Amnesty
International fornisce dei dati agghiaccianti. Una ricerca della
Harvard University ha stabilito che nel mondo per le donne dai
16 ai 44 anni la violenza è la prima causa di morte,
un'incidenza maggiore degli incidenti stradali, del cancro e delle
guerre.
E come se fosse un cancro, la violenza contro le donne assume
varie forme: violenza domestica, sfruttamento della prostituzione,
stupri, mutilazione dei genitali, sfruttamento lavorativo e, nei
casi più estremi, il genocidio: «mancano all'appello»
più di 60 milioni di donne, eliminate con l'aborto e l'infanticidio
selettivo, una pratica molto diffusa in Cina, dove lo Stato ha
imposto alle famiglie il figlio unico.
L'Onu ha calcolato che una donna su tre viene regolarmente
picchiata da un famigliare, solitamente il marito. Sono
120 milioni le donne che hanno subito l'escissione dei genitali
esterni. E il 70% delle donne vittime di omicidio sono
state uccise dal loro partner.
Più drammatici i dati provenienti dai Paesi poveri, dove
la violenza contro le donne spesso rientra nei gesti quotidiani
della vita comunitaria: in una provincia del Kenia, il 42% ammette
di essere regolarmente picchiata dal marito, mentre in Sudafrica
ogni 23 secondi una donna subisce violenza sessuale. Tra il 2002
e il 2003, nella Repubblica democratica del Congo 5mila donne
vennero stuprate per motivi legati al conflitto
etnico.
La
guerra solitamente rende il corpo femminile più
vulnerabile agli abusi: la Lega delle donne irachene ha denunciato
che nel periodo aprile-agosto 2003, almeno 400 donne sono state
rapite, stuprate e vendute.
Anche
la povertà incide di più sui destini
delle donne che su quello degli uomini: in Nepal sono 10mila le
ragazzine che ogni anno vengono vendute dalle famiglie per essere
avviate al mercato della prostituzione. Accade così anche
in Asia sudorientale, dove in periodi di carestia i villaggi più
poveri cedono le loro figlie per qualche pugno di riso.
La
tratta delle donne raggiunge cifre da capogiro:
solo in Europa ne sbarcano 500mila all'anno, costrette a vendersi
per strada o all'accattonaggio.
Non
ultimi vengono i cosiddetti "crimini d'onore",
i quali puniscono le donne che violino le norme della comunità:
si va dallo sfregio con l'acido compiuto sui volti delle donne
del Bangladesh alle lapidazioni delle adultere in alcuni Paesi
arabi. In Pakistan nel 1999 1000 donne furono uccise per "mondarle
dal peccato". Le case moderne e pulite delle occidentali
non le riparano dalla violenza. In Belgio, ad esempio, più
del 50% ha dichiarato di aver subito qualche forma di abuso da
parte dei loro partner; in Gran Bretagna, i servizi di pronto
soccorso ricevono mediamente una chiamata al minuto per violenze
sulle donne in ambito domestico, mentre in Russia in 14mila vengono
uccise dai loro famigliari. In Israele è più probabile
che una donna venga uccisa da un conoscente che da un estraneo.
Numeri tremendi. Che non migliorano se passiamo all'America: secondo
il governo di Washington, ogni 15 secondi un uomo picchia una
donna, il che fa 700mila in un anno. Incredibili le statistiche
sulla violenza sessuale: sempre secondo l'Oms, tra il 14 e il
20 per cento delle donne statunitensi è vittima di uno
stupro durante il corso della propria vita, una cifra che si avvicina
molto a quelle del Canada e della Nuova Zelanda.
L'Italia
non si discosta dalle statistiche occidentali
In
caso di omicidio, nel 64% dei casi la vittima è una donna.
L'aggressore è solitamente il coniuge, il convivente o
l'ex compagno (70%). Sono 714mila, ossia un 4%, le donne tra i
14 e i 59 che hanno dichiarato di aver subito uno stupro o un
tentato stupro nel corso della loro vita. Il 6% degli abusi sessuali
avviene all'interno della famiglia.
Nonostante
il tema degli abusi sulle donne abbia ricevuto grande attenzione
negli ultimi anni, specialmente a partire dalla Convenzione
per l'eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro
le donne (Cedaw), adottata nel 1979 dall'Assemblea generale
dell'Onu, e dalla Quarta Conferenza sulle Donne di Pechino del
1995, gli abusi non diminuiscono: molti Paesi non riconoscono
il problema oppure lo inseriscono nel codice penale come un reato
contro la persona e non contro le donne.
