L'obbedienza
non è più una
virtù
don Lorenzo Milani (1923-1967)
(La Nazione di
Firenze del 12 febbraio 1965 pubblicò questo ordine del giorno
dei cappellani
militari della Toscana: "I
cappellani militari in congedo della regione toscana, nello
spirito del recente congresso nazionale dell'associazione,
svoltosi a Napoli, tributano il loro riverente e fraterno
omaggio a tutti i caduti d'Italia, auspicando che abbia termine,
finalmente, in nome di Dio, ogni discriminazione e ogni divisione
di parte di fronte ai soldati di tutti i fronti e di tutte
le divise, che morendo si sono sacrificati per il sacro ideale
della Patria." A questa presa di posizione
don Milani rispose con uno scritto su Rinascita del
6 marzo. Per queste opinioni egli fu denunciato per apologia
di reato: il secondo scritto che qui riproduciamo è la replica
a tale iniziativa giudiziaria)
per
saperne di più: il sito dei Centri
Documentazione, Ricerca e Formazione DON LORENZO
MILANI E SCUOLA DI BARBIANA (Vicchio di Mugello) e Barbiana.it.
Lettera ai cappellani Militari Toscani
che hanno sottoscritto
il comunicato dell'11 febbraio 1965
Da tempo avrei voluto invitare uno di voi a parlare ai miei ragazzi
della vostra vita. Una vita che i ragazzi e io non capiamo.
Avremmo però voluto
fare uno sforzo per capire e soprattutto domandarvi come avete
affrontato alcuni problemi pratici della vita militare. Non ho
fatto in tempo a organizzare questo incontro tra voi e la mia
scuola.
Io l'avrei voluto privato, ma ora che avete rotto il silenzio
voi, e su un giornale, non posso fare a meno di farvi quelle stesse
domande pubblicamente.
PRIMO perché avete
insultato dei cittadini che noi e molti altri ammiriamo. E nessuno,
ch'io sappia, vi aveva chiamati in causa. A meno di pensare che
il solo esempio di quella loro eroica coerenza cristiana bruci
dentro di voi una qualche vostra incertezza interiore.
SECONDO perché avete usato, con estrema
leggerezza e senza chiarirne la portata, vocaboli che sono più grandi
di voi.
Nel rispondermi
badate che l'opinione pubblica è oggi più matura
che in altri tempi e non si contenterà né d'un vostro
silenzio, né d'una risposta generica che sfugga alle singole
domande. Paroloni sentimentali o volgari insulti agli obiettori
o a me non sono argomenti. Se avete argomenti sarò ben lieto
di darvene atto e di ricredermi se nella fretta di scrivere mi
fossero sfuggite cose non giuste.
Non discuterò qui l'idea di Patria in sé.
Non mi piacciono queste divisioni.
Se voi però avete diritto di dividere il mondo in italiani
e stranieri allora vi dirò che, nel vostro senso, io non
ho Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati
e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall'altro. Gli
uni son la mia Patria, gli altri i miei stranieri. E se voi avete
il diritto, senza essere richiamati dalla Curia, di insegnare che
italiani e stranieri possono lecitamente anzi eroicamente squartarsi
a vicenda, allora io reclamo il diritto di dire che anche i poveri
possono e debbono combattere i ricchi. E almeno nella scelta dei
mezzi sono migliore di voi: le armi che voi approvate sono orribili
macchine per uccidere, mutilare, distruggere, far orfani e vedove.
Le uniche armi che approvo io sono nobili e incruente: lo sciopero
e il voto.
Abbiamo dunque idee molto diverse. Posso rispettare le vostre
se le giustificherete alla luce del Vangelo o della Costituzione.
Ma rispettate anche voi le idee degli altri. Soprattutto se son
uomini che per le loro idee pagano di persona.
Certo ammetterete
che la parola Patria è stata usata male
molte volte. Spesso essa non è che una scusa per credersi
dispensati dal pensare, dallo studiare la storia, dallo scegliere,
quando occorra, tra la Patria e valori ben più alti di lei.
Non voglio in questa lettera riferirmi al Vangelo. È troppo
facile dimostrare che Gesù era contrario alla violenza e
che per sé non accettò nemmeno la legittima difesa.
Mi riferirò piuttosto
alla Costituzione.
Articolo 11 "L'Italia
ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli...".
Articolo 52 "La
difesa della Patria è sacro dovere del
cittadino".
Misuriamo con
questo metro le guerre cui è stato chiamato
il popolo italiano in un secolo di storia.
Se vedremo che
la storia del nostro esercito è tutta intessuta
di offese alle Patrie degli altri dovrete chiarirci se in quei
casi i soldati dovevano obbedire o obiettare quel che dettava la
loro coscienza. E poi dovrete spiegarci chi difese più la
Patria e l'onore della Patria: quelli che obiettarono o quelli
che obbedendo resero odiosa la nostra Patria a tutto il mondo civile?
Basta coi discorsi altisonanti e generici. Scendete nel pratico.
Diteci esattamente cosa avete insegnato ai soldati. L'obbedienza
a ogni costo? E se l'ordine era il bombardamento dei civili, un'azione
di rappresaglia su un villaggio inerme, l'esecuzione sommaria dei
partigiani, l'uso delle armi atomiche, batteriologiche, chimiche,
la tortura, l'esecuzione d'ostaggi, i processi sommari per semplici
sospetti, le decimazioni (scegliere a sorte qualche soldato della
Patria e fucilarlo per incutere terrore negli altri soldati della
Patria), una guerra di evidente aggressione, l'ordine d'un ufficiale
ribelle al popolo sovrano, la repressione di manifestazioni popolari?
Eppure queste
cose e molte altre sono il pane quotidiano di ogni guerra. Quando
ve ne sono capitate davanti agli occhi o avete mentito o avete
taciuto. O volete farci credere che avete volta volta detto la
verità in faccia ai vostri "superiori" sfidando la
prigione o la morte? se siete ancora vivi e graduati è segno
che non avete mai obiettato a nulla. Del resto ce ne avete dato
la prova mostrando nel vostro comunicato di non avere la più elementare
nozione del concetto di obiezione di coscienza.
Non potete non
pronunciarvi sulla storia di ieri se volete essere, come dovete
essere, le guide morali dei nostri soldati. Oltre a tutto la
Patria, cioè noi, vi paghiamo o vi abbiamo pagato
anche per questo. E se manteniamo a caro prezzo (1000 miliardi
l'anno) l'esercito, è solo perché difenda colla Patria
gli alti valori che questo concetto contiene: la sovranità popolare,
la libertà, la giustizia. E allora (esperienza della storia
alla mano) urgeva più che educaste i nostri soldati all'obiezione
che all'obbedienza.
L'obiezione in questi 100 anni di storia l'han conosciuta troppo
poco. L'obbedienza, per disgrazia loro e del mondo, l'han conosciuta
anche troppo.
Scorriamo insieme la storia. Volta volta ci direte da che parte
era la Patria, da che parte bisognava sparare, quando occorreva
obbedire e quando occorreva obiettare.
1860. Un esercito
di napoletani, imbottiti dell'idea di Patria, tentò di
buttare a mare un pugno di briganti che assaliva la sua Patria.
Fra quei briganti c'erano diversi ufficiali napoletani disertori
della loro Patria. Per l'appunto furono i briganti a vincere.
Ora ognuno di loro ha in qualche piazza d'Italia un monumento
come eroe della Patria.
A 100 anni di
distanza la storia si ripete: l'Europa è alle
porte.
