realtà americana
                che l'USIA ritiene meglio non propagandare   è il fatto
                che gli uomini americani sono quasi tutti circoncisi (il 95%):
                il pubblico internazionale potrebbe cominciare a chiedersi perché,
                e potrebbe venirgli in mente di operare collegamenti con il concetto
                di popolo eletto del Vecchio Testamento, la religione americana.
                Gli eventuali riferimenti alla circoncisione, che ogni tanto
                compaiono nei film americani specie sotto forma di gags, sono
                tolti dalle versioni per l'estero.  
                Una grande differenza rispetto
                a quanto accade nei soliti regimi autoritari c'è invece
                nell'uso dei sistemi coercitivi impiegati per ottenere la conformità ideologica,
                e che sono pochi.  
                C'è una specie di patto fra Hollywood
                e il governo: Hollywood riconosce di essere importante per la
                politica del governo, sia interna che estera, e si autoregolamenta
                di conseguenza, ben sapendo che in caso di inadempienza subirebbe
                durissime punizioni, esattamente come in passato anche se probabilmente
                non con gli stessi pretesti. Un'inadempienza sarebbe la realizzazione
                di un film come Grape of Wrath o Man
                Hunt, per esempio, o come uno
                qualunque sulla linea neo-realista americana tipica dell'immediato
                dopoguerra (per inciso quei film sono scomparsi dal circuito
                statunitense sin dal 1950, al pari di molti degli anni Trenta;
                ora negli USA Charlie Chaplin è un emerito sconosciuto).
                In poche parole, vale ancora il Patto del Waldorf del 1947.
  
                Retorica di Stato 
  
              Nonostante ciò l'USIA necessita di tanto
                in tanto di mezzi coattivi, di pressione. Per questo si avvale
                della collaborazione di altre Agenzie federali, ora questa ora
                quella a seconda dei casi. Abbastanza stretti e continuativi
                sono i collegamenti con l'FBI, la DEA e l'IRS. 
  
              Il Federal Bureau of Investigations, la polizia federale statunitense, è il
                massimo ente di repressione politica interna e può   servire
                anche per Hollywood. La presenza della Drug
                Enforcement Agency                si spiega col fatto che parecchi elementi di Hollywood sono consumatori
                più o meno abituali di droga e quindi vulnerabili a quell'accusa,
                che la DEA può portare a discrezione. 
  
              Considerazioni analoghe per l'Internal
                  Revenue Service, il fisco
                americano. È da notare che negli Stati Uniti è prassi
                comune, per le Agenzie federali, costruire false accuse a fini
                di repressione politica; anzi questo è il sistema canonico.
                Così anche se si è   nella perfetta legalità per
                ogni cosa basta la volontà di tali Agenzie operative come
                l'FBI, la DEA o l'IRS per demolire completamente una persona,
                ridurla sul lastrico, privarla della possibilità di lavorare,
                anche incarcerarla; ma è molto meglio, naturalmente, se
                c'è qualche appiglio reale. 
  
              Molto importante per l'USIA è anche il Pentagono.
                Tutto il materiale bellico importante che si vede nei film americani,
                come navi, aerei, elicotteri, carri armati, ecc., è fornito
                dal Pentagono, e in cambio l'USIA esercita una supervisione su
                tutta la realizzazione del film. Anche il Pentagono naturalmente
                può   intervenire con sue esigenze particolari. Gli esempi
                sono moltissimi. Per Tora! Tora! Tora! il Pentagono
                prestò sei
                navi da guerra in servizio attivo, fra cui la portaerei Yorktown,
                e due cacciatorpediniere della riserva rimesse in funzione appositamente
                per il film. Per Top Gun (con Tom Cruise) mise a disposizione
                una squadriglia di cacciabombardieri da marina F14 Tomcat (questo
                film fu addirittura commissionato dal Pentagono, in cerca di
                pubblicità per l'arruolamento di piloti). Per Operazione
                Sottoveste (con Cary Grant) prestò un sommergibile
                diesel e per Caccia a Ottobre Rosso (con Sean Connery)
                addirittura un sommergibile nucleare in servizio attivo (un vero
                boomer). Stessi discorsi per tutti i film ambientati in Vietnam,
                compreso l'apparentemente antiamericano (appunto) Platoon,
                per la serie dei Rambo di Sylvester
                Stallone e così via. 
  