Statistiche
e dati sulla violenza contro donne e minori
Una breve riflessione
a cura di Donata Bianchi (Associazione Artemisia)
1.
Alcuni dati sulle violenze alle donne
La
violenza sessuale e i maltrattamenti (fisico, psicologico ed economico)
nei confronti delle donne interessano aspetti relazionali e comportamenti
sociali che rimangono in gran parte sommersi, lontani dallo sguardo
dell’osservatore, anche quello più attento.
La percezione sociale del fenomeno è ancora oggi piuttosto
limitata come ha confermato una indagine relativamente recente
di Eurobarometro, svolta per conto della Commissione
Europea (1999, European and their views on domestic violence against
women, Eurobarometer 51.0). Solo poco più di un quinto
(22%) del campione di popolazione europea intervistato risponde
affermativamente alla domanda se ha mai sentito di una vittima
di una qualche forma di violenza nell’ambito familiare o
nella cerchia di amici e conoscenti; tra i rispondenti italiani
del campione, la quota di coloro che a tale domanda si esprime
affermativamente è ancora più bassa, pari all’11,6%
degli italiani intervistati.
La difficoltà di emersione del fenomeno è legata:
• a elementi di pregiudizio culturale e di discriminazione
sociale di genere. Un elemento, quest’ultimo, che
influisce anche sulla natura del fenomeno, infatti, sull’aspetto
di genere, dalle poche ricerche disponibili condotte su fonti
ufficiali, che confrontano la violenza sulle donne e quella sui
minori (Terragni 1997; Terragni 1998), emerge sia la caratteristica
di genere delle violenze (sono prevalentemente di sesso maschile
gli autori delle violenze) che la continuità tra violenze
sulle donne e violenze sui minori (sia perché la maggior
parte dei minori aggrediti sono di sesso femminile, sia perché
molto spesso la violenza su una donna coinvolge anche i figli
di lei o viceversa);
• alla vergogna, alla paura di ritorsioni,
al timore di non venire credute e all’isolamento delle vittime;
• alla difficoltà di riuscire a far valere realmente
tutti gli strumenti di tutela e protezione esistenti.
Il processo, come spesso è stato segnalato, può
trasformarsi, infatti, in una ulteriore violenza nei confronti
delle donne, non a caso si usa oggi fare riferimento al rischio
di “vittimizzazione secondaria”;
• al fatto che numerose donne, come confermano molte ricerche,
non riconoscono le esperienze che subiscono come atti di vittimizzazione
e secondo parametri che corrispondano alle definizioni giuridiche.
Questo accresce il loro isolamento, rendendo le loro esperienze
ancora più invisibili.
Se
la violenza contro le donne, in tutte le sue forme, è ancora
oggi un fenomeno difficile da far emergere, esso rimane inevitabilmente
ancor più difficile da misurare.
Negli Stati Uniti e in molti pesi europei le indagini sulla vittimizzazione
costituiscono lo strumento più utilizzato per colmare il
gap tra i casi noti, cioè quelli che sono stati oggetto
di denuncia, e il cosiddetto “sommerso”.
1.1
Italia
Le statistiche giudiziarie, come accade con le violenze sui minori,
fotografano solo la punta di un iceberg e in modo parziale poiché
solo una parte delle violenze subite dalle donne sono denunciate,
e le violenze che emergono hanno caratteristiche che non sembrano
corrispondere a quelle del fenomeno reale. Le violenze sessuali
commesse da estranei sono quelle maggiormente rappresentate, ma
dalle indagini e dalle stime disponibili si tratta, invece, del
tipo meno rilevante rispetto alla natura delle esperienze di vittimizzazione
vissute dalle donne. I dati giudiziari ci aiutano comunque ad
abbattere alcuni stereotipi:
• la violenza sessuale non è un evento eccezionale
che accade in circostanze eccezionali, essa si verifica, al contrario,
in situazioni normali, spesso nei luoghi che dovrebbero essere
i più familiari e sicuri;
• non capita solo “ad alcune donne”, ne sono
vittime donne di tutte le condizioni sociali, studentesse, casalinghe
e lavoratrici;
• gli uomini non sono dei soggetti “speciali”,
solo in rari casi l’autore può essere identificato
come un maniaco o affetto da evidente psicopatologia; le donne
sono ben più spesso vittime di uomini normali (insegnanti,
datori di lavoro, medici, assistenti sociali, infermieri, ecc.),
conosciuti e con i quali esiste o esisteva un legame affettivo-
le donne sono vittime di una fiducia tradita .