La Costituzione è pronta a riceverla: "L'Italia
consente alle limitazioni di sovranità necessarie...". I nostri figli
rideranno del vostro concetto di Patria, così come tutti
ridiamo della Patria Borbonica. I nostri nipoti rideranno dell'Europa.
Le divise dei soldati e dei cappellani militari le vedranno solo
nei musei.
La guerra seguente
1866 fu un'altra aggressione. Anzi c'era stato un accordo con
il popolo più attaccabrighe
e guerrafondaio del mondo per aggredire l'Austria insieme.
Furono aggressioni
certo le guerre (1867-1870) contro i Romani i quali non amavano
molto la loro secolare Patria, tant'è vero
che non la difesero. Ma non amavano molto neanche la loro nuova
Patria che li stava aggredendo, tant'è vero che non insorsero
per facilitarle la vittoria. Il Gregorovius spiega nel suo diario: "L'insurrezione
annunciata per oggi, è stata rinviata a causa della pioggia".
Nel 1898 il Re "Buono" onorò della Gran Croce Militare
il generale Bava Beccaris per i suoi meriti in una guerra che è bene
ricordare. L'avversario era una folla di mendicanti che aspettavano
la minestra davanti a un convento a Milano. Il Generale li prese
a colpi di cannone e di mortaio solo perché i ricchi (allora
come oggi) esigevano il privilegio di non pagare tasse. Volevano
sostituire la tassa sulla polenta con qualcosa di peggio per i
poveri e di meglio per loro. Ebbero quel che volevano. I morti
furono 80, i feriti innumerevoli. Fra i soldati non ci fu né un
ferito né un obiettore. Finito il servizio militare tornarono
a casa a mangiar polenta. Poca perché era rincarata.
Eppure gli ufficiali
seguitarono a farli gridare "Savoia" anche
quando li portarono a aggredire due volte (1896 e 1935) un popolo
pacifico e lontano che certo non minacciava i confini della nostra
Patria. Era l'unico popolo nero che non fosse ancora appestato
dalla peste del colonialismo europeo.
Quando si battono bianchi e neri siete coi bianchi? Non vi basta
di imporci la Patria Italia? Volete imporci anche la Patria Razza
Bianca? Siete di quei preti che leggono la Nazione? Stateci
attenti perché quel giornale considera la vita d'un bianco
più che quella di 100 neri. Avete visto come ha messo in
risalto l'uccisione di 60 bianchi nel Congo, dimenticando di descrivere
la contemporanea immane strage di neri e di cercarne i mandanti
qui in Europa?
Idem per la guerra di Libia.
Poi siamo al '14.
L'Italia aggredì l'Austria
con cui questa volta era alleata.
Battisti era un
Patriota o un disertore? È un piccolo particolare
che va chiarito se volete parlare di Patria. Avete detto ai vostri
ragazzi che quella guerra si poteva evitare? Che Giolitti aveva
la certezza di poter ottenere gratis quello che poi fu ottenuto
con 600.000 morti?
Che la stragrande
maggioranza della Camera era con lui (450 su 508)? Era dunque
la Patria che chiamava alle armi? E se anche chiamava, non chiamava
forse a una "inutile strage"? (l'espressione non è d'un
vile obiettore di coscienza ma d'un Papa canonizzato).
Era nel '22 che bisognava difendere la Patria aggredita. Ma l'esercito
non la difese. Stette a aspettare gli ordini che non vennero. Se
i suoi preti l'avessero educato a guidarsi con la Coscienza invece
che con l'Obbedienza "cieca, pronta, assoluta" quanti
mali sarebbero stati evitati alla Patria e al mondo (50.000.000
di morti). Così la Patria andò in mano a un pugno
di criminali che violò ogni legge umana e divina e riempiendosi
la bocca della parola Patria, condusse la Patria allo sfacelo.
In quei tragici anni quei sacerdoti che non avevano in mente e
sulla bocca che la parola sacra "Patria", quelli che di quella
parola non avevano mai voluto approfondire il significato, quelli
che parlavano come parlate voi, fecero un male immenso proprio
alla Patria (e, sia detto incidentalmente, disonorarono anche la
Chiesa).
Nel '36 50.000
soldati italiani si trovarono imbarcati verso una nuova infame
aggressione: Avevano avuto la cartolina di precetto per andar "volontari" a
aggredire l'infelice popolo spagnolo.
Erano corsi in
aiuto d'un generale traditore della sua Patria, ribelle al suo
legittimo governo e al popolo suo sovrano. Coll'aiuto italiano
e al prezzo d'un milione e mezzo di morti riuscì a
ottenere quello che volevano i ricchi: blocco dei salari e non
dei prezzi, abolizione dello sciopero, del sindacato, dei partiti,
d'ogni libertà civile e religiosa.
Ancor oggi, in
sfida al resto del mondo, quel generale ribelle imprigiona, tortura,
uccide (anzi garrota) chiunque sia reo d'aver difeso allora la
Patria o di tentare di salvarla oggi. Senza l'obbedienza dei "volontari" italiani
tutto questo non sarebbe successo.
Se in quei tristi giorni non ci fossero stati degli italiani anche
dall'altra parte, non potremmo alzar gli occhi davanti a uno spagnolo.
Per l'appunto questi ultimi erano italiani ribelli e esuli dalla
loro Patria. Gente che aveva obiettato.
Avete detto ai vostri soldati cosa devono fare se gli capita un
generale tipo Franco? Gli avete detto che agli ufficiali disobbedienti
al popolo loro sovrano non si deve obbedire?
Poi dal '39 in
là fu una
frana: i soldati italiani aggredirono una dopo l'altra altre
sei Patrie che non avevano certo attentato alla loro (Albania,
Francia, Grecia, Egitto, Jugoslavia, Russia).
Era una guerra
che aveva per l'Italia due fronti. L'uno contro il sistema democratico.
L'altro contro il sistema socialista. Erano e sono per ora i
due sistemi politici più nobili che l'umanità si
sia data.
L'uno rappresenta
il più alto tentativo dell'umanità di
dare, anche su questa terra, libertà e dignità umana
ai poveri.
L'altro il più alto tentativo dell'umanità di
dare, anche su questa terra, giustizia e eguaglianza ai poveri.
Non vi affannate
a rispondere accusando l'uno o l'altro sistema dei loro vistosi
difetti e errori. Sappiamo che son cose umane. Dite piuttosto
cosa c'era di qua dal fronte. Senza dubbio il peggior sistema
politico che oppressori senza scrupoli abbiano mai potuto escogitare.
Negazione d'ogni valore morale, di ogni libertà se
non per i ricchi e per i malvagi. Negazione d'ogni giustizia e
d'ogni religione. Propaganda dell'odio e sterminio d'innocenti.
Fra gli altri lo sterminio degli ebrei (la Patria del Signore dispersa
nel mondo e sofferente).
Che c'entrava
la Patria con tutto questo? e che significato possono più avere le Patrie in guerra da che l'ultima guerra è stata
un confronto di ideologie e non di patrie?
Ma in questi cento
anni di storia italiana c'è stata anche
una guerra "giusta" (se guerra giusta esiste). L'unica che non
fosse offesa delle altrui Patrie, ma difesa della nostra: la guerra
partigiana.
Da un lato c'erano dei civili, dall'altra dei militari. Da un
lato soldati che avevano obbedito, dall'altra soldati che avevano
obiettato.
Quali dei due
contendenti erano, secondo voi, i "ribelli", quali
i "regolari"?
È una nozione che urge chiarire quando si parla di Patria.