                Le virtù "nascoste" dei divi 
  
              Ma il pubblico, sia interno che internazionale,
                più che
                Hollywood conosce i divi di Hollywood, i grandi attori e attrici.
                Sono loro ad attirare l'attenzione, sono loro i più importanti.
                L'USIA lo sa.  
                Tramite la sua potentissima influenza essa cerca
                di impedire che giunga al vertice un elemento del quale non sia
                appurato l'orientamento politico; al contrario, aiuta ad ottenere
                copioni chi con i suoi film precedenti e con le sue dichiarazioni
                ha reso pubblico omaggio alla Retorica di Stato, compatibilmente
                con le esigenze di cassetta dei produttori, che pure sono forti.
                Il che porta, non troppo raramente, a vere e proprie complicità,
                compromissioni tra gli attori e qualche Agenzia federale, in
                particolare l'FBI, che necessita di delatori nell'ambiente top.
                 
                Un classico è il caso di John Wayne, che
                era un delatore abituale dell'FBI, così come del resto
                Elvis Presley, che aveva addirittura un nome in codice ("Colonel
                Burrows").
                Quindi, una volta che il divo c'è, che sia stato aiutato
                o meno, egli è seguito direi passo passo; va da sé nei
                suoi film, ma anche fuori dal set egli non deve uscire dai binari
                impostigli da Hollywood, e cioè dal governo, perché può   fare
                molti danni in virtù della sua popolarità e della
                istintiva tendenza del pubblico a credergli, perché diventatogli
                familiare. Vedasi ad esempio il caso di Marlon Brando e del vespaio
                che suscitò quando mise il dito nella piaga del trattamento
                subito dagli indiani, o di Jane Fonda quando nel 1972 si fece
                fotografare accanto ad una postazione antiaerea nordvietnamita.
                 
                Entrambi furono poi naturalmente puniti, imponendo a Hollywood
                di escluderli dal lavoro per molti anni (furono cioè messi
                sulla black list, che ancora esiste, certo; la permanenza è   di
                10 anni). 
                Robert Redford, dopo un viaggio a Cuba pure preventivamente
                autorizzato dal Dipartimento di Stato come impone la legge sull'embargo,
                subì un accertamento dell'IRS. Jack Nicholson, che nel
                1997 aveva manifestato l'intenzione di chiedere analogo nulla
                osta per partecipare ad un raduno di amanti del sigaro Avana,
                fu convinto a rinunciare. Ma al divo di Hollywood, per diventare
                tale e per restarlo, si chiede di regola più che la mancanza
                di manifestazioni ostili o Un-American: si chiede la partecipazione
                attiva alla propaganda di Stato, con i suoi film e anche a livello
                personale. Shirley Temple, forte del suo passato di graziosissima
                bambina attrice (era "riccioli d'oro"), ha compiuto molte missioni
                all'estero per conto dell'USIA allo scopo di migliorare l'immagine
                degli Stati Uniti, scaduta magari per qualche piccola strage
                appena fatta (per le benemerenze e l'esperienza acquisita la
                Temple ritenne addirittura di poter chiedere al presidente Reagan
                il posto di direttore dell'USIA, che però le fu negato).  
                Analoghe missioni compirono al tempo delle guerre di Corea e
                del Vietnam Bob Hope, Marilyn Monroe e diversi altri. Di John
                Wayne non occorre parlare. Gli esempi si sono addirittura moltiplicati
                negli ultimi anni. Con un film Clint Eastwood ha cercato di nobilitare
                l'invasione della minuscola isola di Grenada del 1983, ed ha
                partecipato ad altre pellicole apologetiche. Tom Cruise ha girato Top Gun,
                un film del Pentagono, e Born
                the Forth of July, dove
                le vicende della guerra del Vietnam e dei suoi reduci sono travisate. 
                Sylvester
                Stallone con la serie Rambo non ha fatto che attaccare
                i nemici del Dipartimento di Stato, i vietnamiti e gli arabi
                di Gheddafi e Saddam Hussein, e lo stesso, parodiando Rambo,
                hanno fatto Charlie Sheen e Leslie Nielsen. Anche Arnold Schwarzenegger
                e Chuck Norris hanno impersonato il Super-Americano che combatte
                contro il Super-Male, l'oggetto additato di volta in volta dal
                Dipartimento. Brad Pitt ha girato Sette
                anni in Tibet, un film
                di propaganda anti-cinese, molto richiesta dal Dipartimento a
                partire dal 1989 per motivi che sarebbe lungo spiegare, e analoga
                propaganda - lui anche a livello personale - ha fatto e fa Richard
                Gere. 
                Woody Allen non solo ha interpretato, ma anche scritto e
                diretto Il dittatore dello stato libero
                di Bananas, forse il
                film più abbietto
                mai prodotto, perché il più ingiusto nei riguardi
                di tante persone sofferenti. Madonna ha interpretato Evita,
                dove non c'è alcuna eco delle responsabilità statunitensi
                nelle difficoltà di Juan Domingo Peron. Mel Gibson in Air America ha
                cercato di far dimenticare che quei voli-CIA servivano per portare
                droga nel mercato statunitense. Danny De Vito, Demi Moore e Goldie
                Hawn si sono impegnati a convogliare simpatia o comprensione
                verso i marines, che sono mercenari disposti a uccidere qualunque
                cosa per un buon mensile ed un pensionamento a 40 anni. E così via,
                si potrebbe continuare per molte pagine.  
                In poche parole, i divi di Hollywood non sono dei bravi
                attori che col loro onesto lavoro hanno raggiunto una meritata
                fama, o non sono solo quello. Sono da considerare dei funzionari,
                dei funzionari semi-governativi, perché intrecciano in
                modo indissolubile il loro lavoro "civile" con precisi compiti
                di propaganda governativa. Essi sono dei Divi di Stato.
  