Come scrive Carmine Ventimiglia (2001, in I generi della violenza.
Tipologie di violenza contro donne e minori e politiche di intervento,
F. Angeli, a cura di Del Giudice, Barbara e Adami) “lo
scenario prevalente delle violenze è uno scenario di fiducia
(smentita) ed è uno scenario quasi sempre di ordinarie
violenze, in taluni casi avviate addirittura prima del matrimonio
e nella gran parte dei casi con la caratteristica della continuità
nel tempo, di una lunga durata, con una pendolarità di
comportamenti che si consumano in una vana alternanza tra “petizioni”
(iniziali) di perdono da parte degli uomini e speranze di ravvedimento
coltivate dalle donne”.
Le violenze seguono un canovaccio comportamentale, basato su una
strategia di controllo, che le studiose e le operatrici hanno
definito il ciclo della violenza. Il ciclo della violenza è
una dinamica ricorsiva in modo variabile nella quale la Walker
(1979, Walker L. E. A., The battered woman, New York,
Harper & Row) ha identificato le tre note fasi denominate:
crescita della tensione (appaiono i primi conflitti con forte
tensione psicologica e inizio di uno stato di allerta da parte
della donna), esplosione della violenza (si manifestano atti di
maltrattamento sempre più grave con rapida escalation),
luna di miele (l’aggressore è colto da paura, senso
di colpa, timore di reazioni da parte della donna perciò
si giustifica e tenta delle spiegazioni per il suo comportamento,
cercando di ottenere il perdono della donna) .
Indagine
Istat sulle molestie e le violenze sessuali
Nel 1997/98 l’Italia ha condotto per la prima volta grazie
all’Istat un’indagine sulla vittimizzazione (Indagine
sulla sicurezza dei cittadini, Istat, 1998), che ha confermato
quanto stimato in ricerche su piccoli campioni o dai Centri antiviolenza
italiani.
Nell’indagine Istat (riguardante la rilevazione di alcuni
reati contro la persona e contro il patrimonio, la percezione
della sicurezza nel proprio ambiente di vita e le misure di protezione
adottate per difendersi dalla diffusione della criminalità)
un’attenzione particolare è stata dedicata ad approfondire
gli aspetti relativi ad alcuni tipi di molestie (telefonate oscene,
esibizionismo, ricatti sul lavoro e molestie fisiche) e alle violenze
sessuali (tentato stupro e stupro). La ricerca ha lasciato fuori
dal campo di osservazione un’ampia gamma di violenze, in
particolare i maltrattamenti di tipo economico, psicologico e
fisico, le molestie verbali, lo stalking (atti di persecuzione
quali, telefonate ripetute e insistenti telefoniche, pedinamenti,
eccetera). L’assenza dei dati sui maltrattamenti familiari
diversi dalla violenza sessuale, costituisce un gap di sicuro
rilievo poiché la violenza domestica si colloca tra le
principali cause di malattia e di morte per le donne. L’Organizzazione
mondiale della Sanità stima che nei paesi industrializzati
la violenza domestica provochi nelle donne più danni fisici
che lo stupro e gli incidenti d’auto.
Il
disegno di campionamento dell’Istat aveva previsto un campione
casuale di 50.000 famiglie, con selezione di soggetti dai 14 anni
e più. I dati ricavati da coloro che hanno accettato di
rispondere all’intervista telefonica (oltre l’80%
del campione) ha permesso di ottenere una base informativa che
ha portato l’Istat a stimare che sono 9 milioni e 420 mila
le donne da 14 a 59 anni che hanno subito almeno una molestia
sessuale rilevante nell’arco della vita.
Le molestie maggiormente subite dalle donne:
• telefonate oscene, 33,4%
• molestie fisiche, 24%
• esibizionismo, 22,6%
• ricatti sessuali sul lavoro, 4,2%
Il
28,8% delle donne intervistate ha dichiarato di aver subito un
solo tipo di molestia, il 15,7 % due tipi e il 7% tre tipi o più.
L’analisi condotta dall’Istat ha suddiviso le informazioni
tra molestie e violenze sessuali subite nel corso della vita e
relativamente agli ultimi tre anni.