Nel Congo p. es. quali sono i "ribelli"?
Poi per grazia di Dio la nostra Patria perse l'ingiusta guerra
che aveva scatenato. Le Patrie aggredite dalla nostra Patria riuscirono
a ricacciare i nostri soldati.
Certo dobbiamo
rispettarli. Erano infelici contadini o operai trasformati in
aggressori dall'obbedienza militare. Quell'obbedienza militare
che voi cappellani esaltate senza nemmeno un "distinguo" che
vi riallacci alla parola di San Pietro: "Si deve obbedire agli
uomini o a Dio?". E intanto ingiuriate alcuni pochi coraggiosi
che son finiti in carcere per fare come ha fatto San Pietro.
In molti paesi
civili (in questo più civili del nostro)
la legge li onora permettendo loro di servir la Patria in altra
maniera. Chiedono di sacrificarsi per la Patria più degli
altri, non meno. Non è colpa loro se in Italia non hanno
altra scelta che di servirla oziando in prigione.
Del resto anche
in Italia c'è una legge che riconosce un'obiezione
di coscienza. È proprio quel Concordato che voi volevate
celebrare. Il suo terzo articolo consacra la fondamentale obiezione
di coscienza dei Vescovi e dei Preti.
In quanto agli
altri obiettori, la Chiesa non si è ancora
pronunziata né contro di loro né contro di voi.
La sentenza umana che li ha condannati dice solo che hanno disobbedito
alla legge degli uomini, non che son vili. Chi vi autorizza a rincarare
la dose? E poi a chiamarli vili non vi viene in mente che non s'è mai
sentito dire che la viltà sia patrimonio di pochi, l'eroismo
patrimonio dei più?
Aspettate a insultarli.
Domani forse scoprirete che sono dei profeti. Certo il luogo
dei profeti è la prigione, ma non è bello
star dalla parte di chi ce li tiene.
Se ci dite che
avete scelto la missione di cappellani per assistere feriti e
moribondi, possiamo rispettare la vostra idea. Perfino Gandhi
da giovane l'ha fatto. Più maturo condannò duramente
questo suo errore giovanile. Avete letto la sua vita?
Ma se ci dite
che il rifiuto di difendere se stesso e i suoi secondo l'esempio
e il comandamento del Signore è "estraneo al comandamento
cristiano dell'amore" allora non sapete di che Spirito siete! che
lingua parlate? come potremo intendervi se usate le parole senza
pesarle? se non volete onorare la sofferenza degli obiettori, almeno
tacete!
Auspichiamo dunque tutto il contrario di quel che voi auspicate:
Auspichiamo che abbia termine finalmente ogni discriminazione e
ogni divisione di Patria di fronte ai soldati
di tutti i fronti e di tutte le divise che morendo si son sacrificati
per i sacri ideali di Giustizia, Libertà, Verità.
Rispettiamo la
sofferenza e la morte, ma davanti ai giovani che ci guardano
non facciamo pericolose confusioni fra il bene e il male, fra
la verità e l'errore,
fra la morte di un aggressore e quella della sua vittima.
Se volete diciamo: preghiamo per quegli infelici che, avvelenati
senza loro colpa da una propaganda d'odio, si son sacrificati per
il solo malinteso ideale di Patria calpestando senza avvedersene
ogni altro nobile ideale umano.
Lorenzo Milani sac.
Lettera ai giudici
Barbiana, 18 ottobre
1965
Signori Giudici,
vi metto qui per
scritto quello che avrei detto volentieri in aula. Non sarà infatti facile ch'io possa venire a Roma
perché sono da tempo malato. Allego un certificato medico
e vi prego di procedere in mia assenza. La malattia è l'unico
motivo per cui non vengo. Ci tengo a precisarlo perché dai
tempi di Porta Pia i preti italiani sono sospettati di avere poco
rispetto per lo Stato. E questa è proprio l'accusa che
mi si fa in questo processo.
Ma essa non è fondata per moltissimi miei confratelli e
in nessun modo per me. Vi spiegherò anzi quanto mi stia
a cuore imprimere nei miei ragazzi il senso della legge e il rispetto
per i tribunali degli uomini.
Una precisazione
a proposito del difensore. Le cose che ho voluto dire con la
lettera incriminata toccano da vicino la mia persona di maestro
e di sacerdote. In queste due vesti so parlare da me. Avevo perciò chiesto al mio difensore d'ufficio di non prendere
la parola. Ma egli mi ha spiegato che non me lo può promettere
né come avvocato né come uomo. Ho capito le sue ragioni
e non ho insistito.
Un'altra precisazione
a proposito della rivista che è coimputata
per avermi gentilmente ospitato. Io avevo diffuso per conto mio
la lettera incriminata fin dal 23 Febbraio. Solo successivamente
(6 Marzo) l'ha ripubblicata Rinascita e poi altri giornali.
È dunque per motivi procedurali cioè del tutto casuali
ch'io trovo incriminata con me una rivista comunista. Non ci troverei
nulla da ridire se si trattasse d'altri argomenti. Ma essa non
meritava l'onore d'essere fatta bandiera di idee che non le si
addicono come la libertà di coscienza e la non violenza.
Il fatto non giova alla chiarezza cioè all'educazione dei
giovani che guardano a questo processo.
Verrò ora ai motivi per cui ho sentito il dovere di scrivere
la lettera incriminata. Ma vi occorrerà prima sapere come
mai oltre che parroco io sia anche maestro. La mia è una
parrocchia di montagna. Quando ci arrivai c'era solo una scuola
elementare. Cinque classi in un'aula sola. I ragazzi uscivano dalla
quinta semianalfabeti e andavano a lavorare. Timidi e disprezzati.
Decisi allora che avrei speso la mia vita di parroco per la loro
elevazione civile e non solo religiosa. Così da undici anni
in qua, la più gran parte del mio ministero consiste in
una scuola. Quelli che stanno in città usano meravigliarsi
del suo orario. Dodici ore al giorno, 365 giorni l'anno. Prima
che arrivassi io i ragazzi facevano lo stesso orario (e in più tanta
fatica) per procurare lana e cacio a quelli che stanno in città.
Nessuno aveva da ridire. Ora che quell'orario glielo faccio fare
a scuola dicono che li sacrifico.
La questione appartiene
a questo processo solo perché vi
sarebbe difficile capire il mio modo di argomentare se non sapeste
che i ragazzi vivono praticamente con me. Riceviamo le visite insieme.
Leggiamo insieme: i libri, il giornale, la posta. Scriviamo insieme.
COME MAESTRO
Il motivo occasionale
Eravamo come sempre
insieme quando un amico ci portò il
ritaglio di un giornale. Si presentava come un "Comunicato dei
cappellani militari in congedo della regione toscana". Più tardi
abbiamo saputo che già questa dizione è scorretta.
Solo 20 di essi erano presenti alla riunione su un totale di 120.
Non ho potuto appurare quanti fossero stati avvertiti. Personalmente
ne conosco uno solo: don Vittorio Vacchiano pievano di Vicchio.
Mi ha dichiarato che non è stato invitato e che è sdegnato
della sostanza e della forma del comunicato. Il testo è infatti
gratuitamente provocatorio. Basti pensare alla parola "espressione
di viltà".
Il prof. Giorgio
Peyrot dell'Università di
Roma sta curando la raccolta di tutte le sentenze contro obiettori
italiani.