                Anche questa è Hollywood 
  
              Questa è Hollywood. Ora, ben definita
                la situazione, ci si può   divertire a fare delle considerazioni.
                Si è già accennato
                alla "grandezza"   del sistema americano. Hollywood ne è effettivamente
                un buon esempio. Occorreva eliminare una filmografia indipendente
                e sostituirla con una di Stato, a scopo di prevenzione del dissenso
                politico interno e di camuffamento e propaganda all'estero; contemporaneamente
                occorreva salvare l'immagine di paese   "democratico" curata
                dall'establishment oligarchico e dai suoi esponenti politici
                sin dalla fondazione del paese (vedi la Dichiarazione di Indipendenza,
                i 14 Punti del presidente Wilson, le Quattro Libertà di
                Roosevelt ecc.), e anche spendere il meno possibile in questa
                attività di propaganda interna ed estera, anzi possibilmente
                occorreva guadagnarci. Il tutto fu ottenuto nel 1947 convincendo
                i produttori di Hollywood a confezionare pellicole che oltre
                ad essere attraenti per il pubblico fossero anche conformi alla
                Retorica di Stato.  
                L'opera di convinzione fu eseguita tramite
                un'azione antidemocratica, anzi chiaramente repressiva, nello
                stile di un regime puramente totalitario, ma l'USIA ben presto
                si occupò di farla dimenticare
                al mondo: si era trattato solo di caccia ai comunisti, di un
                eccesso di zelo in difesa della democrazia interna da parte di
                un paese che si accingeva a difendere la medesima in tutto il
                mondo; inoltre tale eccesso di zelo era stato momentaneo, una
                follia passeggera: le inchieste dell'HUAC erano
                infatti finite (si omise naturalmente di osservare che gli effetti
                delle stesse erano permanenti). 
  
              Formidabile poi il lato economico dell'operazione.
                La propaganda filmica interna è pagata dai soggetti cui è principalmente
                diretta, cioè dai più danneggiati dalla medesima,
                quegli strati meno abbienti della popolazione che costituiscono
                la maggioranza degli spettatori, da qualche anno tramite la televisione;
                quella all'estero è   pagata dai paesi che importano i
                film di Hollywood, che li considerano alla stregua di una merce
                qualunque. E non si tratta solo di coprire i costi: come si sa,
                nel business in oggetto ci sono grandi profitti, che vanno all'establishment
                proprietario delle case cinematografiche - e anche al governo
                tramite la tassazione. Vale forse la pena di ricordare che dopo
                le materie prime e gli armamenti, la voce più importante
                dell'export statunitense è costituita dai "prodotti culturali",
                fra i quali Hollywood fa la parte del leone (anche gli altri "prodotti
                culturali" americani, come dischi, romanzi, ecc., seguono poi
                la stessa logica di Hollywood, è evidente: l'USIA controlla
                anche loro). Si tratta insomma, alla fine, di una grande triangolazione,
                una delle tante che gli Stati Uniti fanno in questo ingenuo mondo.
                Non è l'unica, infatti. 
  