Cosa emerge rispetto alle violenze sessuali? Scrive la ricercatrice
responsabile dell’indagine Multiscopo, Laura Linda Sabbadini: “…il fenomeno è caratterizzato da una
grande quota di sommerso. Se si analizzano i dati sulle donne
violentate nel corso della vita, non è stato denunciato
il 93,2% delle tentate violenze sessuali e l’82,7% degli
stupri.” La percentuale di non denunciato riguardante
gli stupri, diminuisce ai dati che l’Istat raccoglie sugli
eventi accaduti negli ultimi tre anni rispetto alla data della
rilevazione (68%), una tendenza che potrebbe evidenziare una presa
di coscienza femminile e una maggiore determinazione nell’affrontare
la situazione.
Comunque, per avere un’idea del sommerso, se tra il 1993
e il 1995 le denunce per violenza carnale sporte in Italia risultano
invece pari a 531, per un periodo di tempo pressoché analogo,
dai dati ottenuti dall’indagine l’Istat stima che
le donne che hanno subito stupro in Italia possono considerarsi
pari a 185.000.
Considerando le donne che hanno subito nel corso della vita una
tentata violenza o uno stupro (stimate in numero pari a 714.000),
emerge che il 15,5% ha denunciato il fatto se la violenza era
stata ad opera di estranei, mentre solo il 4% l’ha fatto
nel caso di persone conosciute, ma solo il 22% dei tentati stupri
e il 18% degli stupri è stato commesso da estranei. Solo
il 20,9% dei tentati stupri e l’11,6% degli stupri è
avvenuto per strada. La violenza sessuale avviene nei luoghi solitamente
considerati sicuri: a casa della donna, a casa di parenti, amici
o conoscenti.
Quindi
chi commette le violenze?
Gli estranei sono solo una minoranza per quanto riguarda le violenze
sessuali (18,1%) e le tentate violenze sessuali (22,6%), salgono
invece al 66,8% per le molestie fisiche-.
La stragrande maggioranza sono persone vicine alla vittima, ad
esempio:
Dati
% |
violenze
sessuali |
tentate
violenze sessuali |
molestie
fisiche |
Amici |
21,4 |
25,1 |
6,6 |
Conoscenti |
19,5 |
18,5 |
12,2 |
Fidanzato, ex fidanzato |
4,3 |
6,9 |
0,3 |
Familiare |
21,2 |
5,9 |
3,1 |
Persona ben conosciuta |
4,6 |
4,6 |
|
Collega o datore di lavoro |
4,1 |
8,5 |
6,9 |
Altro |
5,2 |
6,7 |
3,4 |
Non risponde |
3,2 |
2,7 |
0,7 |
Sul
totale delle violenze ad opera di familiari, il 69,2% è
stupro.La violenza in famiglia è solitamente caratterizzata
da violenza ripetuta. Si tratta di una forma che l’indagine
proposta è riuscita a porre in luce con difficoltà.
B.
La ricerca dei Centri antiviolenza dell’Emilia Romagna
Nel 1997/98 la Casa delle donne di Bologna ha coordinato una ricerca
a livello regionale che ha coinvolto 15 enti tra Centri e Case
di accoglienza per donne vittime di violenza, che operano in Emilia
Romagna. Delle 1422 donne accolte dai centri nell’annodi
rilevazione, la quasi totalità sono vittime di violenze
da parte di mariti, conviventi o ex partner. In circa il 20% dei
casi le violenze sono esercitate da ex-partner nonostante siano
già stai definiti la separazione o il divorzio. La classe
di età a cui appartengono in modo prevalente le donne che
si sono rivolte ai centri è quella tra i 30 e i 49 anni
(62,8%).
Il campione esaminato ha confermato la lunga ripetizione nel tempo
delle violenze: in circa il 18% dei casi la durata oscilla tra
i 6 e i 10 anni; nel 21% supera i 10 anni.
La ricerca condotta dalla Casa delle donne di Bologna conferma
i dati raccolti dalla Sabbadini con l’indagine Istat:
1. solo il 7,1% delle violenze sono commesse da estranei;
2. prevalgono le violenze intrafamiliari, eventi non episodici,
bensì cronicizzatisi sia in termini di durata che di frequenza
(il 40% delle violenze intrafamiliari hanno una durata da 6 a
10 anni, e rispetto alla frequenza, sono episodi che nel 40,1%
dei casi si verificano “molte volte alla settimana”);
3. le denunce decrescono al crescere del rapporto di vicinanza
e conoscenza con l’autore delle violenze e più si
sale nella “collocazione socio-professionale e agli strumenti
di autotutela culturale e di credibilità sociale dell’uomo”.