Mi dice che dalla
liberazione in qua ne son state pronunciate più di 200. Di 186 ha notizia sicura, di 100 il testo. Mi
assicura che in nessuna ha trovato la parola viltà o altra
equivalente. In alcune anzi ha trovato espressioni di rispetto
per la figura morale dell'imputato. Per esempio: "Da tutto
il comportamento dell'imputato si deve ritenere che egli sia incorso
nei rigori della legge per amor di fede" (2 sentenze del T.M.T. di Torino
19 Dicembre 1963 imputato Scherillo, 3 Giugno 1964 imputato Fiorenza).
In tre sentenze del T.M.T. di Verona ha trovato il riconoscimento
del motivo di particolare valore morale e sociale (19 Ottobre 1953
imputato Valente, 11 Gennaio 1957 imputato Perotto, 7 Maggio 1957
imputato Perotto). Allego il testo completo dei risultati della
ricerca che il prof. Peyrot ha avuto la bontà di fare per
me.
Ora io sedevo
davanti ai miei ragazzi nella duplice veste di maestro e di sacerdote
e loro mi guardavano sdegnati e appassionati. Un sacerdote che
ingiuria un carcerato ha sempre torto. Tanto più se
ingiuria chi è in carcere per un ideale. Non avevo bisogno
di far notare queste cose ai miei ragazzi. Le avevano già intuite.
E avevano anche intuito che ero ormai impegnato a dar loro una
lezione di vita.
Dovevo ben insegnare
come il cittadino reagisce all'ingiustizia. Come ha libertà di
parola e di stampa. Come il cristiano reagisce anche al sacerdote
e perfino al vescovo che erra. Come ognuno deve sentirsi responsabile
di tutto.
Su una parete
della nostra scuola c'è scritto grande "I
care". È il motto intraducibile dei giovani americani migliori. "Me
ne importa, mi sta a cuore". È il contrario esatto del
motto fascista "Me ne frego".
Quando quel comunicato
era arrivato a noi era già vecchio
di una settimana. Si seppe che né le autorità civili,
né quelle religiose avevano reagito. Allora abbiamo reagito
noi. Una scuola austera come la nostra, che non conosce ricreazione
né vacanze, ha tanto tempo a disposizione per pensare e
studiare. Ha perciò il diritto e il dovere di dire le cose
che altri non dice. È l'unica ricreazione che concedo ai
miei ragazzi. Abbiamo dunque preso i nostri libri di storia (umili
testi di scuola media, non monografie da specialisti) e siamo riandati
cento anni di storia italiana in cerca d'una "guerra giusta". D'una
guerra cioè che fosse in regola con l'articolo 11 della
Costituzione. Non è colpa nostra se non l'abbiamo trovata.
Da quel giorno a oggi abbiamo avuto molti dispiaceri:
Ci sono arrivate
decine di lettere anonime di ingiurie e di minacce firmate solo
con la svastica o col fascio. Siamo stati feriti da alcuni giornalisti
con "interviste" piene di falsità.
Da altri con incredibili illazioni tratte da quelle "interviste" senza
curarsi di controllarne la serietà. Siamo stati poco compresi
dal nostro stesso Arcivescovo (Lettera al Clero 14-4-1965). La
nostra lettera è stata incriminata. Ci è stato però di
conforto tenere sempre dinanzi agli occhi quei 31 ragazzi italiani
che sono attualmente in carcere per un ideale. Così diversi
dai milioni di giovani che affollano gli stadi, i bar, le piste
da ballo, che vivono per comprarsi la macchina, che seguono le
mode, che leggono giornali sportivi, che si disinteressano di politica
e di religione. Un mio figliolo ha per professore di religione
all'Istituto Tecnico il capo di quei militari cappellani che han
scritto il comunicato. Mi dice di lui che in classe parla spesso
di sport. Che racconta di essere appassionato di caccia e di judo.
Che ha l'automobile. Non toccava a lui chiamare "vili e estranei
al comandamento cristiano dell'amore" quei 31 giovani.
I miei figlioli
voglio che somiglino più a loro che a lui.
E ciò nonostante non voglio che vengano su anarchici.
Il motivo profondo
A questo punto
mi occorre spiegare il problema di fondo di ogni vera scuola.
E siamo giunti, io penso, alla chiave di questo processo perché io maestro sono accusato di apologia di reato cioè di
scuola cattiva. Bisognerà dunque accordarci su ciò che è scuola
buona.
La scuola è diversa dall'aula del tribunale. Per voi magistrati
vale solo ciò che è legge stabilita. La scuola
invece siede fra il passato e il futuro e deve averli presenti
entrambi. È l'arte delicata di condurre i ragazzi su un
filo di rasoio: da un lato formare in loro il senso della legalità (e
in questo somiglia alla vostra funzione), dall'altro la volontà di
leggi migliori cioè il senso politico (e in questo si differenzia
dalla vostra funzione). La tragedia del vostro mestiere di giudici è che
sapete di dover giudicare con leggi che ancora non son tutte giuste.
Son vivi in Italia dei magistrati che in passato han dovuto perfino
sentenziare condanne a morte. Se tutti oggi inorridiamo a questo
pensiero dobbiamo ringraziare quei maestri che ci aiutarono a progredire,
insegnandoci a criticare la legge che allora vigeva. Ecco perché,
in un certo senso, la scuola è fuori del vostro ordinamento
giuridico.
Il ragazzo non è ancora penalmente imputabile e non esercita
ancora diritti sovrani, deve solo prepararsi a esercitarli domani
ed è perciò da un lato nostro inferiore perché deve
obbedirci e noi rispondiamo di lui, dall'altro nostro superiore
perché decreterà domani leggi migliori delle nostre.
E allora il maestro deve essere per quanto può profeta,
scrutare i "segni dei tempi", indovinare negli occhi dei ragazzi
le cose belle che essi vedranno chiare domani e che noi vediamo
solo in confuso. Anche il maestro è dunque in qualche modo
fuori del vostro ordinamento e pure al suo servizio. Se lo condannate
attenterete al progresso legislativo. In quanto alla loro vita
di giovani sovrani domani, non posso dire ai miei ragazzi
che l'unico modo d'amare la legge è d'obbedirla.
Posso solo dir loro che essi dovranno tenere in tale onore le leggi
degli uomini da osservarle quando sono giuste (cioè quando
sono la forza del debole). Quando invece vedranno che non sono
giuste (cioè quando sanzionano il sopruso del forte) essi
dovranno battersi perché siano cambiate. La leva ufficiale
per cambiare la legge è il voto. La Costituzione gli affianca
anche la leva dello sciopero. Ma la leva vera di queste due leve
del potere è influire con la parola e con l'esempio sugli
altri votanti e scioperanti. E quando è l'ora non c'è scuola
più grande che pagare di persona un'obiezione di coscienza.
Cioè violare la legge di cui si ha coscienza che è cattiva
e accettare la pena che essa prevede. È scuola per esempio
la nostra lettera sul banco dell'imputato e è scuola la
testimonianza di quei 31 giovani che sono a Gaeta.
Chi paga di persona
testimonia che vuole la legge migliore, cioè che
ama la legge più degli altri. Non capisco come qualcuno
possa confonderlo con l'anarchico. Preghiamo Dio che ci mandi molti
giovani capaci di tanto.
Questa tecnica di amore costruttivo per la legge l'ho imparata
insieme ai ragazzi mentre leggevamo il Critone, l'Apologia
di Socrate, la vita del Signore nei quattro Vangeli, l'autobiografia
di Gandhi, le lettere del pilota di Hiroshima. Vite di uomini che
son venuti tragicamente in contrasto con l'ordinamento vigente
al loro tempo non per scardinarlo, ma per renderlo migliore. L'ho
applicata, nel mio piccolo, anche a tutta la mia vita di cristiano
nei confronti delle leggi e delle autorità della Chiesa.
