Suzanne Vega
Fare a pugni coi ragazzi
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A certe ragazze
insegnano a essere sexy. Le ragazze di Los Angeles, per esempio.
Lì ti insegnano a essere bionda, carina e a far vedere
un sacco di pelle. A New York è diverso. A New York devi
metterti alla prova, non puoi permettere che gli altri ti incasinino
la vita. Né le ragazze né i ragazzi. I ragazzi si
mettono a dirti di tutto per vedere quanto tieni duro: fanno commenti
sulle tue scarpe, ti tirano i capelli, ti urlano dietro frasi
del tipo: Ehi, viso pallido, sei proprio una ragazza o sei
per caso una checca? E allora devi fare a pugni.
E queste sono le regole.
Puntare a quello più grosso.
Era il consiglio di mio padre. Se devi affrontare un gruppo di
ragazzi, meglio puntare subito a quello più grosso. Così
non dovrai fare a pugni con tutti. Gli altri capiranno che fai
sul serio, e ti conquisterai il loro rispetto.
Andare a vedere i bluff.
Se Tony W. prende un tubo di piombo e te lo sventaglia davanti
nell'atrio della scuola, allora sta bluffando. Puoi stare certa
che non ti colpirà con quel tubo. Questa supposizione,
però, si rivelò errata la volta che Tony W. mi colpì
alle costole con un'asse di legno, un giorno in cui l'avevo seguito
per strada. Gli diedi la caccia per diversi isolati, poi tornai
a vedere quelli delle classi più piccole che applaudivano
sulla scalinata.
Difendere
quello che è tuo.
Anche se mio fratello ha provocato una rissa per aver detto a
Tony W. che è un fottuto bastardo, devo comunque mettermi
in mezzo e difendere mio fratello. Se di sotto stanno tutti in
cerchio a cantare: "I Vega sono pazzi, succhiano grossi
cazzi", devi per forza scendere a picchiarli tutti per
farli smettere, anche se magari te ne stai a leggere tranquillamente Travels with Charley di Steinbeck, e non ti va per niente
di andare lì. Devi difendere l'onore. E la famiglia.
Mirare sempre al volto e allo stomaco.
E difendere sempre il tuo volto e il tuo stomaco. Una volta, in
una rissa con Jonathan R., dimenticai di farlo. Lui mi colpì
allo stomaco, mi tolse completamente il fiato, dopo di che picchiai
la faccia sul marciapiede e mi scheggiai un incisivo.
Combattere lealmente.
Ma non essere stupidi. È meglio rispondere ai pugni con
i pugni. È il modo migliore, il più onesto. Se proprio
ti serve un aiuto, puoi raccogliere una bottiglia, spaccarla sul
bordo del marciapiede e sventolare le estremità appuntite
davanti al tuo avversario. O puoi cercare un bastone, un tubo
di piombo, un pezzo di legno. I coltelli fanno la loro figura,
come in West Side Story, ma noi non li abbiamo mai usati.
I più grandi usano le catene, le pistole invece sono vietate.
Stai cercando di picchiare qualcuno, non di ucciderlo. Così
era vent'anni fa. Ho idea che oggi siano cambiate un bel po' di
regole.
Mai fare marcia indietro.
Non minacciare qualcuno per poi tirarti indietro (vedi sopra,
Andare a vedere i bluff). Una volta ci sono andata vicino, a tirarmi
indietro. Avevo sfidato Ricky W., gli avevo detto: "Vuoi
fare a pugni?" Le parole mi erano uscite allegramente
di bocca prima che potessi morderle e frenarle sul nascere, e
ricordo ancora il suo sguardo di divertito stupore. Perché
Ricky W. era il ragazzo più nero, più tosto e più
cattivo della scuola. E anche se aveva solo tredici anni, le voci
narravano che avesse una donna di più di vent' anni, e
che l'aveva messa incinta.