              Anche la Guerra Fredda non era che una triangolazione: con la
                scusa del contenimento dell'URSS e del comunismo si portava intanto
                la sovversione neo-coloniale nei tre quarti del mondo. Anche
                la presenza militare americana all'estero è una triangolazione:
                per la medesima è sempre qualcun altro che paga - chiedetelo
                un po' ai giapponesi. Il traffico internazionale di droga, controllato
                all'ultimo proprio dal governo statunitense, non è altro
                che un'unica, enorme, mastodontica triangolazione. Ma non è questo
                l'oggetto del presente scritto. 
  
              Andiamo invece all'"ingenuo mondo" che guarda
                i film, i documentari, i cartoni animati ed i serial televisivi
                americani. Veniamo all'Italia, per esempio, che ne importa quantità enormi.
                 
                Ci sono molte domande da porsi. Sui critici cinematografici italiani
                innanzitutto: hanno sempre trattato i film di Hollywood come
                normali prodotti del settore, dissertando elegantemente sui valori
                filmici ed i meriti o demeriti artistici; mai però,
                che io sappia, qualcuno di loro ha accennato alla loro valenza
                propagandistica. Delle due l'una: o non l'hanno capita o l'hanno
                capita. Nel primocaso, che critici sono? Dobbiamo allora solo
                sorridere dei loro articoli di giornale, delle loro presentazioni
                televisive, delle manifestazioni dove fanno da organizzatori
                e da giuria. Se invece l'hanno capita, perché non ne hanno
                mai parlato? Perché non hanno mai messo in guardia il
                pubblico? Forse sono dei critici di Stato? E se sì, di
                quale Stato?
  
                Il caso dell'Italia 
  
              Molte domande sono da porre al governo italiano.
                Premettiamo il fatto che gli Stati Uniti vietano l'importazione
                di film stranieri. Certo non in modo ufficiale; non sarebbe ammissibile
                per una democrazia che per di più si dice paladina del
                libero commercio internazionale. All'atto pratico vengono importati
                pochissimi film stranieri, e quei pochi non sono doppiati, ma
                solo sottotitolati, e quindi inseriti - come fossero delle curiosità esotiche
                tipo il teatro No giapponese - nel minuscolo circuito dei cinema
                d'essai dove nessuno li vede. Che io sappia, l'unico film italiano
                ad essere stato doppiato negli Stati Uniti, e ad essere entrato
                nella normale distribuzione sino a comparire sulle reti televisive, è Per
                un pugno di dollari di Sergio Leone e con Clint Eastwood,
                presentato col titolo A Fistful of Dollars; gli americani
                lo credono il film di Hollywood di un regista immigrato da poco. È logico. 
  