Severamente ortodosso e disciplinato e nello stesso tempo appassionatamente
attento al presente e al futuro. Nessuno può accusarmi di
eresia o di indisciplina. Nessuno d'aver fatto carriera. Ho 42
anni e sono parroco di 42 anime! Del resto ho già tirato
su degli ammirevoli figlioli. Ottimi cittadini e ottimi cristiani.
Nessuno di loro è venuto su anarchico. Nessuno è venuto
su conformista. Informatevi su di loro. Essi testimoniano a mio
favore.
Ma è poi
reato?
Vi ho dunque dichiarato
fin qui che se anche la lettera incriminata costituisse reato
era mio dovere morale di maestro scriverla egualmente. Vi ho
fatto notare che togliendomi questa libertà attentereste
alla scuola cioè al progresso legislativo.
Ma è poi
reato?
L'Assemblea Costituente
ci ha invitati a dar posto nella scuola alla Carta Costituzionale "al
fine di rendere consapevole la nuova generazione delle raggiunte
conquiste morali e sociali". (ordine
del giorno approvato all'unanimità nella seduta dell'11
Dicembre 1947). Una di queste conquiste morali e sociali è l'articolo
11: "L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla
libertà degli altri popoli". Voi giuristi dite che
le leggi si riferiscono solo al futuro, ma noi gente della strada
diciamo che la parola ripudia è molto più ricca
di significato, abbraccia il passato e il futuro. È un invito
a buttar tutto all'aria: all'aria buona. La storia come la insegnavano
a noi e il concetto di obbedienza militare assoluta come la insegnano
ancora.
Mi scuserete se
su questo punto mi devo dilungare, ma il Pubblico Ministero ha
interpretato come apologia della disobbedienza una lettera che è una
scorsa su cento anni di storia alla luce del verbo ripudia. È dalla premessa di come si
giudicano quelle guerre che segue se si dovrà o no obbedire
nelle guerre future. Quando andavamo a scuola noi i nostri maestri,
Dio li perdoni, ci avevano così bassamente ingannati. Alcuni
poverini ci credevano davvero: ci ingannavano perché erano
a loro volta ingannati. Altri sapevano di ingannarci, ma avevano
paura. I più erano forse solo dei superficiali.
A sentir loro
tutte le guerre erano "per la Patria". Esaminiamo
ora quattro tipi di guerra che "per la Patria" non erano. I nostri
maestri si dimenticavano di farci notare una cosa lapalissiana
e cioè che gli eserciti marciano agli ordini della classe
dominante. In Italia fino al 1880 aveva diritto di voto solo il
2% della popolazione. Fino al 1909 il 7%. Nel 1913 ebbe diritto
di voto il 23%, ma solo la metà lo seppe o lo volle usare.
Dal '22 al '45 il certificato elettorale non arrivò più a
nessuno, ma arrivarono a tutti le cartoline di chiamata per tre
guerre spaventose. Oggi di diritto il suffragio è universale,
ma la Costituzione (articolo 3) ci avvertiva nel '47 con sconcertante
sincerità che i lavoratori erano di fatto esclusi
dalle leve del potere. Siccome non è stata chiesta la revisione
di quell'articolo è lecito pensare (e io lo penso) che esso
descriva una situazione non ancora superata. Allora è ufficialmente
riconosciuto che i contadini e gli operai, cioè la gran
massa del popolo italiano, non è mai stata al potere. Allora
l'esercito ha marciato solo agli ordini di una classe ristretta.
Del resto ne porta
ancora il marchio: il servizio di leva è compensato
con 93.000 al mese per i figli dei ricchi e con 4.500 lire al mese
per i figli dei poveri, essi non mangiano lo stesso rancio alla
stessa mensa, i figli dei ricchi sono serviti da un attendente
figlio dei poveri. Allora l'esercito non ha mai o quasi mai rappresentato
la Patria nella sua totalità e nella sua eguaglianza. Del
resto in quante guerre della storia gli eserciti han rappresentato
la Patria?
Forse quello che difese la Francia durante la Rivoluzione. Ma
non certo quello di Napoleone in Russia.
Forse l'esercito inglese dopo Dunkerque. Ma non certo l'esercito
inglese a Suez.
Forse l'esercito russo a Stalingrado. Ma non certo l'esercito
russo in Polonia.
Forse l'esercito italiano al Piave. Ma non certo l'esercito italiano
il 24 Maggio.
Ho a scuola esclusivamente
figlioli di contadini e di operai. La luce elettrica a Barbiana è stata
portata quindici giorni fa, ma le cartoline di precetto hanno
cominciato a portarle a domicilio fin dal 1861. Non posso non
avvertire i miei ragazzi che i loro infelici babbi han sofferto
e fatto soffrire in guerra per difendere gli interessi di una
classe ristretta (di cui non facevano nemmeno parte!) non gli
interessi della Patria.
Anche la Patria è una creatura cioè qualcosa di
meno di Dio, cioè un idolo se la si adora. Io penso che
non si può dar la vita per qualcosa di meno di Dio. Ma se
anche si dovesse concedere che si può dar la vita per l'idolo
buono (la Patria), certo non si potrà concedere che si possa
dar la vita per l'idolo cattivo (le speculazioni degli industriali).
Dar la vita per nulla è peggio ancora. I nostri maestri
non ci dissero che nel '66 l'Austria ci aveva offerto il Veneto
gratis. Cioè che quei morti erano morti senza scopo. Che è mostruoso
andare a morire e uccidere senza scopo.
Se ci avessero
detto meno bugie avremmo intravisto com'è complessa
la verità. Come anche quella guerra, come ogni guerra, era
composita dell'entusiasmo eroico di alcuni, dello sdegno eroico
di altri, della delinquenza di altri ancora.
Lo dico perché alcuni mi accusan di aver mancato di rispetto
ai caduti. Non è vero. Ho rispetto per quelle infelici
vittime. Proprio per questo mi parrebbe di offenderle se lodassi
chi le ha mandate a morire e poi si è messo in salvo.
Per esempio quel
re che scappò a Brindisi con Badoglio
e molti generali e nella fretta si dimenticò perfino di
lasciar gli ordini.
Del resto il rispetto
per i morti non può farmi dimenticare
i miei figlioli vivi. Io non voglio che essi facciano quella tragica
fine. Se un giorno sapranno offrire la loro vita in sacrificio
ne sarò orgoglioso, ma che sia per la causa di Dio e dei
poveri, non per il signor Savoia o il signor Krupp.
Bisognerà ricordare
anche le guerre per allargare i confini oltre il territorio nazionale.
Ci sono ancora dei fascisti poveretti che mi scrivono lettere
patetiche per dirmi che prima di pronunciare il nome santo di Battisti
devo sciacquarmi la bocca.
È perché i nostri maestri ce l'avevano presentato
come un eroe fascista. Si erano dimenticati di dirci che era un
socialista. Che se fosse stato vivo il 4 novembre quando gli italiani
entrarono nel Sud Tirolo avrebbe obiettato. Non avrebbe mosso un
passo di là da Salorno per lo stessissimo motivo per cui
quattro anni prima aveva obiettato alla presenza degli austriaci
di qua da Salorno e s'era buttato disertore, come dico appunto
nella mia lettera.