Così quando mi guardò con i suoi occhi gelidi e
disse: "Fare a pugni? Sì, mi batterò con
te. È un po' che non picchio qualcuno, mi servirà
da allenamento", e cominciò ad arrotolarsi le
maniche sui muscoli solidi e scuri; credevo che sarei morta.
I ragazzi sulla scalinata dissero: "No, Suzy. Non farlo,
Suzy", e mi guardarono con aria preoccupata. In seguito
non ricordo di aver detto o fatto qualcosa, a parte guardarlo
fisso; fatto sta che alla fine tutto si concluse così,
con un niente di fatto, come se lui non mi avesse preso sul
serio. Mi sentii sollevata, ma almeno avevo salvato la faccia.
Non fare a pugni con le ragazze.
Le ragazze sono matte, cattive. Non combattono lealmente. Combattere
lealmente vuoI dire pugni chiusi e colpi regolari. Le ragazze
invece danno schiaffi, morsi, pizzicotti, ti tirano i capelli,
ti strappano i bottoni della camicia e gli orecchini.
L'unica eccezione fu la rissa con Carla W. Fu lei a sfidarmi:
non ci eravamo neanche sfiorate, prima di allora. lo me ne stavo
lì a fissarla mentre si stava riposando un po' , e a un
tratto lei cominciò a dire assurdità: "Ti
prendo a calci in culo! Ti do un calcio sulla fica così
escono due bei bambini!" Chissà che diavolo voleva
dire? Alla fine la gente intorno a noi cominciò a ridere,
e a vincere fui io. L'altra volta in cui feci a pugni con una
ragazza fu alle superiori. Avevamo tutte e due quindici anni.
Per me è stata l'ultima rissa in assoluto. Lei era una
biondina graziosa che faceva la ballerina e anche la modella.
La nostra era un'antipatia reciproca. Lei mi accusò di
portare iella, e allora io le dissi che sua madre era una puttana.
Si scagliò contro di me con la sua amica e prese a tirarmi
le trecce. Non ci sono regole quando combatti con una ragazza.
Fare male, conta solo questo.
Mi ricordo di due ragazze che si picchiarono quando ero alle
elementari. Erano inferocite: singhiozzavano, piangevano, tiravano
schiaffi e pugni. Due mulatte, o forse una era portoricana.
Una aveva completamente strappato il vestito alI'altra, e si
vedevano i piccoli seni duri che spuntavano da sotto la canottiera,
esposti al vento, mentre i bottoni del vestito rotolavano via
sull'asfalto. Noi eravamo tutti intorno a guardare.
Dopo, a volte, si diventa amici. Mi successe con Stephan D., un
ragazzo grosso, mezzo nero e mezzo ebreo, che mi diede un cazzotto
in un occhio dopo che io lo avevo colpito per un motivo che non
mi ricordo più. Fu una mossa rapidissima. L'occhio mi si
gonfiò. La folla ci separò prima che potessimo colpirci
ancora. L'insegnante ci fece rimanere dopo scuola per chiarire
tutto, e alla fine diventammo ottimi amici. Ho ancora il braccialetto
di plastica che mi regalò alla fine dell'anno scolastico.
Era a strisce rosse e marroni.
Anche i pacifìsti fanno a pugni.
"Un giorno voi Vega imparerete che la violenza non è
la risposta giusta!", gridò la mia insegnante,
Ruth M., mentre io schiacciavo la faccia di Michael E. contro
il pavimento, nell'atrio della scuola. Lo tenevo bloccato a terra,
ma non sapevo mai cosa fare dopo, perché non avevo un naturale
istinto omicida. L'insegnante mi obbligò a lasciarlo rialzare,
e dopo quell'anno lasciò la cattedra per entrare in politica
a New York. Attualmente è il presidente del distretto amministrativo
di Manhattan. Ora probabilmente è lei che fa a pugni con
qualche ragazzo.
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