Rossana Rossanda
Giù
il velo |
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Care
donne, decidiamoci. Smettiamo di scrivere tutte imbarazzate che
il problema è difficile e dilemmatico: non c'è alcun
dilemma nella pratica di molto islamismo che obbliga le donne
a portare il velo. Lo portano perché per la loro tradizione
volto, capelli, orecchie (e non parliamo del resto del corpo)
sono tutti una vagina spalancata e tentatrice, vas iniquitatis che può essere scoperchiato dal solo uomo che se ne è
appropriato con il matrimonio. Il velo è l'imene e va ostentato
a perpetuo ammonimento verso se stessa, le altre e gli altri che
la donna è essenzialmente il suo sesso. Anche l'uomo è
il suo sesso, ma a differenza di lei ne deriva forza, potere,
diritto, sapere e proprietà.
Tutto questo è intollerabile. Che abbia radici millenarie
e traspaia in forme mitigate in ogni religione, cristianesimo
incluso - perché, se no, non possiamo amministrare i sacramenti?
- non lo rende più rispettabile. Decidiamoci a dirlo con
la stessa fermezza con la quale diciamo che il velo non può
essere strappato da nessuna burocrazia o ministero degli interni
o ente o stato che si erga a regolamentatore. Le idee non si strappano
neanche se ignobili, a meno che non pretendano di imporsi con
mezzi non ideali.
Ma non ne consegue che siano indiscutibili, che non vadano chiamate
in causa. Alla signora che si aggira per Torino col velo ed esige
di non toglierselo neanche nel fotomaton, dovremmo dire: cara
amica, scusi la volgarità, ma la stanno fregando. Perché
accetta che il suo amato padre, il suo diletto marito e il suo
venerato imam le facciano portare un imene sul viso? Perché
è convinta di essere un peccato ambulante? Non vogliamo
collocare l'identità del suo popolo e della sua fede, nonché
i suoi di diritti di migrante da qualche altra parte? Ci vogliamo
ragionare?
Se non lo facciamo noi non lo farà nessuno. Non è
vero che per essere diversi dai nostri, tutti gli altri costumi
siano da rispettare. Non è vero che per essere agita anche
dalle donne, la tesi d'una inferiorità femminile sia sacra.
Non è vero che per essere le madri che trascinano la bambina
urlante ad aprire le gambe affinché le nonne le taglino
via con la lama la "carne in più" e poi la ricuciano,
l'escissione non sia un delitto.
Perché ci imbarazza dirlo? Perché abbiamo l'aria
di scusarcene? Perché, gratta gratta, anche per noi l'immigrata
non è come noi o nostra sorella. Poveretta, va trattata
come una che sa di meno, cui si possono dire soltanto verità
parziali. Se ci obietta: voglio coprirmi da capo a piedi perché
così piace a mio marito e piaceva a mia madre, replichiamole:
ma va là, sciocca, pensa con la tua testa. Finché
non lo faremo, gabelleremo per rispetto la tolleranza verso l'inferiore.
Maschi e femmine de il manifesto, mi sono stufata del supermercato
differenzialista. Di leggere che Montesquieu e Basaiev esprimono
due opposti integrismi. Che Voltaire e il cardinal Ruini, il Likud
e Norberto Bobbio per me pari sono. Niente affatto. Cominciamo
a verificare che cosa siamo su alcuni principi elementari. Che
una donna appartiene soltanto a se stessa, uno. Che questo suo
diritto non viene dopo altri prioritari, e due. Che chi sussurra
il contrario si deve vergognare, e tre. Poi del resto si discute.
il
manifesto, 31 ottobre 1999
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