"Riterremmo
stoltezza vantar diritti su Merano e Bolzano" (Scritti
politici di Cesare Battisti, vol. II, pag. 96-97). "Certi
italiani confondono troppo facilmente il Tirolo col Trentino
e con poca logica vogliono i confini d'Italia estesi fino al
Brennero" (ivi).
Sotto il fascismo la mistificazione fu scientificamente organizzata.
E non solo sui libri, ma perfino sul paesaggio. L'Alto Adige, dove
nessun soldato italiano era mai morto, ebbe tre cimiteri di guerra
finti (Colle Isarco, Passo Resia, S. Candido) con caduti veri disseppelliti
a Caporetto.
Parlo di confini per chi crede ancora, come credeva Battisti,
che i confini debbano tagliare preciso tra nazione e nazione. Non
certo per dar soddisfazione a quei nazisti da museo che sparano
a carabinieri di 20 anni.
In quanto a me,
io ai miei ragazzi insegno che le frontiere son concetti superati.
Quando scrivevamo la lettera incriminata abbiamo visto che i
nostri paletti di confine sono stati sempre in viaggio. E ciò che seguita a cambiar di posto secondo il capriccio
delle fortune militari non può essere dogma di fede né civile
né religiosa.
Ci presentavano l'Impero come una gloria della Patria! Avevo 13
anni. Mi par oggi. Saltavo di gioia per l'Impero. I nostri maestri
s'erano dimenticati di dirci che gli etiopici erano migliori di
noi. Che andavamo a bruciare le loro capanne con dentro le loro
donne e i loro bambini mentre loro non ci avevano fatto nulla.
Quella scuola
vile, consciamente o inconsciamente non so, preparava gli orrori
di tre anni dopo. Preparava milioni di soldati obbedienti. Obbedienti
agli ordini di Mussolini. Anzi, per essere più precisi,
obbedienti agli ordini di Hitler. Cinquanta milioni di morti.
E dopo esser stato
così volgarmente
mistificato dai miei maestri quando avevo 13 anni, ora che sono
maestro io e ho davanti questi figlioli di 13 anni che amo, vorreste
che non sentissi l'obbligo non solo morale (come dicevo nella
prima parte di questa lettera), ma anche civico di demistificare
tutto, compresa l'obbedienza militare come ce la insegnavano
allora?
Perseguite i maestri
che dicono ancora le bugie di allora, quelli che da allora a
oggi non hanno più studiato né pensato,
non me.Abbiamo voluto scrivere questa lettera senza l'aiuto d'un
giurista. Ma a scuola una copia dei Codici l'abbiamo. Nel testo
stesso dell'art. 40 c.p.m.p. e nella giurisprudenza all'art. 51
del c.p. abbiamo trovato che il soldato non deve obbedire quando
l'atto comandato è manifestamente delittuoso. Che l'ordine
deve avere un minimo d'apparenza di legittimità. Una sentenza
del T.S.M. condanna un soldato che ha obbedito a un ordine di strage
di civili (13-12-1949 imputato Strauch).
Allora anche il
Vostro ordinamento riconosce che perfino il soldato ha una coscienza
e deve saperla usare quando è l'ora. Come
potrebbe avere un minimo di parvenza di legittimità una
decimazione, una rappresaglia su ostaggi, la deportazione degli
ebrei, la tortura, una guerra coloniale? Oppure, può avere
un minimo di parvenza di legittimità un atto condannato
dagli accordi internazionali che l'Italia ha sottoscritto?
Il nostro Arcivescovo
Card. Florit ha scritto che "è praticamente
impossibile all'individuo singolo valutare i molteplici aspetti
relativi alla moralità degli ordini che riceve" (Lettera
al Clero 14-4-1965). Certo non voleva riferirsi all'ordine che
hanno ricevuto le infermiere tedesche di uccidere i loro malati.
E neppure a quello che ricevette Badoglio e trasmise ai suoi soldati
di mirare anche agli ospedali (telegramma di Mussolini 28-3-1936).
E neppure all'uso dei gas.
Che gli italiani
in Etiopia abbiano usato gas è un fatto
su cui è inutile chiuder gli occhi. Il Protocollo di Ginevra
del 17-5-1925 ratificato dall'Italia il 3-4-1928 fu violato dall'Italia
per prima il 23-12-1935 sul Tacazzé. L'Enciclopedia
Britannica lo dà per pacifico. Lo denunciano oramai
anche i giornali cattolici (L'Avvenire d'Italia articoli
di Angelo del Boca dal 13-5-1965 al 15-7-1965). Abbiamo letto i
telegrammi di Mussolini a Graziani: "autorizzo impiego gas" (telegramma
numero 12409 del 27-10-1935) di Mussolini a Badoglio: "rinnovo
autorizzazione impiego gas qualunque specie e su qualunque scala" (29-3-1936).
Hailè Selassiè l'ha confermato autorevolmente e circostanziatamente
(intervista per l'Espresso 29-9-1965 e sg.). Quegli ufficiali
e quei soldati obbedienti che buttavano barili d'iprite sono criminali
di guerra e non son ancora stati processati.
Son processato
invece io perché ho scritto una lettera
che molti considerano nobile (carissime fra le tante le lettere
di affettuosa solidarietà delle Commissioni Interne delle
principali fabbriche fiorentine, quelle dei dirigenti e attivisti
della C.I.S.L. di Milano e della C.I.S.L. di Firenze e quella dei
Valdesi).
Che idea si potranno
fare i giovani di ciò che è crimine?
Oggi poi le convenzioni internazionali son state accolte nella
Costituzione (art. 10). Ai miei montanari insegno a avere più in
onore la Costituzione e i patti che la loro Patria ha firmato che
gli ordini opposti d'un generale.
Io non li credo dei minorati incapaci di distinguere se sia lecito
o no bruciar vivo un bambino. Ma dei cittadini sovrani e coscienti.
Ricchi del buon senso dei poveri. Immuni da certe perversioni intellettuali
di cui soffrono talvolta i figli della borghesia. Quelli per esempio
che leggevano D'Annunzio e ci han regalato il fascismo e le sue
guerre.
A Norimberga e
a Gerusalemme son stati condannati uomini che avevano obbedito.
L'umanità intera consente che essi non dovevano
obbedire, perché c'è una legge che gli uomini non
hanno forse ancora ben scritta nei loro codici, ma che è scritta
nel loro cuore. Una gran parte dell'umanità la chiama legge
di Dio, l'altra parte la chiama legge della Coscienza. Quelli che
non credono né nell'una né nell'altra non sono
che un'infima minoranza malata. Sono i cultori dell'obbedienza
cieca.
Condannare la
nostra lettera equivale a dire ai giovani soldati italiani che
essi non devono avere una coscienza, che devono obbedire come
automi, che i loro delitti li pagherà chi li avrà comandati.
E invece bisogna
dir loro che Claude Eatherly, il pilota di Hiroshima, che vede
ogni notte donne e bambini che bruciano e si fondono come candele,
rifiuta di prender tranquillanti, non vuol dormire, non vuol
dimenticare quello che ha fatto quand'era "un bravo ragazzo,
un soldato disciplinato" (secondo la definizione dei suoi superiori) "un
povero imbecille irresponsabile" (secondo la definizione che dà lui
di sé ora). (carteggio di Claude Eatherly e GŸnter
Anders - Einaudi 1962).
Ho poi studiato
a teologia morale un vecchio principio di diritto romano che
anche voi accettate. Il principio della responsabilità in
solido. Il popolo lo conosce sotto forma di proverbio: "Tant'è ladro
chi ruba che chi para il sacco".