C.
La ricerca di Laura Terragni sulle denunce penali per violenza
carnale in Italia negli anni 1960 - 1995
Il tasso medio di denunce (numero di denunce per 100.000 abitanti)
in Italia negli anni Sessanta è pari a 3,54; scende a 2,36
negli anni Settanta, decresce ulteriormente negli anni Ottanta
per risalire nel quinquennio 1990-95, 2,89. Nel passato un peso
significativo avevano le regioni del Sud dove le denunce per violenza
apparivano numericamente ben al di sopra della media nazionale
(6,49 in Campania contro il dato nazionale di 3,54). Molte denunce
sporte in quegli anni, secondo la Terragni, riguardavano forme
di violenza contro ragazze molto giovani da parte di pretendenti
che successivamente non acconsentivano a sposare la ragazza. Le
modificazioni culturali avvenute in Italia negli anni successivi
hanno segnato un cambiamento nella natura degli eventi denunciati,
come segnale, specialmente nel Sud, di una modificazione nei rapporti
di genre e nel sistema dei codici dell’onore familiare.
Per quanto riguarda l’aumento delle denunce nel corso della
prima metà degli anni Novanta, si può ipotizzare
che abbiano pesato un complesso di fattori, quali: una maggiore
consapevolezza da parte delle donne, una, sebbene poco diffusa,
nuova sensibilità da parte dei servizi e delle istituzioni,
la creazione di servizi specifici di aiuto (i centri antiviolenza),
un sensibile, seppure limitato, aumento delle denunce contro ignoti,
ossia contro autori del tutto sconosciuti alla vittima, cosa avvenuta
in particolare in alcune regioni del Centro-nord, segnale, questo,
che per la Terragni potrebbe essere riconducibile ad un deteriorarsi
delle condizioni di vivibilità e sicurezza di alcune aree
metropolitane. L’indagine della Terragni, compiuta in alcuni
Tribunali ordinari penali, tiene conto anche delle violenze commesse
su minori, che nel campione preso in esame costituisce la quota
più ampia. In questo caso la relazione più frequente
è quella padre/figlia, con tutte le caratteristiche note
dell’abuso sessuale intrafamiliare: la violenza tende ad
avere inizio quando la bambina è molto piccola; vi è
un crescendo degli atti abusivi che diventano via via sempre più
intrusivi sino allo stupro; se nel nucleo sono presenti più
figlie o figli, è piuttosto frequente che l’abuso
tenda a reiterarsi su più minori; il tipo di coercizione
varia molto, ma il dato più comune è l’assenza
di forza fisica sebbene il contesto familiare sia di per sé
di tipo violento: il padre esercita spesso vari tipi di violenza
domestica sulla madre delle/dei minori.
Le violenze sessuali denunciate da donne contro i propri mariti
sono una realtà piuttosto rara, ciò può essere
determinato anche dal fatto che nel nostro ordinamento lo stupro
contro la moglie non si presenta come una fattispecie ben delineata.
“Inoltre, dal momento che la violenza tende a essere inserita
in un contesto più generale di maltrattamento, è
frequente che il coniuge venga imputato per questo tipo di reato
e non solo, o anche, per quello di violenza fisica”. Una
molla che può far scattare la denuncia è anche l’associazione
alla violenza sessuale di pratiche connesse alla produzione di
materiale pornografico.
Anche la ricerca della Terragni alza il velo su una realtà
che vede le donne vittime di persone conosciute,familiari, partner,
conoscenti, nei loro contesti quotidiani e normali di vita: “La
violenza prende forma all’interno delle dimensioni quotidiane
dell’esistenza: non è un pericolo esterno, improvviso,
ma una forma reiterata di abuso che avviene tra le pareti domestiche
o nei luoghi più vicini alla donna. I vincoli di affetto,
la dipendenza, la paura, ma anche l’imbarazzo, sono tra
i fattori che rendono più difficile portare alla luce queste
violenze”.