              Non si erano fatte le purghe del 1947 per lasciare
                poi il pubblico americano in balia della filmografia estera,
                magari di quella neo-realista italiana. In effetti anche questo
                prevedeva l'Accordo del Waldorf: l'autolimitazione delle case
                distributrici di Hollywood nell'importare film stranieri e l'esecuzione
                del doppiaggo solo in casi eccezionali, e per film che fossero
                sembrati usciti dalla catena para-statale di Hollywood. Allora
                perché il governo
                italiano non ha mai invocato il principio della reciprocità in
                questo settore commerciale?  
                Eppure l'importazione di film e telefilm
                americani incide negativamente per migliaia di miliardi sulla
                bilancia commerciale italiana. Si tratta di una imposizione americana:
                i prodotti di Hollywood sono appunto una di quelle merci che
                gli Stati Uniti impongono all'Italia (e alla Germania, al Giappone
                e a tanti altri) di comprare da loro, come più indietro
                si è accennato.
                Ed è anche ovvio perché: perché   sono propaganda,
                che ha gli scopi spiegati in precedenza, particolarmente importanti
                in paesi assoggettati in seguito a una guerra. 
                Vada per l'imposizione:
                vae victis. Ma perché poi non
                dirlo al popolo, almeno perché non farglielo capire, magari
                tramite qualche critico di Stato?  
                Almeno sarebbe stata possibile
                una qualche autodifesa. Al contrario l'effetto propagandistico
                di Hollywood è sempre stato
                esaltato dal governo con la diffusione di film e telefilm tramite
                la televisione pubblica. E a che ritmo!  
                Ogni tanto, poi, alla
                RAI succedono dei fatti inquietanti. Per esempio il 18 febbraio
                1998 RAI 2 ha trasmesso in prima serata il film Un
                giorno con il presidente, di tale W. Hussein e con tali
                J. Ritter e T. Harper, dove compariva addirittura il presidente
                americano Clinton in persona. Così il film era presentato
                alla pagina 772 di Televideo: "Missy,
                una sedicenne, subisce l'amputazione di una gamba per un tumore.
                Ma, nonostantetutto, la sua sorte è segnata. In seguito,
                il padre di Missy viene licenziato e l'assicurazione gli raddoppia
                il premio per te speseospedaliere. Ma grazie all'intervento del
                governo Clinton, nell'ambito di un progetto di difesa dei diritti
                della famiglia, il padre riprenderà a lavorare".  
                Si
                tratta di un film fatto realizzare dal governo Clinton per appoggiare
                le sue politiche sociali, diretto al pubblico interno. Per inciso
                tali politiche sociali non sono state approvate, né mai
                lo saranno; anzi nel 1996 il Congresso ha anche eliminato l'unico
                programma sociale valido che c'era, l'AFLD, per le madri sole
                con figli. Per contro, senza volere il film offre una buona idea
                di come si diventa homeless negli USA. In ogni caso tale film
                non poteva avere meno interesse per il pubblico italiano; nonostante
                questo è stato trasmesso. Perché? Forse perché si
                era nel pieno della crisi irachena e si pensava di dover convogliare
                la simpatia degli italiani verso Bill Clinton e quindi verso
                gli Stati Uniti? Se è così, chi fa questi ragionamenti
                alla RAI? 
  
              D'accordo, la RAI è la televisione di
                Stato. Ma di quale Stato? 
  
              La RAI è nulla a confronto delle televisioni
                di Berlusconi: Canale Cinque, Italia Uno e Rete Quattro. Sembra
                che i programmatori conoscano solo film e telefilm americani,
                laddove c'è un
                intero mondo là fuori pieno di gente che fa film, come
                i francesi, i tedeschi, gli spagnoli, i russi, e così via;
                anche gli italiani fanno film. Se si tratta di esigenze di audience,
                hanno mai dato al pubblico la possibilità di scegliere?
                Se si tratta di problemi di costo dei film, hanno mai considerato
                la possibilità che il prezzo dei film di Hollywood è anche
                politico? Oppure si tratta di scelte culturali e politiche, di
                scelte di campo come direbbe il cav. Berlusconi? In tal caso
                mi chiedo quale sia il confine tra una televisione commerciale
                ed una postazione di propaganda politica, se mai può esistere.
                 
                Ci sono poi i divi cinematografici americani, e l'attenzione
                di cui li ricoprono i media italiani. Vada per le riviste di
                costume, o per i periodici femminili, benché facciano
                male a focalizzare l'attenzione su personaggi così al
                di fuori dalla norma. Ma è solo uno scandalo, un segno
                di irresponsabilità grave, che dei telegiornali del prime
                time, che durano trenta minuti in tutto e che si devono occupare
                delle notizie dal paese e dal mondo, sacrifichino interi minuti
                per informare dell'ultimo film di Sylvester Stallone, dell'ultima
                preghiera buddista di Richard Gere, dell'ultimo brutto gesto
                di Madonna. Pensano di divertire il pubblico con un pò di
                varietà e non sanno di fare propaganda gratis ai massimi
                agenti di propaganda del mondo, i Divi di Stato americani. 
  
            Si, ci fanno divertire. 
              da: http://byebyeunclesam.files.wordpress.com/2010/09/divi_stato.pdf 
                
                 
            
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