Quando si tratta
di due persone che compiono un delitto insieme, per esempio il
mandante e il sicario, voi gli date un ergastolo per uno e tutti
capiscono che la responsabilità non si divide
per due. Un delitto come quello di Hiroshima ha richiesto qualche
migliaio di corresponsabili diretti: politici, scienziati, tecnici,
operai, aviatori. Ognuno di essi ha tacitato la propria coscienza
fingendo a se stesso che quella cifra andasse a denominatore. Un
rimorso ridotto a millesimi non toglie il sonno all'uomo d'oggi.
E così siamo giunti a quest'assurdo che l'uomo delle caverne
se dava una randellata sapeva di far male e si pentiva. L'aviere
dell'era atomica riempie il serbatoio dell'apparecchio che poco
dopo disintegrerà 200.000 giapponesi e non si pente.
A dar retta ai
teorici dell'obbedienza e a certi tribunali tedeschi, dell'assassinio
di sei milioni di ebrei risponderà solo
Hitler. Ma Hitler era irresponsabile perché pazzo. Dunque
quel delitto non è mai avvenuto perché non ha autore.
C'è un modo solo per uscire da questo macabro gioco di
parole. Avere il coraggio di dire ai giovani che essi sono tutti
sovrani, per cui l'obbedienza non è ormai più una
virtù, ma la più subdola delle tentazioni, che non
credano di potersene far scudo né davanti agli uomini né davanti
a Dio, che bisogna che si sentano ognuno l'unico responsabile di
tutto. A questo patto l'umanità potrà dire di aver
avuto in questo secolo un progresso morale parallelo e proporzionale
al suo progresso tecnico.
COME SACERDOTE
Fin qui ho parlato
come un cittadino e un maestro che crede con la sua scuola e
la sua lettera di aver reso un servizio alla società civile,
non di aver compiuto un reato.
Ma poniamo di nuovo che voi lo consideriate reato.
Quest'accusa se
fatta a me solo e non anche a tutti i miei confratelli mette
in dubbio la mia ortodossia di cattolico e di sacerdote. Sembrerà infatti che condanniate le idee personali di un
prete strano. Ma io son parte viva della Chiesa anzi suo ministro.
Se avessi detto cose estranee al suo insegnamento essa mi avrebbe
condannato. Non l'ha fatto perché la mia lettera dice cose
elementari di dottrina cristiana che tutti i preti insegnano da
2000 anni. Se ho commesso reato perseguiteci tutti.
Ho evitato apposta
di parlare da non-violento. Personalmente lo sono. Ho tentato
di educare i miei ragazzi così. Li ho indirizzati
per quanto ho potuto verso i sindacati (le uniche organizzazioni
che applichino su larga scala le tecniche non-violente). Ma la
non-violenza non è ancora la dottrina ufficiale di tutta
la Chiesa. Mentre la dottrina del primato della coscienza sulla
legge dello Stato lo è certamente. Mi sarà facile
dimostrarvi che nella mia lettera ho parlato da cattolico integrale,
anzi spesso da cattolico conservatore.
Cominciamo dalla storia.
La storia d'Italia
fino al 1929 nella mia lettera è identica
a come la raccontavano i preti in seminario prima di quella data.
Il mio vecchio parroco mi diceva che La Squilla, il giornale
cattolico di Firenze, aveva in vetta e in fondo uno striscione
nero. Portava il lutto del Risorgimento! In quanto alla storia
più recente cioè al giudizio sulle guerre fasciste,
può anche darsi che qualche mio confratello sia intimamente
un nostalgico, ma è notorio che la gran maggioranza dei
preti sostiene un partito democratico che fu il principale autore
della Costituzione (dunque anche della parola ripudia).
Veniamo alla dottrina.
La dottrina del
primato della legge di Dio sulla legge degli uomini è condivisa,
anzi glorificata, da tutta la Chiesa. Non andrò a cercare
teologi moderni e difficili per dimostrarlo. Si può domandarlo
a un bambino che si prepara alla Prima Comunione: "Se il padre
o la madre comanda una cosa cattiva bisogna obbedirlo? I martiri
disobbedirono alle leggi dello Stato. Fecero bene o male?". C'è chi
cita a sproposito il detto di S. Pietro: "Obbedite ai vostri
superiori anche se son cattivi". Infatti. Non ha nessuna importanza se chi
comanda è personalmente buono o cattivo. Delle sue azioni
risponderà lui davanti a Dio. Ha però importanza
se ci comanda cose buone o cattive perché delle nostre azioni
risponderemo noi davanti a Dio. Tant'è vero che Pietro scriveva
quelle sagge raccomandazioni all'obbedienza dal carcere dove era
chiuso per aver solennemente disobbedito.
Il Concilio di
Trento è esplicito su questo punto (Catechismo
III parte, IV precetto, 16¡ paragrafo): "Se le autorità politiche
comanderanno qualcosa di iniquo non sono assolutamente da ascoltare.
Nello spiegare questa cosa al popolo il parroco faccia notare che
premio grande e proporzionato è riservato in cielo a coloro
che obbediscono a questo precetto divino" cioè di disobbedire
allo Stato!
Certi cattolici
di estrema destra (forse gli stessi che mi hanno denunciato)
ammirano la Mostra della Chiesa del Silenzio. Quella mostra è l'esaltazione di cittadini che per motivo di coscienza
si ribellano allo Stato. Allora anche i miei superficialissimi
accusatori la pensan come me. Hanno il solo difetto di ricordarsi
di quella legge eterna quando lo Stato è comunista e le
vittime son cattoliche e di dimenticarla nei casi (come in Spagna)
dove lo Stato si dichiara cattolico e le vittime sono comuniste.
Son cose penose,
ma le ho ricordate per mostrarvi che su questo punto l'arco dei
cattolici che la pensano come me è completo.
Tutti sanno che
la Chiesa onora i suoi martiri. Poco lontano dal vostro Tribunale
essa ha eretto una basilica per onorare l'umile pescatore che
ha pagato con la vita il contrasto fra la sua coscienza e l'ordinamento
vigente. S. Pietro era un "cattivo cittadino".
I vostri predecessori del Tribunale di Roma non ebbero tutti i
torti a condannarlo.
Eppure essi non erano intolleranti verso le religioni. Avevano
costruito a Roma i templi di tutti gli dei e avevano cura di offrir
sacrifici ad ogni altare.
In una sola religione
il loro profondo senso del diritto ravvisò un
pericolo mortale per le loro istituzioni. Quella il cui primo comandamento
dice: "Io sono un Dio geloso. Non avere altro Dio fuori che
me".
A quei tempi pareva dunque inevitabile che i buoni ebrei e i buoni
cristiani paressero cattivi cittadini.
Poi le leggi dello
Stato progredirono. Lasciatemi dire, con buona pace dei laicisti,
che esse vennero man mano avvicinandosi alla legge di Dio. Così va diventando ogni giorno più facile
per noi esser riconosciuti buoni cittadini. Ma è per coincidenza
e non per sua natura che questo avviene. Non meravigliatevi dunque
se ancora non possiamo obbedire tutte le leggi degli uomini. Miglioriamole
ancora e un giorno le obbediremo tutte. Vi ho detto che come maestro
civile sto dando una mano anch'io a migliorarle. Perché io
ho fiducia nelle leggi degli uomini. Nel breve corso della mia
vita mi pare che abbiano progredito a vista d'occhio.