1.2
Uno sguardo a livello internazionale attraverso il Rapporto
dell’Organizzazione mondiale della sanità (Ottobre
2002) World
Report on Violence and Health
Il
Rapporto dell’Organizzazione mondiale della sanità
su Violenza e Salute costituisce un importante contributo verso
una comprensione più approfondita del fenomeno della violenza
e del suo impatto sulla società. Esso individua una serie
di linee di azioni prioritarie che fanno perno attorno ai vari
livelli della prevenzione. Uno degli aspetti più innovativi
del lavoro della WHO è nello stesso tipo di orientamento
adottato in quanto la violenza è considerata come un problema
di salute pubblica di rilievo mondiale, e da ciò deriva
uno sguardo nuovo sul problema che sfida gli approcci sino ad
oggi adottati, specialmente in materia di politiche di contrasto.
Il lavoro svolto dall’OMS ha un’importanza eccezionale
anche in considerazione dello sforzo di raccolta e di analisi
dei dati, drammaticamente carenti, frammentati e difficilmente
comparabili.
Il Rapporto presta attenzione non solo alla dimensione quantitativa
dei fenomeni ma affronta anche le cause della violenza e i fattori
di rischio correlati alle varie tipologie, presenta i vari tipi
di intervento e di risposte adottati per contrastarla e cerca
di fornire elementi di valutazione della loro efficacia, individuando
e proponendo strategie e metodologie per la prevenzione delle
violenze e la riduzione delle conseguenze sociali e sulla salute
degli individui.
Del fenomeno si tiene conto nella molteplicità delle sue
forme, il Rapporto, infatti, si concentra su sette espressioni:
la violenza giovanile, l’abuso e la trascuratezza sui minori,
la violenza nelle relazioni da parte del partner, la violenza
sugli anziani, la violenza sessuale, la violenza auto-inflitta
e i suicidi, e la violenza collettiva nelle guerre e nei conflitti
armati.
L’approccio
di Salute Pubblica alla violenza adottato dall’OMS. Sintesi
delle caratteristiche principali.
La violenza è un problema
di SALUTE PUBBLICA: essa va affrontata secondo un approccio interdisciplinare
e scientifico, che includa e integri la medicina, l’epidemiologia,
la sociologia, la psicologia, la criminologia, l’educazione
e l’economia. L’approccio di salute pubblica alla violenza
enfatizza l’azione collettiva e cooperativa e deve essere
giocato in tanti settori della vita pubblica.Questo approccio
comporta l’applicazione di un metodo scientifico, basato
su requisiti rigorosi:
A. Studiare il fenomeno in tutti i suoi
aspetti, tramite la raccolta dei dati sulla sua dimensione, le
caratteristiche e le conseguenze sulla vita degli individui e
la società.
B. Investigare il perché la violenza
si verifichi per determinare:
- le cause e le correlazioni;
- i
fattori che ne aumentano o riducono il rischio;
- i fattori che
possono modificare il fenomeno attraverso l’assunzione di
interventi specifici
C. Sperimentare strategie di prevenzione,
usando le informazioni che derivano dalla progettazione, realizzazione,
monitoraggio e valutazione delle misure e dei programmi già
adottati
D. Valorizzare e promuovere gli interventi che hanno dimostrato
maggiore efficacia, disseminare le informazioni e adottare sistemi
standardizzati di valutazione dell’impatto degli interventi.
A. La violenza da parte del partner (breve sintesi)
La violenza da partner del partner è riconosciuta essere
una forma di abuso ricorrente e trasversale a tutte comunità
umane, a prescindere dalla cultura di riferimento e dalle condizioni
socioeconomiche della popolazione. Essa comprende forme di maltrattamento
economico, psicologico, fisico e sessuale.
L’OMS afferma che la maggior parte degli atti violenti vedono
una donna nel ruolo di vittima e un soggetto di sesso maschile
in quello di aggressore. L’analisi di 48 indagini campionarie
realizzate in vari paesi del mondo, rivela che in alcuni casi
si arriva sino a percentuali pari al 69% del campione di donne
intervistate, che riporta di essere stata vittima di violenza
da parte del partner almeno una volta nella vita.
La maggior parte delle vittime subisce più forme di violenza,
per esempio uno studio condotto in Giappone su un campione di
613 donne ha calcolato che meno del 10% era stato vittima solo
di maltrattamento fisico, mentre il 57% aveva sofferto forme multiple
di violenza, in specifico: maltrattamento fisico, psicologico
e abuso sessuale in età minore.
È molto alta la percentuale di donne che mantiene il segreto
sulla violenza domestica di cui è vittima, una situazione
che anche nelle statistiche rese disponibili dall’Oms si
rivela un situazione che tende a cronicizzarsi e ad aggravarsi
nel tempo in assenza di interventi di protezione.
In uno studio condotto in Gran Bretagna su un campione di 430
donne, il 38% delle vittime di maltrattamento fisico da parte
del partner non aveva mai parlato con alcuno, il 46% si era confidata
con amici, il 31 con familiari e solo il 22% aveva segnalato la
violenza alla polizia.
La bassa incidenza delle denunce è un dato ricorrente a
livello mondiale: in Australia segnala, in media,solo il 19% delle
donne; in Canada il 26%; in Cile il 16%; nella Repubblica di Moldavia
il 6%.
Si chiude nel silenzio il 68% delle donne del Bangladesh e il
47% delle donne egiziane.
Le conseguenze della violenza sono estremamente gravi: danni a
livello fisico, difficoltà relazionali, disturbi psicologici,
invalidità permanenti, sino alla morte. La violenza domestica
causa gravi danni anche sulla salute riproduttiva delle donne
Studi fatti in Australia, Canada, Israele, Sud Africa e Stati
Uniti dimostrano che tra il 40 e il 70% degli omicidi con vittime
adulte di sesso femminile sono avvenuti per mano del partner,
molto spesso all’interno di una relazione di tipo abusivo,
contro il 4% di omicidi maschili effettuati da donne, partner
o ex-partner.
Gravi sono gli effetti anche sui minori esposti ad assistere alla
violenza sulla madre da parte del padre o del convivente della
donna. La “witnessing violence” è un fenomeno
grave e diffuso, ma scarsamente rilevato, colludendo così
con il perpetuarsi del ciclo intergenerazionale della violenza.
Ricerche svolte in Brasile, Cambogia, Canada, Cile, Colombia,
USA, Spagna, Nicaragua, eccetera, hanno mostrato tassi più
alti di violenza domestica tra le donne i cui mariti erano stati
essi stessi o bambini maltrattati o bambini esposti alla violenza
sulla propria madre.
B.
La violenza sessuale
In questa categoria l’OMS include una variegata gamma di
atti che vanno dallo stupro, alla violenza sessuale all’interno
della coppia, sino all’abuso sessuale e allo sfruttamento
nella prostituzione.
I dati disponibili dimostrano che, a seconda del campione di popolazione
sul quale sono realizzati gli studi, da una a quattro donne riporta
di aver subito violenza sessuale da parte del partner: il 23%
delle donne residenti in North London, intervistate nell’ambito
di un’indagine sulla vittimizzazione, rispose di aver subito
un tentato stupro o uno stupro nel corso della loro vita.
Stando a ciò che oggi si conosce sullo sfruttamento sessuale
a fini commerciali, sarebbero centinaia di migliaia le donne e
le bambine vittime della tratta per lo sfruttamento e la riduzione
in schiavitù nel mercato della prostituzione, oppure esposte
e vittime di violenza in ambiente scolastico, sul luogo di lavoro
in strutture sanitarie, centri di accoglienza. La violenza sessuale
produce drammatiche conseguenze a breve e a lungo termine sulla
salute fisica e mentale delle vittime. Genera danni fisici, sulla
salute riproduttiva, accresce il rischio di suicidio e di contrarre
malattie sessualmente trasmissibili.
A livello mondiale, le violenze sessuali denunciate sono solo
la piccola punta di un iceberg la cui parte sommersa rimane difficilmente
stimabile.
La violenza domestica di tipo non sessuale si associa costantemente
ad atti anche di violenza sessuale, che sovente le donne faticano
a riconoscere come tali perché avvengono all’interno
di un legame affettivo legalmente riconosciuto. In Messico e negli
USA, tra il 40 e il 52% delle donne vittime di violenza domestica
è stato anche vittima di violenza sessuale o costretto
a rapporti sessuali a cui ha acconsentito dietro forti pressioni
e coercizioni da parte del partner.
Esistono ricerche che sembrano confermare l’esistenza di
un forte collegamento tra abuso in età minore e violenze
sessuali subite in età adulta. Da uno studio nazionale
realizzato negli USA , è emerso che le donne vittime di
stupro prima dei 18 anni avevano una probabilità doppia
di rimanere vittime di stupro anche in età adulta, una
volta confrontate con un campione di donne che non aveva subito
abuso nell’infanzia (18,3% contro 8,7%).
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