Condannano oggi
tante cose cattive che ieri sancivano. Oggi condannano la pena
di morte, l'assolutismo, la monarchia, la censura, le colonie,
il razzismo, l'inferiorità della
donna, la prostituzione, il lavoro dei ragazzi. Onorano lo sciopero,
i sindacati, i partiti.
Tutto questo è un irreversibile avvicinarsi alla legge
di Dio. Già oggi la coincidenza è così grande
che normalmente un buon cristiano può passare anche l'intera
vita senza mai essere costretto dalla coscienza a violare una legge
dello Stato.
Io per esempio
fino a questo momento sono incensurato. E spero di esserlo anche
alla fine di questo processo. È un augurio
che faccio ai patrioti. Chissà come patirebbero se potessero
leggere le tante lettere che ricevo dall'estero. Da paesi che non
hanno il servizio di leva o riconoscono l'obiezione. Quelli che
le scrivono sono convinti di scrivere a un paese di selvaggi. Qualcuno
mi domanda quanto dovrà ancora stare in prigione il povero
padre Balducci.
Dicevamo dunque
che oggi le nostre due leggi quasi coincidono. Ci sono però dei
casi eccezionali nei quali vige l'antica divergenza e l'antico
comandamento della Chiesa di obbedire a Dio piuttosto che agli
uomini.
Ho elencato nella lettera incriminata alcuni di questi casi. Posso
aggiungere altre considerazioni. Cominciamo dall'obiezione di coscienza
in senso stretto.
Proprio in questi giorni ho avuto conforto dalla Chiesa anche
su questo punto specifico. Il Concilio invita i legislatori a avere
rispetto (respicere) per coloro i quali "o per testimoniare
della mitezza cristiana, o per reverenza alla vita, o per orrore
di esercitare qualsiasi violenza, ricusano per motivo di coscienza
o il servizio militare o alcuni singoli atti di immane crudeltà cui
conduce la guerra".
(Schema 13 paragrafo
101. Questo è il testo proposto dalla
apposita Commissione la quale rispecchia tutte le correnti del
Concilio. Ha quindi tutte le probabilità d'essere quello
definitivo).
Quei 20 militari
di Firenze han detto che l'obiettore è un
vile. Io ho detto soltanto che forse è un profeta. Mi pare
che i Vescovi stiano dicendo molto più di me.
Ricorderò altri
tre fatti sintomatici.
Nel '18 i seminaristi
reduci di guerra, se vollero diventare preti, dovettero chiedere
alla Santa Sede una sanatoria per le irregolarità canoniche
in cui potevano essere incorsi nell'obbedire ai loro ufficiali.
Nel '29 la Chiesa chiedeva allo Stato di dispensare i seminaristi,
i preti, i vescovi dal servizio militare. Il canone 141 proibisce
ai chierici di andare volontari a meno che lo facciano per sortirne
prima (ut citius liberi evadant)! Chi disobbedisce è automaticamente
ridotto allo stato laicale. La Chiesa considera dunque a dir poco
indecorosa per un sacerdote l'attività militare presa
nel suo complesso. Con le sue ombre e le sue luci. Quella che lo
Stato onora con medaglie e monumenti.
E infine affrontiamo
il problema più cocente delle ultime
guerre e di quelle future: l'uccisione dei civili.
La Chiesa non
ha mai ammesso che in guerra fosse lecito uccidere civili, a
meno che la cosa avvenisse incidentalmente cioè nel
tentare di colpire un obiettivo militare. Ora abbiamo letto a scuola
su segnalazione del Giorno un articolo del premio Nobel
Max Born (Bullettin of the Atomic Scientists, aprile 1964).
Dice che nella
prima guerra mondiale i morti furono 5% civili 95% militari (si
poteva ancora sostenere che i civili erano morti "incidentalmente").
Nella seconda
48% civili 52% militari (non si poteva più sostenere
che i civili fossero morti "incidentalmente").
In quella di Corea
84% civili 16% militari (si può ormai
sostenere che i militari muoiono "incidentalmente").
Sappiamo tutti
che i generali studiano la strategia d'oggi con l'unità di misura del megadeath (un milione di morti) cioè che
le armi attuali mirano direttamente ai civili e che si
salveranno forse solo i militari.
Che io sappia
nessun teologo ammette che un soldato possa mirare direttamente
(si può ormai dire esclusivamente) ai civili.
Dunque in casi del genere il cristiano deve obiettare anche a costo
della vita. Io aggiungerei che mi pare coerente dire che a una
guerra simile il cristiano non potrà partecipare nemmeno
come cuciniere. Gandhi l'aveva già capito quando ancora
non si parlava di armi atomiche.
"Io non traccio
alcuna distinzione tra coloro che portano le armi di distruzione
e coloro che prestano servizio di Croce Rossa. Entrambi partecipano
alla guerra e ne promuovono la causa. Entrambi sono colpevoli
del crimine della guerra" (Non-violence in peace
and war. Ahmedabad 14 vol. 1).
A questo punto
mi domando se non sia accademia seguitare a discutere di guerra
con termini che servivano già male per la seconda
guerra mondiale. Eppure mi tocca parlare anche della guerra futura
perché accusandomi di apologia di reato ci si riferisce
appunto a quel che dovranno fare o non fare i nostri ragazzi domani.
Ma nella guerra futura l'inadeguatezza dei termini della nostra
teologia e della vostra legislazione è ancora più evidente.
È noto che l'unica "difesa" possibile in una guerra di
missili atomici sarà di sparare circa 20 minuti prima
dell'"aggressore". Ma in lingua italiana lo sparare prima si chiama
aggressione e non difesa. Oppure immaginiamo uno Stato onestissimo
che per sua "difesa" spari 20 minuti dopo. Cioè che sparino
i suoi sommergibili unici superstiti d'un paese ormai cancellato
dalla geografia. Ma in lingua italiana questo si chiama vendetta
non difesa.
Mi dispiace se il discorso prende un tono di fantascienza, ma
Kennedy e Krusciov (i due artefici della distensione!) si sono
lanciati l'un l'altro pubblicamente minacce del genere.
"Siamo pienamente
consapevoli del fatto che questa guerra, se viene scatenata,
diventerà sin dalla primissima ora una
guerra termonucleare e una guerra mondiale. Ciò per noi è perfettamente
ovvio" (lettera di Krusciov a B. Russell, 23-10-1962).
Siamo dunque tragicamente nel reale.
Allora la guerra
difensiva non esiste più. Allora non esiste
più una "guerra giusta" né per la Chiesa né per
la Costituzione. A più riprese gli scienziati ci hanno avvertiti
che è in gioco la sopravvivenza della specie umana. (Per
esempio Linus Pauling premio Nobel per la chimica e per la pace).
E noi stiamo qui a questionare se al soldato sia lecito o no distruggere
la specie umana?
Spero di tutto
cuore che mi assolverete, non mi diverte l'idea di andare a fare
l'eroe in prigione, ma non posso fare a meno di dichiararvi esplicitamente
che seguiterò a insegnare ai
miei ragazzi quel che ho insegnato fino a ora. Cioè che
se un ufficiale darà loro ordini da paranoico hanno solo
il dovere di legarlo ben stretto e portarlo in una casa di cura.
Spero che in tutto
il mondo i miei colleghi preti e maestri d'ogni religione e d'ogni
scuola insegneranno come me. Poi forse qualche generale troverà ugualmente il meschino che obbedisce
e così non riusciremo a salvare l'umanità. Non è un
motivo per non fare fino in fondo il nostro dovere di maestri.
Se non potremo salvare l'umanità ci salveremo almeno l'anima.
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